Monthly Archives: giugno 2020
Gli Stati Uniti d’America in balia di tre sciagure
LA LEGITTIMITA’ DELLA LEADERSHIP, LA VERA CRISI DELL’AMERICA
La storia romanzata racconta che mentre Roma bruciava, l’imperatore Nerone suonava la lira. Nel tempo reale dei nostri giorni, mentre l’America si spacca dinanzi agli occhi
del mondo attonito, travolta da una insurrezione scatenata dall’ennesimo crimine razzista, sconvolta da un virus che non perdona e logorata da una crisi economica che ha prodotto quaranta milioni di disoccupati, la sua controfigura di imperatore, Donald Trump, incurante degli obblighi morali oltre che politici di un capo di governo, cerca solo
accanite zuffe con la Cina, con l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, con la rete sociale di Twitter (che ironicamente gli permise a suo tempo di emergere come candidato) e con il suo predecessore Obama accusato di misfatti generici. Le principali città americane sono consumate da vere e proprie sommosse, che in realtà non sono nuove nella storia americana, ma che nelle circostanze attuali accelerano un
disfacimento nazionale. Lo sfacelo minaccia di avere tremende ripercussioni nella salute pubblica di una nazione che fino a tempi recenti ricopriva un ruolo dominante nello scenario
mondiale. La colossale sventura degli americani nell’avere un Trump alla Casa Bianca viene compatita dal resto del mondo, sopraffatto anch’esso dalla pandemia e ansioso che venga trovato al più presto un vaccino. Ma se uscirà finalmente un vaccino per debellare il virus, non ci sarà una cura per il flagello che da sempre travaglia l’America, il razzismo. Associato ad un’altra radice dell’esperienza americana, la
violenza, assicura la combustione che ancora una volta infiamma gli animi di una vasta parte dei suoi cittadini, quelli di colore, dai neri ai “brown”, dai poveri ai diseredati in una nazione che secondo le statistiche dovrebbe essere la più ricca del mondo.
Lungi dall’esercitare la suasione morale che spetta al cosiddetto “pulpito” presidenziale, Trump non ha perso l’occasione per aizzare le parti in causa bollando i partecipanti alla protesta di Minneapolis come “teppisti” e ripetendo uno slogan razzista pronunciato nel 1967 in Florida: “quando comincia il saccheggio, comincia la sparatoria”. Ma non basta. L’ultimo affronto di Trump è stato quello di diffondere su twitter il video di un suo sostenitore in cui si afferma: “l’unico buon democratico è un democratico morto”, un detto che nei secoli scorsi veniva riservato alla popolazione indigena dei nascenti Stati Uniti d’America sterminata all’insegna della Nuova Frontiera.
La profonda rottura razziale e culturale dell’America è emersa in misura drammatica nello stato del Minnesota a seguito dell’impressionante misfatto dell’agente di polizia che ha soffocato George Floyd. La comunità afro-americana è scesa in piazza e la protesta è ben presto degenerata in una vera e propria sommossa. Ma gli americani hanno dovuto prendere atto di un aspetto altrettanto inquietante, che fra i protagonisti più esagitati della dirompente violenza di piazza erano molti i bianchi. Ancora una volta, il presidente Trump ha infiammato ancor più gli animi accusando gli Antifa – sinonimo di anti-fascista – e la “sinistra radicale” di aver incoraggiato e intensificato la violenza e la distruzione di
auto della polizia ed edifici, oltre che molteplici saccheggi.
Il razzismo strutturale che infetta il sistema sociale e politico dell’America impone oggi un energico intervento politico ma certamente senza la retorica della paura che nasce dallo scoperto confronto su scala nazionale. Che l’America sia spaccata è ormai un fatto arcinoto. Lo spartiacque tra centri urbani e zone rurali è particolarmente visibile nel Minnesota dove ai due centri di St Paul e Minneapolis si oppongono le zone “rosse” (il colore repubblicano) delle aree agricole e dell’Iron Range, i distretti estrattivi del ferro attorno al Lago Superior. Gli ultra repubblicani sono scesi nelle due città con i risultati che tutti hanno visto ed il Presidente Trump li ha giustificati puntando il dito accusatorio sul “sindaco della sinistra radicale”. Trump spera fortemente di conquistare i voti elettorali del Minnesota, dove nel 2016 perse per soli 45.000 voti, pur prevalendo in 78 delle 87 contee che compongono lo stato. Resta il fatto comunque che l’ottanta per cento degli individui arrestati durante le tragiche nottate di Minneapolis proveniva da altri stati. E’ parimenti certo che tra i saccheggiatori di Minneapolis figuravano, insieme ad afro -americani, i “suprematisti” bianchi. Non pochi messaggi apparsi sui social media incitavano i “suprematisti” ad andare sulla scena delle proteste.
L’America è un Paese con troppe tradizioni istituzionali e sociali e troppa diversità perché lo si possa considerare maturo per una rivoluzione. La rivoluzione americana
avvenne, e terminò, come sollevamento contro il dominio esterno. Da allora, una maggioranza bianca ha esercitato il dominio esercitando il pieno controllo sulla presenza e sulle vite dei non bianchi. Tale dominio sta cominciando a venir meno in un Paese sempre più diverso dove il razzismo è tecnicamente fuori legge ma troppo radicato perché la sua impronta venga cancellata dal dna nazionale. Questo assomma due elementi essenziali del carattere americano, ed in modo specifico della maggioranza bianca, per quanto possa essersi ridotta nei numeri del censo: la libertà da un dominio superiore e l’affermazione di autonomia. L’ultimo tratto è il motivo ispiratore della crociata trumpiana contro la “palude” del sistema governativo di Washington. In realtà, Trump ha reso quella palude ancor più profonda, favorendo la classe degli ultra ricchi (l’uno per cento contro cui inveiva l’ex candidato Bernie Sanders) e delle grandi imprese, alle spese del popolo americano.
