Monthly Archives: aprile 2021
Oggi martedì 27 aprile 2021
——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————
Oggi webinar: quale credito in Sardegna?
Ecco un contributo al webinar di oggi sul credito come fattore di sviluppo della Sardegna.
Mariella Montixi su Democraziaoggi.
Faccio questo mio intervento nella duplice veste di componente della scuola di cultura politica ma anche direttrice amministrativa di una realtà imprenditoriale radicata nel territorio sardo, e proprio da questa esperienza vissuta quotidianamente in prima persona mi sento di sollevare […]
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Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – Primi approfondimenti dopo la presentazione al Parlamento
Manca il coraggio di cambiare
Giulio Marcon su Sbilanciamoci!
26 Aprile 2021 | Sezione: Editoriale, Politica
Nelle oltre 300 pagine del Piano di ripresa e resilienza, il Recovery Plan presentato alle Camere, le parole “competizione”, “concorrenza” e “impresa” ricorrono 257 volte, il doppio delle citazioni di “lavoro”, “diseguaglianze” solo sette volte. Il lessico è importante. Infatti alle imprese vanno 50 miliardi, solo 6,6 al lavoro. Un piano senza coraggio.
Incominciamo dalle parole. Nel PNRR di Draghi la parola “concorrenza” compare 42 volte, “competizione” 79 mentre “diseguaglianze” 7 e “diritti” 18. E già questo ci dice qualcosa. Se mettiamo insieme “competizione”, “concorrenza” e “impresa” (257) hanno più del doppio di citazioni (378) di quelle del “lavoro” (179) che pure sta sulla bocca di tutti come la cosa più importante. Ora, non si tratta di mettersi a fare il campionato delle citazioni, ma l’enfasi sulle parole ha sempre qualcosa a che fare con il senso di un discorso, il suo indirizzo, le finalità cui soggiace. Il lessico ha la sua importanza. Così nel piano di Draghi le diseguaglianze scolorano nelle pari opportunità, i diritti nell’accessibilità ai servizi mentre la ricerca scientifica acquista la sua importanza se va verso l’impresa (e non per esempio verso il benessere dei cittadini).
L’impianto di Draghi è sostanzialmente tecnocratico e liberista, pur contenendo diverse cose importanti: le misure per la transizione ecologica, quelle per la medicina territoriale, per l’inclusione sociale e la scuola e altro ancora. Ci sono alcune riforme previste (nel segno della sacrosanta efficienza del sistema), ma non quelle che potrebbero dare il senso di un cambiamento sociale e più giusto del Paese: la riforma del fisco (che sta nel calderone generico delle “varie ed eventuali”), del mercato del lavoro (invertendo la rotta del precariato verso i diritti), della sanità pubblica ricostruendo le basi del Servizio sanitario nazionale, dell’introduzione dei Livelli essenziali di assistenza, già previsti da 20 anni e mai realizzati. Non c’è il coraggio di dire qualche parola in più sulla prospettiva e gli strumenti dell’intervento pubblico in economia. Nel piano manca la politica industriale (altra riforma che non c’è): non sono evidenziate le sedi, gli strumenti, i poteri di indirizzo, di stimolo e di monitoraggio delle scelte per il nostro sistema produttivo.
Le imprese continuano ad essere le più importanti beneficiarie dei fondi pubblici (come è stato nel 2020 con i vari decreti d’emergenza): quasi 50 miliardi di euro del piano, mentre alle politiche per il lavoro vanno solo 6,6 miliardi. Di diseguaglianze non si parla e soprattutto manca una strategia su come affrontarle: il discorso è sempre lo stesso, con la crescita si risolverà tutto. Ricetta falsa: non è così e non è stato così in questi anni. Sulle diseguaglianze sanitarie si dice poco o niente su come affrontarle (non si affronta il tema della divaricazione dei sistemi sanitari regionali) e così quasi nulla (briciole) sul digital divide che incombe su gran parte del Paese.
Per l’ambiente le cose potrebbero andare meglio, certamente. Anche se le associazioni ambientaliste hanno espresso già le loro critiche. Ma ci si consenta qualche dubbio sul rapporto costi-benefici di un provvedimento come quello del bonus 110% su cui anche l’UpB ha sollevato qualche dubbio: un provvedimento (che implica tante risorse) di cui non usufruiscono né i poveri né i ceti medio-bassi e il cui effetto sull’abbattimento delle emissioni è molto sovrastimato, mentre lo spazio per incentivi fiscali sull’ecoefficienza è molto più ampio e molto più diffuso. Scompaiono quasi del tutto gli incentivi per la rigenerazione energetica degli edifici pubblici e rimangono solo quelli per i privati. Tutta questa enfasi per l’investimento sull’idrogeno (più di 3 miliardi) suscita qualche interrogativo, anche perchè è un vettore energetico più che una rinnovabile. E soprattutto uno di interrogativi: se tra le varie disposizioni non si nasconda anche l’aiuto dello sviluppo dell’idrogeno blu (cioè dal gas), su cui sta puntando l’ENI. Inoltre, non ci sono impegni per il superamento dei Sussidi ambientalmente dannosi (SAD) di cui usufruiscono in gran parte le imprese. Ulteriori semplificazioni vengono previste per la procedura VIA (Valutazione d’Impatto Ambientale) e codice appalti: più che meno burocrazia questo significa più deregulation. Qualcosa di cui sarà felice il ministro Cingolani, ex responsabile dell’innovazione per Leonardo: aumentano enormemente i fondi (quasi un miliardo di euro) per le infrastrutture satellitari: ne sarà contento l’ad Profumo.
