Monthly Archives: settembre 2020

APPELLO. Un albero in più

un-allbero-in-piu-1ANCHE A CAGLIARI E IN SARDEGNA. ALADINPENSIERO RILANCIA L’APPELLO DELLE COMUNITA’ LAUDATO SI’, DI LEGAMBENTE E DI TANTE ALTRE ORGANIZZAZIONI ECOLOGISTE.
Lo scorso settembre le Comunità Laudato si’ hanno lanciato l’appello per piantare in Italia 60 milioni di alberi, uno per abitante.
Legambiente e altre organizzazioni ecologiste, da sempre impegnate nelle campagne “Festa dell’albero”, nonché singoli esponenti della Cultura e della Politica*,

Papa Francesco: due parole-chiave dell’ecologia integrale: contemplazione e compassione

340fe63d-13aa-4af3-86a2-1eb564def3e1lampadadialadmicromicro13Anticipazioni. Tre giornali online (il manifesto sardo, Giornalia e Aladinpensiero)
eb1ab7a0-ad5a-4f9d-a7f9-b44e995d2736organizzano per domenica 4 ottobre (festa di san Francesco), ore 18-19, un video-incontro sulle tematiche della “Fratellanza universale nel mondo sconvolto dalla pandemia e dalle disuguaglianze. Il ruolo delle grandi Culture dalle contrapposizioni all’integrazione”. Ci stiamo lavorando. La nuova enciclica di Papa Francesco “Fratelli tutti” e la dichiarazione di Abu Dhabi del 4 febbraio 2019 costituiranno due importanti riferimenti dell’iniziativa.

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO COMUNITÀ LAUDATO SI’
Aula Paolo VI, Sabato, 12 settembre 2020.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Vi do il benvenuto, e salutando voi desidero raggiungere tutti i membri delle Comunità Laudato si’ in Italia e nel mondo. Ringrazio il Signor Carlo Pertini nella mia lingua paterna, non materna: “Carlìn”. Avete posto come centro propulsore di ogni vostra iniziativa l’ecologia integrale proposta dall’Enciclica Laudato si’. Integrale, perché tutti siamo creature e tutto nel creato è in relazione, tutto è correlato. Anzi, oserei dire, tutto è armonico. Anche la pandemia lo ha dimostrato: la salute dell’uomo non può prescindere da quella dell’ambiente in cui vive. È poi evidente che i cambiamenti climatici non stravolgono solo gli equilibri della natura, ma provocano povertà e fame, colpiscono i più vulnerabili e a volte li obbligano a lasciare la loro terra. L’incuria del creato e le ingiustizie sociali si influenzano a vicenda: si può dire che non c’è ecologia senza equità e non c’è equità senza ecologia.

Voi siete motivati a prendervi cura degli ultimi e del creato, insieme, e volete farlo sull’esempio di San Francesco d’Assisi, con mitezza e laboriosità. Vi ringrazio per questo, e rinnovo l’appello a impegnarsi per salvaguardare la nostra casa comune. È un compito che riguarda tutti, specialmente i responsabili delle nazioni e delle attività produttive. Serve la volontà reale di affrontare alla radice le cause degli sconvolgimenti climatici in atto. Non bastano impegni generici – parole, parole… – e non si può guardare solo al consenso immediato dei propri elettori o finanziatori. Occorre guardare lontano, altrimenti la storia non perdonerà. Serve lavorare oggi per il domani di tutti. I giovani e i poveri ce ne chiederanno conto. È la nostra sfida. Prendo una frase del teologo martire Dietrich Bonhoeffer: la nostra sfida, oggi, non è “come ce la caviamo”, come noi usciamo da questa realtà; la nostra sfida vera è “come potrà essere la vita della prossima generazione”: dobbiamo pensare a questo!

Cari amici, ora vorrei condividere con voi due parole-chiave dell’ecologia integrale: contemplazione e compassione.

Contemplazione. Oggi, la natura che ci circonda non viene più ammirata, contemplata, ma “divorata”. Siamo diventati voraci, dipendenti dal profitto e dai risultati subito e a tutti i costi. Lo sguardo sulla realtà è sempre più rapido, distratto, superficiale, mentre in poco tempo si bruciano le notizie e le foreste. Malati di consumo. Questa è la nostra malattia! Malati di consumo. Ci si affanna per l’ultima “app”, ma non si sanno più i nomi dei vicini, tanto meno si sa più distinguere un albero da un altro. E, ciò che è più grave, con questo stile di vita si perdono le radici, si smarrisce la gratitudine per quello che c’è e per chi ce l’ha dato. Per non dimenticare, bisogna tornare a contemplare; per non distrarci in mille cose inutili, occorre ritrovare il silenzio; perché il cuore non diventi infermo, serve fermarsi. Non è facile. Bisogna, ad esempio, liberarsi dalla prigionia del cellulare, per guardare negli occhi chi abbiamo accanto e il creato che ci è stato donato.

