Monthly Archives: marzo 2021
Oggi mercoledì 10 marzo 2021
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Passaporto sanitario 4 mori. Funzionerà?
10 Marzo 2021
A.P. su Democraziaoggi.
Che ne pensate del modello Sardegna, orgogliosamente ostentato da Solinas? Si entra con un filtro sanitario e così – almeno nelle intenzioni – si assicura circolazione e salute. Bah, coi tempi che corrono a me pare che meno si gira e meglio è; con l’intensificazione dei contagi a causa delle varianti temo che ci stiamo […]
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Ricostruire l’Italia con il Sud
Ricostruire l’Italia con il Sud: 10 punti per il Pnrr
Redazione di Sbilanciamoci!
9 Marzo 2021 | Sezione: Apertura, Politica
La nuova versione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza deve tenere insieme le diverse aree del Paese e dare garanzie sullo sviluppo del Mezzogiorno. Un documento di 25 esperti chiede al governo il massimo impegno nel ridurre le disparità territoriali.
Aladinpensiero News e l’associazione socio-culturale Aladinpensiero aderiscono con entusiasmo e convinzione al documento-appello e si impegnano a diffonderlo e a farlo sottoscrivere nel nostro territorio. Ci preoccupa il silenzio in questo frangente degli intellettuali sardi e non solo. Diamoci una smossa!
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che il governo dovrà presentare alla Commissione Europea entro il prossimo 30 aprile, dovrebbe dare garanzie sull’obiettivo di riduzione delle disparità. A contare non sarà solo la semplice allocazione di risorse alle regioni meridionali, ma anche le modalità della loro governance: serve discontinuità rispetto alle precedenti fasi di programmazione, coerenza nel tempo del flusso di risorse disponibili e il rafforzamento delle competenze delle amministrazioni pubbliche. E andrebbe inserita, fra gli interventi di riforma più urgenti, la definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni”. Pubblichiamo di seguito il documento, promosso da 25 esperti di Mezzogiorno e di politiche territoriali, sulla necessità di rendere esplicito il ruolo del Sud nella ricostruzione del Paese.
Il documento
L’Italia si trova di fronte all’occasione irripetibile di avviare la sua “ricostruzione” coniugando sviluppo e coesione sociale, per giocare un ruolo di primo piano nell’Europa del prossimo decennio.
Per tale ragione, a nostro avviso, l’obiettivo di ridurre le disparità di genere, generazionali e territoriali – per molti aspetti strettamente collegate nelle aree più deboli del paese – deve essere al centro del Piano di Rilancio e di tutti i suoi interventi, coerentemente con la complessiva impostazione comunitaria del programma Next Generation EU.
Dunque, lo sviluppo del Mezzogiorno deve essere un grande obiettivo del Piano: per la rilevanza dei divari interni al paese, che in base ai criteri di riparto comunitari hanno determinato la dimensione del finanziamento destinato all’Italia; per motivi di uguaglianza fra i cittadini e di rispetto del dettato costituzionale; per motivi di efficienza economica: gli investimenti nel Mezzogiorno hanno un moltiplicatore più elevato e determinano impatti sull’attività produttiva dell’intero sistema nazionale. Il recupero del ritardo accumulato dall’Italia in Europa si supera tenendo insieme le parti del Paese in una strategia di sviluppo comune. Come nella logica del Next Generation EU, il Piano deve valorizzare le complementarità e le interdipendenze produttive e sociali tra i Nord e i Sud, riconoscendo che i risultati economici e il progresso sociale dei Nord dipendono dal destino dei Sud e viceversa.
