Monthly Archives: settembre 2020

Che fare dopo il referendum? Dibattito in ambito CoStat e dintorni.

ec42ddf7-4654-4be5-9bf6-27da0e32b220 Riproponiamo alcuni interventi nel dibattito sul “Che fare? dopo il referendum”, avviato nell’ambito del Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria (CoStat), riprendendoli dai giornali online Democraziaoggi, Aladinpensiero, Giornalia.
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Che succede?

c3dem_banner_04TENSIONI IN VATICANO: CASO BECCIU.
25 Settembre 2020 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Franca Giansoldati, “Il papa licenzia Becciu. Lui: ‘Obbedisco’” (Messaggero). Domenico Agasso, “Gli affari immobiliari costano il posto al card. Becciu” (la Stampa). Maria Antonietta Calabrò, “Nel fumo di Londra cade Becciu. Addio dopo incontro choc col papa” (Huffpost). Marco Ansaldo, “Il potente che conosceva tutti i segreti della santa sede” (Repubblica). Paolo Garimberti, “La linea rossa tra fede e potere” (Repubblica). Alberto Melloni, “Ecco la faida interna al Vaticano sullo sfondo del caso Becciu” (domani.it).
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ces25 settembre 2020
DICHIARAZIONE PER LA STAMPA
L’episcopato sardo, sempre in comunione con Papa Francesco, è vicino fraternamente a Sua Eminenza Angelo Becciu, condividendo con lui la forza della preghiera.
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e97e6c99-b3dc-40f8-9618-1f0f6bc47131Il tentativo di Bergoglio di salvare il Vaticano da se stesso
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto/ 25 settembre 2020/ Società & Politica/
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[segue]

Oggi sabato 26 settembre 2020

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791a7587-5f34-4078-ae63-d217117366e5 Prosegue il FESTIVAL ARCHITETTURA CAGLIARI, 18 – 27 SETTEMBRE 2020, SA MANIFATTURA – I CONFINI DEL CAMBIAMENTO
————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti——–
Suarez, perche guardargli la lingua anziché i piedi?
26 Settembre 2020
Amsicora su Democraziaoggi.
Compagni ed amici, una rivelazione! Sono molto amante del calcio. E forse perché da calciatore ero un terzino più fabbro che fine, mi piacciono i campioni; di fronte ai campioni rimango in estasi, non guardo la maglia, li ammiro e basta! Come puoi dare rilievo ai colori delle bandiere quando vedi le giocate di Messi, […]
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Oggi sabato 26 settembre 2020. 26-27-settembre

Il 26 e 27 settembre la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato “Mediterraneo, mare di meticciato e frontiera di pace”