Molti dubbi anche sulla governance (sulla cabina di regia si rimanda ad un successivo provvedimento) e il monitoraggio previsto per il piano. A tale riguardo colpisce che tutto si riduca -per il monitoraggio- all’uso di software più o meno sofisticati per valutare lo stato di avanzamento e la rispondenza agli obiettivi fissati. Prevale, in questa deriva tecnocratica, il modello McKinsey con matrici, indicatori, ecc e scompare completamente la dinamica della componente sociale, partecipativa e democratica della valutazione delle scelte fatte. D’altra parte è la stessa impostazione che si è seguita anche nella fase preparatoria del piano.
Si doveva fare diversamente. Un piano con molte cose utili (ma anche diverse sbagliate) in una cornice liberista, sempre la stessa, sbagliata e fallimentare, senza il coraggio di affrontare i nodi di una economia diversa fondata sul cambiamento radicale del modello di sviluppo che ci sta portando alla rovina. Senza mai metterlo in discussione: nemmeno nel piano di Draghi.
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EDITORIALI PRECEDENTI
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Punta de billete. Lompendi su 28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
SA FESTA NATZIONALE DE SOS SARDOS IN TEMPOS DE PANDEMIA
de Frantziscu Casula
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PRECEDENTE EDITORIALE
Comitato Italiano petizione ICE
Right2cure – No profit on pandemic- Diritto alla Cura -
VACCINI, APPELLO A DRAGHI: SOSPENDERE I BREVETTI PER SALVARCI TUTTI!
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PNRR. Le buone intenzioni dell’inferno di Draghi
di Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri.
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Il discorso di Mario Draghi alla Camera (lunedì 26 aprile 2021).
Signor Presidente, Onorevoli Deputati,
sbaglieremmo tutti a pensare che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, pur nella sua storica importanza, sia solo un insieme di progetti tanto necessari quanto ambiziosi, di numeri, obiettivi, scadenze. Vi proporrei di leggerlo anche in un altro modo. Metteteci dentro le vite degli italiani, le nostre ma soprattutto quelle dei giovani, delle donne, dei cittadini che verranno. Le attese di chi più ha sofferto gli effetti devastanti della pandemia. Le aspirazioni delle famiglie preoccupate per l’educazione e il futuro dei propri figli. Le giuste rivendicazioni di chi un lavoro non ce l’ha o lo ha perso. Le preoccupazioni di chi ha dovuto chiudere la propria attività per permettere a noi tutti di frenare il contagio L’ansia dei territori svantaggiati di affrancarsi da disagi e povertà. La consapevolezza di ogni comunità che l’ambiente va tutelato e rispettato. Ma, nell’insieme dei programmi che oggi presento alla vostra attenzione, c’è anche e soprattutto il destino del Paese. La misura di quello che sarà il suo ruolo nella comunità internazionale. La sua credibilità e reputazione come fondatore dell’Unione europea e protagonista del mondo occidentale.
Non è dunque solo una questione di reddito, lavoro, benessere. Ma anche di valori civili, di sentimenti della nostra comunità nazionale che nessun numero, nessuna tabella potranno mai rappresentare.
Dico questo perché sia chiaro che, nel realizzare i progetti, ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte anteposte al bene comune peseranno direttamente sulle nostre vite. Soprattutto su quelle dei cittadini più deboli e sui nostri figli e nipoti. E forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio. Nel presentare questo documento, al quale è strettamente legato il nostro futuro, vorrei riprendere, specie all’indomani della celebrazione del 25 aprile, una testimonianza di uno dei padri della nostra Repubblica.
Scriveva Alcide De Gasperi nel 1943:
“Vero è che il funzionamento della democrazia economica esige disinteresse, come quello della democrazia politica suppone la virtù del carattere.
L’opera di rinnovamento fallirà, se in tutte le categorie, in tutti i centri non sorgeranno degli uomini – oggi diremmo delle persone – disinteressati pronti a faticare e a sacrificarsi per il bene comune.”
A noi l’onere e l’onore di preparare nel modo migliore l’Italia di domani.
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Questo tempo
La Resistenza: un movimento plurale
25 Aprile 2021 by Vittorio Sammarco | su C3dem
di Salvatore Vento
Il 25 Aprile è il giorno ufficiale e simbolico scelto per celebrare la liberazione dall’occupazione nazista e dal regime fascista italiano. In quel giorno, infatti, il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) proclamò l’insurrezione generale dei patrioti nei territori occupati dai tedeschi. Ma in tutto il paese il processo verso la libertà non fu omogeneo e lineare e mi sembra perciò utile ricordare la cronologia essenziale.
Roma venne liberata dagli alleati il 4 giugno 1944, il mese dopo vi si trasferisce il governo, e Umberto II di Savoia, Luogotenente del Regno, s’insedia al Quirinale. L’11 agosto 1944 venne liberata Firenze dopo una cruenta lotta strada per strada e il 21 aprile 1945 toccò a Bologna. Le formazioni partigiane del triangolo industriale continuavano a combattere e gli operai compivano sforzi enormi per impedire che i macchinari delle loro fabbriche venissero trasferite in Germania. A Genova, medaglia d’oro al valor militare, l’atto di resa dei tedeschi, per la parte italiana, venne firmato da un operaio, Remo Scappini, e la liberazione avvenne prima dell’arrivo delle truppe alleate.
