Monthly Archives: dicembre 2020

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pintor il manifesto sardoIl numero 319
Il sommario
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Autonomia differenziata e altro

Governo, regioni e legge elettorale: che fare?
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Su Volerelaluna, 14-12-2020 –
di Francesco Pallante*

Tre nodi costituzionali vengono, in queste ore, al pettine, intrecciandosi pericolosamente l’uno all’altro.

Il primo nodo è rappresentato dalla verticalizzazione della forma di governo e, al suo interno, del potere esecutivo. Sempre più, nell’ultimo quarto di secolo, il Governo è andato identificandosi nella figura del Presidente del Consiglio, alimentando una distorsione del sistema parlamentare arrivata a tollerare il nome del candidato premier nei simboli elettorali. Come se fossimo in un regime presidenziale. Dal Silvio Berlusconi «unto del Signore» del 1994 al Giuseppe Conte «avvocato del popolo» del 2018 la parola d’ordine è sempre la stessa: «direttismo», il modo in cui Giovanni Sartori aveva (criticamente) definito l’attitudine dei leader a costruire una relazione personale e diretta con il corpo elettorale. Una delle più evidenti conseguenze della centralità assunta non solo dal Governo, ma soprattutto dalla sua figura di vertice è l’incremento delle funzioni, e conseguentemente degli apparati, di Palazzo Chigi (ed è curioso notare come la polemica sui costi della politica, tanto inesorabile quando si tratta dei bilanci parlamentari, mai abbia investito la Presidenza del Consiglio). Non è una questione di numeri, anche se i 750 consulenti del premier, censiti da alcune inchieste giornalistiche, impressionano. È una questione di competenze sottratte ai ministeri e attribuite alla Presidenza del Consiglio: dal commissariamento, di fatto, degli uffici legislativi ministeriali da parte del dipartimento affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi sino all’apice – inaudito nella sua sfrontatezza – della ventilata attribuzione a sei supermanager dipendenti dal Presidente Conte del cruciale compito di gestire il Recovery Fund.

Il secondo nodo consiste nella configurazione dei rapporti Stato-regioni secondo la logica della sussidiarietà: un principio in base al quale la legittimazione all’azione politica ascende dal basso verso l’alto, a sancire la primazia delle regioni sullo Stato. Da qui sembra scaturire il pregiudizio politico favorevole di cui gli enti territoriali godono nei confronti dell’amministrazione centrale: un pregiudizio tale per cui le regioni possono sempre rivendicare le proprie competenze come originarie, scaricando sullo Stato l’onere di fornire la prova della propria legittimazione ad agire. Non si spiega altrimenti come, nonostante i ripetuti fallimenti nel contenimento della pandemia, le regioni possano persistere nell’assunzione di atteggiamenti arroganti, contraddittori e irresponsabili senza patire conseguenze: nemmeno la revoca in dubbio dei progetti di autonomia differenziata (che, anzi, starebbero per ricevere un’accelerazione). È davvero impossibile immaginare un regionalismo in cui non vi sia spazio – valga un solo esempio – per un presidente di regione che apertamente incita a violare la normativa statale?

Il terzo nodo deriva dall’aver ridotto il numero dei parlamentari senza aver prima modificato la legge elettorale, ingenuamente confidando nella successiva spontanea convergenza delle forze politiche verso un sistema proporzionale. Com’era prevedibile, gli interessi politici immediati e contingenti hanno rapidamente preso il sopravvento sulle nobili intenzioni di lungo periodo, riducendo la discussione sulla più importante delle leggi – quella da cui dipende la formazione della rappresentanza parlamentare – a calcoli spicci di convenienza partitica. Risultato: il Rosatellum è rimasto saldo al suo posto e, in caso di elezioni anticipate, sarà la legge con cui andremo a votare. Tenuto conto che la destra unita sfiora oggi il 50 per cento dei consensi e che, al momento, un’alleanza tra Pd e M5S è quantomeno incerta, cosa questo potrebbe significare è presto detto: alla quasi totalità dei 147 collegi della Camera attribuiti con il maggioritario, la destra potrebbe sommare almeno la metà dei restanti 245 collegi assegnati con il proporzionale (8 sono riservati agli italiani all’estero). Il totale arriva sulla soglia dei due terzi con cui si può modificare la Costituzione senza che sia poi possibile richiedere il referendum oppositivo. Al Senato, con soglie di sbarramento implicite più elevate, per la destra l’esito sarebbe ancora più favorevole.