Nella sua attuale formulazione il Piano non dà garanzia che le sue risorse saranno investite con questo indirizzo, e ancor meno che ci saranno effetti sulla riduzione delle disparità e sulla crescita del Mezzogiorno e quindi dell’intero paese. Per questo, a nostro avviso, il Piano dovrebbe essere riformulato:
1. rendendo esplicito il ruolo del Sud nelle sue principali missioni e il contributo che dal Sud può venire alla crescita del paese, con particolare riferimento alla transizione green, alla logistica, alle nuove attività manifatturiere, al ruolo delle sue aree urbane anche nella trasformazione digitale, al rafforzamento del sistema della ricerca e delle filiere scolastica e formativa e dei servizi socio-sanitari;
2. contenendo un chiaro indirizzo politico verso la produzione di beni pubblici per la coesione e la competitività nell’intero paese, e quindi verso la riduzione dei divari civili, a partire da scuola, sanità e assistenza sociale, anche attraverso un concreto riconoscimento del ruolo del Terzo Settore, e delle disparità nelle dotazioni infrastrutturali materiali (mobilità di lungo e breve raggio) e immateriali (reti digitali, istruzione, ricerca);
3. rendendo esplicito come l’obiettivo traversale della coesione territoriale viene perseguito all’interno di ciascuna missione, e di ciascuna linea di progetto, attraverso una puntuale localizzazione degli interventi (o dei criteri per la loro successiva selezione) e definizione degli obiettivi territoriali di spesa;
- definendo a livello territoriale in tutte le missioni, e in tutte le linee di progetto, i risultati attesi per i cittadini e le imprese;
1. facendo complessivamente scaturire da questa impostazione di metodo l’allocazione al Sud di una quota delle risorse complessive del Piano significativamente superiore al suo peso in termini di popolazione (al netto dei finanziamenti FSC e REACT-EU e al netto dei progetti “in essere”), coerentemente con l’impostazione e gli indicatori del programma comunitario;
- e impegnandosi a realizzare un sistema di monitoraggio ad accesso aperto, sulla base del quale il governo riferirà annualmente in Parlamento sull’avanzamento negli obiettivi di spesa e nei risultati ottenuti, nell’insieme e a livello territoriale;
La semplice allocazione di risorse non garantisce tuttavia il cambiamento del Sud e del paese. Pertanto, a nostro avviso, il Piano dovrebbe anche:
1. prevedere una governance con una significativa discontinuità anche rispetto alle precedenti programmazioni delle politiche di coesione, aperta al contributo delle forze economico-sociali e tale da garantire, molto più che in passato l’avanzamento della spesa da parte dei soggetti attuatori nei tempi previsti e il raggiungimento dei risultati attesi;
2. prevedere un intervento straordinario di riforma e rafforzamento delle Amministrazioni pubbliche ed in particolare di quelle comunali, di semplificazione delle norme e delle procedure e di potenziamento del loro personale e delle loro capacità, sulla base di un’analisi accurata dei fabbisogni. Senza uno straordinario rafforzamento dei Comuni difficilmente le risorse disponibili per investimenti potranno essere spese nei tempi;
3. contenere precisi impegni affinché nelle future Leggi di Bilancio siano destinate risorse correnti ordinarie adeguate a garantire il mantenimento nel tempo dei risultati attesi via via raggiunti, sia per quanto riguarda la dotazione e la qualità dei servizi attivabili con i nuovi investimenti (es. mobilità) sia per la dotazione e la qualità dei servizi di cittadinanza, a partire da salute, istruzione, assistenza, abitazione, connessioni digitali.
4. inserire fra gli interventi di riforma l’attuazione di quanto previsto dalla modifica costituzionale del 2001 e dalla successiva legislazione di attuazione (42/2009) con particolare riferimento alla rapida definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni” (ex art. 117 Cost.) per tutti i cittadini italiani, in base ai quali determinare fabbisogni standard e interventi perequativi nella finanza di Regioni e Comuni.
Senza una migliore capacità amministrativa e coerenti politiche ordinarie i risultati conseguiti con il Piano non potranno essere mantenuti nel tempo, l’Italia non sarà davvero “ricostruita” e non potrà contare in Europa.
9 marzo 2021
Documento proposto da:
Laura Azzolina, Università di Palermo
Luca Bianchi, economista
Carlo Borgomeo, Fondazione con il Sud
Luciano Brancaccio, Università Federico II Napoli
Luigi Burroni, Università di Firenze
Domenico Cersosimo, Università della Calabria
Leandra D’Antone, storica
Paola De Vivo, Università Federico II Napoli
Carmine Donzelli, editore
Maurizio Franzini, Università La Sapienza Roma
Lidia Greco, Università di Bari
Alessandro Laterza, editore
Flavia Martinelli, Università Mediterranea Reggio Calabria
Alfio Mastropaolo, Università di Torino
Vittorio Mete, Università di Firenze
Enrica Morlicchio, Università Federico II Napoli
Rosanna Nisticò, Università della Calabria
Emmanuele Pavolini, Università di Macerata
Francesco Prota, Università di Bari
Francesco Raniolo, Università della Calabria
Marco Rossi-Doria, maestro
Isaia Sales, Università S. Orsola Benincasa Napoli
Rocco Sciarrone, Università di Torino
Carlo Trigilia, Università di Firenze
Gianfranco Viesti, Università di Bari
Oggi martedì 9 marzo 2021
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IN PRIMO PIANO
Le proteste che verranno
Su Volerelaluna, 08-03-2021 – di: Raul Zibechi
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Renzi riceve un compenso dal principe ereditario saudita senza sanzione?
