Monthly Archives: dicembre 2020
Oggi sabato 26 dicembre 2020
————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti————————
Paskixedda continua…
26 Dicembre 2020 su Democraziaoggi.
A Gesù bambino di Umberto Saba
La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te,
Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in […]
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Sardi nel mondo, auguri a tutti di serenità e ottimismo
26 Dicembre 2020 su Democraziaoggi.
Pietro Casula e tutto il direttivo del Movimento per la Sardegna – Sardi nel mondo
Cari sardi nel mondo,
un anno insolito e ricco di eventi sta volgendo al termine, molto è andato diversamente dal previsto.
Ora è il momento di fare una pausa di auto riflessione, di auto coscienza.
Un anno di cambiamento. Tutte le persone nel mondo […]
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Oggi venerdì 25 dicembre 2020. È Natale. Bona paskixedda. Buon Natale!
————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti————————
Bona Paskixedda! Buon Natale!
25 Dicembre 2020 su Democraziaoggi.
La Redazione di Democraziaoggi e Andrea Pubusa augurano a tutti buon Natale, bona Paskixedda! con alcune filastrocche di Gianni Rodari.
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Gianni Rodari. ll pianeta degli alberi di Natale
Dove sono i bambini che non hanno
l’albero di Natale
con la neve d’argento, i lumini
e i frutti di cioccolata?
presto, presto adunata, si va
sul Pianeta degli alberi di natale,
io so dove […]
Pace sulla Terra
Per iscriversi: https://www.sardegnasolidale.it/34-marcia-della-pace-la-chiesa-la-caritas-il-volontariato-ospedali-da-campo-in-tempo-di-covid/
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Messaggio del Santo Padre Francesco per la celebrazione della 54.ma Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2021).
La cultura della cura come percorso di pace
1. Alle soglie del nuovo anno, desidero porgere i miei più rispettosi saluti ai Capi di Stato e di Governo, ai responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai leader spirituali e ai fedeli delle varie religioni, agli uomini e alle donne di buona volontà. A tutti rivolgo i miei migliori auguri, affinché quest’anno possa far progredire l’umanità sulla via della fraternità, della giustizia e della pace fra le persone, le comunità, i popoli e gli Stati.
Il 2020 è stato segnato dalla grande crisi sanitaria del Covid-19, trasformatasi in un fenomeno multisettoriale e globale, aggravando crisi tra loro fortemente interrelate, come quelle climatica, alimentare, economica e migratoria, e provocando pesanti sofferenze e disagi. Penso anzitutto a coloro che hanno perso un familiare o una persona cara, ma anche a quanti sono rimasti senza lavoro. Un ricordo speciale va ai medici, agli infermieri, ai farmacisti, ai ricercatori, ai volontari, ai cappellani e al personale di ospedali e centri sanitari, che si sono prodigati e continuano a farlo, con grandi fatiche e sacrifici, al punto che alcuni di loro sono morti nel tentativo di essere accanto ai malati, di alleviarne le sofferenze o salvarne la vita. Nel rendere omaggio a queste persone, rinnovo l’appello ai responsabili politici e al settore privato affinché adottino le misure adeguate a garantire l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 e alle tecnologie essenziali necessarie per assistere i malati e tutti coloro che sono più poveri e più fragili.[1]
Duole constatare che, accanto a numerose testimonianze di carità e solidarietà, prendono purtroppo nuovo slancio diverse forme di nazionalismo, razzismo, xenofobia e anche guerre e conflitti che seminano morte e distruzione.
Questi e altri eventi, che hanno segnato il cammino dell’umanità nell’anno trascorso, ci insegnano l’importanza di prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza. Perciò ho scelto come tema di questo messaggio: La cultura della cura come percorso di pace. Cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi spesso prevalente.
2. Dio Creatore, origine della vocazione umana alla cura
In molte tradizioni religiose, vi sono narrazioni che si riferiscono all’origine dell’uomo, al suo rapporto con il Creatore, con la natura e con i suoi simili. Nella Bibbia, il Libro della Genesi rivela, fin dal principio, l’importanza della cura o del custodire nel progetto di Dio per l’umanità, mettendo in luce il rapporto tra l’uomo (’adam) e la terra (’adamah) e tra i fratelli. Nel racconto biblico della creazione, Dio affida il giardino “piantato nell’Eden” (cfr Gen 2,8) alle mani di Adamo con l’incarico di “coltivarlo e custodirlo” (cfr Gen 2,15). Ciò significa, da una parte, rendere la terra produttiva e, dall’altra, proteggerla e farle conservare la sua capacità di sostenere la vita.[2] I verbi “coltivare” e “custodire” descrivono il rapporto di Adamo con la sua casa-giardino e indicano pure la fiducia che Dio ripone in lui facendolo signore e custode dell’intera creazione.