Contemplare è regalarsi tempo per fare silenzio, per pregare, così che nell’anima ritorni l’armonia, l’equilibrio sano tra testa, cuore e mani; tra pensiero, sentimento e azione. La contemplazione è l’antidoto alle scelte frettolose, superficiali e inconcludenti. Chi contempla impara a sentire il terreno che lo sostiene, capisce di non essere al mondo solo e senza senso. Scopre la tenerezza dello sguardo di Dio e comprende di essere prezioso. Ognuno è importante agli occhi di Dio, ognuno può trasformare un po’ di mondo inquinato dalla voracità umana nella realtà buona voluta dal Creatore. Chi sa contemplare, infatti, non sta con le mani in mano, ma si dà da fare concretamente. La contemplazione ti porta all’azione, a fare.

Ecco dunque la seconda parola: compassione. È il frutto della contemplazione. Come si capisce che uno è contemplativo, che ha assimilato lo sguardo di Dio? Se ha compassione per gli altri – compassione non è dire: “questo mi fa pena…”, compassione è “patire con” –, se va oltre le scuse e le teorie, per vedere negli altri dei fratelli e delle sorelle da custodire. Quello che ha detto alla fine Carlo Petrini sulla fratellanza. Questa è la prova, perché così fa lo sguardo di Dio che, nonostante tutto il male che pensiamo e facciamo, ci vede sempre come figli amati. Non vede degli individui, ma dei figli, ci vede fratelli e sorelle di un’unica famiglia, che abita la stessa casa. Non siamo mai estranei ai suoi occhi. La sua compassione è il contrario della nostra indifferenza. L’indifferenza – mi permetto la parola un po’ volgare – è quel menefreghismo che entra nel cuore, nella mentalità, e che finisce con un “che si arrangi”. La compassione è il contrario dell’indifferenza.
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Vale anche per noi: la nostra compassione è il vaccino migliore contro l’epidemia dell’indifferenza. “Non mi riguarda”, “non tocca a me”, “non c’entro”, “è cosa sua”: ecco i sintomi dell’indifferenza. C’è una bella fotografia – l’ho detto altre volte –, fatta da un fotografo romano, si trova nell’Elemosineria. Una notte d’inverno, si vede che esce da un ristorante di lusso una signora di una certa età, con la pelliccia, il cappello, i guanti, ben coperta dal freddo esce, dopo aver mangiato bene – che non è peccato, mangiare bene! [ridono] – e c’è alla porta un’altra donna, con una stampella, malvestita, si vede che sente il freddo… una homeless, con la mano tesa… E la signora che esce dal ristorante guarda da un’altra parte. La foto si chiama “Indifferenza”. Quando l’ho vista, ho chiamato il fotografo per dirgli: “Sei stato bravo a prendere questo in modo spontaneo”, e ho detto di metterla nell’Elemosineria. Per non cadere nello spirito dell’indifferenza. Invece, chi ha compassione passa dal “di te non m’importa” al “tu sei importante per me”. O almeno “tu tocchi il mio cuore”. Però la compassione non è un bel sentimento, non è pietismo, è creare un legame nuovo con l’altro. È farsene carico, come il buon Samaritano che, mosso da compassione, si prende cura di quel malcapitato che neppure conosce (cfr Lc 10,33-34). Il mondo ha bisogno di questa carità creativa e fattiva, di gente che non sta davanti a uno schermo a commentare, ma di gente che si sporca le mani per rimuovere il degrado e restituire dignità. Avere compassione è una scelta: è scegliere di non avere alcun nemico per vedere in ciascuno il mio prossimo. E questa è una scelta.

Questo non vuol dire diventare molli e smettere di lottare. Anzi, chi ha compassione entra in una dura lotta quotidiana contro lo scarto e lo spreco, lo scarto degli altri e lo spreco delle cose. Fa male pensare a quanta gente viene scartata senza compassione: anziani, bambini, lavoratori, persone con disabilità… Ma è scandaloso anche lo spreco delle cose. La FAO ha documentato che, nei Paesi industrializzati, vengono buttate via più di un miliardo – più di un miliardo! – di tonnellate di cibo commestibile! Questa è la realtà. Aiutiamoci, insieme, a lottare contro lo scarto e lo spreco, esigiamo scelte politiche che coniughino progresso ed equità, sviluppo e sostenibilità per tutti, perché nessuno sia privato della terra che abita, dell’aria buona che respira, dell’acqua che ha il diritto di bere e del cibo che ha il diritto di mangiare.