9 Marzo 2021
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
Alfiero Grandi pone un tema importante: quali sanzioni ai parlamentari che tengono comportamenti manifestamente inaccettabili, come quello di Renzi con Mohammad bin Salman.
E’ difficile una sanzione anche solo politica perché i parlamentari godono della piena immunità per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Certo qui si deve anzitutto stabilire […]
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La retorica sui competenti è il populismo delle élite
9 Marzo 2021
Jacopo Di Miceli, da Jacobinitalia 3 Marzo 2021. [Democraziaoggi]
Per stimolare il dibattito sul senso politico-culturale del “draghismo” ecco un interessante riflessione dei Jacopo Di Miceli
Le agiografie di Draghi nei media servono a portare avanti un’ulteriore narrazione post-ideologica, che punta a sostituire i conflitti di classe e la dicotomia destra/sinistra con un presunto […]
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McKinsey & Draghi
Gian Giacomo Migone su Sbilanciamoci!
8 Marzo 2021 | Sezione: Editoriale, Politica
La consulenza del ministero dell’Economia alla società statunitense McKinsey è gravida di incongruenze e potenziali conflitti d’interessi. Le spiegazioni finora fornite dal ministero non minimizzano, semmai aggravano le preoccupazioni. Visto il curriculum del presidente del Consiglio e il problema annoso delle “revolving doors” sarebbe il caso che oltre al ministro Franco, fosse lo stesso Draghi […]
[segue]
Incontro Interreligioso ad Ur
Viaggio Apostolico di Sua Santità Francesco in Iraq (5-8 marzo 2021) – Visita di cortesia al Grand Ayatollah Al-Sistani e Incontro Interreligioso ad Ur, 06.03.2021
Discorso del Santo Padre
Cari fratelli e sorelle,
questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle (cfr Gen 15,5). In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra.
[segue]
Che succede?
LE PAROLE DI FRANCESCO IN IRAK. IL CASO BOSE VERSO L’EPILOGO
8 Marzo 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Discorso di Francesco all’incontro interreligioso, e la Preghiera di Abramo (Piana di Ur). Francesco tra le rovine di Mosul, e la Preghiera per le vittime della guerra (qui il video dell’incontro). Discorso di Francesco alla comunità di Qaraqosh. Luigi Accattoli, “Il papa a Mosul: ‘il terrore non ha mai l’ultima parola’” (Corriere). Domenico Agasso, “La preghiera del papa tra le rovine di Mosul” (La Stampa). Olivier Roy, “Il vertice Bergoglio-Al Sistani bypassa gli Stati” (intervista a La Stampa). Gilles Kepel, “Per Francesco un incontro chiave. Necessaria l’alleanza con gli sciiti” (intervista al Corriere). IL CASO BOSE: [segue]
Il Patto per la Sardegna incontra il presidente della Conferenza dei vescovi sardi
Tessere reti di relazioni in modo diretto, personale, e attraverso i social per allargare i confini dell’impegno dei cattolici e di tutte le persone di buona volontà nella vita sociale e politica sarda. E’ questo l’invito di monsignor Antonello Mura, presidente della Conferenza Episcopale Sarda, ad alcuni rappresentanti del “Patto per la Sardegna”, che l’hanno incontrato per illustrare nei dettagli il documento-appello rivolto nei mesi scorsi da oltre 200 cittadini ai responsabili delle istituzioni e alle forze sociali e politiche, auspicando – in questa emergenza sanitaria, economica e sociale – una mobilitazione unitaria in nome del bene del popolo sardo. [segue]
Oggi 8 marzo 2021 lunedì
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Con volto di donna
8 Marzo 2021
Il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo. Su Democraziaoggi. [segue]
Oggi 8 marzo (e sempre)
Oggi 8 marzo (e sempre)
Ricordiamo AMBROGIA SODDU
Sessantenne di Bono, disabile, seviziata violentata e assassinata dai sicari dei tiranni sabaudi.
Ecco il fatto.