La nascita di Caino e Abele genera una storia di fratelli, il rapporto tra i quali sarà interpretato – negativamente – da Caino in termini di tutela o custodia. Dopo aver ucciso suo fratello Abele, Caino risponde così alla domanda di Dio: «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9).[3] Sì, certamente! Caino è il “custode” di suo fratello. «In questi racconti così antichi, ricchi di profondo simbolismo, era già contenuta una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri».[4]
3. Dio Creatore, modello della cura
La Sacra Scrittura presenta Dio, oltre che come Creatore, come Colui che si prende cura delle sue creature, in particolare di Adamo, di Eva e dei loro figli. Lo stesso Caino, benché su di lui ricada la maledizione a motivo del crimine che ha compiuto, riceve in dono dal Creatore un segno di protezione, affinché la sua vita sia salvaguardata (cfr Gen 4,15). Questo fatto, mentre conferma la dignità inviolabile della persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio, manifesta anche il piano divino per preservare l’armonia della creazione, perché «la pace e la violenza non possono abitare nella stessa dimora».[5]
Proprio la cura del creato è alla base dell’istituzione dello Shabbat che, oltre a regolare il culto divino, mirava a ristabilire l’ordine sociale e l’attenzione per i poveri (Gen 1,1-3; Lv 25,4). La celebrazione del Giubileo, nella ricorrenza del settimo anno sabbatico, consentiva una tregua alla terra, agli schiavi e agli indebitati. In questo anno di grazia, ci si prendeva cura dei più fragili, offrendo loro una nuova prospettiva di vita, così che non vi fosse alcun bisognoso nel popolo (cfr Dt 15,4).
Degna di nota è anche la tradizione profetica, dove il vertice della comprensione biblica della giustizia si manifesta nel modo in cui una comunità tratta i più deboli al proprio interno. È per questo che Amos (2,6-8; 8) e Isaia (58), in particolare, alzano continuamente la loro voce a favore della giustizia per i poveri, i quali, per la loro vulnerabilità e mancanza di potere, sono ascoltati solo da Dio, che si prende cura di loro (cfr Sal 34,7; 113,7-8).
4. La cura nel ministero di Gesù
La vita e il ministero di Gesù incarnano l’apice della rivelazione dell’amore del Padre per l’umanità (Gv 3,16). Nella sinagoga di Nazaret, Gesù si è manifestato come Colui che il Signore ha consacrato e «mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi» (Lc 4,18). Queste azioni messianiche, tipiche dei giubilei, costituiscono la testimonianza più eloquente della missione affidatagli dal Padre. Nella sua compassione, Cristo si avvicina ai malati nel corpo e nello spirito e li guarisce; perdona i peccatori e dona loro una vita nuova. Gesù è il Buon Pastore che si prende cura delle pecore (cfr Gv 10,11-18; Ez 34,1-31); è il Buon Samaritano che si china sull’uomo ferito, medica le sue piaghe e si prende cura di lui (cfr Lc 10,30-37).
Al culmine della sua missione, Gesù suggella la sua cura per noi offrendosi sulla croce e liberandoci così dalla schiavitù del peccato e della morte. Così, con il dono della sua vita e il suo sacrificio, Egli ci ha aperto la via dell’amore e dice a ciascuno: “Seguimi. Anche tu fa’ così” (cfr Lc 10,37).
5. La cultura della cura nella vita dei seguaci di Gesù
Le opere di misericordia spirituale e corporale costituiscono il nucleo del servizio di carità della Chiesa primitiva. I cristiani della prima generazione praticavano la condivisione perché nessuno tra loro fosse bisognoso (cfr At 4,34-35) e si sforzavano di rendere la comunità una casa accogliente, aperta ad ogni situazione umana, disposta a farsi carico dei più fragili. Divenne così abituale fare offerte volontarie per sfamare i poveri, seppellire i morti e nutrire gli orfani, gli anziani e le vittime di disastri, come i naufraghi. E quando, in periodi successivi, la generosità dei cristiani perse un po’ di slancio, alcuni Padri della Chiesa insistettero sul fatto che la proprietà è intesa da Dio per il bene comune. Ambrogio sosteneva che «la natura ha riversato tutte le cose per gli uomini per uso comune. [...] Pertanto, la natura ha prodotto un diritto comune per tutti, ma l’avidità lo ha reso un diritto per pochi».[6] Superate le persecuzioni dei primi secoli, la Chiesa ha approfittato della libertà per ispirare la società e la sua cultura. «La miseria dei tempi suscitò nuove forze al servizio della charitas christiana. La storia ricorda numerose opere di beneficenza. […] Furono eretti numerosi istituti a sollievo dell’umanità sofferente: ospedali, ricoveri per i poveri, orfanotrofi e brefotrofi, ospizi, ecc.».[7]
6. I principi della dottrina sociale della Chiesa come base della cultura della cura
La diakonia delle origini, arricchita dalla riflessione dei Padri e animata, attraverso i secoli, dalla carità operosa di tanti testimoni luminosi della fede, è diventata il cuore pulsante della dottrina sociale della Chiesa, offrendosi a tutte le persone di buona volontà come un prezioso patrimonio di principi, criteri e indicazioni, da cui attingere la “grammatica” della cura: la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà con i poveri e gli indifesi, la sollecitudine per il bene comune, la salvaguardia del creato.
* La cura come promozione della dignità e dei diritti della persona.
«Il concetto di persona, nato e maturato nel cristianesimo, aiuta a perseguire uno sviluppo pienamente umano. Perché persona dice sempre relazione, non individualismo, afferma l’inclusione e non l’esclusione, la dignità unica e inviolabile e non lo sfruttamento».[8] Ogni persona umana è un fine in sé stessa, mai semplicemente uno strumento da apprezzare solo per la sua utilità, ed è creata per vivere insieme nella famiglia, nella comunità, nella società, dove tutti i membri sono uguali in dignità. È da tale dignità che derivano i diritti umani, come pure i doveri, che richiamano ad esempio la responsabilità di accogliere e soccorrere i poveri, i malati, gli emarginati, ogni nostro «prossimo, vicino o lontano nel tempo e nello spazio».[9]
* La cura del bene comune.