Aggrovigliati l’uno all’altro, i tre nodi rischiano di farsi matassa inestricabile, suscettibile di soffocare la Costituzione. Occorre al più presto avviare un duplice percorso volto a riequilibrare la forma di governo e le relazioni tra lo Stato e le regioni. Improbabile si possa modificare la Costituzione in un frangente delicato e complicato come quello che stiamo attraversando, ma almeno iniziare a riflettere su una serie di correttivi è urgente e necessario: ridurre lo strapotere del Governo in Parlamento (circoscrivere il ricorso alla fiducia e vietare l’emendabilità da parte del Governo dei suoi stessi decreti-legge), circoscrivere l’ambito delle competenze regionali, abrogare la disposizione che consente il regionalismo differenziato (art. 116, co. 3, Cost.), prevedere che la legge elettorale possa essere approvata e modificata solo a maggioranza assoluta (se non qualificata), rivedere al rialzo le maggioranze di garanzia (in particolare per l’elezione del Presidente della Repubblica e la revisione costituzionale). Nel frattempo, approvare una legge elettorale rigorosamente proporzionale, a collegio unico nazionale e senza soglie di sbarramento (vale a dire una legge che dia a ciascuno il suo, senza favorire o danneggiare nessuno), è un’urgenza non ulteriormente procrastinabile.
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Una versione ridotta dell’articolo è pubblicata su il manifesto

* Francesco Pallante è professore associato di Diritto costituzionale nell’Università di Torino. Tra i suoi temi di ricerca: il fondamento di validità delle costituzioni, il rapporto tra diritti sociali e vincoli finanziari, l’autonomia regionale. In vista del referendum costituzionale del 2016 ha collaborato con Gustavo Zagrebelsky alla scrittura di “Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme istituzionali” (Laterza 2016). Da ultimo, ha pubblicato “Per scelta o per destino. La costituzione tra individuo e comunità” (Giappichelli 2018) e “Contro la democrazia diretta” (Einaudi 2020). Collabora con «il manifesto».
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DOCUMENTAZIONE
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coordinamento
Lettera di Alfiero Grandi e Felice Besostri per il CDC alle autorità istituzionali
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Al Presidente del Consiglio dei Ministri
Al Ministro degli Interni
Al Ministro per i rapporti con il parlamento
Al Presidente e ai capigruppo della Camera dei Deputati
Alla Presidente e ai capigruppo del Senato della Repubblica

Premesso che Il direttivo del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale ha espresso una forte preoccupazione per il blocco delle iniziative parlamentari per l’approvazione di una nuova legge elettorale e che il rinvio dell’approvazione di una nuova legge elettorale ha portato alla conseguenza grottesca che il governo ha avviato la ridefinizione dei collegi e delle circoscrizioni elettorali, vista l’entrata in vigore del taglio del parlamento (5/11/ 2020) e quindi della collegata legge elettorale, votata nel maggio 2019.

Sottolineato che senza una nuova legge elettorale ci troveremo a votare con le regole ancora più maggioritarie della legge del maggio 2019 che renderebbero il parlamento ancora meno rappresentativo della volontà delle elettrici e degli elettori, al punto che con il 35/40 % dei voti una coalizione avrebbe la maggioranza in parlamento, pur rappresentando una minoranza di elettori, comunque sufficiente per modificare la Costituzione, rendendo possibile anche stravolgere la Carta e imporre il presidenzialismo.

La maggioranza attuale si era impegnata, durante la campagna referendaria, ad approvare una nuova legge elettorale per superare almeno alcune storture provocate dal taglio del parlamento, ma finora è tutto bloccato e la proporzionalità non garantita.

Il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale rivendica con urgenza l’approvazione di una legge elettorale proporzionale che consenta ai cittadini di scegliere direttamente i loro rappresentanti, superando le liste bloccate di nominati dall’alto, obiettivo che si può raggiungere con modalità diverse. Del resto le leggi elettorali dovrebbero essere approvate, secondo il Codice di Buona Condotta in materia elettorale del Consiglio d’Europa, almeno 12 mesi prima della data delle elezioni.