Fallito lo sfortunato ed eroico tentativo di Giovanni Maria Angioy di liberare la Sardegna dal giogo feudale, nel maggio del 1796 il Viceré creò una commissione militare guidata da Efìsio Pintor Sirigu, detto “Pintoreddu” che partì da Cagliari per assoggettare con la forza i villaggi in rivolta contro il feudalesimo. Tra i villaggi in rivolta vi era anche Bono: paese natale dell’Angioy. [segue]
Otto marzo
di Fiorella Farinelli su Rocca.
Sherecession significa recessione che riguarda «lei», un nome coniato negli Usa per dire che è sulle donne che si abbattono i peggiori effetti economici della pandemia. Sta succedendo anche da noi. I dati Istat sull’andamento dell’occupazione nello scorso dicembre, un mese di solito particolarmente frizzante per straordinari e lavori aggiuntivi o stagionali, dicono che questa volta si sono invece persi 101mila posti, ben 99mila occupati da donne. Non c’è, purtroppo, da sorprendersi. In tutto il 2020 su 4 posti di lavoro perduti quelli «in rosa» sono stati 3. Non è stato sempre così nelle recessioni. In quelle provocate dalle guerre mondiali, per esempio, fu soprattutto con il lavoro femminile che vennero coperti i posti di lavoro lasciati vuoti dai maschi al fronte, dalle morti e dalle invalidità dei militari. Perfino nell’industria pesante e nei trasporti pubblici, ambiti e professioni tradizionalmente riservati all’altra metà del cielo (ma che emozione, per l’emancipazionismo femminile di quei tempi, quelle foto in bianco e nero di signore alla guida dei tram, fiere delle nuove responsabilità e di un’allora insperata autonomia). Anche in tempi più recenti, come nella grande crisi del 2008, a liquefarsi furono soprattutto molti lavori prevalentemente maschili nelle costruzioni e nell’industria che gli gira intorno, mentre fu il comparto dei servizi a riprendersi per primo e a sviluppare nuove attività, con molti nuovi posti di lavoro sopratutto femminili (oggi in tutto il mondo, segnala l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, il 42% del lavoro nel settore dei servizi pubblici e privati lo fanno le donne). Ma con la pandemia la storia è tutta diversa. È senza dubbio il lavoro femminile ad essere il più colpito, in Italia più acutamente che altrove. Negli Stati Uniti e in Germania le statistiche dicono infatti che gran parte delle donne che hanno perso l’occupazione non vanno ad ingrossare le file delle «inattive», ma ne cercano subito un’altra, anche utilizzando le opportunità formative e i supporti pubblici che agevolano le transizioni. Da noi invece sono tante quelle che, perso il lavoro, stanno sparendo dal mercato del lavoro. Un fenomeno, fin troppo noto alle donne italiane, che i sociologi chiamano «scoraggiamento». Quando la situazione è così difficile, come in tante aree del Mezzogiorno, che non vale neppure la pena di provarci. Sappiamo cosa c’è dietro. Un mercato del lavoro più «rigido» che altrove, l’assenza di politiche attive, i Centri per l’Impiego che non funzionano, la minore diffusione tra le donne delle competenze professionali, tecniche, digitali che servirebbero. E soprattutto i problemi, particolarmente acuti nel nostro paese, di scarsa conciliabilità del lavoro con gli obblighi di cura. I figli, i nipoti, gli anziani, i malati, i disabili di famiglia, e poi un’organizzazione domestica in gran parte sulle loro spalle, con una media di 21 ore settimanali di lavoro, anche per le donne impiegate a pieno tempo, contro le 6-7 dei maschi. L’insufficienza, la scarsa qualità, i costi dei servizi sociali e sociosanitari, assai diffusi in Italia, colpiscono le donne due volte. Perché offrono molti meno posti di lavoro del necessario, e proprio in un comparto più coerente con le propensioni e le professionalità femminili. E perché sono proprio quei limiti a stressare la vita delle donne.
il Gender Gap
La situazione del lavoro femminile in Italia era difficile già prima della pandemia.