Il periodo 1943-1945 fu davvero drammatico, l’Italia era divisa in due: il Nord sotto il dominio nazifascista della Repubblica sociale italiana costituita a Salò, cittadina sul lago di Garda e il Sud sotto la protezione degli eserciti alleati. Il 10 luglio 1943 lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia aveva segnato una svolta nella guerra e quindici giorni dopo il Gran Consiglio del fascismo approvava un ordine del giorno contro Mussolini, che veniva destituito e arrestato. Il Re Vittorio Emanuele III, e tutto il governo Badoglio, mentre un gruppo di militari e civili a Porta San Paolo combattevano contro i nazisti, scapparono da Roma per raggiungere Brindisi. Il Re aveva così giustificato il suo comportamento: “per la salvezza della capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, col governo e con le Autorità militari, mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo italiano.” Il 3 settembre 1943 a Cassibile in Sicilia era già stato firmato l’Armistizio che sarà annunciato l’8 settembre. A questo punto l’esercito italiano (presente anche in altri territori dove aveva combattuto, come in Francia, Grecia, Albania, i Balcani) è completamente allo sbando.
Intanto i partiti antifascisti si uniscono nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) e per coordinare le azioni militari delle formazioni partigiane formano il Corpo Volontari della libertà (CVL) designando come presidente il generale Raffaele Cadorna (figlio del maresciallo Luigi) e vice presidenti Ferruccio Parri del Partito d’Azione e Luigi Longo del Pci. Anche le forze sindacali si riorganizzano in maniera unitaria e sottoscrivono un Patto per costituire la Cgil unitaria composta da rappresentanti dei comunisti (Giuseppe Di Vittorio), socialisti (Emilio Canevari, in sostituzione del capo storico Bruno Buozzi ucciso dai nazisti) e democristiani (Achille Grandi).
La Resistenza fu un movimento plurale nel quale confluirono motivazioni diverse: i militanti antifascisti attivi nella clandestinità e quelli dell’esilio, delle carceri e del confino di polizia; i giovani che non vollero arruolarsi nella Repubblica sociale di Salò e preferirono unirsi alla formazioni partigiane; le tante donne che svolgevano funzioni di assistenza (le famose “staffette”) ai combattenti in armi e col passare del tempo anch’esse combattenti; le popolazioni esauste dalla guerra e dai bombardamenti; i lavoratori delle fabbriche che scioperarono in diversi momenti; i militari che non accettarono di confluire nelle forze armate nazifasciste. Su quest’insieme di motivazioni nel 1991 Claudio Pavone pubblicò una ricerca approfondita che poneva all’attenzione anche il discusso concetto di “guerra civile” tra italiani, accanto a quello di “lotta di liberazione nazionale”.
Sul contributo dei militari alla lotta contro i tedeschi soltanto negli ultimi anni, grazie anche all’azione del presidente Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006), si è fatta luce. Quando Ciampi nel 2001 si recò a Cefalonia (isola greca dell’Egeo) ricordò il dilemma dei soldati italiani della Divisione Acqui che risposero alla domanda del loro generale Gandini scegliendo, all’unanimità, di non schierarsi con i tedeschi e scrivendo così la prima pagina della Resistenza. La risposta dei nazisti fu l’eccidio di massa. Interessante anche la testimonianza di Alessandro Natta (segretario del Pci dal 1984 al 1988) sui militari internati dai tedeschi, pubblicata con il titolo “L’altra resistenza”. E a chi sosteneva che nel periodo 1943-45 si ebbe “la morte della Patria”, Ciampi rispondeva che la scelta dei diecimila militari italiani a Cefalonia fu, invece, la via maestra per la salvezza della patria, come lo è stato tutto il movimento della Resistenza.
Nel 1996 Luciano Violante, all’atto del suo insediamento a presidente della Camera dei deputati, poneva l’interrogativo sul che fare affinché la lotta di liberazione dal nazifascismo diventasse davvero un valore nazionale, per superare le lacerazioni di ieri e avviare la “riconciliazione”. Un primo elemento da lui indicato riguardava la necessità di arrivare a una comprensione dei motivi che portarono molti giovani ad aderire alla Repubblica di Salò (tema questo molto controverso, perché la giusta esigenza di capire la soggettività di ogni scelta deve partire dalla condivisione che la Costituzione italiana è figlia della Resistenza; un politico che giura fedeltà alla Costituzione non può ignorare questa verità storica; la pietas sui morti di tutti i fronti non può confondersi col giudizio storico necessario per la formazione di una memoria collettiva, che va sempre coltivata). L’altro aspetto riguarda le regioni del Sud d’Italia, la cui vicenda, come noto, è stata diversa, ma, in realtà, non per questo meno lacerante e meno violenta. I bombardamenti tra il 1940 e il 1943 non hanno dato tregua a nessun luogo considerato per gli anglo-americani d’importanza strategica, come i porti e le isole di Sardegna e Sicilia, avamposto del Mediterraneo. Ci furono inoltre episodi significativi come “le quattro giornate di Napoli”, città che i combattenti riuscirono a liberare prima dell’arrivo degli alleati il primo ottobre 1943. O, in Abruzzo, la Brigata Maiella, di profonda fede repubblicana, aggregata all’esercito alleato, che contribuì allo sfondamento della linea Gustav, eretta dai tedeschi nell’Italia centrale. Per alcuni mesi il governo del Regno si trasferì a Salerno dove Togliatti proclamò l’omonima “svolta”, cioè il sostegno a Badoglio da parte dei sei partiti antifascisti del CLN.