Per queste ragioni dobbiamo esprimere grande preoccupazione che in assenza di una nuova legge elettorale si proceda verso l’approvazione del decreto attuativo della legge stessa rideterminando collegi uninominali e circoscrizioni accentuando il carattere maggioritario della legge elettorale attuale.

Resta inteso che ci riserviamo in altra sede di ricorrere successivamente contro gli elementi di incostituzionalità della legge elettorale vigente, legge n. 165/2017 con le modifiche del maggio 2019, ove restasse in vigore (liste totalmente bloccate, voto congiunto obbligatorio di liste plurinominali e candidati uninominali, premio di maggioranza nascosto nei meccanismi elettorali e nel decreto attuativo, mancato rispetto delle percentuali dei seggi proporzionali e maggioritari).

In questa sede chiediamo che venga corretto il decreto attuativo della legge n.51 del 2019 per gli aspetti di seguito indicati per evitare che risulti al di fuori dei principi della delega:

1) Teramo, provincia abruzzese è stata spartita tra Pescara e l’Aquila, un caso da manuale, che rischia di diventare un simbolo provocato dal taglio lineare dei parlamentari in un sistema misto di collegi uninominali maggioritari e collegi plurinominali proporzionali.

Con 14 seggi i 3/8 uninominali calcolati ai sensi dell’art. 1 c. 1 lett. a) n. 1) della legge n.51/2019[1], sarebbero stati 5, per 4 province, di cui 3 con popolazione equivalente (L’Aquila 296.491, Pescara 318.678, Teramo 307.412), tutte comprese nello scostamento del 20% ammesso in più o in meno. In effetti l’obiettivo di ridurre il numero dei parlamentari avrebbe richiesto di affrontare il problema della rappresentanza territoriale per stabilire una percentuale di riduzione e criteri di arrotondamento più equilibrati ovvero assumere la decisione di una legge elettorale integralmente proporzionale, che presenta minori problemi, se non prevede soglie d’accesso o molto ridotte tra l’1 e il 2 per cento.

2) La Circoscrizione estero ridotta da 12 a 8 alla Camera e da 6 a 4 al Senato ha subito una riduzione che non ha tenuto conto che al Senato la legge27 dicembre 2001, n. 459, prevede 4 circoscrizioni che hanno diritto di eleggere almeno un senatore, con la conseguenza che ora i 277.997 elettori italiani di Africa, Asia, Oceania e Antartide avranno un rappresentante come i 2 685 815 italiani della circoscrizione Europa.

3) La legge n. 482/1999 ha dato attuazione all’art. 6 Cost. e alla Convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali, ratificata il 28 agosto 1997, n. 302, ma l’Italia è inadempiente rispetto alla Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 5 novembre 1992, dopo 22 anni dall’entrata in vigore ancora non ratificata. La distinzione tra lingue minoritarie riconosciute dalla legge n.482/1999 e quelle contemplate dall’art. 14 bis del dpr n. 361/1957, come modificato dall’art. 1 c. 7 della legge n. 165/2017 non è stata colta dal Governo, come si desume dalla p. 2 cpv VI e dalla p. 16 alinea I della Relazione illustrativa.

In Regioni a statuto ordinario ci sono minoranze linguistiche storiche della stessa consistenza della minoranza slovena del Friuli-Venezia Giulia, che, se non fossero state decimate dall’emigrazione, sarebbero rilevanti come insediamento territoriale. Basta pensare agli albanofoni di Calabria, agli occitani delle Valli piemontesi e ai grecanici del Salento e del Reggino.

La scarsa conoscenza delle minoranze linguistiche degli estensori dello “Schema di decreto legislativo per la determinazione dei collegi” è rivelato dal Prospetto 20.3-Senato della Repubblica. Elementi definitori della geografia elettorale della circoscrizione Sardegna pag. 344. In grande evidenza si nota un chiaro NO alla voce “Minoranze linguistiche riconosciute”, che sono invece due la maggiore, quella sarda e quella catalana, lingua ufficiale della Comunità autonoma di Catalogna. Quando si è parlato del Friuli-VG (p. 16 Relaz. Ill.va) si è parlato, errando, solo della minoranza slovena, il 50% dei comuni censiti con presenza slovena sono nell’ex Provincia di Udine, non è perciò esatto che è stata concentrata nella circoscrizione che comprende le ex province di Trieste e Gorizia. Non una parola sulla minoranza friulana, la seconda minoranza riconosciuta, dopo la sarda, ma di gran lunga più numerosa della tedesca.
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Che succede?

