Monthly Archives: dicembre 2020

Oggi martedì 8 dicembre 2020

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————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti—————————————
castellina-lidia-menapace-il-3-aprile-2020Lidia Menapace ci ha lasciato
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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La nostra comune storia di complementari eresie
8 Dicembre 2020 su il manifesto e su il manifesto sardo
[Luciana Castellina]
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Bitti, l’immagine in miniatura del Paese?
8 Dicembre 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Forse è un eccesso o una forzatura, ma a me Bitti sembra l’immagine della crisi italiana. Le strade inondate, colme di tronchi, di ogni rifiuto e di fango, centinaia di volontari generosi, camion di generi di prima necessità, richiesta di risarcimenti, politicanti ammicanti, stanziamenti immediati di fondi.
Bene, vien da dire, la Sardegna migliore mostra […]
-Sant’Elia, Cagliari: ieri (21 nov. 2020 ), oggi (4 dic. 2020) e domani?-
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lampadadialadmicromicro13Ricordiamo al Sindaco (ai Sindaci) la “teoria delle finestre rotte“.
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
Finestre rotte nel complesso residenziale di Pruitt-Igoe
La teoria delle finestre rotte è una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali. La teoria afferma che mantenere e controllare ambienti urbani reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici, la deturpazione dei luoghi, il bere in pubblico, la sosta selvaggia o l’evasione nel pagamento di parcheggi, mezzi pubblici o pedaggi, contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi.
Ad esempio l’esistenza di una finestra rotta (da cui il nome della teoria) potrebbe generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un idrante, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale. La teoria fu introdotta nel 1982 in un articolo di scienze sociali di James Q. Wilson e George L. Kelling.

I Vescovi sardi apprezzano l’appello

lampada aladin micromicroI Vescovi sardi riuniti nei giorni 2 e 3 dicembre hanno apprezzato l’appello di un gruppo di cattolici sardi, ampiamente pubblicizzato dalla nostra News. Al riguardo, all’interno di un comunicato sugli esiti dell’incontro ne hanno trattato come risulta di seguito. Il comunicato viene anche pubblicato integrale. “(…) I Vescovi hanno anche preso atto di un recente messaggio di un gruppo di cattolici sardi, apprezzandone l’appello rivolto alle istituzioni in seguito alla crisi sanitaria e sociale che stiamo vivendo. Non mancheranno certamente, da parte delle Chiese diocesane, le occasioni di riflessione, proposta e dialogo per l’edificazione solidale della comunità civile, sulla base del chiaro magistero di Papa Francesco”.
ces1-150x150 VESCOVI SARDI IN ASCOLTO DEL SETTORE PRODUTTIVO

Nel tempo del Covid-19 e oltre

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La crescente capacità di cura delle famiglie italiane
di Remo Siza*