Ogni aspetto della vita sociale, politica ed economica trova il suo compimento quando si pone al servizio del bene comune, ossia dell’«insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente».[10] Pertanto, i nostri piani e sforzi devono sempre tenere conto degli effetti sull’intera famiglia umana, ponderando le conseguenze per il momento presente e per le generazioni future. Quanto ciò sia vero e attuale ce lo mostra la pandemia del Covid-19, davanti alla quale «ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme»[11], perché «nessuno si salva da solo»[12] e nessuno Stato nazionale isolato può assicurare il bene comune della propria popolazione.[13]
* La cura mediante la solidarietà.
La solidarietà esprime concretamente l’amore per l’altro, non come un sentimento vago, ma come «determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti».[14] La solidarietà ci aiuta a vedere l’altro – sia come persona sia, in senso lato, come popolo o nazione – non come un dato statistico, o un mezzo da sfruttare e poi scartare quando non più utile, ma come nostro prossimo, compagno di strada, chiamato a partecipare, alla pari di noi, al banchetto della vita a cui tutti sono ugualmente invitati da Dio.
* La cura e la salvaguardia del creato.
L’Enciclica Laudato si’ prende atto pienamente dell’interconnessione di tutta la realtà creata e pone in risalto l’esigenza di ascoltare nello stesso tempo il grido dei bisognosi e quello del creato. Da questo ascolto attento e costante può nascere un’efficace cura della terra, nostra casa comune, e dei poveri. A questo proposito, desidero ribadire che «non può essere autentico un sentimento di intima unione con gli altri esseri della natura, se nello stesso tempo nel cuore non c’è tenerezza, compassione e preoccupazione per gli esseri umani».[15] «Pace, giustizia e salvaguardia del creato sono tre questioni del tutto connesse, che non si potranno separare in modo da essere trattate singolarmente, a pena di ricadere nuovamente nel riduzionismo».[16]
7. La bussola per una rotta comune
In un tempo dominato dalla cultura dello scarto, di fronte all’acuirsi delle disuguaglianze all’interno delle Nazioni e fra di esse,[17] vorrei dunque invitare i responsabili delle Organizzazioni internazionali e dei Governi, del mondo economico e di quello scientifico, della comunicazione sociale e delle istituzioni educative a prendere in mano questa “bussola” dei principi sopra ricordati, per imprimere una rotta comune al processo di globalizzazione, «una rotta veramente umana».[18] Questa, infatti, consentirebbe di apprezzare il valore e la dignità di ogni persona, di agire insieme e in solidarietà per il bene comune, sollevando quanti soffrono dalla povertà, dalla malattia, dalla schiavitù, dalla discriminazione e dai conflitti. Mediante questa bussola, incoraggio tutti a diventare profeti e testimoni della cultura della cura, per colmare tante disuguaglianze sociali. E ciò sarà possibile soltanto con un forte e diffuso protagonismo delle donne, nella famiglia e in ogni ambito sociale, politico e istituzionale.
La bussola dei principi sociali, necessaria a promuovere la cultura della cura, è indicativa anche per le relazioni tra le Nazioni, che dovrebbero essere ispirate alla fratellanza, al rispetto reciproco, alla solidarietà e all’osservanza del diritto internazionale. A tale proposito, vanno ribadite la tutela e la promozione dei diritti umani fondamentali, che sono inalienabili, universali e indivisibili.[19]
Va richiamato anche il rispetto del diritto umanitario, soprattutto in questa fase in cui conflitti e guerre si susseguono senza interruzione. Purtroppo molte regioni e comunità hanno smesso di ricordare un tempo in cui vivevano in pace e sicurezza. Numerose città sono diventate come epicentri dell’insicurezza: i loro abitanti lottano per mantenere i loro ritmi normali, perché vengono attaccati e bombardati indiscriminatamente da esplosivi, artiglieria e armi leggere. I bambini non possono studiare. Uomini e donne non possono lavorare per mantenere le famiglie. La carestia attecchisce dove un tempo era sconosciuta. Le persone sono costrette a fuggire, lasciando dietro di sé non solo le proprie case, ma anche la storia familiare e le radici culturali.
Le cause di conflitto sono tante, ma il risultato è sempre lo stesso: distruzione e crisi umanitaria. Dobbiamo fermarci e chiederci: cosa ha portato alla normalizzazione del conflitto nel mondo? E, soprattutto, come convertire il nostro cuore e cambiare la nostra mentalità per cercare veramente la pace nella solidarietà e nella fraternità?
Quanta dispersione di risorse vi è per le armi, in particolare per quelle nucleari,[20] risorse che potrebbero essere utilizzate per priorità più significative per garantire la sicurezza delle persone, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, la lotta alla povertà, la garanzia dei bisogni sanitari. Anche questo, d’altronde, è messo in luce da problemi globali come l’attuale pandemia da Covid-19 e dai cambiamenti climatici. Che decisione coraggiosa sarebbe quella di «costituire con i soldi che s’impiegano nelle armi e in altre spese militari un “Fondo mondiale” per poter eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo dei Paesi più poveri»![21]
8. Per educare alla cultura della cura
La promozione della cultura della cura richiede un processo educativo e la bussola dei principi sociali costituisce, a tale scopo, uno strumento affidabile per vari contesti tra loro correlati. Vorrei fornire al riguardo alcuni esempi.