Sono certo che i membri di ogni vostra Comunità non si accontenteranno di vivere da spettatori, ma saranno sempre protagonisti miti e determinati nel costruire il futuro di tutti. E tutto questo fa la fraternità. Lavorare come e da fratelli. Costruire la fraternità universale. E questo è il momento, questa è la sfida di oggi. Vi auguro di alimentare la contemplazione e la compassione, ingredienti indispensabili dell’ecologia integrale. Vi ringrazio ancora per la vostra presenza e per il vostro impegno. Vi ringrazio per le vostre preghiere. A coloro di voi che pregano, chiedo di pregare, e a chi non prega, almeno mandatemi buone onde, ne ho bisogno! [ridono, applauso]

E adesso vorrei chiedere a Dio che benedica ognuno di voi, benedica il cuore di ognuno di voi, che sia credente o non credente, di qualsiasi tradizione religiosa sia. Che Dio benedica tutti voi. Amen.

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La foto di Carlo Petrini con Papa Francesco è tratta dal sito web delle Comunità Laudato si’, dove è anche pubblicato il video dell’udienza del 13 settembre 2020, di cui sotto richiamiamo il link.
Papa Francesco:due parole-chiave dell’ecologia integrale: contemplazione e compassione
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- Anche su Giornalia.

Uscire dalla crisi del capitalismo o dal capitalismo in crisi? Un vecchio quanto attuale dilemma. Dibattito

bb968f1d-c034-4ee2-b37d-62b575080041 lampadadialadmicromicro13Riprendiamo di seguito l’editoriale di Donato Speroni, direttore del sito web dell’ASviS (Alleanza per lo Sviluppo sostenibile), organizzazione a cui Aladinpensiero News è associata, pubblicato l’11 settembre u.s. Riteniamo sia un utile contributo al Dibattito in corso sul mondo con e dopo il coronavirus. Per gli aspetti legati alle trasformazioni del lavoro e delle imprese, segnaliamo, per correlazione, l’articolo di Nino Lisi, apparso su Sbilanciamoci! e ripubblicato dal nostro sito.
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Domenica 13 settembre 2020

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Carbonia. Con la fine della guerra, finisce la gestione commissariata ACaI- SMCS
13 Settembre 2020
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Puntuale il post domenicale di Carbonia a partire dal 1° settembre 2019.
E gli abitanti di Carbonia vivono ancora bombardamenti e coprifuoco, attraverso i racconti della guerra, il ricordo che ciascuno ha della guerra, e poi l’abbandono della città, tra il 1942 e il ‘43, e il ritorno al paese. […]
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Papa Francesco: due parole-chiave dell’ecologia integrale: contemplazione e compassione.

340fe63d-13aa-4af3-86a2-1eb564def3e1Anticipazioni. Tre giornali online (il manifesto sardo, Giornalia e Aladinpensiero) organizzano per domenica 4 ottobre (festa di san Francesco), ore 18-19, un video-incontro sulle tematiche della “Fratellanza universale nel mondo sconvolto dalla pandemia e dalle disuguaglianze. Il ruolo delle grandi Culture dalle contrapposizioni all’integrazione”. Ci stiamo lavorando. La nuova enciclica di Papa Francesco e la dichiarazione di Abu Dhabi riferimenti dell’iniziativa.
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO AI PARTECIPANTI ALL’INCONTRO COMUNITÀ LAUDATO SI’
Aula Paolo VI, Sabato, 12 settembre 2020.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
[segue]

Uscire dalla crisi del capitalismo o dal capitalismo in crisi? Un vecchio quanto attuale dilemma. Dibattito

bb968f1d-c034-4ee2-b37d-62b575080041
lampadadialadmicromicro13Riprendiamo di seguito l’editoriale di Donato Speroni, direttore del sito web dell’ASviS (Alleanza per lo Sviluppo sostenibile), organizzazione a cui Aladinpensiero News è associata, pubblicato l’11 settembre u.s. Riteniamo sia un utile contributo al Dibattito in corso sul mondo con e dopo il coronavirus. Per gli aspetti legati alle trasformazioni del lavoro e delle imprese, segnaliamo, per correlazione, l’articolo di Nino Lisi, apparso su Sbilanciamoci! e ripubblicato dal nostro sito.
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È possibile costruire un capitalismo sostenibile?

Negli ultimi 40 anni, il modello neoliberista ha consentito uno sviluppo senza precedenti, ma ha aggravato le disuguaglianze e il degrado del Pianeta. Per modificarne i meccanismi è necessaria un’ampia partecipazione democratica e un “rimbalzo in avanti” dalla crisi in cui siamo, come indica l’Europa.

di Donato Speroni, ASviS.
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La domanda circola da tempo: il capitalismo è compatibile con la costruzione di un mondo sostenibile? Già nel World economic forum di Davos del gennaio scorso, quindi in tempi pre-Covid, il tema prescelto era how stakeholder capitalism can solve the world’s urgent challenges. Il concetto di stakeholder capitalism già implicava una svolta rispetto allo shareholder capitalism, indicando un capitalismo attento agli interessi di tutti (lavoratori, consumatori, comunità locali) e non solo agli azionisti, cioè ai profitti.