Termino questo intervento con la citazione delle parole del presidente Sergio Mattarella pronunciate in occasione del “Giorno della memoria” del 2018:
“Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza”.
Salvatore Vento
*L’articolo è uscito il 24 aprile su Via Po, inserto culturale del quotidiano Conquiste del lavoro.
**Segnaliamo la riedizione, sulla rivista Vita e pensiero, di uno scritto dello storico Cinzio Violante del 1995: Ricordi e testimonianze sugli Internati Militari Italiani in Germania (1943-1945)
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Luisanna Usai (del Patto per la Sardegna – Cuncordiu po sa Sardigna) ci segnala un articolo di Maurizio Pretta sulla rivista online nemesismagazine sulle “donne sarde tra guerra di liberazione e prigionia”. Eccolo: https://www.nemesismagazine.it/25-aprile-eleonora-e-le-altre-le-donne-sarde-fra-guerra-di-liberazione-e-prigionia/
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EDITORIALI PRECEDENTI
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Punta de billete. Lompendi su 28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
28 de abrile: sa Die de sa Sardigna
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di Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri.
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Oggi lunedì 26 aprile 2021
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Quale credito per lo sviluppo della Sardegna?
26 Aprile 2021
Roberto Mirasola su Democraziaoggi.
La Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco prosegue con i suoi incontri, aprendo martedì 27 aprile un nuovo ciclo dal titolo: “Economia e Sviluppo Locale”. Si inizia con “Le politiche del credito” , relatori i presidenti dei presidenti del Banco di Sardegna e della Banca di Cagliari.
Ecco la presentazione dell’evento di Roberto […]
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E i Comuni sardi? La Sardegna non ci guadagna a stare fuori dal movimento risorgente di un nuovo meridionalismo. Questo è certo, soprattutto se al meridionalismo si sostituisce un egemonico rapporto del Nord, tra l’altro a trazione leghista (po caridade!) sulla nostra (sempre più piccola) Sardegna. Svegliamoci!
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Intanto la Sardegna è assente dal dibattito nazionale che rilancia un necessario meridionalismo.
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25 aprile di Liberazione!
La Resistenza: un movimento plurale
25 Aprile 2021 by Vittorio Sammarco | su C3dem
di Salvatore Vento
Il 25 Aprile è il giorno ufficiale e simbolico scelto per celebrare la liberazione dall’occupazione nazista e dal regime fascista italiano. In quel giorno, infatti, il CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) proclamò l’insurrezione generale dei patrioti nei territori occupati dai tedeschi. Ma in tutto il paese il processo verso la libertà non fu omogeneo e lineare e mi sembra perciò utile ricordare la cronologia essenziale.
Roma venne liberata dagli alleati il 4 giugno 1944, il mese dopo vi si trasferisce il governo, e Umberto II di Savoia, Luogotenente del Regno, s’insedia al Quirinale. L’11 agosto 1944 venne liberata Firenze dopo una cruenta lotta strada per strada e il 21 aprile 1945 toccò a Bologna. Le formazioni partigiane del triangolo industriale continuavano a combattere e gli operai compivano sforzi enormi per impedire che i macchinari delle loro fabbriche venissero trasferite in Germania. A Genova, medaglia d’oro al valor militare, l’atto di resa dei tedeschi, per la parte italiana, venne firmato da un operaio, Remo Scappini, e la liberazione avvenne prima dell’arrivo delle truppe alleate.
Il periodo 1943-1945 fu davvero drammatico, l’Italia era divisa in due: il Nord sotto il dominio nazifascista della Repubblica sociale italiana costituita a Salò, cittadina sul lago di Garda e il Sud sotto la protezione degli eserciti alleati. Il 10 luglio 1943 lo sbarco degli anglo-americani in Sicilia aveva segnato una svolta nella guerra e quindici giorni dopo il Gran Consiglio del fascismo approvava un ordine del giorno contro Mussolini, che veniva destituito e arrestato. Il Re Vittorio Emanuele III, e tutto il governo Badoglio, mentre un gruppo di militari e civili a Porta San Paolo combattevano contro i nazisti, scapparono da Roma per raggiungere Brindisi. Il Re aveva così giustificato il suo comportamento: “per la salvezza della capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, col governo e con le Autorità militari, mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo italiano.” Il 3 settembre 1943 a Cassibile in Sicilia era già stato firmato l’Armistizio che sarà annunciato l’8 settembre. A questo punto l’esercito italiano (presente anche in altri territori dove aveva combattuto, come in Francia, Grecia, Albania, i Balcani) è completamente allo sbando.