- L’educazione alla cura nasce nella famiglia, nucleo naturale e fondamentale della società, dove s’impara a vivere in relazione e nel rispetto reciproco. Tuttavia, la famiglia ha bisogno di essere posta nelle condizioni per poter adempiere questo compito vitale e indispensabile.
- Sempre in collaborazione con la famiglia, altri soggetti preposti all’educazione sono la scuola e l’università, e analogamente, per certi aspetti, i soggetti della comunicazione sociale.[22] Essi sono chiamati a veicolare un sistema di valori fondato sul riconoscimento della dignità di ogni persona, di ogni comunità linguistica, etnica e religiosa, di ogni popolo e dei diritti fondamentali che ne derivano. L’educazione costituisce uno dei pilastri di società più giuste e solidali.
- Le religioni in generale, e i leader religiosi in particolare, possono svolgere un ruolo insostituibile nel trasmettere ai fedeli e alla società i valori della solidarietà, del rispetto delle differenze, dell’accoglienza e della cura dei fratelli più fragili. Ricordo, a tale proposito, le parole del Papa Paolo VI rivolte al Parlamento ugandese nel 1969: «Non temete la Chiesa; essa vi onora, vi educa cittadini onesti e leali, non fomenta rivalità e divisioni, cerca di promuovere la sana libertà, la giustizia sociale, la pace; se essa ha qualche preferenza, questa è per i poveri, per l’educazione dei piccoli e del popolo, per la cura dei sofferenti e dei derelitti».[23]
- A quanti sono impegnati al servizio delle popolazioni, nelle organizzazioni internazionali, governative e non governative, aventi una missione educativa, e a tutti coloro che, a vario titolo, operano nel campo dell’educazione e della ricerca, rinnovo il mio incoraggiamento, affinché si possa giungere al traguardo di un’educazione «più aperta ed inclusiva, capace di ascolto paziente, di dialogo costruttivo e di mutua comprensione».[24] Mi auguro che questo invito, rivolto nell’ambito del Patto educativo globale, possa trovare ampia e variegata adesione.
9. Non c’è pace senza la cultura della cura
La cultura della cura, quale impegno comune, solidale e partecipativo per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti, quale disposizione ad interessarsi, a prestare attenzione, alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto mutuo e all’accoglienza reciproca, costituisce una via privilegiata per la costruzione della pace. «In molte parti del mondo occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia».[25]
In questo tempo, nel quale la barca dell’umanità, scossa dalla tempesta della crisi, procede faticosamente in cerca di un orizzonte più calmo e sereno, il timone della dignità della persona umana e la “bussola” dei principi sociali fondamentali ci possono permettere di navigare con una rotta sicura e comune. Come cristiani, teniamo lo sguardo rivolto alla Vergine Maria, Stella del mare e Madre della speranza. Tutti insieme collaboriamo per avanzare verso un nuovo orizzonte di amore e di pace, di fraternità e di solidarietà, di sostegno vicendevole e di accoglienza reciproca. Non cediamo alla tentazione di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli, non abituiamoci a voltare lo sguardo,[26] ma impegniamoci ogni giorno concretamente per «formare una comunità composta da fratelli che si accolgono reciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri».[27]
Dal Vaticano, 8 dicembre 2020
FRANCESCO
Il messaggio di Papa Francesco
Oggi giovedì 24 dicembre 2020
————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti————————
Tra il buon Samaritano e Charles de Foucauld: la fraternità di papa Francesco
di Luigi Franco Pizzolato.
22 Dicembre 2020 by c3dem_admin | su C3dem.
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“La Notte Santa”
Notte di Natale
America, America
L’ULTIMO SFACELO DI UN PERDENTE
di Marino de Medici
A meno di trenta giorni dalla sua uscita dalla Casa Bianca (potrebbe essere forzosa..) Donald Trump intensifica la sua folle campagna diretta a seminare il caos al Congresso ed a lacerare il più possibile le norme e le tradizioni politiche di una grande nazione ormai ridotta allo sfascio. Con un ultimo insulto alla decenza nell’esercizio dei poteri presidenziali, Trump ha emanato
ventisei provvedimenti di clemenza a favore di criminali e alleati corrotti, vicini al presidente e alla sua famiglia. Un tale spettacolo di abuso dei provvedimenti di clemenza non ha precedentI nella storia americana. Tra coloro che hanno ricevuto il “pardon” presidenziale figurano personaggi che è poco definire loschi, tra cui l’ex capo della campagna elettorale di Trump, Paul Manaford, ed il fedele scudiero Roger Stone, entrambi incriminati dal Procuratore Speciale Mueller, giudicati e condannati per vari crimini. Un altro “perdonato” è un membro di famiglia, Charles Kushner, padre di Jared, genero del presidente e consigliere presidenziale. Vale la pena di ricordare che Mr. Kushner fu rinviato a giudizio dall’allora procuratore di stato del New
Jersey, Chris Christie, per frode fiscale, subornazione di testimoni e contributi elettorali illegali.
[segue]
Per Gianfranco
Antonio Sassu ricorda Gianfranco Sabattini economista
di Antonio Sassu
Gianfranco Sabattini era nato a Comacchio, non in Sardegna, ma si sentiva profondamente sardo.