Lo shareholder capitalism, di matrice anglosassone, ha dominato il mondo economico negli ultimi quarant’anni, ma ha dimostrato la sua inadeguatezza davanti alle sfide del presente, creando una situazione di insostenibilità sociale e ambientale. Sociale, perché ha creato diseguaglianze sempre più forti, senza essere in grado di assicurare la loro riduzione; ambientale, perché l’economia industriale si è sviluppata senza tener conto in modo stringente delle cosiddette “esternalità”: il consumo di risorse naturali non rinnovabili, l’inquinamento, le emissioni di gas serra responsabili del riscaldamento globale. Sono stati introdotti alcuni correttivi, come il meccanismo di scambio delle emissioni (Ets nell’acronimo inglese di Emission trading scheme) sancito dal protocollo di Kyoto, ma non sono stati sufficienti per porre un freno al degrado del Pianeta.

Ci si chiede, dunque, se l’attuale sistema economico è in grado di autoemendarsi per far fronte alle sfide del futuro. Un interrogativo reso drammatico anche dal fatto che le caratteristiche di un possibile sistema alternativo, il cosiddetto “postcapitalismo”, sono molto nebulose. In contrapposizione all’ideologia liberista, dovrebbe trattarsi di un sistema nel quale gli Stati (e le organizzazioni internazionali) riacquistano un forte potere regolatorio e di intervento. Ma qui si apre una seconda questione: i sistemi democratici che governano queste istituzioni sono in grado di gestire sfide a medio e lungo termine come la crisi climatica, oppure le classi dirigenti (e anche l’opinione pubblica) tendono soltanto a guardare all’immediato, all’arco di una legislatura o di una prossima elezione, sempre accantonando i temi del futuro e scaricandoli sulle prossime generazioni?

Nell’introduzione al dossier “Beyond capitalism” edito da The progressive post si afferma:

Oggi il capitalismo è in crisi profonda. Questo semplice fatto era già conosciuto prima dell’attuale crisi economica, ma è stato messo a nudo per tutti dall’ avvento del coronavirus e dal danno che ha provocato alle sue strutture globalizzate e finanziarizzate, costruite sulla fragile fondazione di debiti e crediti. Non è più in grado di garantire il benessere umano e spinge l’ecosistema del Pianeta verso il collasso. Nella sua forma digitalizzata stimola le disuguaglianze anche se alimenta l’illusione dell’empowerment individuale, favorendo propensioni autoritarie in molti Paesi.

Tra gli articoli contenuti nel dossier, quello di Fabrizio Barca, promotore del Forum Diseguaglianze Diversità e coordinatore del gruppo di lavoro ASviS sul Goal 10, che chiede una “inversione a U” nella dinamica delle disuguaglianze che tendono a rendere questo sistema sempre meno sostenibile dal punto di vista sociale.

Non si tratta di investire grandi risorse, ma di ribilanciare i poteri verso una maggiore giustizia sociale e ambientale, ringiovanendo la democrazia.

L’essenza della proposta di Barca non è nella ridistribuzione delle risorse, ma nei meccanismi di formazione: occorre dare più spazio al lavoro rispetto ai detentori del capitale e in questo modo si ottiene un cambiamento degli obiettivi collettivi verso una maggiore giustizia sociale. Tuttavia mi domando: questa visione presuppone che i lavoratori – quelli che un tempo erano chiamati la classe operaia – siano i più disposti a stimolare il cambiamento verso la sostenibilità sociale ed ambientale. Ma numerosi studi, tra cui un recente articolo del Financial Times, avvertono che la classe lavoratrice oggi vota più a destra, e quindi è meno disposta al cambiamento, della classe media, forse perché teme di perdere quel poco che ha conquistato.

È possibile cambiare questa situazione? Nel suo libro “Changemaker? Il futuro industrioso dell’economia digitale”, Sossella editore/cheFare, Adam Arviddson sostiene che l’economia industriale, ad alta intensità di capitale, si sta contraendo e sta espellendo sempre più manodopera. C’è però la possibilità, grazie alle nuove tecnologie, di ritornare a una “economia industriosa”, ad alta intensità di lavoro.

Arviddson spiega in una intervista ad Alex Giordano, sul Corriere della. Sera:

Nel modello industrioso esiste un grande desiderio di cambiamento: questa imprenditorialità non è necessariamente un fatto di necessità ma è un desiderio, una visione. Alla base c’è una volontà di trasformazione, seppur spesso puramente personale. Si tratta quindi di progetti che non vengono inseriti in grandi schemi politici ma che hanno a che fare con percorsi di autorealizzazione individuale. Questo riguarda pesantemente il knowledge worker ma riguarda anche quelli che lavorano nei piani più bassi dell’economia: i lavoratori delle fabbriche di elettronica di Shen Zhen se riescono aprono piccolo banco nel mercato e si mettono a riparare o customizzare o hackerare gli iPhone. Nei mercati africani è pieno di piccoli negozi di mobile phone dove puoi ricaricare o crackare il cellulare e dove vengono usate anche forum di software open source.