Intanto i partiti antifascisti si uniscono nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) e per coordinare le azioni militari delle formazioni partigiane formano il Corpo Volontari della libertà (CVL) designando come presidente il generale Raffaele Cadorna (figlio del maresciallo Luigi) e vice presidenti Ferruccio Parri del Partito d’Azione e Luigi Longo del Pci. Anche le forze sindacali si riorganizzano in maniera unitaria e sottoscrivono un Patto per costituire la Cgil unitaria composta da rappresentanti dei comunisti (Giuseppe Di Vittorio), socialisti (Emilio Canevari, in sostituzione del capo storico Bruno Buozzi ucciso dai nazisti) e democristiani (Achille Grandi).
La Resistenza fu un movimento plurale nel quale confluirono motivazioni diverse: i militanti antifascisti attivi nella clandestinità e quelli dell’esilio, delle carceri e del confino di polizia; i giovani che non vollero arruolarsi nella Repubblica sociale di Salò e preferirono unirsi alla formazioni partigiane; le tante donne che svolgevano funzioni di assistenza (le famose “staffette”) ai combattenti in armi e col passare del tempo anch’esse combattenti; le popolazioni esauste dalla guerra e dai bombardamenti; i lavoratori delle fabbriche che scioperarono in diversi momenti; i militari che non accettarono di confluire nelle forze armate nazifasciste. Su quest’insieme di motivazioni nel 1991 Claudio Pavone pubblicò una ricerca approfondita che poneva all’attenzione anche il discusso concetto di “guerra civile” tra italiani, accanto a quello di “lotta di liberazione nazionale”.
Sul contributo dei militari alla lotta contro i tedeschi soltanto negli ultimi anni, grazie anche all’azione del presidente Carlo Azeglio Ciampi (1999-2006), si è fatta luce. Quando Ciampi nel 2001 si recò a Cefalonia (isola greca dell’Egeo) ricordò il dilemma dei soldati italiani della Divisione Acqui che risposero alla domanda del loro generale Gandini scegliendo, all’unanimità, di non schierarsi con i tedeschi e scrivendo così la prima pagina della Resistenza. La risposta dei nazisti fu l’eccidio di massa. Interessante anche la testimonianza di Alessandro Natta (segretario del Pci dal 1984 al 1988) sui militari internati dai tedeschi, pubblicata con il titolo “L’altra resistenza”. E a chi sosteneva che nel periodo 1943-45 si ebbe “la morte della Patria”, Ciampi rispondeva che la scelta dei diecimila militari italiani a Cefalonia fu, invece, la via maestra per la salvezza della patria, come lo è stato tutto il movimento della Resistenza.
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Termino questo intervento con la citazione delle parole del presidente Sergio Mattarella pronunciate in occasione del “Giorno della memoria” del 2018:
“Sorprende sentir dire, ancora oggi, da qualche parte, che il fascismo ebbe alcuni meriti, ma fece due gravi errori: le leggi razziali e l’entrata in guerra. Si tratta di un’affermazione gravemente sbagliata e inaccettabile, da respingere con determinazione. Perché razzismo e guerra non furono deviazioni o episodi rispetto al suo modo di pensare, ma diretta e inevitabile conseguenza”.
Salvatore Vento
*L’articolo è uscito il 24 aprile su Via Po, inserto culturale del quotidiano Conquiste del lavoro.
**Segnaliamo la riedizione, sulla rivista Vita e pensiero, di uno scritto dello storico Cinzio Violante del 1995: Ricordi e testimonianze sugli Internati Militari Italiani in Germania (1943-1945)
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Luisanna Usai (del Patto per la Sardegna – Cuncordiu po sa Sardigna) ci segnala un articolo di Maurizio Pretta sulla rivista online nemesismagazine sulle “donne sarde tra guerra di liberazione e prigionia”. Eccolo: https://www.nemesismagazine.it/25-aprile-eleonora-e-le-altre-le-donne-sarde-fra-guerra-di-liberazione-e-prigionia/
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Punta de billete Save the date per martedì 27 aprile 2021
Punta de billete Save the date per martedì 27 aprile 2021. Si parla di finanza! [segue]
Che succede?
25 APRILE E COSTITUZIONE. MIGRANTI IGNORATI. BREVETTI. PNRR A CONFRONTO. FUTURO 5 STELLE
25 Aprile 2021 su C3dem.
[segue]
Oggi domenica 25 aprile 2021. E’ Festa di Liberazione
Oggi è Festa di Liberazione
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25 aprile. ANPI Cagliari. Perché arrendersi non è possibile
25 Aprile 2021 su Democraziaoggi.
Per i morti della Resistenza
Poesia di Giuseppe Ungaretti
Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce.
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Carbonia. Non è una città libera. La continuità col passato
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Oggi 25 aprile, Festa della Liberazione, è domenica e parliamo nel blog della Resistenza e, come ogni domenica, dal 1° settembre 2019, della storia di Carbonia.
Carbonia non è in grado, neppure dopo la proclamazione della Repubblica, di accogliere interamente le famiglie dei minatori occupati nei cantieri, interrotta la costruzione di case e strade […]
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25 aprile | Resistenza, la guerra obbligata dei partigiani: come e perché “i buoni” furono costretti a scegliere il rischio di uccidere
25 Aprile 2021 su Democraziaoggi.
Riteniamo di fare cosa utile riportando materiali di riflessione sulla Resistenza da Il Fatto quotidiano
In “Anche i partigiani però…” la storica Chiara Colombini mette in fila tutti i capi d’imputazione che ciclicamente, tra frasi fatte e sentenze un tanto al chilo, vengono riproposti nei confronti di chi partecipò alle battaglie per […]
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25 aprile tutte le iniziative.