Una volta laureato a Cagliari in Economia e Commercio diventò in breve tempo assistente alla cattedra di Politica Economica e Finanziaria col professore Esposito De Falco. Qui a Cagliari svolse la sua attività didattica e di ricerca, partecipando attivamente alla vita della città e al dibattito culturale anche sulla stampa quotidiana.
Aveva molto a cuore la Facoltà, il suo funzionamento, le sue risorse che dovevano essere acquisite ex novo, in quanto la Facoltà era stata costituita da poco. Sulla base dei modelli di alcune Università italiane riorganizzò i servizi, in particolare la biblioteca e a tal fine si fece nominare direttore del personale, incarico inesistente sulla carta, così da giustificare di fronte ai dipendenti le sue disposizioni, mettere ordine e costituire le premesse per il buon funzionamento dell’organizzazione della Facoltà stessa.
Ma il suo interesse principale era la ricerca. Gran parte delle sue pubblicazioni sono relative all’economia, alla sociologia e alla storia sulla Sardegna di cui era grande conoscitore. Gli argomenti trattati sono vari, tutti molti rilevanti, mai banali anche quando non c’è stata grande originalità. Sempre alla ricerca di uno sviluppo isolano stabile e continuo, recentemente si era dedicato con passione ad elaborare gli spunti di una nuova politica economica dopo aver assistito alle forti delusioni delle precedenti strategie a cui la classe nostrana ci aveva esposto. La Sardegna, diceva sempre, ha competenze valoriali, professionali e intellettuali in grado di garantire uno sviluppo sociale e civile al pari di altre regioni se sono supportate bene dalle istituzioni.
Lo Statuto regionale del 1948 ha attribuito alla Sardegna una democrazia formale, non sostanziale. Non vi è stata una integrazione sociale ed economica a livello internazionale, con le altre regioni italiane, e neppure all’interno dello stesso territorio regionale, anche per via del centralismo del governo. Una democrazia allargata in cui i cittadini fossero coinvolti nella partecipazione alle scelte nazionali e regionali dal basso assicurerebbe un governo effettivo e una maggiore responsabilità. Oggi, il principio di sussidiarietà, previsto a livello italiano ed europeo, dovrebbe pretenderlo. Perseguire una politica di integrazione sociale ed economica senza una definizione di questo principio, quindi, è impensabile.
Già l’economista Acemoglu e lo scienziato politico Robinson hanno studiato con grande successo, non solo mediatico, i temi relativi alle istituzioni e allo sviluppo economico. Essi si pongono una domanda cruciale: perché alcune nazioni falliscono e altre, invece, diventano sempre più ricche?
La risposta la trovano nella qualità e nel valore delle istituzioni che i paesi si danno. Ci sono paesi che elaborano e applicano istituzioni inclusive, in cui tutti partecipano alla produzione e alla distribuzione della ricchezza, e paesi che predispongono e attuano istituzioni estrattive, cioè, “estraggono” il beneficio della ricchezza a vantaggio di pochi, senza che di esso ne goda la popolazione che rimane ai margini della società. Nel caso di istituzioni estrattive il beneficio, cioè, il reddito che viene ricavato dalle attività del paese, è ripartito in modo iniquo fra due gruppi sociali: molto del beneficio va ad una parte minoritaria della popolazione, e poco del beneficio agli altri membri della società. Siccome il reddito viene consumato e sperperato nel primo caso, e utilizzato per la sopravvivenza nel secondo caso, manca l’accumulazione del capitale, quindi, le nazioni non progrediscono e decadono.
Bisogna distinguere istituzioni economiche e istituzioni politiche. Queste ultime, facendo leva sui pubblici poteri, possono assicurare per tutti l’esistenza dei diritti che le istituzioni economiche garantiscono, nei casi concreti e secondo le dovute modalità. Esiste un circolo virtuoso fra le istituzioni economiche e politiche, così, allo stesso modo esiste un circolo vizioso fra le istituzioni, o fra le istituzioni economiche e alcuni gruppi sociali, che potrebbero far leva sulle istituzioni politiche a diversi livelli.
La caratteristica più importante delle società inclusive è che queste sono dinamiche, culturalmente vivaci e imprenditorialmente attive, hanno l’obiettivo della innovazione e della concorrenza e, pertanto, conseguono normalmente una continua crescita.
Nelle società “estrattive”, invece, la gran parte della popolazione, non avendo alcun interesse a far crescere solo una parte piccola della società, non avendo alcun beneficio dalla concorrenza, dalla innovazione, dai servizi e spesso dalla scelta del lavoro o dei diritti fondamentali, sarà meno propensa a fare ulteriori sacrifici per risparmiare e per far crescere la nazione. Le società estrattive, pertanto, prima o poi saranno destinate al declino e al fallimento.
Sabattini sostiene che la nostra società regionale è essenzialmente estrattiva, soprattutto a causa dei governi che abbiamo avuto e che alla Sardegna non hanno concesso nulla, quindi è necessario porre mano ad una revisione dello Statuto. Secondo Sabattini una revisione del testo della Carta Costituzionale che potrebbe venire incontro alle esigenze dei nostri territori, in particolare di quelli dell’interno, potrebbe essere quella che prevede un federalismo. A questo fine si è spesso battuto per una modifica del rapporto con lo Stato e dello Statuto regionale.