Le nuove tecnologie consentirebbero dunque di ridefinire il lavoro e di offrire nuove opportunità di autoimpiego, evitando l’emarginazione di milioni di persone. Questa nuova classe lavoratrice sarà più aperta alle scelte necessarie per uno sviluppo sostenibile? Una possibile risposta ci viene dal saggio “After carbon democracy” di Alyssa Battistoni. e Jediah Britton-Purdy, pubblicato di Dissent e ripreso in italiano dalla rivista Una città.

Dunque, siamo davvero noi il problema? Quali sono le prospettive per una “no-carbon democracy” nel Ventunesimo secolo?

Nel “Financial Times”, affidabile barometro del pensiero elitario, un redattore si è recentemente domandato: “La democrazia può sopravvivere senza il petrolio?”. La risposta non è facile: “Nessun elettorato voterà mai per ridimensionare il proprio stile di vita? Non possiamo certo incolpare i politici cattivi o le corporation. È colpa nostra: preferiremo sempre la crescita al clima”.

Persino i meglio disposti, a sinistra, non possono non preoccuparsi di quello che un drastico cambiamento delle condizioni materiali di vita potrebbe comportare per il destino della democrazia. Nel suo libro Carbon Democracy, lo storico Timothy Mitchell sostiene che “le politiche democratiche si sono sviluppate grazie al petrolio con un particolare orientamento verso il futuro; il futuro era l’orizzonte infinito della crescita”. Ora sappiamo che quell’orizzonte si sta restringendo.

Gli autori si pongono la domanda se è possibile combattere il cambiamento climatico in un sistema democratico: apparentemente, un regime autoritario, “capace di costruire ferrovie ad alta velocità o di interrompere da un giorno all’altro una produzione di carbone” ha migliori possibilità di intervenire sul clima. Ma “non è ancora ora di mandare la democrazia nel dimenticatoio”: bisogna invece convincere la maggioranza e in realtà una maggioranza a favore delle scelte ambientaliste si può costruire.

In effetti, esiste un programma climatico ambizioso, che si propone di sostenere alti costi a beneficio di popolazioni straniere e delle generazioni future e che sta mobilitando gli attivisti e attraendo a sé i candidati delle primarie democratiche.

Il Green New Deal rappresenta una scommessa sul fatto che sia più democrazia, e non meno, la strada per affrontare il cambiamento climatico, anche se non abbiamo ancora una democrazia perfetta. La premessa è che l’azione climatica, per avere successo politicamente, deve essere popolare; ciò significa che deve offrire benefici alle persone, e non solo chiedere loro sacrifici per il bene del futuro.

Oggi però “non esiste una base elettorale per un movimento di austerity ecologista”, ma in prospettiva

non hai bisogno di cambiare lo spirito e la mentalità di tutti, in un Paese; non devi necessariamente produrre una trasformazione morale improvvisa. È sufficiente convincere una maggioranza di persone. E una grande maggioranza di persone ha indicato il proprio sostegno a molte delle componenti del Green New Deal: la garanzia di occupazione lavorativa; l’investimento su energie rinnovabili al 100%; il ripristino di terreni e foreste; l’investimento nei trasporti pubblici, e così via.

Conclude il saggio:

Ci aspetta una lotta lunga e difficile, piena di tensioni e di domande: qual è la volontà del popolo, e chi è il popolo, e come realizzare la sua volontà con istituzioni rigide, infrastrutture ancor più rigide, un capitale a piede libero e un popolo invece non pienamente libero? Il tutto mentre la natura, sempre più imprevedibile, si disinteressa di noi.

Questo è, sfortunatamente, lo stato della politica, di questi tempi, anche in momenti in cui la posta in gioco è alta e chiara e l’obiettivo è quello di realizzare pienamente la democrazia. Tuttavia, non c’è un’altra via d’uscita: bisogna passare di qui.

Proviamo a riassumere questo complesso ragionamento sulla base degli articoli citati: l’economia di mercato, cioè il capitalismo come l’abbiamo conosciuto finora, non è in grado di affrontare i temi della sostenibilità sociale e ambientale. Ma il capitalismo sta nuovamente cambiando, anche perché le nuove tecnologie rivalutano il ruolo dell’individuo e aprono nuove prospettive di partecipazione e di potere alla classe lavoratrice. Non è però scontato che i lavoratori siano disposti a fare scelte di medio e lungo termine che possono comportare sacrifici, anche se cresce la sensibilità ai temi dell’ambiente e della difesa del Pianeta. Dobbiamo dunque trasformare questa nuova sensibilità in una maggioranza “non silenziosa” per imporre un sistema che regoli i meccanismi di mercato nel rispetto del Pianeta e verso un maggiore equilibrio sociale. Questa è la battaglia politica che abbiamo davanti.