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LIBERIAMOCI DAL VIRUS. La Cisl-Pensionati chiede la nomina di un commissario per l’organizzazione della somministrazione dei vaccini alla popolazione dei fragili. Domani in rete un appello da sottoscrivere. Firmiamo!
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PNRR. Le buone intenzioni dell’inferno di Draghi
di Mario Draghi, presidente del Consiglio dei Ministri.
La crisi in Italia e il problema giovani-lavoro
La crisi si è abbattuta su un paese già fragile dal punto di vista economico, sociale ed ambientale. Tra il 1999 e il 2019, il pil in Italia è cresciuto in totale del 7,9 per cento. Nello stesso periodo in Germania, Francia e Spagna, l’aumento è stato rispettivamente del 30,2, del 32,4 e 43,6 per cento. Tra il 2005 e il 2019, il numero di persone sotto la soglia di povertà è salita dal 3,3 per cento al 7,7 per cento della popolazione – prima di aumentare ulteriormente nel 2020 fino al 9,4 per cento. A essere particolarmente colpiti sono stati donne e giovani: l’Italia è il paese dell’Ue con il più alto tasso di giovani tra i 15 e i 29 anni non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione (Neet), e il tasso di partecipazione delle donne al lavoro è solo il 53,1 per cento, molto al di sotto del 67,4 per cento della media europea. Questi problemi sono ancora più accentuati nel Mezzogiorno, dove il processo di convergenza con le aree più ricche del paese è ormai fermo.
Cambiamenti climatici ed erosione del territorio
L’Italia è particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici e, in particolare, all’incremento delle ondate di calore e delle siccità. Le zone costiere, i delta e le pianure alluvionali risentono degli effetti legati all’incremento del livello del mare e delle precipitazioni intense. Secondo le stime dell’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale (Ispra), nel 2017 il 12,6 per cento della popolazione viveva in aree classificate ad elevata pericolosità di frana o soggette ad alluvioni, con un complessivo peggioramento rispetto al 2015. Dopo una forte discesa tra il 2008 e il 2014, le emissioni pro capite di gas clima-alteranti in Italia, espresse in tonnellate equivalenti, sono rimaste sostanzialmente inalterate nel 2019.
Germania e Francia corrono di più
Dietro l’incapacità dell’economia italiana di tenere il passo con gli altri paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali, c’è l’andamento della produttività, molto più lento in Italia che nel resto d’Europa. Negli ultimi vent’anni, dal 1999 al 2019, il pil per ora lavorata in Italia è cresciuto del 4,2 per cento, mentre in Francia e Germania è aumentato rispettivamente del 21,2 e del 21,3 per cento. La produttività totale dei fattori, un indicatore che misura il grado di efficienza complessivo di un’economia, è diminuita del 5,8 per cento tra il 2001 e il 2019, a fronte di un generale aumento a livello europeo.
P.a. e digitalizzazione, un problema da affrontare
Tra le cause del deludente andamento della produttività c’è l’incapacità di cogliere le molte opportunità legate alla rivoluzione digitale. Questo ritardo è dovuto sia alla mancanza di infrastrutture adeguate, sia alla struttura del tessuto produttivo italiano, caratterizzato da una prevalenza di piccole e medie imprese, che sono state spesso lente nel muoversi verso produzioni di più alto valore aggiunto. La scarsa familiarità con le nuove tecnologie digitali caratterizza d’altronde anche il settore pubblico. Prima dello scoppio della pandemia, il 98,8 per cento dei dipendenti dell’amministrazione pubblica in Italia non aveva mai utilizzato il lavoro agile. Anche durante la pandemia, a fronte di un potenziale di tale modalità di lavoro nei servizi pubblici pari a circa il 36 per cento, l’utilizzo effettivo è stato del 33 per cento, con livelli più bassi, di circa 10 punti percentuali, nel Mezzogiorno.
Il ritardo degli investimenti
Questi ritardi sono in parte legati al calo degli investimenti pubblici e privati, che ha rallentato i necessari processi di modernizzazione della pubblica amministrazione, delle infrastrutture e delle filiere produttive. Nel ventennio 1999-2019 gli investimenti totali in Italia sono cresciuti del 66 per cento a fronte del 118 per cento nella zona euro. In particolare, mentre la quota di investimenti privati è aumentata, quella degli investimenti pubblici è diminuita, passando dal 14,5 per cento degli investimenti totali nel 1999 al 12,7 per cento fino al 2019.
Le riforme fanno crescere il Pil
Le riforme strutturali sono essenziali per migliorare la qualità della spesa da parte delle amministrazioni pubbliche e incoraggiare i capitali privati verso investimenti e innovazione. Secondo un recente studio della Banca d’Italia, le riforme introdotte nell’ultimo decennio in materia di giustizia civile, liberalizzazione dei servizi e incentivi all’innovazione hanno contribuito ad accrescere il pil nel 2019 di una percentuale tra il 3 per cento e il 6 per cento, con ulteriori effetti previsti nel decennio successivo. E’ un impatto significativo, che può essere ulteriormente rafforzato con una nuova agenda di semplificazioni.