Ma non basta. Il principio di sussidiarietà richiede anche la partecipazione dei cittadini alla scelta e alla distribuzione delle risorse. Esistono grandi disparità all’interno della regione e certamente i comuni e le autonomie locali non partecipano alla ripartizione della ricchezza secondo criteri più equitativi.
L’obiettivo della politica economica regionale dovrebbe essere quello di superare la parzialità che l’ha sempre caratterizzata: cioè, superare la staticità delle condizioni economiche dei territori, “attraverso la mobilitazione di tutte le risorse materiali e personali in essi presenti” . Si tratta di considerazioni che vanno ben al di là delle semplici riforme burocratiche e anche una maggiore maturità di tutti. In Sardegna sono le istituzioni estrattive che prevalgono e che si impongono. Sarebbe necessario ripensare ad un nuovo modello di governance per evitare lo spopolamento e la povertà delle popolazioni.
Il motivo per cui lo sviluppo locale continuerà a non avere l’attenzione che meriterebbe è che la classe politica locale continuerebbe a praticare una politica economica che le permette di “estrarre” il maggior beneficio elettorale e non di migliorare le condizioni di vita, di lasciare in continuazione le cose come stanno.
Migliorare la vita civile e sociale della Sardegna era il più grande desiderio di Gianfranco Sabattini, non solo una richiesta di politica economica, tanto meno, solo per dire.
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Articolo pubblicato in contemporanea su Democraziaoggi, il manifesto sardo, Aladinpensiero: le tre testate online di cui Gianfranco Sabattini è stato negli ultimi anni prestigioso e infaticabile editorialista.
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- Su Democraziaoggi.
- Su il manifesto sardo.
Oggi mercoledì 23 dicembre 2020
————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti————————
Per lor Signori è folle festa tutto l’anno!
23 Dicembre 2020
Amsicora su Democraziaoggi
Ci sono delle notizie che mi lasciano sorpreso, esterrefatto. Prendete la vicenda del fuoriclasse cileno Luis Suarez e del suo esame di lingua italiana. D’accordo, avere uno che con la palla ci delizia è un obiettivo primario che merita qualche pazzia, e poi lui brilla non nel capo ma nei piedi e quelli li comanda […]
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Un dibattito da riprendere. La partecipazione dei lavoratori e la trasformazione dell’economia
21 Dicembre 2020 by c3dem_admin | su C3dem.
Il tema della partecipazione dei lavoratori alla vita delle loro aziende (alla gestione, ai dividendi, all’organizzazione del lavoro…) è un tema ricorrente nella storia del movimento operaio e sindacale. Anche se in Italia ha avuto una scarsa eco. Da qualche tempo, però, se ne parla in sede di negoziati contrattuali (per esempio il contratto dei metalmeccanici). Oggi, nel mezzo della gravissima crisi economica e sociale provocata dalla pandemia, se ne parla con più convinzione. Il tema della condivisione appare, a tutti i livelli, più sentito…
L’autore, Sandro Antoniazzi, già dirigente sindacale ai più alti livelli, guarda avanti e indica la prospettiva verso cui andare.
Marcia per la Pace
Che succede?
LA CAPACITA’ CHE SERVE PER IL PIANO DI RINASCITA
21 Dicembre 2020 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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Comunque auguri
Enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti
CAPITOLO TERZO
PENSARE E GENERARE UN MONDO APERTO
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Oggi martedì 22 dicembre 2020
————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti————————
Dalla fredda Germania un sardo ci scrive…
22 Dicembre 2020
Pietro Casula su Democraziaoggi.
Caro Pubusa,
chiaro che un confronto con la Germania – in punto disciplina – lo perdiamo; li il sistema funziona e i rappresentanti politici agiscono, lavorano nell’interesse della comunità. I nostri prioritariamente allo scranno, poi al consenso, poi ancora al partito di appartenenza e poi…ah già, poi anche agli elettori, alla […]
Pietro Casula | presidenza@movimentoperlasardegna.com
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Un’Europa solidale e responsabile
Il discorso di apertura della Presidente von der Leyen alla conferenza stampa congiunta con il Presidente Michel seguita alla riunione straordinaria del Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020. “L’Europa ha ancora il coraggio e l’immaginazione per pensare in grande!”
Luci di carità in tempi di pandemia
Lunedì 21 dicembre, puntuale ed efficiente come sempre, la Caritas della Diocesi di Cagliari ha presentato il X Dossier 2020 “Luci di carità in tempi di pandemia”. Il volume è stato presentato da don Marco Lai, direttore Caritas, Franco Manca, economista, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari. Contiamo nel corso delle prossime settimane di pubblicare alcuni contributi presenti nel
libro, in versioni integrali o riassuntive. Per praticità, già disponendo della versione digitale, iniziamo con il contributo del direttore di Aladinpensiero.
Fratelli tutti e Laudato si’: strumenti per la costruzione di un mondo migliore.
Riflessioni su alcune tematiche “laiche” così come trattate dalle due encicliche: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA*
di Franco Meloni
PREMESSA
L’enciclica “Fratelli tutti. Sulla fraternità e l’amicizia sociale” ci fa sentire partecipi della grande famiglia umana, abitanti della Terra, casa comune, che Papa Francesco ha ben descritto nella precedente enciclica Laudato si’. I due documenti si integrano e si completano, fornendoci strumenti per la costruzione di un mondo migliore. Ma non cerchiamo in essi ricette preconfezionate: le scelte in definitiva competono a noi, come singoli, come membri di aggregazioni comunitarie, e, per quanti lo sono, come rappresentanti istituzionali.