Che fare dopo il referendum? Il dibattito in ambito CoStat

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Riproponiamo alcuni interventi nel dibattito sul “Che fare? dopo il referendum”, avviato nell’ambito del Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria (CoStat), riprendendoli dai giornali online Democraziaoggi, Aladinpensiero, Giornalia.
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Logo_Aladin_PensieroMa il popolo non ha sempre ragione.
Franco Meloni – Commento apparso il 24 settembre 2020 su Democraziaoggi.
Sono stato garbatamente criticato per l’accostamento irriverente dell’episodio evangelico della pronuncia popolare in favore di Barabba contro Gesù, al comportamento dell’elettorato in occasione del referendum. Lo avevo riconosciuto io stesso in premessa del mio intervento, ma non me ne pento, perché il Vangelo è esemplare nel delineare le situazioni, a volte senza bisogno di alcuna ulteriore parola. Come appunto nel caso del brano citato. La volontà del popolo, che in tale circostanza certamente non si espresse democraticamente, non può essere accettata da nessuna persona giusta e ragionevole, come invece fece Pilato. La vicenda ci serve per affermare che le decisioni popolari possono essere giudicate sbagliate e che anche quando espresse democraticamente, come nel caso del nostro referendum, possono essere criticate. Si, devono essere applicate, ma è possibile e legittimo che ci si batta perché nel tempo vengano cambiate. In questa fase non ci si può illudere. Possiamo e dobbiamo limitare le conseguenze nefaste dovute alla riduzione delle rappresentanze e degli spazi della partecipazione democratica. Come? Una nuova legge elettorale, proporzionale e senza eccessivi (o comunque ragionevoli) sbarramenti costituisce un terreno prioritario di impegno politico, che può unificare quanti condividono i valori fondanti della Carta. Concordo pertanto con Andrea Pubusa e con altri autorevoli interlocutori sulla ricerca di questa unità anche con persone e gruppi che hanno appoggiato il Sì. Questa battaglia, con disincanto e senza illusioni, dobbiamo sicuramente fare, avendo ben chiare le argomentazioni e le avvertenze di Tonino Dessì, ma sorretti nonostante tutto dal gramsciano ottimismo della volontà. Tornando alle “critiche al popolo”, su cui occorre dibattere senza infingimenti, mi piace condividere un articolo di Giacomo Paci, datato 29 giugno 2016, ricco di riflessioni, in gran parte a mio parere condivisibili e che comunque ci inducono ad approfondimenti (https://www.ilpost.it/giacomopapi/2016/06/29/volete-gesu-o-barabba/). Ancora – questa volta per spontanea e suggestiva associazione di idee legata ai vissuti giovanili – mi è caro richiamare e proporre la canzone di Dario Fo “Popolo che da sempre stai sulla breccia incazzato da diecimila anni e più…”, della quale riporto il link del video su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=7Kmf3wVn9oc .
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Risultati del Referendum. Commento (irriverente) per (forse) impertinenti associazioni di idee.
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[tratto dalla] Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo
In quel tempo Gesù comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.
Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?».
Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso
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democraziaoggi-loghettoDIBATTITO
Caro Andrea, dopo il referendum, un “che fare?” assai problematico.
di Tonino Dessì su Democraziaoggi.
Caro Andrea,
nell’articolo scritto il 21 Settembre a spoglio referendario concluso e a risultato definitivamente assestato, hai sinteticamente tracciato un indirizzo di lavoro (prima una nuova legge elettorale proporzionale, indi l’attuazione dei punti programmatici più urgenti della Costituzione) per i vari comitati locali che fanno riferimento a quello nazionale per la democrazia costituzionale, come prospettiva per ricomporre l’area democratico-progressista che si è divisa in occasione di questa consultazione.
Sinceramente apprezzando la consueta positività dell’indirizzo e sul piano dell’emozione reattiva sentendomi portato come sempre a condividerla, devo dire tuttavia che la ragione mi induce a prospettarmene tutte le difficoltà, oggettive e soggettive.
All’indomani del referendum del 2016 avevo auspicato il consolidamento del movimento costituzionale e addirittura pensato che l’immersione culturale nell’intenso dibattito sviluppatosi in quella campagna per respingere la revisione renziana potesse indurre uno fra i protagonisti decisivi, il M5S, a evolvere in “Partito della Costituzione”.
Così non è stato.
Nei quattro anni che sono poi trascorsi, proprio il M5S ha regredito su quel terreno e se da un lato il suo successo elettorale del 2018 e le circostanze che portarono alla formazione del primo Governo di questa legislatura con la Lega di Salvini hanno segnato una delle fratture più significative con l’area democratica, quella conseguente alla condivisione delle leggi xenofobe, dall’altro le circostanze che hanno portato alla formazione del secondo Governo, quello con PD, hanno condizionato lo stesso Governo nel frenare la pur annunziata (dagli accordi di maggioranza) revisione di quella legislazione, mentre ha finito per concludere il suo iter la revisione costituzionale sulla riduzione della rappresentanza, che aveva preso avvio con l’unificazione di due disegni di legge della maggioranza precedente, uno a firma Calderoli (Lega per Salvini), l’altro a firma Patuanelli (M5S).