La diffusione del COVID-19 ha profondamente cambiato le condizioni di vita di molte famiglie italiane. Molte associazioni come la Caritas e la Rete Banco Alimentare, hanno osservato un incremento significativo delle richieste di beni essenziali. Questi nuovi gruppi che chiedono assistenza alimentare sono spesso definiti nel dibattito pubblico come i “nuovi poveri”, per riferirsi a persone che potevano contare nei mesi scorsi su un reddito adeguato e che a causa della crisi sono diventate povere.
Probabilmente, però, il termine povertà non ci aiuta a definire queste condizioni sociali e ad individuare gli strumenti di politica sociale più appropriati, a definire politiche sociali di sostegno alle famiglie più articolate e non soltanto risposte minimali di supporto economico. La crescente richiesta di beni essenziali da parte di nuovi gruppi sociali che molte associazioni stanno affrontando è significativamente diversa da quella del passato: è meno persistente e cresce in un contesto sociale caratterizzato dall’aumento dell’insicurezza sociale ed economica, ma anche da nuove risorse di sostegno e cura.
La crisi economica e finanziaria determinata dalla pandemia di COVID-19 ha aggravato le irrisolte disuguaglianze e divisioni sociali della società italiana. Robert Castel in suo saggio molto noto ha osservato la presenza di tre “zone di coesione sociale” nelle attuali società occidentali:
- una “zona di integrazione” caratterizzata da contratti di lavoro a tempo pieno, possibilità di partecipazione alla vita sociale e benefici di welfare adeguati;
- una “zona di vulnerabilità”, la zona cioè della precarietà, del lavoro temporaneo, dei lavori mal retribuiti, di insufficienti risorse di welfare e di fragilità delle relazioni primarie;
- e, infine, la “zona della disaffiliazione” o dell’esclusione (esclusi dal mercato del lavoro e perdita di buona parte delle tutele sociali).
In Italia, la crisi ha ridotto la zona della integrazione riducendo significativamente la consistenza dei gruppi sociali con posti di lavoro altamente protetti da norme e contratti collettivi e livelli adeguati di protezione sociale. Ma soprattutto, ha ampliato a dismisura la zona della vulnerabilità e sta portando solo alcuni segmenti di questa zona verso la terza “zona dell’esclusione” e della povertà.
Certamente crescono i nuovi poveri, ma molte famiglie italiane non sono cadute in povertà in quanto la struttura della società italiana e le sue capacità di integrazione non si sono dissolte. In questi mesi non stiamo assistendo ad un “collasso” dei tre pilastri dell’integrazione sociale, delle sfere di vita cioè da cui dipende la nostra integrazione: il lavoro, la famiglia e il welfare.
Anzi, per tanti motivi, la pandemia ha invertito buona parte delle tendenze alla progressiva erosione di due sfere di vita (il welfare e la famiglia). In primo luogo, ha invertito tendenze che sembravano irreversibili verso una progressiva riduzione delle prestazioni di welfare e di contenimento dei costi. In questi mesi, le risorse del welfare sono cresciute notevolmente nel settore sanitario, nell’istruzione con effetti che saranno visibili nel medio e lungo periodo; le politiche sociali hanno ora una maggiore capacità protettiva e inclusiva, seppure privilegino quasi esclusivamente interventi passivi di supporto al reddito.
In secondo luogo, si sono sensibilmente attenuati processi che negli anni scorsi hanno minato i rapporti reciproci di sostegno e cura e la capacità delle famiglie di far fronte a rischi sociali vecchi e nuovi. La famiglia in questi mesi ha manifestato una elevata e crescente capacità di affrontare la crisi, di creare rapporti di cura e di supporto tra i suoi membri e nell’ambito del vicinato, nuove forme di socialità e di aiuto reciproco, nella costruzione di nuove forme associative.
In terzo luogo, la pandemia ha, invece, peggiorato ulteriormente le criticità storiche del mercato del lavoro italiano: crescono i lavori scarsamente retribuiti, il lavoro sommerso, i contratti a breve termine, si riducono ulteriormente i posti di lavoro.
Gli impatti della pandemia su queste tre sfere della vita stanno creando sicuramente una crescita della povertà, ma soprattutto la crescita di nuove condizioni economicamente e socialmente più vulnerabili: forme di precarietà lavorativa assistita attraverso prestazioni di welfare più generose, forme di deprivazione economica vissute, però, meno individualmente come condizione collettiva e con il supporto di relazioni familiari che la crisi ha rafforzato. Condizioni di vita che in molti casi sacrificano la dignità delle persone e delle famiglie, ma che spesso riescono a “trattenerle” evitando a molti di loro la caduta in forme severe e persistenti di povertà.
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- La foto in testa è tratta dalla pag. fb dell’Organizzazione no-profit Mutuo Soccorso Casteddu .
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È morta Lidia Menapace