Veniamo al tema, la fraternità: è un valore assoluto, di cui disponiamo tutti, almeno in teoria, senza averla in nessun modo conquistata e meritata. Per i credenti “la nostra volontà non c’entra: siamo fratelli non perché lo vogliamo, ma perché siamo figli di Dio che è, di tutti noi, padre” (1). Anche i non credenti, almeno molti tra loro, pur senza coinvolgere Dio, ci credono! (2) Tanto è che la fraternità costituisce il terzo grande valore della triade della Rivoluzione francese «Libertà, uguaglianza e fraternità», bandiera del pensiero laico (3).
Se siamo fratelli e sorelle, come siamo, spetta a ciascuno di noi comportarci di conseguenza, per godere effettivamente di questo status naturale. Ma il mondo non va esattamente in tale giusta direzione. A moltissime persone su questa Terra non è riconosciuto il diritto alla fraternità. Un virtuoso programma mondiale dovrebbe tendere a renderlo effettivo, rimuovendo tutte le cause che lo impediscono.
E, invece… Addirittura nel tempo, soprattutto nel nostro tempo, la fraternità è stata quasi dimenticata. Perché? “Forse la causa sarà stata una confusione – errata confusione – tra fraternità e uguaglianza sociale. E dunque, fallite le forme di realizzazione storicamente date di tale uguaglianza (fallito cioè il cosiddetto socialismo reale), si è preferito non pensarci più. Qualunque sia la causa, resta il fatto che si è trattato – e si tratta – di una disattenzione imperdonabile” (1bis).
In sostanza così pensa anche il Papa che nella sua enciclica esalta la fraternità, sostenendone l’importanza fino a capovolgere la gerarchia tra i tre valori, dando alla fraternità la funzione di dare senso agli altri due (4): “La fraternità non è solo il risultato di condizioni di rispetto per le libertà individuali, e nemmeno di una certa regolata equità. (…) ha qualcosa di positivo da offrire alla libertà e all’uguaglianza. Che cosa accade senza la fraternità consapevolmente coltivata, senza una volontà politica di fraternità, tradotta in un’educazione alla fraternità, al dialogo, alla scoperta della reciprocità e del mutuo arricchimento come valori? Succede che la libertà si restringe, risultando così piuttosto una condizione di solitudine, di pura autonomia per appartenere a qualcuno o a qualcosa, o solo per possedere e godere. Questo non esaurisce affatto la ricchezza della libertà, che è orientata soprattutto all’amore. Neppure l’uguaglianza si ottiene definendo in astratto che «tutti gli esseri umani sono uguali», bensì è il risultato della coltivazione consapevole e pedagogica della fraternità” [FT 103, 104]. La fraternità dimenticata da tutti? Sì, ma per fortuna non dai poeti – ricordate la poesia Fratelli di Giuseppe Ungaretti? (5) – e dagli artisti in generale. Un esempio lo fornisce lo stesso Papa quando nell’enciclica cita un verso della canzone Samba delle Benedizioni di Vinicius de Moraes [FT 215], che rende magnificamente l’invito a far crescere una cultura dell’incontro, laddove si pratica la fraternità: «La vita è l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita». E prosegue il Papa nella proposizione di un “modello di riferimento di società aperta ed inclusiva” ben rappresentato dalla figura geometrica del poliedro “che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità ricca di sfumature, perché «il tutto è superiore alla parte». Il poliedro rappresenta una società in cui le differenze convivono integrandosi, arricchendosi e illuminandosi a vicenda (…). Da tutti, infatti, si può imparare qualcosa, nessuno è inutile, nessuno è superfluo” [FT 215 e LS 237] (6).
Tornando alla fraternità: dunque è un dono e personalmente ne sento l’afflato consolatorio nella sua pratica negli ambienti comunitari, ma ho la consapevolezza che si tratti di un privilegio, considerato che molta parte dell’umanità non ne può godere i benefici, in tutta la loro possibile estensione, a causa della difficile, per tanti drammatica, situazione in cui versa il nostro Pianeta, sia sul versante ambientale, sia su quello sociale ad esso strettamente connesso. Non esiste benessere della Terra senza che sussista contemporaneamente quello dei suoi abitanti, nell’accezione di “ecologia integrale”, concetto profondo dell’enciclica Laudato si’, che, come mi piace rimarcare, trova una “corrispondenza laica” nell’Agenda Onu 2030 (7).
Rifletto sul quadro che l’enciclica Laudato si’ mostra con crudo realismo: 1) il Pianeta è in pericolo, ma comunque sopravvivrà; chi rischia l’estinzione è l’umanità intera con gli altri esseri viventi, travolta da sconvolgimenti ambientali che non si vogliono adeguatamente contrastare; 2) nonostante la pandemia, purtroppo ancora in atto, continuano le guerre in tutto il mondo, una «terza guerra mondiale a pezzi», mentre crescono dappertutto le diseguaglianze e le povertà in un contesto mondiale “dominato dall’incertezza, dalla delusione e dalla paura del futuro e controllato dagli interessi economici miopi”.