Conclusione che in nome della ragion di governo ha visto il PD e le sinistre parlamentari satelliti confluire nell’approvazione nell’ultima e conclusiva lettura alla Camera dei Deputati, dopo che avevano votato contro in tutte le altre letture in entrambi i rami del Parlamento.
La secca formulazione della revisione è penetrata come una lama acuminata dentro lo stesso movimento costituzionale del 2016, dividendolo e inducendo una parte dei costituzionalisti, come la professoressa Carlassare e il professor Zagrebelsky, a schierarsi per il SI per palesemente prevalenti motivazioni politiche, di difesa del quadro di Governo, fino al punto di ritrattare opposte posizioni sul merito espresse nel 2016.
Il ferro aguzzo ha sfondato le maglie della difesa della Costituzione penetrandone il ventre molle, quello della rappresentanza.
È verosimile che anche nel voto diffuso la parte democratica del NO del 2016 si sia divisa, benchè più di un indizio porti a ritenere che il SI del 2020 sia un voto molto più caratterizzato a destra di quello del 2016.
Le indagini degli analisti sono propense a ritenere che un po’ più della metà degli elettori PD abbia votato, nonostante le indicazioni di partito, contro la revisione, mentre il modestissimo risultato conseguito dal M5S nelle contestuali elezioni regionali lascia intendere che anche l’apporto dei suoi elettori alla causa della revisione sia stato corrispondentemente assai modesto.
Conclusivamente, nella sua convulsione quasi premonitrice di un’agonia difficilmente reversibile, questo partito ha contribuito a dare un colpo durissimo alla Costituzione.
La quale, parliamoci chiaro, dal voto referendario non esce più uguale a prima, non solo come Costituzione formale, ma neppure come Costituzione materiale.
Una Camera e un Senato rispettivamente ridotti a 400 e a 200 componenti non saranno affatto più efficienti.
Basti pensare alla riduzione della capacità di analisi dello spettro di problemi di un Paese complesso inevitabilmente derivante dalla riduzione del numero complessivo e della provenienza territoriale dei componenti delle due Assemblee e delle Commissioni parlamentari e nella prospettiva dall’accorpamento e dalla riduzione delle medesime Commissioni.
Saranno sicuramente, il Parlamento e le Commissioni parlamentari, organi meno rappresentativi: il taglio del trenta per cento solleva oggettivamente la soglia di accesso delle formazioni politiche al Parlamento e prevedere, anche in una legge elettorale proporzionale, un ulteriore sbarramento, incrementerebbe la conseguenza fino a far prevedere che la rappresentanza parlamentare del Paese sarà in mano a forze politiche espressioni di una minoranza di elettori.
Per quanto sia vero che in una precedente fase della storia repubblicana (quella della rigogliosa crescita delle forme istituzionali, anche regionali e locali, delle forme organizzate della politica come i partiti di massa e delle forme organizzate dei movimenti sociali, anche sindacali e civili, che innervarono la partecipazione di massa alla politica) una parte della sinistra prospettò fiduciosamente tanto una riduzione del numero dei parlamentari, quanto addirittura il superamento del bicameralismo a favore di un’unica Assemblea Nazionale eletta col sistema elettorale integralmente proporzionale, è pur vero che nella regressione istituzionale, sociale, culturale e soprattutto politica in corso da almeno trent’anni quelle proposte hanno perso di attualità.
Ma è anche opportuno ricordare che quelle proposte erano accompagnate da un bilanciamento intrinseco, ossia dalla proposta di un irrigidimento ulteriore delle procedure di revisione, mediante l’eliminazione dall’articolo 138 della Carta della possibilità di un’approvazione a maggioranza, ancorchè assoluta.
Questo non è stato previsto nella riforma approvata e se pure sarebbe certamente il primo obiettivo da indicare, nulla induce a prevedere che alcuna forza politica intenda assumerne l’iniziativa, men che meno che una maggioranza parlamentare qualificata ai sensi dell’articolo 138 vigente si coaguli per approvare una tale proposta.
Anzi, suonano abbastanza inquietanti gli annunci di apertura di una “nuova stagione di riforme”.
La Costituzione perciò è diventata assai più fragile proprio per il fatto che già oggi si è sperimentata una modalità politica per modificarla agevolmente e che sarà possibile nel prossimo Parlamento modificarla da parte di maggioranze le quali, ancorchè qualificate, saranno pur sempre formate nell’ambito di forze politiche espressioni nel loro complesso di una minoranza del corpo elettorale.
Già domani, peraltro, cosa potremmo fare, se venisse approvata la proposta di legge costituzionale firmata dai parlamentari di LeU e il cui esame è stato già incardinato nella competente Commissione Affari costituzionali del Senato, volta al superamento della elezione dei senatori su base regionale?
Certo, si tratta di un’ulteriore revisione dall’approvazione non scontata, benchè rientri negli accordi di maggioranza.
Dipenderà dall’evoluzione della vicenda residuale dell’ex sinistra radicale italiana, la quale da qui alla fine della legislatura potrebbe invece conclusivamente confluire nel PD, complice la possibile concomitante non ottemperanza agli accordi del M5S, che alla luce dell’esito delle elezioni regionali preferirebbe magari non trovarsi altre forze “minori” concorrenti.