luttolidia-menapace-7-12-20All’età di 96 anni è morta Lidia Menapace. Da alcuni giorni era ricoverata per Covid nel reparto di malattie infettive dell’ospedale di Bolzano. Lidia è deceduta alle ore 3.10, come fa sapere l’Ansa dall’Azienda sanitaria dell’Alto Adige. Menapace è stata nel 1964 la prima donna eletta in consiglio provinciale a Bolzano e la prima donna in giunta provinciale. Partigiana, dirigente nazionale dell’Anpi, impegnata nel movimento pacifista e femminista, dal 2006 al 2008 è stata senatrice di Rifondazione comunista. Condoglianze e vicinanza ai familiari e a tutti gli amici e compagni che l’hanno apprezzata e amata nella sua lunga militanza sempre dalla stessa parte, quella del popolo.
Ciao Lidia
“È un lutto per l’Anpi, è un lutto per il Paese. Ciao Lidia, partigiana della democrazia, della pace, dell’uguaglianza, dei diritti delle donne, cioè dell’umanità. Resterai nella coscienza e nell’impegno di tutte e tutti noi”, scrive su Facebook il presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo.
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Lidia Menapace, una Maestra
Giulio Marcon, su Sbilanciamoci!, 7 Dicembre 2020 | Sezione: Apertura, Campagna Sbilanciamoci!, Notizie, Società.
Un ricordo di Lidia Menapace, scomparsa a 96 anni. Ex staffetta partigiana, animatrice del movimento pacifista, senatrice, femminista, donna dalla straordinaria vivacità intellettuale: a chi si impegna per cambiare la realtà che ci sta intorno lascia tanti insegnamenti e idee, che dobbiamo portare avanti.
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costat-logo-stef-p-c_2-2Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria
Il cordoglio del CoStat. Commossi e con infinita tristezza esprimiamo condoglianze e vicinanza ai familiari e a tutti gli amici e compagni che come noi hanno apprezzato e amato Lidia nella sua lunga militanza sempre dalla parte del popolo.

Oggi lunedì 7 dicembre 2020

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ANPI. Oggi alle 17 webinar sui DPCM
7 Dicembre 2020 su Democraziaoggi.
Oggi dalle 17 alle 18,30 si tiene il secondo webinar dell’ANPI su “Costituzione ed emergenza”. Carlo Dore jr., docente nella Facoltà di Giurisprudenza, tratterà il tema molto dibattuto della legittimità costituzionale dei DPCM anticovid, in una relazione di cui anticipiamo qualche stralcio.
L’iniziativa assunta in collaborazione col CoStat e la Scuola di cultura politica “F. Cocco” […]
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Oggi domenica 6 dicembre 2020

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Carbonia, il 2 Giugno 1946 si festeggia la Repubblica
6 Dicembre 2020
Gianna Lai su Democraziaoggi
Altra domenica, altro post sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.
Anche a Carbonia il 1946 si apre all’insegna del suffragio universale, si vota per le amministrative di aprile e per l’Assemblea Costituente e il Referendum istituzionale del 2 Giugno. Le donne finalmente al voto, i partiti impegnati in un’azione di propaganda a livello […]
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anpi-logoL’ANPI CHIAMA ALL’UNITÀ PER L’ITALIA. RISPONDONO PARTITI, SINDACATI E ASSOCIAZIONI DEMOCRATICHE
5 Dicembre 2020 su sito web dell’ANPI nazionale. [segue]

America, America

1280px-liberty-statue-from-belowBIDEN PRENDE IN MANO LE REDINI
di Marino de Medici
Mai prima d’ora un presidente eletto si era impadronito della scena nazionale scalzando un presidente “anatra zoppa”, come è avvenuto nel contesto della campagna volta a contenere una vera strage di americani dovuta al Covid-19.
Il presidente eletto Joseph Biden ha rapidamente installato un gruppo di esperti virologi ed epidemiologi per attuare una strategia di sanità pubblica che il presidente Trump non ha mai voluto o saputo concepire. Tra l’altro, Biden ha chiesto al dottor Anthony Fauci di partecipare alla campagna anti-virus in qualità di “capo consigliere medico”. Mentre Biden prendeva in mano le redini di quella strategia, in una giornata in cui 2.800 americani soccombevano al morbo, il presidente era impegnato in tese discussioni alla Casa Bianca sulla concessione di un gran numero di “pardons” volti a mettere al sicuro da accuse federali, ma non civili, le figlie, il genero ed una consorteria di fedelissimi consiglieri, primo fra tutti Rudy Giuliani, e sicofanti di varia estrazione.
[segue]

Che succede? Che fare? Oggi, domani… Contributi al dibattito.