E cerco allora possibili vie d’uscita, non solamente sul piano dell’impegno intellettuale, ma concretamente sulla modifica dei comportamenti (la “conversione ecologica”) perché mi sento pienamente coinvolto e perfino in qualche misura responsabile dell’attuale situazione, anche con riferimento alle realtà di impegno civile in cui sono inserito.
Nessuno deve tirarsi indietro per piccolo possa essere il contributo di ciascuno.
Ci aiutano in questa impresa proprio le due ultime encicliche di Papa Francesco.
Individuo alcune connessioni tra le stesse che mi aiutino a comprendere la situazione e che m’illuminino rispetto al “che fare?”. E’ un percorso che mi/ci impegna come cattolici, ma che può coinvolgere tutti. Proprio secondo gli intendimenti del Papa: [FT 6] “Consegno questa Enciclica sociale come un umile apporto alla riflessione affinché (…) siamo in grado di reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole. Pur avendola scritta a partire dalle mie convinzioni cristiane, che mi animano e mi nutrono, ho cercato di farlo in modo che la riflessione si apra al dialogo con tutte le persone di buona volontà”. Intendimenti ormai nella consuetudine dei Papi, da Giovanni XXIII (Pacem in terris, 1963) in poi.
L’enciclica “Fratelli tutti” richiama esplicitamente la “Laudato si’” in 23 note, sulle quali opero un’arbitraria selezione, riconducendo i contenuti a tre grandi tematiche, che schematizzo nei titoli seguenti: IL LAVORO, POLITICA ed ECONOMIA, BENI COMUNI e PROPRIETA’ PRIVATA.
IL LAVORO
Alla questione il Papa dà molta enfasi, situandola nel solco tradizionale della Dottrina sociale della Chiesa, evitando di portarsi avanti nel dibattito sul rapporto tra lavoro e reddito, che pur aveva trattato in un precedente sorprendente intervento (8)
Dice il Papa [FT 162]: “Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare – perché promuove il bene del popolo – è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze. Questo è il miglior aiuto per un povero, la via migliore verso un’esistenza dignitosa. Perciò insisto sul fatto che «aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze”. Ecco il passaggio in cui il Papa non insiste sulle teorie del «reddito universale di base» se non nel proporlo per le fasi emergenziali. Sostiene infatti che “Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Per quanto cambino i sistemi di produzione, la politica non può rinunciare all’obiettivo di ottenere che l’organizzazione di una società assicuri ad ogni persona un modo di contribuire con le proprie capacità e il proprio impegno. Infatti, non esiste peggiore povertà di quella che priva del lavoro e della dignità del lavoro». In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo“. Riprende pertanto quanto scritto nella LS [128]: “Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale.(…) Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro”. Il Papa ha ben presente le radicali trasformazioni del lavoro e mette in guardia da pericolose derive, nel momento in cui “l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso. La riduzione dei posti di lavoro «ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del «capitale sociale», ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile. In definitiva «i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani». Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società”.
Ancora sulla FT [168]: “ Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti. Il neoliberismo riproduce sé stesso tale e quale, ricorrendo alla magica teoria del «traboccamento» o del «gocciolamento» – senza nominarla – come unica via per risolvere i problemi sociali (9). Non ci si accorge che il presunto traboccamento non risolve l’inequità, la quale è fonte di nuove forme di violenza che minacciano il tessuto sociale. Da una parte è indispensabile una politica economica attiva, orientata a «promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale», perché sia possibile aumentare i posti di lavoro invece di ridurli. La speculazione finanziaria con il guadagno facile come scopo fondamentale continua a fare strage. D’altra parte, «senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare». La fine della storia non è stata tale, e le ricette dogmatiche della teoria economica imperante hanno dimostrato di non essere infallibili. La fragilità dei sistemi mondiali di fronte alla pandemia ha evidenziato che non tutto si risolve con la libertà di mercato e che, oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, «dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno»“.
Riprendendo la LS [129]: “ Perché continui ad essere possibile offrire occupazione, è indispensabile promuovere un’economia che favorisca la diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale. Per esempio, vi è una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala, specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di produzione, più diversificate, risultano inutili a causa della difficoltà di accedere ai mercati regionali e globali o perché l’infrastruttura di vendita e di trasporto è al servizio delle grandi imprese. Le autorità hanno il diritto e la responsabilità di adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli produttori e alla diversificazione della produzione. Perché vi sia una libertà economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte può essere necessario porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere finanziario. La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la politica. L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune”.
Da quanto messo in evidenza, risulta esplicita la critica del Papa (ripetuta in molte occasioni) alle teorie economiche dominanti, quelle di stampo neoliberista, che mettono al centro la realizzazione del profitto, piuttosto che del benessere delle persone, generando privilegi e ricchezze per pochi, forti diseguaglianze e povertà per molti. Per converso il Papa incoraggia lo studio e la pratica di economie diverse, quali quelle cosiddette circolari o che si rifanno ai principi dell’economia civile. Afferma Papa Francesco in altra circostanza (10): “l’economia, nel suo senso umanistico di “legge della casa del mondo”, è un campo privilegiato per il suo stretto legame con le situazioni reali e concrete di ogni uomo e di ogni donna. Essa può diventare espressione di “cura”, che non esclude ma include, non mortifica ma vivifica, non sacrifica la dignità dell’uomo agli idoli della finanza, non genera violenza e disuguaglianza, non usa il denaro per dominare ma per servire (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 53-60)”.
[segue]