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UN PROGETTO SERIO PER IL FUTURO, POSSIBILE?
17 Dicembre 2020 su C3dem.
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DRAGHI E LO SGUARDO LUNGO. PATRIMONIALE. CASO REGENI. MIGRANTI, RIPARTE L’ACCOGLIENZA
15 Dicembre 2020 su C3dem.
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Auguri a Papa Francesco che oggi compie 84 anni.

papa-francesco-84di Francesco Casula
(Noi di Aladinpensiero felici condividiamo: Auguri Papa Francesco!)
AUGURI di lunga, lunghissima vita a papa Francesco che oggi compie 84 anni.
A questo straordinario Pontefice che sta imprimendo alla Chiesa cattolica un deciso e poderoso cambio di rotta. [segue]

Oggi giovedì 17 dicembre 2020

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————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti—————————–
Le misure antipandemia, la Costituzione e la capacità di decisione del sistema
17 Dicembre 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
L’altro pomeriggio Tonino Dessì nella relazione al webinar organizzato dall’ANPI (in collaborazione con CoStat e Scuola F. Cocco) ha dato un saggio di come diritto e fatto non possono essere disgiunti. Così è emersa la drammatica complessità di una pandemia che richiede continue misure di contrasto e un quadro normtivo pensato per altro. Sì, […]
—————Punta de billete – Save the date – Prendi nota———
costituzione-difendila
Sabato 19 dicembre 2020, ore 10 – 13.
REGIONI E REGIONALISMO
Art. 116, c. 3 Cost. abrogazione o applicazione solidale?
Opinioni a confronto sul recente appello CDC, Arci, Cgil, NOstra, Fondazione Einaudi
Presenta Maria Paola Patuelli, CDC Ravenna. Intervengono: Mauro Sentimenti, coordinamento CDC Emilia Romagna; Gaetano Azzariti, Ordinario Diritto costituzionale Università La Sapienza di Roma; Nadia Urbinati, Docente Columbia University; Massimo Villone, Emerito Università Federico II di Napoli, Presidente nazionale CDC; Giordana Pallone, responsabile riforme costituzionali Cgil nazionale.
Sono stati invitati ad intervenire rappresentanti di Arci, Cgil, Anpi, NOstra, Libertà e Giustizia, Comitato NO a qualunque autonomia differenziata, rappresentanti dei gruppi consiliari della Regione E.R.
Per connettersi al webinar: https://global.gotomeeting.com/join/497593581 -
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Recovery Fund Sardegna – Documentazione

sardegnaeuropa-bomeluzo[Dal sito Fondazione Sardinia] Recovery plan sardo … e la Regione rispose. Gli articoli di ieri.
- LA NUOVA SARDEGNA: Se arrivasse anche solo una parte dei fondi richiesti, potremmo trovarci di fronte a un intervento che farebbe impallidire il Piano di rinascita della Sardegna del 1962.
- L’UNIONE SARDA: Recovery plan sardo, il conto della Regione arriva a 7,7 miliardi.
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Francesco Mola è il nuovo Rettore dell’Università di Cagliari

franco-mola-unicaCongratulazioni e Auguri di buon lavoro: per lui, per l’Università, per la Sardegna, per tutti noi cittadini.
- Franco Mola, nuovo Rettore dell’Università di Cagliari.

Oggi mercoledì 16 dicembre 2020

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————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti—————————–
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Un “Manifesto” di disobbedienza civile per salvare il pianeta
16 Dicembre 2020
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
L’ultimo “Report” dell’IPBES (“Intergovernamental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services” dell’ONU) denuncia la “perdita di natura senza precedenti” verificatasi negli ultimi decenni ed imputabile a cinque “motori” individuati come diretti responsabili dei maggiori impatti globali negativi dell’attività antropica sul pianeta: i “cambiamenti nell’uso del suolo e del mare”; lo “sfruttamento diretto degli organismi”; il “cambiamento climatico”; l’”inquinamento”; le “specie esotiche invasive”.[…]
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C’eravamo tanto amati