Se invece passasse ci avvieremmo alla definitiva cancellazione dai rami “alti” dell’ordinamento di un riferimento alla rappresentanza su base circoscrizionale regionale, preludio alla creazione di collegi pluriregionali, analoghi a quelli per l’elezione del Parlamento Europeo, non solo per la Camera, ma anche per il Senato.
L’effetto su una Regione come quella sarda, che già vedrà ridotta la sua rappresentanza nel Parlamento italiano di oltre il 36 per cento, è intuitivo, visto che l’esperienza della collocazione in un collegio europeo “Isole” con la Sicilia, la facciamo da tempo.
In questa prospettiva direi che anche una possibile evoluzione del bicameralismo paritario in un bicameralismo specializzato di tipo federale (che, detto per inciso, è stata la linea ufficiale, in Sardegna, dell’ultimo PCI nel 1989, del PDS sardo e financo dei DS-Sinistra federalista sarda, fino al suo scioglimento nel PD) è destinata a sfumare definitivamente.
Va peraltro notato che intanto i processi di disaffezione e di astensione per sfiducia e per difetto dell’offerta politica proprio in Sardegna hanno finito per connotare sia le elezioni senatoriali di Sassari sia il referendum.
Se a livello nazionale il risultato referendario è infatti più che legittimato da un’affluenza largamente superiore al cinquanta per cento degli aventi diritto, in Sardegna l’affluenza si è rivelata considerevolmente più bassa, l’elezione a Sassari, pur in un contesto di “sciopero del voto” non troppo differente da quello che caratterizzò le suppletive cagliaritane per la Camera del 2019, ha segnato un successo della destra e nel contempo confermato la presumibile connotazione a destra anche del voto referendario locale e poco consola che la percentuale regionale dei NO sia stata lievemente superiore a quella di molte altre Regioni.
Insomma, non ho motivo per essere particolarmente ottimista, per la prospettiva e la riflessione sul “che fare?” mi pare urgente, ma problematica e non agevolmente risolvibile con la ripresa di un attivismo volontaristico.
Saluti cordiali.
Tonino Dessì
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democraziaoggiCaro Tonino, hai ragione, il voto referendario evidenzia guasti ben più gravi del semplice taglio dei parlamentari
24 Settembre 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Caro Tonino,
la tua lettera aperta di ieri mi costringe a fare un’ammissione. Nel mio commento a caldo dopo il risultato referendario mi sono rifugiato nel tradizionale “abbiamo perso una battaglia, continuiamo la lotta per vincere la guerra“. E’ questo un modo per invitare l’area democratica di matrice “Resistenziale” a continuare nell’impegno. Fa così anche la Nespolo a nome dell’ANPI, col suo comunicato che esprime una posizione perfino più prudente, invitando a battersi per limitare i guasti di questa revisione.
Il fatto è – hai ragione tu – che bisogna fare i conti con le forze in campo sia per battersi per l’attuazione della Costituzione sia per scongiurare gli effetti negativi della riduzione dei parlamentari. E le forze diventano più esili. Vorrei sbagliare, ma il voto referendario rivela che un ampio schieramento di forze ha ormai abbandonato il campo dei valori resistenziali. Ritiene che essi siano un fardello, un peso nello sviluppo e nella modernizzazione del Paese. A pensarci bene, ciò che viene mandata al macero è la rigidità della Costituzione, che non è solo un fatto formale, di procedure aggravate, ma è anzitutto patrottismo costituzionale, fedeltà attiva ad un insieme di valori e di principi, che la Carta enuncia e che sono riassumibili in quel “fondata sul lavoro” che compare all’inizio della Costituzione a connotarne l’ispirazione, “lavoro” che viene posto a pietra fondante dell’ordinamento insieme al principio di uguaglianza.
Al PD, che già aveva fatto il salto con Renzi, ma già prima votando il pareggio di bilancio e le leggi contro i diritti dei lavoratori a partire dal l’abrogazione del paradigmatico art. 18, ora si aggiunge il M5S, che, con la sua difesa strenua della Carta contro l’attacco renziano, ci aveva illuso di costituire un nuovo argine allo stravolgimento delle fondamenta della nostra repubblica.
Una sinistra disfatta e un nuovo Movimento pentastellato legato alla piccineria del risparmio dei costi della democrazia non lasciano ben sperare in una fase attuativa dei principi della Carta. Anzi giustificano la paura che lo stravolgimento continui.
Caro Tonino, hai perfettamente ragione lo spirito volontaristico e volenteroso, senza un’analisi impietosa delle forze in campo è puramente consolatorio, ma improduttivo. Eppure dalla volontà di non mollare di quel 30% che ha detto NO, bisogna partire, sapendo che per una lunga fase più che in attacco dovremo giocare in difesa. Come nelle tenzoni sportive, quando gli avversari sono più forti, bisogna cercare di limitare i danni, riorganizzando le forze e i programmi per una ripresa.
Caro Tonino, so che sto tornando alla impostazione di cui tu realisticamente hai evidenziato l’ingenuità e la debolezza, ma questo volontarismo ci salva dallo sconforto e dalla passività e se è riempito di contenuti e di azione politica può ottenere risultati. Comunque per noi non vedo altra strada.