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Le proposte dei giovani della Rete della Conoscenza
Arianna Petrosino
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Sbilanciamoci! 2 Dicembre 2020 | Sezione: Politica, primo piano

Non sarà un vaccino a liberarci dai lasciti dell’emergenza Covid. E non sarà la vecchia ricetta fallimentare degli sgravi contributivi a rilanciare economia e lavoro. Alcune proposte della Rete della Conoscenza: reddito di formazione, scuola e università gratuite, tasse su grandi patrimoni e multinazionali del web.

Dallo scorso marzo il mondo è sospeso in una bolla di incertezza e attesa: si aspetta il vaccino, si aspettano le prossime restrizioni, si aspettano i sussidi, ci si chiede se saranno sufficienti, si prova a capire per quanto ancora si dovrà andare avanti così. La seconda ondata è riuscita a coglierci nuovamente impreparati.

E i dati ce lo dicono già con chiarezza: saranno i giovani a pagare più di tutti le conseguenze di questa crisi. Chi è nato negli anni Novanta avrà visto prima dei suoi trent’anni già due “crisi del secolo”: dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime del 2007-2008 e la stagione di austerity che ne seguì, ci troviamo oggi sull’orlo di una crisi nuova, potenzialmente più disastrosa, di cui stiamo già iniziando a saggiare le conseguenze. Nel corso dei due mesi di lockdown primaverile tra i giovani under 34 si è registrata una perdita complessiva di 303 mila posti di lavoro (dati INAPP) con un trend in calo anche nei mesi successivi. A settembre 2020 gli occupati tra i 15 e i 24 anni calano del 7,6% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; gli occupati tra i 25 e i 34 anni calano del 6,1%, mentre nella stessa fascia d’età i disoccupati aumentano del 5,4% e gli inattivi del 7,1% (sempre rispetto al 2019).

Intanto le classi di età più avanzate registrano un trend in crescita (soprattutto dovuto alla componente demografica), mentre quelle centrali (35-49), anch’esse colpite dai mesi di lockdown, hanno recuperato complessivamente 100 mila posti di lavoro (ISTAT). Queste asimmetrie non sono casuali, ma frutto di anni di deregolamentazione del mercato del lavoro e di progressiva precarizzazione delle forme contrattuali, con politiche che hanno colpito soprattutto i più giovani.

Uno degli slogan più in voga durante il lockdown era quello apparso sui palazzi di Santiago de Chile lo scorso anno: “Non torneremo alla normalità perché la normalità era il problema”. Una normalità, quella prima del Covid, fatta soprattutto per i giovani di contratti a chiamata, part time involontario, lavoro stagionale, lavoro nero, emigrazione, povertà. Davanti a questa situazione le risposte emergenziali non bastano: è necessario prendere scelte coraggiose, che rappresentino una vera e propria inversione di rotta rispetto al passato. Non è sufficiente aggrapparsi ai finanziamenti del Recovery Fund – sui quali pure è necessario dare battaglia, perché non finiscano in larga parte nelle tasche delle imprese -, serve invece ragionare su quali misure strutturali si possano mettere in campo per redistribuire la ricchezza e combattere le diseguaglianze sociali.