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CIAO LIDIA
Riflessioni sulla militanza

di Gianni Loy

Ciao Lidia, tu che stavi un po’ più in là, nell’empireo dei leader che, in quella tormentata stagione, arrivavano, ogni tanto, a dettare la linea, ad esser punto di riferimento per noi che abbiamo persino pensato, in qualche momento, che la rivoluzione fosse dietro l’angolo. Credendo davvero, o forse semplicemente l’abbiamo scritto in una delle tante analisi, di trovarci, in Italia, in una fase storica definibile come “pre-rivoluzionaria”. Ma questo non ha importanza, o non più.
Ciò che conta adesso, è che anche tu sei salita su quel treno, con destinazione sconosciuta, che sempre ci attende, in qualche stazione.
Di te, mi rimane il ricordo di compagna diversa da quel manipolo di leader, arrivati con il Manifesto dopo la sconfitta del 1973, con i quali, per qualche tempo, abbiamo condiviso un tratto di strada. Reduci da avanguardie, appartenenti alle principali correnti di pensiero della nostra storia, quello cattolico, quello comunista e quello socialista. Insieme arretravamo dopo la disfatta ma, allo stesso tempo, progettavamo di rilanciare l’attacco.
L’esperienza, sul piano organizzativo, non è durata a lungo, tuttavia ha dato vita ad un’esperienza politica che, nel bene e nel male, è la nostra storia. Nostra, ovviamente, nel senso di chi in essa si riconosce.
La tua diversità era così evidente, nella storia de Il Manifesto – ma non nella nostra – che Luciana Castellina, lei sì, icona di quel giornale, di quel partito, di quell’idea, rigirando tra le mani la tua ultima fotografia, non ha esitato ad affermare che, nella storia del Il Manifesto, sei stata un “marziano”.
Per tre ragioni. La prima perché eri cattolica; la seconda perché sei stata democristiana attiva; la terza perché, “pur essendo stata, a pieno titolo, fondatrice de Il Manifesto, non vieni mai citata tra i suoi fondatori”.
Ciò corrisponde, più o meno, a quanto ho sempre percepito. Poi il tuo impegno con “Cristiani per il socialismo”, il femminismo. I partiti politici si possono anche fare e disfare in continuazione, ne sappiamo qualcosa, più difficile è l’abiura dal patrimonio di valori che, in un certo momento della vita, abbiamo consapevolmente scelto. Scelto, si badi bene, indipendentemente dal fatto di esserci formati alla luce della dottrina cristiana o di quella comunista.
Mentre attendiamo il prossimo treno, seduti sulla panchina di una stazione, la nebbia comincia a diradarsi. Per tanto tempo, abbiamo visto come in uno specchio, in maniera confusa, ma si avvicina l’ora nella quale potremo vedere con chiarezza, “faccia a faccia”. Se Lucio Magri poteva citare Santa Teresa di Lisieux, mi sarà concesso citare San Paolo.
Non credo affatto che le ideologie siano morte. Solo che l’essere formalmente iscritti all’una o all’altra corrente ha sempre meno significato.
Ma tu sei comunista? – mi ha chiesto un giorno mio figlio. Ed io, che comunista non sono mai stato, gli ho risposto: Sì. Comunista sono. Anche se solo da quando la direzione di un partito che ha contribuito a scrivere, nel bene e nel male, la storia del secondo dopo guerra in Italia, ha deciso di cancellare quel nome dalle proprie generalità. Prima non avrei potuto esserlo, anche se a lungo flirtavo, e militavo, fianco a fianco con tanti compagni che comunisti si dichiaravano.

Luciana Castellina non ha dà importanza al fatto che Lidia fosse cattolica. Afferma che “ce ne sono stati sempre molti tra noi”. È vero, ce n’erano molti. Ma il fatto stesso che la differenza venisse colta, pur non attribuendole importanza – cosa, peraltro, non del tutto vera – lascia intendere che il nostro passaggio alla militanza in partiti di ispirazione marxista veniva interpretato come una sorta di abiura del nostro credo, una sorta di conversione alla religione marxista che, al suo interno, si dibatteva tra ortodossia e revisionismo e che, oltretutto, veniva declinata in differenti varianti, tra loro confliggenti.

Dalle mie parti una rottura si consumava con uno scisma, altrove con una scissione. Il senso religioso dei due termini è lo stesso.