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giornalia-logoReferendum (e Elezioni): in Italia e in Sardegna rivelano un deficit di democrazia
di Franco Meloni su Giornalia.
Abbiamo sott’occhio i risultati del Referendum:
[segue]

Oggi venerdì 25 settembre 2020

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791a7587-5f34-4078-ae63-d217117366e5 Prosegue il FESTIVAL ARCHITETTURA CAGLIARI, 18 – 27 SETTEMBRE 2020, SA MANIFATTURA – I CONFINI DEL CAMBIAMENTO
————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti——–

Dal Vaticano. Il Papa accetta le dimissioni del cardinale Angelo Becciu. Nei prossimi giorni capiremo il perché.

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“Oggi, giovedì 24 settembre, il Santo Padre ha accettato la rinuncia dalla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e dai diritti connessi al Cardinalato, presentata da Sua Eminenza il Cardinale Giovanni Angelo Becciu”.

La Confederazione Sindacale Sarda scrive a Papa Francesco

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In Sardegna non si riesce a vincere la contraddizione tra lavoro, rispetto della vita e ambiente. Ci battiamo per la conversione della fabbrica di bombe RWM a Domusnovas/Iglesias per attività produttive vitali, non di morte. Se un “lavoro” produce morte e distruzione, bisogna avere il coraggio di dire che tutto ciò NON E’ LAVORO.
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A SUA SANTITA’ PAPA FRANCESCO
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Caro Papa Francesco,
la Confederazione Sindacale Sarda-CSS, costituitasi in Sardegna nel 1985 per il riscatto dei lavoratori in una terra dove le soluzioni ai molti problemi socio-economici sono prevalentemente risposte di assistenzialismo, cerca faticosamente di indicare in un modello di sviluppo eco-sostenibile una possibile soluzione anche per i gravi problemi occupazionali. Per questo ha assunto l’Enciclica “Laudato Si’“ come guida al suo impegno sindacale e sociale.
In Sardegna non si riesce a vincere la contraddizione tra lavoro, rispetto della vita e ambiente. La presenza della fabbrica di bombe RWM a Domusnovas/Iglesias viene considerata dai sindaci del luogo, dalle forze politiche, dai sindacati e dagli stessi lavoratori indispensabile in un territorio bisognoso di posti di lavoro. [segue]

Che succede?

c3dem_banner_04UN’ALTRA ECONOMIA. RILANCIARE LA SCUOLA. SAPER GESTIRE LE MIGRAZIONI
23 Settembre 2020 su C3dem.
RIFLESSIONI POST-VOTO: PD-M5S, IL SENSO DI UN’ALLEANZA
23 Settembre 2020 su C3dem.
DOPO IL VOTO, PRIMI COMMENTI
22 Settembre 2020 su C3dem.
[segue]

Risultati del Referendum. Commento (irriverente) per (forse) impertinenti associazioni di idee.

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[tratto dalla] Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo

In quel tempo Gesù comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.

Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?».

Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.

Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».

Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
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DIBATTITO
Caro Andrea, dopo il referendum, un “che fare?” assai problematico.

di Tonino Dessì su Democraziaoggi.