Nel 2019, nonostante i progressi del decennio precedente trainati da una partecipazione delle ragazze all’istruzione e da indici di successo scolastico e universitario sempre più alti, a partire dagli anni Ottanta, il tasso di occupazione femminile era ancora pari solo al 50,1% (che vuole dire metà delle donne tra i 16 e i 65 anni fuori dal lavoro, almeno quello stabile e regolare, mentre in altri paesi europei l’area delle escluse è sotto il 40%). Di quasi 18 punti più basso di quella maschile, e con differenze enormi tra Nord (60,4%) e Sud (33,2%). Con un indice di disoccupazione esplicita (11,1%) tra i più alti dei paesi avanzati. In mezzo, le vaste praterie dello «scoraggiamento» che congela la ricerca del lavoro, delle occupazioni in nero, intermittenti, precarie, malpagate. Per Gender Gap, cioè per divario tra lavoro maschile e femminile, l’Italia è inchiodata nell’Europa-20 in un non onorevole 17° posto, troppo in basso per un paese ricco, evoluto, democratico. I redditi da lavoro delle donne sono mediamente inferiori del 25% a quelli maschili, il part time riguarda per il 73,2% il lavoro femminile (ed è involontario nel 64% dei casi), ci sono settori in cui le donne ancora oggi entrano a fatica e solo con titoli di studio e competenze professionali di livello alto. Ci sono ancora discriminazioni nelle assunzioni, nei licenziamenti, nelle carriere (è di qualche anno fa la legge che vieta di assumere le donne con la riserva di sciogliere il rapporto di lavoro se interviene una gravidanza: ma ai tribunali di casi così ne arrivano ancora tanti), e nei trattamenti salariali inferiori a parità di prestazione. Ma c’è, bisogna ammetterlo, anche un troppo frequente ritrarsi delle donne dal lavoro perché ritenuto o perché effettivamente inconciliabile con la maternità, spesso perché il reddito lavorativo è troppo basso rispetto alle spese che si dovrebbero sostenere per farsi sostituire nel lavoro di cura o per pagare i servizi educativi per l’infanzia. Secondo l’Ispettorato del Lavoro, nel 2019 a dimettersi dal lavoro dopo il parto sono state 37.611 donne. Ma è il confronto con le medie europee a rivelare, oltre ai condizionamenti oggettivi della maternità sul lavoro femminile, la presenza di ostacoli di altra natura, anche culturali. Se le donne italiane tra i 20 e i 49 anni senza figli lavorano nel 62,4% dei casi (contro un valore europeo del 77,2%) e se quelle con un figlio lo fanno nel 57,8% dei casi (contro l’80,2% nel Regno Unito, il 78,3% in Germania, il 74,6% in Francia), nei maggiori paesi europei le donne con due figli lavorano di più delle italiane senza figli. Sul mercato del lavoro femminile pesano dunque anche antichi stereotipi, pregiudizi di genere, ritardi culturali di cui le donne sono vittime, anche quando li interiorizzano. Con conseguenze negative di vario tipo, tra cui la povertà dei nuclei familiari numerosi in cui a lavorare è un solo adulto e la scarsa autonomia delle donne in famiglia. Non c’è dubbio, inoltre, che è in questo intreccio di condizionamenti oggettivi e soggettivi che si è generata anche una crescente rinuncia alla maternità. Tra i suoi guai e le sue anomalie, l’Italia vede anche un collasso della natalità più grave che in altri paesi. Che fa saltare molti equilibri nel welfare e che impoverisce la società delle risorse umane più giovani. Con l’aggravante, negli ultimi anni, delle pesanti limitazioni a ulteriori flussi migratori e dal progressivo allinearsi dei comportamenti riproduttivi delle famiglie straniere a quelli delle coppie autoctone, che non «compensano» più con i bambini con back ground migratorio le culle vuote degli italiani.
una grandinata senza fine
Su tutto ciò la pandemia si sta rovesciando come una grandinata di cui non si vede la fine. Sono le regole del «distanziamento» a tagliare le gambe proprio ai settori dove l’occupazione femminile è più alta.