Un nuovo miracolo italiano
Questi problemi rischiano di condannare l’Italia a un futuro di bassa crescita da cui sarà sempre più difficile uscire. La storia economica recente dimostra, tuttavia, che l’Italia non è necessariamente destinata al declino. Nel secondo Dopoguerra, durante il miracolo economico, il nostro paese ha registrato tassi di crescita del pil e della produttività tra i più alti d’Europa. Tra il 1950 e il 1973, il pil per abitante è cresciuto in media del 5,3 per cento l’anno, la produzione industriale dell’8,2 per cento e la produttività del lavoro del 6,2 per cento. In poco meno di un quarto di secolo l’Italia ha portato avanti uno straordinario processo di convergenza verso i paesi più avanzati e il reddito medio degli italiani è passato dal 38 al 64 per cento di quello degli Stati Uniti e dal 50 all’88 per cento di quello del Regno Unito.
Tassi di crescita così eccezionali sono legati ad aspetti peculiari di quel periodo, in primo luogo la ricostruzione postbellica e l’industrializzazione di un paese ancora in larga parte agricolo, ma mostrano anche il ruolo trasformativo che investimenti, innovazione e apertura internazionale possono avere sull’economia di un paese.
Ngeu è un’opportunità imperdibile
Il Programma Next Generation Eu
L’Unione europea ha risposto alla crisi pandemica con il Next Generation Eu (Ngeu). E’un programma di portata e ambizione inedite, che prevede investimenti e riforme per accelerare la transizione ecologica e digitale; migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori; e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale. Per l’Italia il Ngeu rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme. L’Italia deve modernizzare la sua pubblica amministrazione, rafforzare il suo sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione sociale e alle disuguaglianze. Il Ngeu può essere l’occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni.
L’Italia è la prima beneficiaria, in valore assoluto, dei due principali strumenti del Ngeu, il Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (Rrf) e il Pacchetto di Assistenza alla Ripresa per la Coesione e i Territori di Europa (React-Eu). Il solo Rrf garantisce risorse per 191,5 miliardi di euro, da impiegare nel periodo 2021-2026, delle quali 68,9 miliardi sono sovvenzioni a fondo perduto. L’Italia intende inoltre utilizzare appieno la propria capacità di finanziamento tramite i prestiti della Rrf, che per il nostro paese è stimata in 122,6 miliardi.
Sei missioni da compiere
Il dispositivo Rrf richiede agli stati membri di presentare un pacchetto di investimenti e riforme – il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr). Questo piano, che si articola in 6 Missioni e 16 Componenti, beneficia della stretta interlocuzione avvenuta in questi mesi con il Parlamento e con la Commissione europea, sulla base del Regolamento Rrf. Le sei Missioni del Piano sono: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute. Il Piano è in piena coerenza con i sei pilastri del Ngeu e soddisfa i parametri fissati dai regolamenti europei, con una quota di progetti ‘verdi’ pari al 38 per cento del totale e di progetti digitali del 25 per cento.
Al Mezzogiorno quasi metà degli investimenti
Il 40 per cento circa delle risorse del Piano sono destinate al Mezzogiorno, a testimonianza dell’attenzione al tema del riequilibrio territoriale. Il Piano è fortemente orientato all’inclusione di genere e al sostegno all’istruzione, alla formazione e all’occupazione dei giovani e contribuisce a ciascuno dei sette progetti di punta (European flagships) della Strategia annuale sulla crescita sostenibile dell’Ue. Gli impatti ambientali indiretti sono stati valutati e la loro entità minimizzata in linea col principio del “non arrecare danni significativi” all’ambiente (“do no significant harm” – Dnsh) che ispira il Ngeu.
Le quattro riforme epocali sul tavolo
Il Piano comprende un ambizioso progetto di riforme. Il governo intende attuare quattro importanti riforme di contesto – Pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza. Inoltre, sono previste iniziative di modernizzazione del mercato del lavoro e di rafforzamento della concorrenza nel mercato dei prodotti e dei servizi. E’ prevista infine una riforma fiscale, che affronti anche il tema delle imposte e dei sussidi ambientali.
Pubblica amministrazione
La riforma della Pubblica amministrazione migliora la capacità amministrativa sia a livello centrale che locale; rafforza i processi di selezione, formazione e promozione dei dipendenti pubblici; e incentiva la semplificazione e la digitalizzazione delle procedure amministrative. Si basa su una forte espansione dei servizi digitali, negli ambiti dell’identità, dell’autenticazione, della sanità e della giustizia. L’obiettivo è una marcata sburocratizzazione per ridurre i costi e i tempi che attualmente gravano su imprese e cittadini.
Riforma della Giustizia
La riforma della giustizia ha l’obiettivo di affrontare i nodi strutturali del processo civile e penale e rivedere l’organizzazione degli uffici giudiziari. Nel campo della giustizia civile si semplifica il rito processuale, in primo grado e in appello, e si implementa definitivamente il processo telematico. Il Piano predispone inoltre interventi volti a riformare i meccanismi di riscossione e a ridurre il contenzioso tributario e i tempi della sua definizione. In materia penale, il governo intende riformare la fase delle indagini e dell’udienza preliminare; ampliare il ricorso a riti alternativi; rendere più selettivo l’esercizio dell’azione penale e l’accesso al dibattimento; definire termini di durata dei processi.