Reddito incondizionato per decidere sulle proprie vite

Uno dei meriti delle misure messe in campo dallo Stato nel corso del lockdown primaverile è stato quello di evidenziare alcuni dei limiti degli strumenti ordinari: è il caso ad esempio del reddito di emergenza, varato sì per rispondere ad una situazione non prevedibile che ha lasciato decine di migliaia di lavoratori senza entrate, ma che ha anche fatto emergere come il reddito di cittadinanza non rappresenti uno strumento sufficiente né per il contrasto alla povertà né, tantomeno, in ottica emancipatoria. Non si tratta solo di un ampliamento ai singoli, ma soprattutto a tutta una serie di categorie che hanno avuto la possibilità per la prima volta di accedere ad uno strumento di sostegno al reddito, per quanto anche a prescindere dal Covid non vivessero una situazione economicamente positiva. Se il reddito di cittadinanza è stato introdotto sotto la retorica dell’abolizione della povertà, un anno dopo possiamo dire con sufficiente certezza che quest’obiettivo non è stato raggiunto, e non solo per colpa del Covid. E una delle ragioni sta proprio nella distanza del Reddito di cittadinanza made in Italy da quello che viene tradizionalmente definito reddito di cittadinanza: la misura italiana è infatti priva di due delle sue caratteristiche fondamentali, l’incondizionalità e l’universalità. Il Reddito di cittadinanza, come traspare tra l’altro dalle dichiarazioni alla stampa di diversi esponenti della maggioranza di governo, viene interpretato più che altro come uno strumento di inserimento nel mercato del lavoro. Al netto degli enormi limiti dimostrati in questo senso, è necessario fare un passo indietro. È giusto che questa sia la funzione del Reddito? Insomma, è davvero questo il Reddito di cui abbiamo bisogno? Se riconosciamo come un problema il fatto che la mobilità sociale nel nostro Paese sia del tutto bloccata, se vogliamo liberarci realmente dal ricatto della precarietà, è chiaro che una misura di questo tipo non possa essere sufficiente e che serve immaginare invece tutta un’altra forma di Reddito, a partire da due elementi irrinunciabili: l’incondizionalità e l’elargizione su base individuale. Nel momento in cui la precarietà e l’instabilità la fanno da padrone, introdurre strumenti che si sleghino dalla concezione puramente familistica che caratterizza il nostro sistema welfaristico è sempre più urgente. Lo dimostrano i dati sull’età a cui si va a vivere da soli (31 anni in Italia, 26 di media europea), ma anche l’incidenza del dato sui nuovi poveri tra i giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, in fortissima crescita rispetto agli anni precedenti.

Reddito incondizionato e individuale, dunque, non solo per coloro i quali si trovano al di sotto della soglia di povertà, ma da ragionare per una platea ben più ampia, che possa declinarsi in diverse forme – come quella del Reddito di formazione per le studentesse e gli studenti – a partire dai bisogni delle nuove generazioni, ma che non veda discrimini anagrafici: un reddito che sia davvero uno strumento per decidere sulle proprie vite e liberarsi dai ricatti.

Diritti universali, per ridare dignità al lavoro contro la precarietà esistenziale

Non serviva una pandemia per rendere palese quanto oggi il mondo del lavoro sia teatro di ingiustizie profonde, non frutto del caso ma di precise scelte politiche susseguitesi negli ultimi decenni. La precarizzazione ha assunto confini ben più ampi di quelli della sola durata del contratto (quando un contratto c’è), riguardando la garanzia di diritti e tutele e la certezza che un lavoro potesse assicurare una vita degna. La flessibilità è diventata un elemento strutturale, utile a livellare i salari verso il basso, negare le tutele più basilari e massimizzare i profitti. Così come il lavoro sottopagato o gratuito, spesso sotto forma di tirocini non retribuiti, o l’apprendistato come strumento di risparmio per le aziende.

Se per gli under 35 la precarietà è diventata l’unica cifra del mondo del lavoro, non sono soltanto i giovani a vivere di incertezze, diritti negati, salari da fame, disoccupazione, sfruttamento. Ma per chi è entrato nel mondo del lavoro – o prova a farlo – negli ultimi dieci/quindici anni, tutto questo è la normalità, è l’unico lavoro che si sia mai visto.