Vaste programme, avrebbe detto il generale De Gaulle. È importante però che in questa battaglia si possa contare sull’impegno dell’Europa, confermato in questi giorni dalla pubblicazione del primo Strategic foresight report annuale, diffuso in vista dello State of the Union che la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen presenterà il 15 settembre. La parola chiave del rapporto è “resilienza” riecheggiando in questa scelta la parola d’ordine lanciata da tempo dall’ASviS: soltanto consolidando i nostri punti di forza – sostiene la Commissione – si può “rimbalzare avanti” dopo la crisi del Covid.

Il rapporto analizza la resilienza nelle sue quattro dimensioni interconnesse: socioeconomica, geopolitica, verde e digitale, e spiega la sua importanza per raggiungere i nostri obiettivi strategici di lungo termine nel contesto delle transizioni verde, digitale e giusta.

Il documento non si limita alle parole, ma propone anche due prototipi di dashboard, strumentazioni statistiche per misurare le resilienze dei Paesi dell’Unione in campo socioeconomico e in campo geopolitico, verde, digitale. Come nell’Agenda 2030 dell’Onu, infatti, ogni effettiva trasformazione si deve poter monitorare attraverso indicatori che anno dopo anno indichino lo stato dell’arte e la necessità di interventi.

Questo documento può essere letto come una conferma della volontà europea di perseguire un modello di sviluppo che si basi su un capitalismo emendato per poter raggiungere gli obiettivi di sostenibilità e su una crescita dei meccanismi democratici che diano più forza alla partecipazione popolare.
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I segni che cogliamo nella nostra attività confermano i progressi nella sensibilità collettiva anche in Italia. Li vediamo nella mobilitazione per il prossimo Festival dello Sviluppo Sostenibile, nel nuovo protagonismo dei giovani, anche nella nuova attenzione all’Agenda 2030 mostrata dal mondo politico, con il collegamento reso esplicito sul sito della Camera tra il lavoro delle Commissioni permanenti e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Il Rapporto annuale che l’ASviS presenterà l’8 ottobre a conclusione del Festival metterà in chiaro le priorità da perseguire per uno sviluppo sostenibile in questa epoca così diversa da come ce l’eravamo immaginata e contribuirà alle scelte del Paese che deve cogliere l’occasione unica dei fondi europei per scelte di rinnovamento verso l’economia verde e la digitalizzazione.

Venerdì 11 Settembre 2020, su ASviS.

DOCUMENTAZIONE

linee_pnrr_ita-1_ori_crop_master__0x0_192x144- LINEE GUIDA PER LA DEFINIZIONE DEL PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA [9 settembre 2020].
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Un confronto con il piano francese

Che succede?

c3dem_banner_04SULLA PANDEMIA. SULL’EUROPA E SUL DIRITTO D’ASILO. SU SAVIANO E SU DE LUCA
11 Settembre 2020 su C3dem.
RECOVERY FUND E FUTURO DELL’ITALIA. REFERENDUM. CHIAREZZA ANTI-BARBARIE
9 Settembre 2020 su C3dem.
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Oggi sabato 12 settembre 2020

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Appello: non si restringano gli spazi di partecipazione!

dibattito_pubblico“Il Dibattito Pubblico affossato prima ancora di nascere”
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Il Senato in considerazione dell’emergenza sanitaria da COVID-19 ha approvato nel disegno di legge Semplificazioni una norma di deroga al ricorso alla procedura di dibattito pubblico prima di una grande opera pubblica, come previsto dal Dpcm n. 76/2018 che ha introdotto nel nostro ordinamento il «Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico». L’appello perché la legge vigente non venga modificata. Aladinpensiero aderisce e s’impegna nella diffusione dell’appello.
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Appello per un cambio di prospettiva della partecipazione in Italia

Siamo esperti di processi partecipativi, studiosi di democrazia deliberativa, membri di associazioni che si occupano di innovazione democratica, cittadini impegnati per il bene comune. Scriviamo per esprimere la nostra preoccupazione per una norma approvata dal Senato nel disegno di legge Semplificazioni: l’introduzione di una deroga al ricorso alla procedura di dibattito pubblico prima di una grande opera pubblica.
Ecco la norma approvata all’articolo 8 del disegno di legge Semplificazioni:
6-bis. In considerazione dell’emergenza sanitaria da COVID-19 e delle conseguenti esigenze di accelerazione dell’iter autorizzativo di grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città o sull’assetto del territorio, sino al 31 dicembre 2023, su richiesta delle amministrazioni aggiudicatrici, le regioni, ove ritengano le suddette opere di particolare interesse pubblico e rilevanza sociale, previo parere favorevole della maggioranza delle amministrazioni provinciali e comunali interessate, possono autorizzare la deroga alla procedura di dibattito pubblico di cui all’articolo 22, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, e al relativo regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 76, consentendo alle medesime amministrazioni aggiudicatrici di procedere direttamente agli studi di prefattibilità tecnico-economica nonché alle successive fasi progettuali, nel rispetto delle disposizioni del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.