Caro Andrea,
nell’articolo scritto il 21 Settembre a spoglio referendario concluso e a risultato definitivamente assestato, hai sinteticamente tracciato un indirizzo di lavoro (prima una nuova legge elettorale proporzionale, indi l’attuazione dei punti programmatici più urgenti della Costituzione) per i vari comitati locali che fanno riferimento a quello nazionale per la democrazia costituzionale, come prospettiva per ricomporre l’area democratico-progressista che si è divisa in occasione di questa consultazione.
Sinceramente apprezzando la consueta positività dell’indirizzo e sul piano dell’emozione reattiva sentendomi portato come sempre a condividerla, devo dire tuttavia che la ragione mi induce a prospettarmene tutte le difficoltà, oggettive e soggettive.
All’indomani del referendum del 2016 avevo auspicato il consolidamento del movimento costituzionale e addirittura pensato che l’immersione culturale nell’intenso dibattito sviluppatosi in quella campagna per respingere la revisione renziana potesse indurre uno fra i protagonisti decisivi, il M5S, a evolvere in “Partito della Costituzione”.
Così non è stato.
Nei quattro anni che sono poi trascorsi, proprio il M5S ha regredito su quel terreno e se da un lato il suo successo elettorale del 2018 e le circostanze che portarono alla formazione del primo Governo di questa legislatura con la Lega di Salvini hanno segnato una delle fratture più significative con l’area democratica, quella conseguente alla condivisione delle leggi xenofobe, dall’altro le circostanze che hanno portato alla formazione del secondo Governo, quello con PD, hanno condizionato lo stesso Governo nel frenare la pur annunziata (dagli accordi di maggioranza) revisione di quella legislazione, mentre ha finito per concludere il suo iter la revisione costituzionale sulla riduzione della rappresentanza, che aveva preso avvio con l’unificazione di due disegni di legge della maggioranza precedente, uno a firma Calderoli (Lega per Salvini), l’altro a firma Patuanelli (M5S).
Conclusione che in nome della ragion di governo ha visto il PD e le sinistre parlamentari satelliti confluire nell’approvazione nell’ultima e conclusiva lettura alla Camera dei Deputati, dopo che avevano votato contro in tutte le altre letture in entrambi i rami del Parlamento.
La secca formulazione della revisione è penetrata come una lama acuminata dentro lo stesso movimento costituzionale del 2016, dividendolo e inducendo una parte dei costituzionalisti, come la professoressa Carlassare e il professor Zagrebelsky, a schierarsi per il SI per palesemente prevalenti motivazioni politiche, di difesa del quadro di Governo, fino al punto di ritrattare opposte posizioni sul merito espresse nel 2016.
Il ferro aguzzo ha sfondato le maglie della difesa della Costituzione penetrandone il ventre molle, quello della rappresentanza.
È verosimile che anche nel voto diffuso la parte democratica del NO del 2016 si sia divisa, benchè più di un indizio porti a ritenere che il SI del 2020 sia un voto molto più caratterizzato a destra di quello del 2016.
Le indagini degli analisti sono propense a ritenere che un po’ più della metà degli elettori PD abbia votato, nonostante le indicazioni di partito, contro la revisione, mentre il modestissimo risultato conseguito dal M5S nelle contestuali elezioni regionali lascia intendere che anche l’apporto dei suoi elettori alla causa della revisione sia stato corrispondentemente assai modesto.
Conclusivamente, nella sua convulsione quasi premonitrice di un’agonia difficilmente reversibile, questo partito ha contribuito a dare un colpo durissimo alla Costituzione.
La quale, parliamoci chiaro, dal voto referendario non esce più uguale a prima, non solo come Costituzione formale, ma neppure come Costituzione materiale.
Una Camera e un Senato rispettivamente ridotti a 400 e a 200 componenti non saranno affatto più efficienti.
Basti pensare alla riduzione della capacità di analisi dello spettro di problemi di un Paese complesso inevitabilmente derivante dalla riduzione del numero complessivo e della provenienza territoriale dei componenti delle due Assemblee e delle Commissioni parlamentari e nella prospettiva dall’accorpamento e dalla riduzione delle medesime Commissioni.
Saranno sicuramente, il Parlamento e le Commissioni parlamentari, organi meno rappresentativi: il taglio del trenta per cento solleva oggettivamente la soglia di accesso delle formazioni politiche al Parlamento e prevedere, anche in una legge elettorale proporzionale, un ulteriore sbarramento, incrementerebbe la conseguenza fino a far prevedere che la rappresentanza parlamentare del Paese sarà in mano a forze politiche espressioni di una minoranza di elettori.
Per quanto sia vero che in una precedente fase della storia repubblicana (quella della rigogliosa crescita delle forme istituzionali, anche regionali e locali, delle forme organizzate della politica come i partiti di massa e delle forme organizzate dei movimenti sociali, anche sindacali e civili, che innervarono la partecipazione di massa alla politica) una parte della sinistra prospettò fiduciosamente tanto una riduzione del numero dei parlamentari, quanto addirittura il superamento del bicameralismo a favore di un’unica Assemblea Nazionale eletta col sistema elettorale integralmente proporzionale, è pur vero che nella regressione istituzionale, sociale, culturale e soprattutto politica in corso da almeno trent’anni quelle proposte hanno perso di attualità.
Ma è anche opportuno ricordare che quelle proposte erano accompagnate da un bilanciamento intrinseco, ossia dalla proposta di un irrigidimento ulteriore delle procedure di revisione, mediante l’eliminazione dall’articolo 138 della Carta della possibilità di un’approvazione a maggioranza, ancorchè assoluta.
Questo non è stato previsto nella riforma approvata e se pure sarebbe certamente il primo obiettivo da indicare, nulla induce a prevedere che alcuna forza politica intenda assumerne l’iniziativa, men che meno che una maggioranza parlamentare qualificata ai sensi dell’articolo 138 vigente si coaguli per approvare una tale proposta.
Anzi, suonano abbastanza inquietanti gli annunci di apertura di una “nuova stagione di riforme”.