Sono in crisi il turismo e l’alberghiero, il tessile e l’abbigliamento, l’estetica e il lusso, i servizi commerciali «non essenziali», i ristoranti, i bar, le mense aziendali e quelle scolastiche e universitarie, trascinando con sé – grazie anche allo sviluppo emergenziale (ma quanto definitivo?) del cosiddetto smartworking – un insieme di altri servizi, dalla pulizia degli uffici alle lavanderie per gli hotel. Appesantisce il quadro il fatto che proprio in gran parte di questi settori sia più diffuso il lavoro stagionale, intermittente, a tempo determinato, spesso del tutto o parzialmente in nero, come quello, anch’esso prevalentemente femminile, del lavoro nelle famiglie, dalle colf alle badanti. Lavori meno protetti, dunque, più esposti ai licenziamenti, non tutelati dalla cassa integrazione o da altri ammortizzatori sociali. Come del resto parte consistente del lavoro autonomo,
anche nei comparti degli spettacoli e della cultura, dai cinema ai teatri. Tutto perduto, non si sa per quanto, e neppure se ci sarà un recupero pieno quando ci saremo finalmente liberati dalla pandemia. Non
tutto, è molto probabile, potrà tornare come prima, nei consumi, nei viaggi, nel turismo, nel modo di lavorare. Si sono aggiunti, inoltre, ulteriori ostacoli al lavoro femminile – alla ricerca attiva dell’occupazione, alla formazione per un nuovo lavoro – determinati dai lunghi mesi e settimane in cui le scuole sono chiuse, dai bambini e ragazzi confinati in casa alle prese con le piattaforme per la didattica da remoto, dall’impossibilità di ricorrere al prezioso supporto dei nonni. Un incubo la vita quotidiana nelle case più piccole, a contendersi gli spazi per lo studio, il lavoro, lo smartworking, tanto più se ci sono malati o persone con bisogni speciali rimasti senza aiuto. Altro che «scoraggiamento», è una valanga di ulteriori stress che è piombata su tante donne. Anche per le imprenditrici, segnala una recente inchiesta di Unioncamere, il clima si è fatto pessimo perché sono le donne, si sa, ad essere considerate meno affidabili dalle banche che dovrebbero concedere il credito necessario a resistere. Con in più le difficoltà, in molti casi, di minori competenze nel campo delle attività, di sicuro sviluppo, fortemente connotate dal digitale e da altre innovazioni tecnologiche. Ci saranno, per le donne e anche per tanti uomini che dovranno nei prossimi mesi passare ad altri lavori, efficaci programmi di aiuto anche formativo?
contrastare gli stereotipi di genere
La via d’uscita non sono, né saranno, solo gli incentivi alle assunzioni femminili, e neppure solo i bonus o i voucher che vanno e vengono, sempre diversi, da un governo all’altro. Occorrono sostegni economici e fiscali stabili per le famiglie con figli, servizi educativi e scuole a tempo pieno su cui
poter contare, congedi parentali generosi, flessibilità di tempi ed orari di lavoro, nuovi servizi sociosanitari per anziani, malati, disabili. E poi anche strategie educative di contrasto degli stereotipi di genere che condizionano le scelte formative, per incoraggiare e orientare le ragazze a studi con cui acquisire le competenze culturali e professionali che consentano di accedere a ogni comparto del lavoro. Dalle «rivoluzioni» digitale e ambientale, così come dall’indispensabile sviluppo dei sistemi sanitari e di un nuovo welfare, nasceranno nuovi fabbisogni professionali, nuovi profili di competenze, e nuovi lavori. In cui l’intelligenza e le sensibilità femminili saranno preziose, se sorrette da appropriati strumenti conoscitivi. Non si dovrebbe, ancora una volta, perdere il treno. Quanto ai maschi, e al diffuso maschilismo che limita e ostacola le libertà femminili in casa e nel lavoro, anche qui ci vorrebbero apposite strategie «educative». Ma è forse il campo più difficile e problematico, anche in una scuola popolata soprattutto da insegnanti donne, anche dentro le famiglie. Non è affatto un dettaglio per il futuro di un paese come il nostro.
Fiorella Farinelli
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ROCCA 1 MARZO 2021
DONNE E LAVORO
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A che punto è l’autonomia delle donne (8 marzo 2021)
Su Sviluppo felice.
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Il nostro impegno contro le disuguaglianze di genere
Pubblicato il 8 Marzo, 2021 in Contributi
Forum Disuguaglianze e Diversità
La pandemia ha coinvolto tutti evidenziando le fragilità ed esasperando le disuguaglianze. In questo scenario le donne sono state le più colpite, perché più precarie e vulnerabili dal punto di vista lavorativo e ancora maggiormente schiacciate sui compiti di cura. Vulnerabilità aggravate dalla violenza maschile pervasiva e trasversale. Una situazione grave per cui servono interventi multidimensionali a partire da quelli che potranno essere inseriti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
[segue]
8 marzo
Essenziale è il nostro sciopero, essenziale è la nostra lotta
Documento pubblicato da Non una di meno che spiega le ragioni dello sciopero globale femminista e transfemminista dell’otto marzo 2021: Essenziale è il nostro sciopero, essenziale è la nostra lotta.
- Su il manifesto sardo.
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NGE Recovery Plan
L’opportunità del Recovery Plan: dalla programmazione alla gestione di Graziella Pisu su Aladinpensiero online.