Cos’è il Dibattito Pubblico

Il dibattito pubblico è un processo di informazione, partecipazione e confronto pubblico che ha lo scopo di accrescere il coinvolgimento dei cittadini e cittadine nei processi di realizzazione delle grandi opere e si svolge nelle fasi iniziali di elaborazione del progetto, al fine di valutare gli impatti delle diverse alternative e orientare le scelte. Ispirato al modello francese del débat public (introdotto dalla c.d. legge Barnier nel 1995) e già previsto in alcune leggi regionali, non è vincolante per il decisore pubblico ma permette di individuare e trattare con anticipo possibili conflitti che rischierebbero di rallentare la realizzazione degli interventi, come si è verificato in numerosi casi di infrastrutture controverse. Tale procedura ha una durata di pochi mesi, portando benefici sia in termini di trasparenza e democraticità delle decisioni sia in termini di speditezza ed efficacia dell’azione amministrativa, sottraendola alle pressioni settoriali e localistiche. Il dibattito pubblico è uno strumento nato per gestire una conflittualità latente o esplicita e per migliorare la qualità della progettazione delle opere, serve ad aiutare e facilitare la decisione. Non è un elemento di complicazione o rallentamento delle procedure e può essere svolto anche negli ambienti digitali, nel rispetto dei principi inclusivi sul piano del confronto e della deliberazione, della celerità e della tutela sanitaria.
Perché questa deroga è inopportuna
Ci preoccupa la deroga alle norme sul dibattito pubblico. La partecipazione civica è un diritto e una modalità per rendere le scelte più condivise e quindi più sostenibili, non è un intralcio. La norma approvata dal Senato sembra invece appoggiare l’erronea percezione che informare e ascoltare il punto di vista dei cittadini sia una complicazione ed una perdita di tempo, mentre numerose opere in Italia sono ferme proprio a causa della mancanza di dialogo e di informazione delle popolazioni. Un preventivo ascolto civico tende ad accorciare piuttosto che ad allungare un processo decisionale.
Questa deroga nega dunque non solo un diritto individuale riconosciuto da legislazioni internazionali, europee e nazionali, ma impedisce l’adozione di decisioni strategiche e di politiche pubbliche di migliore qualità. E questo proprio in una congiuntura emergenziale durante la quale il coinvolgimento dei cittadini diventa più prezioso in quanto garanzia di trasparenza e di dialogo sociale.
Cosa proponiamo
Chiediamo al Legislatore di ripensarci e di abrogare la norma che introduce la deroga al dibattito pubblico. Invitiamo il Governo a rispettare gli impegni presi anche in sedi internazionali (l’Italia è firmataria della Convenzione di Aahrus) e di mettere al primo posto l’interesse generale e la tutela dei diritti di cittadine e cittadini. La deroga costituisce una regressione dei diritti e un peggioramento dei metodi di decisione e di costruzione delle politiche pubbliche. Da questo punto di vista la scelta del Senato appare non solo incomprensibile, ma anche nociva per la qualità delle opere infrastrutturali di cui il paese ha bisogno.
Le socie ed i soci di Aip2 – Associazione Italiana per la Partecipazione Pubblica

Insieme a:
Chiara L. Pignaris, presidente Associazione Italiana per la Partecipazione Pubblica

Giandiego Càrastro, socio Aip2 e membro Argomenti2000 Senigallia

Giovanni Allegretti, Centro de Estudos Sociais dell’Universitá di Coimbra, Portogallo

Marianella Sclavi, presidente di Ascolto Attivo srl e docente al Master ProPart di Venezia

Agnese Bertello, facilitatrice di Ascolto Attivo srl

Ilaria Casillo, prof. associata Facoltà di urbanistica Università Gustave Eiffel Parigi

Francesca Gelli, direttrice del Master IUAV in Progettazione Partecipata – ProPART

Susan George, docente Università di Pisa, presidente Aip2 2016-2019

Alfonso Raus, formatore, esperto di processi partecipativi e di innovazione territoriale – socio Aip2

Antonio Floridia, dirigente del Settore Politiche per la partecipazione della Regione Toscana

Andrea Pirni, prof. associato di Sociologia dei fenomeni politici, Università di Genova

Sofia Mannelli, presidente associazione Chimica Verde Bionet

Veronica Dini, presidente Systasis – Centro Studi per la prevenzione e la gestione dei conflitti ambientali

Iolanda Romano, socia fondatrice di Avventura Urbana

Ilaria Ramazzotti, Coordinatrice Argomenti2000 Senigallia

Umberto Allegretti, già professore ordinario di diritto pubblico presso l’università di Firenze

Maria Chiara Prodi

Giuseppe Maiorana, direttore dello spazio museale di Belìce/EpiCentro della Memoria Viva _CRESM