La Costituzione perciò è diventata assai più fragile proprio per il fatto che già oggi si è sperimentata una modalità politica per modificarla agevolmente e che sarà possibile nel prossimo Parlamento modificarla da parte di maggioranze le quali, ancorchè qualificate, saranno pur sempre formate nell’ambito di forze politiche espressioni nel loro complesso di una minoranza del corpo elettorale.
Già domani, peraltro, cosa potremmo fare, se venisse approvata la proposta di legge costituzionale firmata dai parlamentari di LeU e il cui esame è stato già incardinato nella competente Commissione Affari costituzionali del Senato, volta al superamento della elezione dei senatori su base regionale?
Certo, si tratta di un’ulteriore revisione dall’approvazione non scontata, benchè rientri negli accordi di maggioranza.
Dipenderà dall’evoluzione della vicenda residuale dell’ex sinistra radicale italiana, la quale da qui alla fine della legislatura potrebbe invece conclusivamente confluire nel PD, complice la possibile concomitante non ottemperanza agli accordi del M5S, che alla luce dell’esito delle elezioni regionali preferirebbe magari non trovarsi altre forze “minori” concorrenti.
Se invece passasse ci avvieremmo alla definitiva cancellazione dai rami “alti” dell’ordinamento di un riferimento alla rappresentanza su base circoscrizionale regionale, preludio alla creazione di collegi pluriregionali, analoghi a quelli per l’elezione del Parlamento Europeo, non solo per la Camera, ma anche per il Senato.
L’effetto su una Regione come quella sarda, che già vedrà ridotta la sua rappresentanza nel Parlamento italiano di oltre il 36 per cento, è intuitivo, visto che l’esperienza della collocazione in un collegio europeo “Isole” con la Sicilia, la facciamo da tempo.
In questa prospettiva direi che anche una possibile evoluzione del bicameralismo paritario in un bicameralismo specializzato di tipo federale (che, detto per inciso, è stata la linea ufficiale, in Sardegna, dell’ultimo PCI nel 1989, del PDS sardo e financo dei DS-Sinistra federalista sarda, fino al suo scioglimento nel PD) è destinata a sfumare definitivamente.
Va peraltro notato che intanto i processi di disaffezione e di astensione per sfiducia e per difetto dell’offerta politica proprio in Sardegna hanno finito per connotare sia le elezioni senatoriali di Sassari sia il referendum.
Se a livello nazionale il risultato referendario è infatti più che legittimato da un’affluenza largamente superiore al cinquanta per cento degli aventi diritto, in Sardegna l’affluenza si è rivelata considerevolmente più bassa, l’elezione a Sassari, pur in un contesto di “sciopero del voto” non troppo differente da quello che caratterizzò le suppletive cagliaritane per la Camera del 2019, ha segnato un successo della destra e nel contempo confermato la presumibile connotazione a destra anche del voto referendario locale e poco consola che la percentuale regionale dei NO sia stata lievemente superiore a quella di molte altre Regioni.
Insomma, non ho motivo per essere particolarmente ottimista, per la prospettiva e la riflessione sul “che fare?” mi pare urgente, ma problematica e non agevolmente risolvibile con la ripresa di un attivismo volontaristico.
Saluti cordiali.
Tonino Dessì
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Caro Tonino, hai ragione, il voto referendario evidenzia guasti ben più gravi del semplice taglio dei parlamentari
24 Settembre 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Caro Tonino,
la tua lettera aperta di ieri mi costringe a fare un’ammissione. Nel mio commento a caldo dopo il risultato referendario mi sono rifugiato nel tradizionale “abbiamo perso una battaglia, continuiamo la lotta per vincere la guerra“. E’ questo un modo per invitare l’area democratica di matrice “Resistenziale” a continuare nell’impegno. Fa così anche la Nespolo a nome dell’ANPI, col suo comunicato che esprime una posizione perfino più prudente, invitando a battersi per limitare i guasti di questa revisione.
Il fatto è – hai ragione tu – che bisogna fare i conti con le forze in campo sia per battersi per l’attuazione della Costituzione sia per scongiurare gli effetti negativi della riduzione dei parlamentari. E le forze diventano più esili. Vorrei sbagliare, ma il voto referendario rivela che un ampio schieramento di forze ha ormai abbandonato il campo dei valori resistenziali. Ritiene che essi siano un fardello, un peso nello sviluppo e nella modernizzazione del Paese. A pensarci bene, ciò che viene mandata al macero è la rigidità della Costituzione, che non è solo un fatto formale, di procedure aggravate, ma è anzitutto patrottismo costituzionale, fedeltà attiva ad un insieme di valori e di principi, che la Carta enuncia e che sono riassumibili in quel “fondata sul lavoro” che compare all’inizio della Costituzione a connotarne l’ispirazione, “lavoro” che viene posto a pietra fondante dell’ordinamento insieme al principio di uguaglianza.
Al PD, che già aveva fatto il salto con Renzi, ma già prima votando il pareggio di bilancio e le leggi contro i diritti dei lavoratori a partire dal l’abrogazione del paradigmatico art. 18, ora si aggiunge il M5S, che, con la sua difesa strenua della Carta contro l’attacco renziano, ci aveva illuso di costituire un nuovo argine allo stravolgimento delle fondamenta della nostra repubblica.
Una sinistra disfatta e un nuovo Movimento pentastellato legato alla piccineria del risparmio dei costi della democrazia non lasciano ben sperare in una fase attuativa dei principi della Carta. Anzi giustificano la paura che lo stravolgimento continui.
Caro Tonino, hai perfettamente ragione lo spirito volontaristico e volenteroso, senza un’analisi impietosa delle forze in campo è puramente consolatorio, ma improduttivo. Eppure dalla volontà di non mollare di quel 30% che ha detto NO, bisogna partire, sapendo che per una lunga fase più che in attacco dovremo giocare in difesa. Come nelle tenzoni sportive, quando gli avversari sono più forti, bisogna cercare di limitare i danni, riorganizzando le forze e i programmi per una ripresa.
Caro Tonino, so che sto tornando alla impostazione di cui tu realisticamente hai evidenziato l’ingenuità e la debolezza, ma questo volontarismo ci salva dallo sconforto e dalla passività e se è riempito di contenuti e di azione politica può ottenere risultati. Comunque per noi non vedo altra strada.