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- Il sito youtube de il manifesto sardo su cui è possibile rivedere il webinar del 5 marzo 2021.
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Oggi domenica 7 marzo 2021
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Carbonia. Anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione “l’attività estrattiva è considerata una delle più pericolose e malsane”
7 Marzo 2021
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Anche oggi, come ogni domenica, appuntamento con la storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.
Alta nocività e continuo rischio, sempre pericoloso resta il lavoro del minatore, e sempre “in continuo aumento i casi di silicosi polmonare, fino alle spaventose cifre registrate tra gli anni Quaranta e Cinquanta”, in Sardegna, come dice il professor Duilio Casula nel già citato saggio, ‘Le malattie dei minatori’, in riferimento agli anni del fascismo […]
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Il Tribunale sospende l’espulsione di un consigliere regionale M5S. Quid juris?
7 Marzo 2021
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
La decisione cautelare del Tribunale di Cagliari sulla espulsione dal M5S della Cuccu, presenta, al di la del merito della vicenda, alcuni profili giuridici di indubbio rilievo.
Leggo dai giornali, non ho le carte di causa e quindi le mie considerazioni possono soffrire di questo deficit conoscitivo. Per di più i giornalisti giudiziari talora hanno […]
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Che succede in Italia?
COMMENTI
La vergogna di Zingaretti, le macerie di Draghi
Vorelalaluna, 06-03-2021 – di: Marco Revelli
Soluzione/Dissoluzione
Quella che appariva (a troppi) come la soluzione della crisi italiana – la nascita del Governo Draghi – si rivela in realtà una potente accelerazione del processo di dis/soluzione del nostro sistema politico in atto da tempo. Le dimissioni di Nicola Zingaretti sono l’ultimo passaggio – drammatico – della reazione a catena innescata da Matteo Renzi quando ha dinamitato il governo Conte II. E insieme il segno dello sfacelo di un assetto istituzionale che nasconde le proprie macerie dietro il sorriso enigmatico – e vagamente minaccioso – di Mario Draghi. Quel passaggio di consegne tra l’Avvocato (del popolo) e il Banchiere (dei potenti) non ha segnato solo un chiarissimo spostamento a destra dell’asse politico (come abbiamo più volte denunciato). Ha rilasciato anche uno sciame sismico che mina alla base il già precarissimo equilibrio del sistema politico, incrementando la tendenziale liquefazione di tutte lo forze che lo compongono. E può aprire la via ad avventure imprevedibili oggi (si pensi a quel quasi 50% di elettori che nei sondaggi figurano come “incerti”, cioè privi di rappresentanza politica).
Il capitalismo irresponsabile e le sue macerie
E’ stata, quella crisi di governo assurda e insieme logicissima, la vittoria del blocco di potere che costituisce il baricentro di un capitalismo fattosi in quasi un trentennio di declino arrogante e straccione. Un ceto parassitario e speculativo, aggregato com’è intorno a quella che Luciano Gallino, in un libro profetico, aveva chiamato l’”impresa irresponsabile”, immaginata per intenderci sul modello delle autostrade dei Benetton. Ci stanno dentro gli avvelenatori dell’Ilva, i criminali manutentori del ponte Morandi, i tradizionali vincitori degli appalti di tutte le “grandi opere” devastatrici del paesaggio, gli immobiliaristi romani e i robber baron del capitalismo delle reti oltre che, sotto, molto sotto, il reticolo pulviscolare dell’economia molecolare padana, galleggiante solo grazie ai bassi salari e all’assenza di resistenza sindacale. Sono loro i vincitori del 13 febbraio. Loro che avevano incominciato a picconare Giuseppe Conte prima ancora che entrasse a Palazzo Chigi, contestandone (ricordate?) il curriculum, preoccupati che il suo sguardo si posasse un pochino – poco poco, appunto – su quanto sta in basso. Loro che hanno sostenuto l’offensiva di Salvini per svuotare la pur debole spinta anti-establishment dei 5stelle nella compagine giallo verde (epico il ribaltamento sul TAV Torino-Lione). E poi a lavorare per scavare la terra sotto i piedi a quella giallo-rosa chiedendo, fin dall’inizio della pandemia, di mettere l’economia al di sopra della salute. Ancora loro, infine, a usare il capitano di ventura Matteo Renzi, sempre pronto a imprese in cui si tratti di tradimenti, nella mattanza finale, per mettere al sicuro (ovvero nelle loro tasche) il tesorone in arrivo dall’Europa… Facciamocene una ragione: l’Italia è questa cosa qui, nelle mani di questa gente qui.