Elena Pivato, Urban Center Brescia

Lucia Lancerin, architetto (VI) – socia di Aip2

Elena Farnè, socia di Aip2

Andrea Panzavolta, di Formattiva – socio di Aip2

Giovanni Realdi, insegnante

Gabriella Giornelli

Maria Cristina Venanzi, consulente comunicazione pubblica

Antonio Sgueglia

Sara Giacomozzi, architetto paesaggista – socia di Aip2

Andrea Caccìa, facilitatore – socio Aip2

Andrea Pillon, Avventura Urbana Srl

Lilli Antonacci, facilitatrice e animatrice sociale – socia Aip2

Maurizio Schifano, Service Designer – Associazione Coltivatori di bellezza

Luca Raffini, ricercatore in Sociologia dei fenomeni politici, Università di Genova – socio Aip2

Alessio Conti, professore

Angelo D. Marra, avvocato

Mauro Julini, facilitatore, mediatore, formatore di mediatori e negoziatori – socio Aip2

Antonella Giunta, Aip2

Sara Serravalle, esperta di gestione di conflitti urbani ed ambientali e dottore di ricerca – socia Aip2

Franco Meloni, direttore, e la redazione di Aladinpensiero online

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Per sottoscrivere l’appello inviare una mail a: info@aip2italia.org

Per scaricare il documento
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Fonte illustrazione: https://www.aladinpensiero.it/?p=112366regione-e-ambiente
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Per correlazione
sasso e funeUmberto Allegretti 2-4-08-Buone brevi letture: Umberto Allegretti “Democrazia partecipativa e processi di democratizzazione”, 2009.
- Buone impegnative letture. “Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, fatta ad Aarhus il 25 giugno 1998″. Ratificata dall’Italia con Legge del 16 marzo 2001, n. 108 (Suppl. alla G.U. n.85 dell’11 aprile 2001).
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CONVENZIONE INTERNAZIONALE 25 giugno 1998, Aarhus.
Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, fatta ad Aarhus il 25 giugno 1998
Ratificata con Legge del 16 marzo 2001, n. 108 (Suppl. alla G.U. n.85 dell’11 aprile 2001)
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- Anche su Giornalia.

Appello

dibattito_pubblico“Il Dibattito Pubblico affossato prima ancora di nascere”
appello per un cambio di prospettiva della partecipazione in Italia
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NOI per il NO!

[segue]

Migranti, che fare?

Germany: Cabinet meeting in Berlin(ANSA) – BERLINO, 10 sett. 2020 – “Non possiamo essere soddisfatti della politica migratoria europea. In pratica oggi non esiste ed è un pesante fardello per l’Europa”: lo ha detto senza mezzi termini la cancelliera tedesca Angela Merkel in un incontro con il presidente del Ppe Donald Tusk alla fondazione Konrad Adenauer a Berlino, commentando la decisione sua e del presidente francese Emmanuel Macron di accogliere 400 minori non accompagnati dal campo di Moria, nell’isola greca di Lesbo. [segue]

Oggi venerdì 11 settembre 2020

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—————————Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti————–——–

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REFERENDUM. Il nostro NO è contro una democrazia ancor più oligarchica
10-09-2020 – di Tomaso Montanari e Francesco Pallante
Il nostro obiettivo permanente sul referendum (ormai imminente) prosegue. Oggi riprendiamo un articolo di Tomaso Montanari e Francesco Pallante pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 9 settembre seguito da un breve commento del direttore del giornale, Marco Travaglio. Ad esso risponde, con un post scriptum per Volere la luna, Tomaso Montanari.
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Referendum e il gioco delle tre carte
11 Settembre 2020
Pepe Sini del “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo. Su Democraziaoggi. [segue]

America, America

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Il J’accuse di Bob Woodward
di Marino de Medici

Gli americani in possesso di normali facoltà mentali non possono che raggiungere una conclusione sulla base di diciotto interviste fatte dal giornalista Bob Woodward con il presidente Trump. Sono in pratica la più drammatica denuncia dell’incompetenza di Trump, l’equivalente dei nastri di Nixon che misero in moto la valanga di indagini in sede congressuale e sulla scena nazionale che portarono alle dimissioni del presidente repubblicano. Ma questa volta c’è di più dell’incompetenza, ormai provata da quasi quattro anni di amministrazione Trump che hanno in pratica smantellato la tradizione democratica ed il rispetto di vecchie norme costituzionali e politiche. C’è la criminale negligenza del capo dell’esecutivo che ha ignorato le gravi avvisaglie di una catastrofe in arrivo. E c’è anche la stupefacente irresponsabilità di un capo di stato che ha stroncato le autorità statali e locali che avevano affrontato il covid-19 con la serietà di misure ed interventi che il governo federale non aveva adottato. Il capo di accusa, infatti, occorre sottolinearlo, non riguarda solo il presidente ma l’intero apparato del governo federale nelle mani di un’incosciente leadership repubblicana. [segue]