La conseguenza, è che, sì, combattevamo le stesse battaglie, solo che noi, ai loro occhi (o agli occhi di molti di loro) eravamo considerati al pari degli ascari che affiancavano l’esercito italiano alla conquista di Addis Abeba, ma non erano gli eletti dell’esercito italiano. Il PCI fa caso a sé, naturalmente. Ma anche all’interno dei partiti dove collaboravamo gomito a gomito, incluso il PdUP, si coglieva quella sensazione. Avvertivamo un’aria di superiorità da parte di chi riteneva di essere il depositario del verbo, quindi legittimato alla sua interpretazione e unico detentore del potere di “dettare la linea”. Noi, in fondo, eravamo dei parvenues, bravi quanto si vuole, ma sempre dei parvenues. Cosa potevamo noi saperne delle tavole sacre del marxismo, dei suoi misteri dottrinali?
La verità è che non mi sono mai appassionato allo studio delle differenze tra le varie sette del marxismo che, a quanto pare, tanto appassionavano i nostri compagni di lotta.

Questa sensazione la colgo ancora oggi nelle parole di Luciana Castellina, quando spiega perché mai Lidia Menapace, che fu, a pieno titolo, “fondatrice” del Il Manifesto, “non è mai citata tra i “fondatori”: “per esserlo, avrebbe dovuto essere anche lei radiata dal PCI”.

A nessuno è mai passato per la testa che se ci siamo buttati a capofitto nella lotta, se abbiamo praticato la lotta di classe, non è certo perché ci siamo improvvisamente innamorati del marxismo, ma molto più semplicemente perché, così facendo, ritenevamo di mettere in pratica la nostra di dottrina, quella scritta a chiare lettere nel vangelo, che ci invitava a lottare per la liberazione dagli sfruttati. Se dovessero essere chiamati sfruttati, poveri, proletari di tutto il mondo o sottoproletari, no ne abbiamo mia fatto una questione. Niente di diverso da quanto, oggi, predica papa Francesco.

Certo che eravamo consapevoli dei preti che, in nome di Dio, benedicevano i cannoni dei prepotenti o giustificavano chi sfruttava i lavoratori, tuttavia ci ispiravamo a quelli che, invece, benedivano le lotte di liberazione o sceglievano di vivere la condizione del proletariato condividendo lo loro lotte. Perché allora, come cantavano i Gufi, tutti andavamo in chiesa a pregare Iddio, ma tu pregavi il tuo ed io pregavo il mio”.

Come voi, del resto, che in nome dello stesso Marx o Lenin riuscivate a trovare motivo di contrapposizione, sia nel campo del socialismo reale (Urss o Cina) che delle più piccole organizzazioni locali, pronte a dividersi in nome dell’ortodossia.

La differenza, in definitiva, e che mentre noi avevamo una concezione laica dell’impegno nel sociale voi – prendetela pure come una mia opinione personale – avevate una concezione profondamente religiosa.

La vera anomalia di Lidia Menapace, secondo la lettura di Luciana Castellina, non era però il suo essere cattolica – immagino che lo stesso giudizio possa valere per quasi tutti noi -. Lidia era una sorta di “marziano perché, sino alla vigilia del suo approdo nel gruppo del Manifesto, era stata democristiana, addirittura assessore della Giunta provinciale di Bolzano”.

Sfugge, probabilmente, che per noi impegnati nell’associazionismo cattolico, ammoniti sul fatto che votare per il PCI, o anche solamente leggere la sua stampa, ci avrebbe condannato all’inferno, e dove ancora bambini, o poco più, venivamo impiegati a supporto della raccolta di voti organizzata dai Comitati Civici, l’iscrizione alla Democrazia Cristiana, con il raggiungimento della maggiore età, era quasi un atto dovuto. Ma noi che abbiamo letto il Vangelo a modo nostro, convinti, allora ma anche oggi, che fosse quello giusto, vi siamo entrati con la carica di contestazione che ci caratterizzava. Dobbiamo essere giudicati per il fatto di essere stati democristiani o per il contenuto delle nostre azioni? Andrea Olla, da delegato giovanile della DC, saliva sul palco congressuale per chiedere che l’Italia uscisse dalla Nato, che venisse subito approvata una legge a favore dell’obiezione di coscienza, che si ponesse fine alla politica di sfruttamento dei paesi del terzo mondo, che si attuassero politiche a favore dei più deboli, degli emarginati… Era semplicemente un democristiano nell’accezione, spregiativa, che si suol dare al termine?