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Nell’illustrazione in testa: Ecce Homo, particolare del quadro di Antonio Ciseri. Di seguito il quadro intero.
Ecce Homo by Antonio Ciseri c. 1880

Oggi giovedì 24 settembre 2020

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791a7587-5f34-4078-ae63-d217117366e5 Prosegue il FESTIVAL ARCHITETTURA CAGLIARI, 18 – 27 SETTEMBRE 2020, SA MANIFATTURA – I CONFINI DEL CAMBIAMENTO
————–Opinioni, Commenti e Riflessioni, Appuntamenti——–
ANPI: “Vince il Sì, ma non è un plebiscito. Ora si contrastino gli effetti negativi della riforma”
24 Settembre 2020
Carla Nespolo su Democraziaoggi.
La Presidente Nazionale dell’ANPI Carla Nespolo alla fine dello spoglio delle schede sul referendum ha dichiarato: ”Desidero ringraziare tutti gli iscritti all’ANPI, gli attivisti, gli antifascisti che si sono generosamente impegnati nella campagna referendaria a difesa dei valori e dello spirito della Costituzione.
Ha prevalso il Sì, ma l’esito del referendum è stato ben lontano […]
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Oggi mercoledì 23 settembre 2020

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23_09_immagine-sito- Il programma.
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a846fb8f-1b48-477a-94d2-e1fd49eb3230Save the date. Punta del billete. Ricordati. —————
“La signora della stazione”,
il romanzo di Dolores Deidda
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Andrea Olla

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2f345d76-57b8-4483-9390-69db7122967aUna bicicletta appesa al chiodo
di Gianni Loy

Il giovedì santo, nel 1968, cadeva l’11 di aprile. Nel pomeriggio, un gruppo di cattolici “del dissenso”, cosiddetti, si avvicinavano, alla spicciolata, alla chiesa del borgo Sant’Elia, dove l’arcivescovo di Cagliari, mons. Paolo Botto, avrebbe celebrato le funzioni della settimana santa. Il cielo era leggermente velato e la scalinata era lunga. Ciascuno di noi portava con sé un foglio ciclostilato, contenente il testo di una breve preghiera, concordata qualche giorno prima, che avremmo dovuto leggere, interrompendo la sacra funzione, per denunciare l’operazione del Consiglio comunale che aveva progettato di cacciar via dalle loro case gli abitanti di Sant’Elia, per lo più poveri pescatori, per destinare la collina che si affacciava sul golfo degli angeli ad un insediamento residenziale destinato ai “ricchi”.
Avremmo ricordato, sulla falsariga della parabola del ricco epulone, di come stava per consumarsi un’ingiustizia, per ricordare alla Chiesa il proprio dovere, fondato sul vangelo, di schierarsi con i più poveri.
Mentre risalivo la scalinata, mi chiamò, da lontano, un agente della Digos, la polizia politica, una sezione del corpo preposta alla conservazione dell’ordine democratico: “Sig. Loy, dove sta il suo amico Andrea Olla”?
[segue]

Domani l’ultimo saluto ad Andrea Olla: “Tutti in bici dalla chiesa al cimitero”

Casteddu online, Ennio Neri, 22 Settembre 2020 CAGLIARI
Un corteo di biciclette attraverserà la città da piazza Giovanni XXIII fino al cimitero di San Michele. E’ l’omaggio dei ciclisti cagliaritani ad Andrea Olla, l’ecologista 75 enne morto oggi dopo una vita spesa nella lotta per la mobilità sostenibile, la difesa dell’ambiente e i diritti umani. Domani i funerali alle 15:30 alla chiesa di San Paolo, in piazza Giovanni XXIII.

PER LA PROIBIZIONE DELLE ARMI NUCLEARI

no-nucleareIl 26 settembre è la giornata internazionale ONU per l’abolizione delle armi nucleari
MERCOLEDI’ 23 SETTEMBRE A MONSERRATO presso l’associazione Pauly ONLUS (via del Redentore 216) ore 19,00 PROIEZIONE DEL DOCUMENTARIO “L’inizio della fine delle armi nucleari” e dibattito.
onuIl 26 settembre è la giornata internazionale ONU per l’abolizione delle armi nucleari, in ricordo della coraggiosa e responsabile decisione del colonnello sovietico Stanislav Petrov, che nel 1983 scelse di fermare una risposta missilistica contro gli USA, conseguente ad un errore tecnologico nei dispositivi. [segue]