Nel testo della legge di bilancio 2021 si legge l’ennesima riproposizione di una ricetta fallimentare, quella degli sgravi contributivi. Sgravi del 100% per un periodo massimo di 36 mesi (48 per le regioni del Sud), con una clausola anti licenziamento di 9 mesi, per chi assume under 35 con un contratto a tutele crescenti. Quella della decontribuzione è stata una strada scelta a più riprese dagli ultimi governi, ma i dati relativi all’andamento delle assunzioni evidenziano come non abbia sortito effetti positivi sull’occupazione stabile, soprattutto in assenza delle necessarie condizionalità. Per rilanciare l’occupazione giovanile si deve ridare dignità al lavoro, combattendo una guerra contro la precarietà che parta dal riconoscimento universale dei diritti fondamentali, ed è necessaria una politica industriale e dello sviluppo che sappia cogliere le priorità per il futuro, senza limitarsi alle contingenze. Il futuro dei giovani, delle donne, il rilancio del Sud non può essere affidato ai privati attraverso la politica degli incentivi: serve invece un ruolo forte dello Stato in economia, nella definizione dei settori strategici, nella gestione delle risorse, nella creazione di posti di lavoro, in termini ben maggiori di quelli previsti dalla legge di bilancio sulle assunzioni nella P.A.

Serve ripensare complessivamente il modello produttivo, rimettendo al centro le persone e il pianeta e non i profitti, creando occupazione di qualità a partire dalla riconversione ecologica e dalla redistribuzione dell’orario di lavoro.

E non si tratta di una battaglia che riguarda solo una generazione.

Istruzione gratuita per il futuro del Paese

L’Italia si trova al 36° posto tra i 37 paesi OCSE per percentuale di laureati tra i 25 e 34 anni, mentre dal lato della scuola la dispersione scolastica è pari al 15%, con dati inquietanti se si guardano le singole regioni (come la Sicilia dove si raggiunge il 24%). Una situazione nazionale così grave in merito ai livelli di istruzione del Paese vede tra le maggiori cause quella di ordine economico: molte famiglie e molti studenti e studentesse, semplicemente, non possono permetterselo. Il combinato dell’emergenza sanitaria e della crisi economica da essa scaturita rischia nel prossimo futuro di aggravare ulteriormente la situazione.

Scuole, Università e filiera formativa in generale – dall’asilo nido ai percorsi post laurea – come istituzioni pubbliche devono perseguire una serie di obiettivi fondamentali per la società moderna. Il primo è certamente quello di permettere ad ogni individuo di decidere sul proprio presente e per il proprio futuro, per essere strumento per costruire una società consapevole. Il secondo obiettivo, di pari importanza, deve essere quello di riduzione delle disuguaglianze: eliminare le differenze socioeconomiche delle famiglie di provenienza. Il terzo deve essere quello di incarnare il ruolo di motore di innovazione e sviluppo, tecnologico, sociale e democratico, per costruire un modello di sviluppo ecologicamente e socialmente sostenibile.

Per questi motivi la gratuità e l’accessibilità dell’istruzione devono essere delle priorità urgenti per il nostro Paese, per uscire prima e meglio dalla crisi innescata dalla pandemia, e sono obiettivi concreti e raggiungibili attraverso un diverso uso delle risorse pubbliche e con una riforma della tassazione in senso progressivo, che quindi redistribuisca la ricchezza e consenta forti investimenti da parte dello Stato in quelle che devono essere le politiche strategiche per il prossimo futuro.

Non ci sono soldi?

Per finanziare tutto questo servono soldi. E i soldi ci sono, o si possono recuperare. Non solo tagliando da una serie di settori – quello bellico, ad esempio – ma anche liberando la spesa sociale dai vincoli di bilancio (ad oggi solo sospesi) e dal diktat del debito, e generando maggiori entrate per le casse dello Stato.