Non sono pochi i compagni che hanno maturato dentro quel partito, o dentro l’associazionismo che guardava alla Democrazia Cristiana, come le Acli, la scelta politica che li avrebbe collocati fuori, e contro, quella Balena bianca. Ci siamo spontaneamente ritrovati, pur provenendo da esperienze differenti, chi dall’Azione Cattolica, chi dalle Acli, chi dalla Congregazione Mariana dei gesuiti, notoriamente dedita alla formazione della borghesia cagliaritana, sulla base della nostra interpretazione del messaggio che stava alla base della nostra formazione.

I manicheismi del 1948, in quegli anni, erano ancora freschi. Si cominciava a percepire che non era vero che i comunisti mangiassero i bambini. Tuttavia, sapevamo perfettamente che le persecuzioni dei cattolici nei paesi comunisti non erano un’invenzione di Rizzietto Pau. Noi non gli davamo ascolto, ed a ragione, perché guardavamo oltre il mito dell’incarnazione del socialismo reale, al quale non abbiamo mai creduto e sul quale molti comunisti si sono ricreduti solo più tardi, quando chiudere gli occhi non era proprio più possibile. Certo è che per decidere di partecipare alle manifestazioni contro l’invasione della Cecoslovacchia, nel 1968, per fare un esempio, non ho avuto bisogno di alcuna analisi, di alcun confronto; mi è stato naturale – mi trovavo casualmente a Milano – appiccicare sulla cinquecento qualche slogan contro l’invasione e sfilare, con altri sconosciuti, in quella prima, improvvisata manifestazione.

Ma che senso ha tutto ciò, caro Marco, ora che, seduti sulla panchina, attendiamo il passaggio del treno? Ciò che un tempo è stato vero oggi non lo è più. Un tempo, l’appartenenza ad un partito, o ad un’organizziamone, persino ad un gruppuscolo, costituiva uno stigma. Oggi non più, almeno non per me. Tanti, troppi, rivoluzionari d’un tempo, “li ho poi rivisti, in bocca del sistema / in piedi, dopo aver saltato il fosso”. Ma non da oggi. Ricordi i compagni che mandavamo a rappresentarci nelle istituzioni? Ho presenti coloro che hanno tradito il mandato e quelli che hanno cercato di disimpegnarlo con dignità. Non credo che la loro coerenza dipendesse dal fatto che fossero comunisti piuttosto che cattolici.

Confesso che mi son più volte rifiutato di dare la mia fiducia a quanti ancora esibiscono, nel nome, ascendenze rivoluzionarie o comuniste. Allo stesso tempo apprezzo amici che nella Democrazia Cristiana hanno continuato a militare, almeno sino a quando, chi l’avrebbe mai detto, i don Camillo e Peppone della prima repubblica si son presi mano per entrare nella seconda. Perché conosco le loro opere. Non acquisterei da loro un’auto di seconda mano, come si diceva un tempo. Eppure ne vedo tanti, in giro, che utilizzano la vecchia icona per il proprio tornaconto personale.

Insomma, caro Marco, ogni tanto riaffiora il ricordo di un’epoca esaltante, di un’ideale per il quale molto abbiamo sacrificato. Da dove ciascuno di noi venisse, in fondo, non è mai stato importante. In qualche momento l’abbiamo creduto, è vero, ma si è trattato di un’illusione ottica.

L’importante era l’obiettivo che ci accomunava, o credevamo ci accomunasse, quando imboccando la via Sonnino, accompagnati dal megafono di Vincenzo Pillai, urlavamo ai quattro venti che si trattava solo del principio, giuravamo che le combat sarebbe proseguito.

Poi quella storia è terminata, non tornerà mai e, probabilmente, è assai meno importante di quanto non abbiamo creduto. Salvo che per noi, o almeno per me. Se hai la pazienza di trattenerti ancora un po’ su questa panchina, del resto l’orario del treno che attendiamo non è indicato, potremmo anche continuare parlarne, perché anche i ricordi possono far bene, a condizione di non confondere il passato con il presente, la realtà con l’immaginario.

Magari anche a ricordare Lidia Menapace, che non ho conosciuto personalmente, caro Marco, ma che, per tante ragioni, mi è familiare ed ha ancora qualcosa da insegnarmi. Per esempio a rivendicare di non essere un ex. Come credo che anche tu, a buon titolo, lo rivendichi.

Gianni Loy
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Articolo pubblicato in contemporanea su il manifesto sardo.