Semplificazione e sburocratizzazione
La riforma finalizzata alla razionalizzazione e semplificazione della legislazione abroga o modifica leggi e regolamenti che ostacolano eccessivamente la vita quotidiana dei cittadini, le imprese e la Pubblica amministrazione. La riforma interviene sulle leggi in materia di pubbliche amministrazioni e di contratti pubblici, sulle norme che sono di ostacolo alla concorrenza, sulle regole che hanno facilitato frodi o episodi corruttivi. E’ potenziato il Dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio e presso la Presidenza viene costituito un apposito Ufficio per la razionalizzazione e semplificazione delle leggi e dei regolamenti, per permettere una continuità di proposte e di interventi nel processo di semplificazione normativa.
Tutela della concorrenza
Un fattore essenziale per la crescita economica e l’equità è la promozione e la tutela della concorrenza. La concorrenza non risponde solo alla logica del mercato, ma può anche contribuire ad una maggiore giustizia sociale. La Commissione europea e l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, nella loro indipendenza istituzionale, svolgono un ruolo efficace nell’accertare e nel sanzionare cartelli tra imprese, abusi di posizione dominante e fusioni o acquisizioni di controllo che ostacolano sensibilmente il gioco competitivo. Il governo s’impegna a presentare in Parlamento il disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza, o comunque a approvare norme che possano agevolare l’attività d’impresa in settori strategici, come le reti digitali, l’energia e i porti. Alcune di queste norme sono già individuate nel Piano, ad esempio il completamento degli obblighi di gara per i regimi concessori oppure la semplificazione delle autorizzazioni per la realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti. Il governo si impegna inoltre a mitigare gli effetti negativi prodotti da queste misure e a rafforzare i meccanismi di regolamentazione.
Al Ministero dell’Economia il controllo dei fondi
Quanto più si incoraggia la concorrenza, tanto più occorre rafforzare la protezione sociale. Il governo ha predisposto uno schema di governance del Piano che prevede una struttura di coordinamento centrale presso il ministero dell’Economia. Questa struttura supervisiona l’attuazione del piano ed è responsabile dell’invio delle richieste di pagamento alla Commissione europea, invio che è subordinato al raggiungimento degli obiettivi previsti. Accanto a questa struttura di coordinamento, agiscono una struttura di valutazione e una struttura di controllo. Le amministrazioni sono invece responsabili dei singoli investimenti e delle singole riforme e inviano i loro rendiconti alla struttura di coordinamento centrale.
Le task force regionali del governo
Il governo costituirà anche delle task force locali che possano aiutare le amministrazioni territoriali a migliorare la loro capacità di investimento e a semplificare le procedure. La supervisione politica del piano è affidata a un comitato istituito presso la Presidenza del Consiglio a cui partecipano i ministri competenti.
Il governo stima che gli investimenti previsti nel piano avranno un impatto significativo sulle principali variabili macroeconomiche e sugli indicatori di inclusione, equità e sviluppo sostenible (Sdgs). Nel 2026, l’anno di conclusione del Piano, il prodotto interno lordo sarà del 3,6 per cento più alto rispetto all’andamento tendenziale e l’occupazione di quasi 3 punti percentuali. Gli investimenti previsti nel Piano porteranno inoltre a miglioramenti marcati negli indicatori che misurano la povertà, le diseguaglianze di reddito e l’inclusione di genere, e un marcato calo del tasso di disoccupazione giovanile. Il programma di riforme potrà ulteriormente accrescere questi impatti.
L’Italia del futuro
Il Pnrr è parte di una più ampia e ambiziosa strategia per l’ammodernamento del paese. Il governo intende aggiornare e perfezionare le strategie nazionali in tema di sviluppo e mobilità sostenibile; ambiente e clima; idrogeno; automotive; filiera della salute. L’Italia deve combinare immaginazione e creatività a capacità progettuale e concretezza. Il governo vuole vincere questa sfida e consegnare alle prossime generazioni un paese più moderno, all’interno di un’Europa più forte e solidale.
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DOCUMENTAZIONE su Aladinpensiero
- IL PIANO.
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QUADRO ECONOMICO COMPLESSIVO
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EDITORIALI PRECEDENTI [segue]
Oggi sabato 24 aprile 2021
Domani è Festa di Liberazione
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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni—————————
Occorre una spinta decisiva alla transizione ecologica
24 Aprile 2021
Andrea Orlando su Democraziaoggi.
All’iniziativa del 17 aprile 2021 promossa dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Laudato Sì, Nostra, ha partecipato anche il Ministro Andrea Orlando. Ecco il suo intervento.
Vorrei partire da un ringraziamento ad Alfiero Grandi per l’invito a questa iniziativa. Un saluto particolare anche a Don Virginio Colmegna, un esempio di impegno a favore dei più […]
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L’ASviS pubblica un’analisi dell’Enciclica “Fratelli tutti” alla luce del Goal 16
Il documento, su iniziativa del Gruppo di lavoro dell’ASviS sul Goal 16, offre una riflessione sulla lettera del Papa con particolare attenzione a Pace, giustizia e istituzioni solide. Introduzione del cardinale Turkson.
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Iniziativa delle Acli. Le sub culture giovanili nella Città Metropolitana di Cagliari
- Per collegarsi: https://www.facebook.com/AcliSardegna/videos/951359552304085
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