Nel corso della pandemia i 40 miliardari italiani hanno visto il loro patrimonio crescere del 31%, attestandosi sui 165 miliardi di euro. Attaccare la rendita, i grandi patrimoni, i monopoli, le multinazionali, le aziende inquinanti e le corporations del web non è solo una tra le tante opzioni: è la strada da praticare. Se ne stanno rendendo conto i governi di altri Paesi, che per fronteggiare la crisi dovuta al Covid hanno varato delle misure che vanno in questa direzione, mentre in Italia sembra essere ancora un tabù. Un intervento coraggioso sulla fiscalità generale, che miri davvero a redistribuire le ricchezze per garantire diritti e benessere alla popolazione, è tuttavia sempre più urgente. E l’assenza di qualsiasi indirizzo in questa direzione nella legge di bilancio non è un dato positivo.

Non basterà un vaccino per evitare le conseguenze disastrose della crisi post pandemia. Reddito, lavoro, istruzione, redistribuzione delle ricchezze: tenere ben saldi questi pilastri è fondamentale se non vogliamo solo uscire da questa crisi, ma soprattutto uscirne migliori.

Appello. Un patto di tutti i sardi per la Sardegna.

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“Non ci si salva da soli”. Per battere il Covid in Sardegna è urgente la “buona politica; non quella asservita alle ambizioni individuali o alla prepotenza di fazioni o centri di interessi”.

Appello di cattolici sardi

Premessa.
Noi cittadini sardi, cattolici ispirati dai valori del Vangelo, fedeli agli insegnamenti del Concilio Vaticano II e della dottrina sociale della Chiesa, convintamente riproposti dalle ultime illuminanti encicliche di Papa Francesco, ci dichiariamo preoccupati e angosciati per il precipitare della situazione economica della Sardegna, con il portato di sofferenze materiali e psicologiche per un numero crescente di persone appartenenti a tutti gli strati della società sarda, specie dei meno abbienti. Chiediamo pertanto a tutti, a partire da quanti hanno responsabilità pubbliche, nelle Istituzioni e nelle altre organizzazioni della Società, e a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà, un impegno corale che, nel rispetto delle differenze delle diverse appartenenze politiche e culturali, ci renda solidali e attivi per uscire dalla situazione di crisi e difficoltà antiche e attuali della nostra regione.
[segue]

Appello. Un patto di tutti i sardi per la Sardegna. Come sta andando la campagna di pubblicizzazione e di adesioni.

schermata-2020-11-26-alle-13-33-31L’appello è stato diramato il 26 novembre 2020.
E’ stato ripreso dai seguenti media:

Che succede?

c3dem_banner_04IL GOVERNO NON VUOL SCEGLIERE. IL NODO POLONIA-UNGHERIA
4 Dicembre 2020 by Giampiero Forcesi | su C3dem

Oggi sabato 5 dicembre 2020

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Non è accettabile un regionalismo non solidale
5 Dicembre 2020
Red su Democraziaoggi.
Certo il Ddl sull’autonomia differenziata non ha rango formalmente costituzionale, tant’è che non segue la procedura di revisione della Carta, e tuttavia la materia è di quelle che incide sostanzialmente sulla forma dello Stato e, dunque, non può essere votato come collegato alle legge di bilancio. Serve un ampio e approfondito dibattito parlamentare […]
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Buone pratiche di Buon Natale

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Appello. Un patto di tutti i sardi per la Sardegna.

SARDEGNA: UN CASO SERIO DI DEFICIT POLITICO E I CATTOLICI RISOLLEVANO LA TESTA
di Antonio Secchi
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Dic 2, 2020 – su Politicainsieme.com
E’ da almeno vent’anni che non si vedeva in Sardegna un documento-appello di cattolici ( il documento segue questa presentazione, ndr ), preoccupati per l’aggravarsi della situazione economica, sociale e sanitaria dell’isola. Questo lasso di tempo corrisponde a quello della diaspora dei cattolici nel sistema nazionale, che ha trovato puntuale applicazione anche nella vita politica della Regione sarda.
[segue]

Newsletter

logo76Newsletter n. 209 del 04 dicembre 2020

Care Amiche ed Amici,
[segue]