Oggi martedì 15 dicembre 2020

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La statura della Merkel e la piccineria di casa nostra. Che fare?
15 Dicembre 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Mi ha colpito quanto sta accadendo in Germania in risposta alla pandemia. La cancelliera Angela Merkel è intervenuta in Parlamento mercoledì mattina per discutere le misure per contrastare l’epidemia da coronavirus, e chiedere che ne vengano introdotte di nuove ancora più restrittive di quelle attualmente in vigore. La Germania, come […]
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USA. Evviva il Presidente! Bene Biden, ma non basta…

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REQUIEM PER LA DEMOCRAZIA NEGLI STATI UNITI D’AMERICA? – DI ANTONIO SECCHI
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Su Politicainsieme, Dic 15, 2020 – 07:33:09 – CET

Che succede?

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IL PREMIER SENZA PARTITO. PER UN RECOVERY DEGASPERIANO. LO STATO E L’ILVA. SULLA PATRIMONIALE
14 Dicembre 2020 su C3dem.
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CONTE E I PARTITI. E LA FRAGILITA’ DELL’EUROPA
13 Dicembre 2020 su C3dem.
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PIANO DI CRESCITA E TASK FORCE, IL PD: ” CONTE ASCOLTI TUTTI”
11 Dicembre 2020 su C3dem.
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Paolo Fadda sull’ appello dei Cattolici sardi

don-luigi-sturzocmyk-696x523Con la diaspora dei partiti storici della prima Repubblica, la politica ha perso i suoi fondamentali: le capacità di unire, di mettere insieme, di fare sintesi. Purtroppo oggi nessuno dei soggetti politici in campo è in grado di esercitare tali azioni. La necessità di un nuovo impegno e l’adesione all’appello dei cattolici sardi

Con questo intervento Paolo Fadda svolge un’analisi del politico attuale e motiva la sua adesione al recente appello dei cattolici sardi
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Paolo Fadda, l’impegno dei cattolici democratici sardi contro il degrado della politica
di Paolo Fadda su Il Risveglio della Sardegna.

Per quanti hanno attraversato gli anni della prima Repubblica con l’impegno politico nel partito dei cattolici democratici, il tempo presente – quello della seconda fase repubblicana – appare, per tanti aspetti, incomprensibile ed inconciliabile. Per due motivi principali: il primo, perché s’è come interrotto il rapporto fiduciario tra il mondo della politica e la società civile; il secondo, perché i partiti sembrerebbero divenuti delle consorterie o dei potentati in mano di pochi, magari di uno solo, sia esso un “cavaliere” o un “capitano”.
Con la diaspora dei partiti storici della prima Repubblica, la politica ha perso quelli che ne erano – e ne sarebbero – i suoi fundamentals: cioè le capacità di unire, di mettere insieme, di fare sintesi, di avere quello sguardo lungo che le permetta di intravedere la meta oltre le tortuosità del contingente. Purtroppo oggi nessuno dei soggetti politici in campo è in grado di esercitare tali azioni. [segue]

Oggi lunedì 14 dicembre 2020

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————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti—————————–
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Pandemia: se le nomine Asl avvengono in stile mafioso, sarà difficile venirne a capo
14 Dicembre 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Leggo su l’Unione sarda un titolone “Nomine ASL, partita non chiusa” e nel sottotiolo “La Lega vuole Sassari, Oristano e Areus, Cagliari all’UDC di Oppi“. Solinas prova a dirigere il traffico, dopo le scintille dei giorni scorsi, quando Oppi aveva mandato un segnale perentorio e inequivocabile, bollando come “giuntina” l’esecutivo in carica.[…]
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ANPI. Oggi webinar con Tonino Dessì: Stato e autonomie locali nella pandemia
14 Dicembre 2020
link per assistere al webinar:
https://www.youtube.com/channel/UCAxsRLM4nvpmFjUGA0CDUug/
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Oggi domenica 13 dicembre 2020

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Carbonia. Aprile 1946, entra nel vivo la campagna elettorale, netta affermazione della Lista del popolo
13 Dicembre 2020
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Di domenica un post sulla storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019
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E si sviluppa, durante quella campagna elettorale della primavera del 1946, anche il discorso sulla Consulta regionale, che deve essere “organo elettivo, espressione della volontà del popolo sardo”, in un clima di autonomia e nel contesto di “una saldatura democratica tra Nord […]
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