La vergogna e la maledizione renziana
In questo senso il gesto di Zingaretti ha un carattere esemplare. Come ha scritto ieri Norma Rangeri costituisce “la più cruda, eloquente rappresentazione” di cos’è oggi il Pd. Ma anche di cos’è diventato il Paese. E’ un atto di onestà. O, meglio, di verità. Dà la dignità delle parole a ciò che ognuno di noi vede e ha visto ogni giorno. Pesa come un macigno il termine VERGOGNA, ed è difficile trovare espressione più calzante per i comportamenti di quel gruppo dirigente. Ma non solo di quello. Così come pesa quell’espressione shakespeariana – “Qui funziona solo il fratricidio” -, che la dice lunga su quanto l’eredità del bullo di Rignano continui a operare all’interno di quel corpo collettivo malato. Esattamente due anni fa, il 17 marzo del 2019, il Presidente della regione Lazio aveva preso in mano un “partito morto” (così l’ha definito una sua fedele, Cecilia D’Elia). Svuotato da più di quattro anni di segreteria renziana (che l’aveva preso al 25,4% e lasciato al 18,7%, suo minimo storico). E in effetti come sarebbe stato possibile sopravvivere con un corpo e con un’anima per un partito che per quasi 1550 giorni si era dato anima e corpo a un simile avventuriero della politica? Tanto più che quel partito senz’anima, o con un’anima fragilissima, era nato, quando con sciagurato azzardo, nel 2008, Walter Veltroni aveva avviato la fusione fredda con la Margherita immaginando di farne il perno di un bipartitismo italiano spirato in culla. A quel compito da rianimatore di terapia intensiva l’ultimo suo segretario si era applicato con buona volontà, anche se senza brillantissime idee. Fino a dover scoprire, alla fine, l’inutilità di quell’accanimento terapeutico di fronte alla coriacea incapacità del partito (ridotto ad arcipelago di gruppi d’interesse ognuno concentrato sui rispettivi equilibri interni) di rapportarsi alla sofferenza diffusa, lacerante, di buona parte della popolazione o anche solo di includerla nel proprio orizzonte di pensiero.
Macerie sociali
Per una sorta di astuzia della ragione, che dissemina indizi anche se quasi mai vengono colti da chi dovrebbe, nello stesso giorno degli agguati a Zingaretti e della sua decisione finale l’Istat ha rilasciato gli ultimi dati, terribili, sulla povertà assoluta. Versano in questa condizione, cioè non possono fruire del minimo indispensabile per “una vita dignitosa” (questa è la definizione ufficiale,, più di 5 milioni e mezzo di persone, quasi un cittadino su dieci. Un milione in più rispetto all’anno scorso, per la metà “operai o assimilati”, cioè titolari di un posto di lavoro che però non gli permette comunque di vivere. E non sono stati ancora sbloccati i licenziamenti. Chi rappresenterà questo bacino di sofferenza sociale nel tempo durissimo che ci aspetta? Chi li sottrarrà al fascino del demagogo di turno che li ammalia e tradisce? O alla dura legge della protezione in cambio di fedeltà, che è la tomba di ogni democrazia.
L’articolo in versione leggermente più breve è comparso sul Manifesto del 6 marzo 2021 col titolo Le macerie nel passaggio di consegne tra l’Avvocato e il Banchiere.
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Marco Revelli
E’ titolare delle cattedre di Scienza della politica, presso il Dipartimento di studi giuridici, politici, economici e sociali dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, si è occupato tra l’altro dell’analisi dei processi produttivi (fordismo, post-fordismo, globalizzazione), della “cultura di destra” e, più in genere, delle forme politiche del Novecento e dell’”Oltre-novecento”. La sua opera più recente: “Populismo 2.0″. È coautore con Scipione Guarracino e Peppino Ortoleva di uno dei più diffusi manuali scolastici di storia moderna e contemporanea (Bruno Mondadori, 1ª ed. 1993).
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“Poltrone e potere, vergogna del Pd”: parole del segretario del partito
5 Marzo 2021
di Ottavio Olita su il manifesto sardo.
“Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io”: per molte settimane, se non per mesi, ma soprattutto dopo aver concorso a varare il governo Draghi, Nicola Zingaretti deve averlo pensato.