Infine, in un quadro di caos, non poteva mancare il subdolo richiamo alla necessità di imporre “law and order”, accoppiato dal servile Attorney General William Barr all’accusa secondo cui i disordini su scala nazionale sono imputabili a “gruppi estremisti di estrema sinistra”. In pratica, Trump calcola di trarre il massimo vantaggio possibile dalla “culture war” – la guerra della cultura – che ha puntellato la sua candidatura sin dagli inizi. E’ una “cultura” che previlegia la base bianca – ormai nota come MAGA – e protegge le forze di polizia
refrattarie al rispetto delle leggi sui diritti civili, come dimostra il caso del poliziotto di Minneapolis che era stato ripetutamente citato per comportamenti violenti ed anti-sociali. Prima ancora che George Floyd venisse soffocato da quell’agente, Trump aveva incoraggiato le forze di polizia ad essere “rough” ossia ruvide nei confronti degli
individui arrestati. A seguito di quel crimine, lo stesso Attoney General del Minnesota ha dovuto ammettere pubblicamente che gli afro-americani dello stato erano
giustificati nel temere la polizia locale.
Per concludere, l’America è un Paese in balia di tre sciagure: la pandemia che ha già fatto più di 100.000 vittime; la depressione che ha privato del lavoro quaranta milioni di americani e chiuso migliaia di aziende commerciali (molte delle quali certamente non riapriranno); una conflittualità interna da guerra civile. Non pochi anzi temono che quest’ultima prospettiva possa risorgere a seguito delle forti divisioni territoriali negli Stati Uniti. Per contro, vale la pena di ripetere che le sommosse razziali rappresentano una sequela ininterrotta, e che il numero delle vittime a Minneapolis ed altre città non ha toccato gli estremi del 1992 a Los Angeles dove più di sessanta persone persero la vita in cinque giorni di rivolta per l’assoluzione degli agenti di polizia colpevoli di pesanti percosse sull’afro-americano Rodney King. In ultima analisi, l’America deve venire a capo di una fondamentale crisi di leadership, la sola ancora di salvezza di una nazione che è inesorabilmente spaccata quando un vasto settore della sua cittadinanza si rifiuta di attuare e rispettare le misure di previdenza sanitaria dell’apparato federale e degli stati, fino al dettaglio di rifiutare la mascherina.
Con Donald Trump, è in gioco la legittimità della leadership. Qualcuno ha osservato, realisticamente: in una congiuntura incendiaria, Donald Trump ha giocato con i fiammiferi.
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Non sarà Donald Trump a guidare l’America verso il recupero della pace sociale e della prosperità, una convinzione condivisa dalla parte sana del Paese, pienamente cosciente che Trump sta perdendo il controllo della macchina governativa. Attendersi un miracolo sotto forma di una conversione del partito repubblicano è futile. Ma la conversione di un numero sufficiente di elettori, nauseati dalla “law and order” di Donald Trump, sarà più che sufficiente a porre fine alla sua presidenza.
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Il quesito dominante, alla vigilia ormai delle elezioni di Novembre, è questo: come reagirà il settore decisivo dell’elettorato, gli indipendenti e gli indecisi, alla
forzatura costituzionale di Donald Trump, presidente del “law and order”? Cosa può significare l’adozione del grido di battaglia del presidente republicano che ricalca la strategia di Richard Nixon, un presidente eletto con quella piattaforma ma poi costretto alle dimissioni per aver violato le norme costituzionali e le leggi civili?
E’ possibile che una maggioranza degli americani riconosca finalmente il vero senso del “law and order”, quello di sancire che le autorità della nazione, dalla presidenza agli organi federali, dalle amministrazioni degli stati alle autorità locali, riconoscano la legittimità dei diritti delle minoranze di colore e della loro protezione? Non imponevano certamente il rispetto della legge le forze di polizia che sgombravano ferocemente Lafayette Park, sparando pallottole di gomma, gas lacrimogeni e “pepper spray”, per permettere ad un presidente di farsi fotografare con la bibbia dinanzi alla storica chiesa episcopale di St.John.
Il “bullismo” di Donald Trump ha portato l’America dinanzi ad un abisso, il risultato di una politica distruttiva ed incompetente, come ampiamente dimostrato dal rapido diffondersi della pandemia del coronavirus, attribuibile alla stupefacente impreparazione del governo federale. La protesta di massa non è un fatto nuovo nella storia americana ma questa volta infiamma una vera e propria rivolta allo status quo che da sempre puntella il razzismo bianco e la brutalità delle forze di polizia. E’ un sorprendente sollevamento trasversale che abbraccia classi sociali, settori economici e la grande massa minoritaria afflitta dalle disparità di reddito e di opportunità. Non meno determinante nel quadro della protesta è la constatazione che l’epidemia ha fatto scempio di leggi e proclamazioni di eguaglianza mietendo una spropozionata percentuale di vittime tra i poveri, la gente di colore, dai neri ai brown, i più colpiti dall’ineguaglianza sociale ed economica che caratterizza sempre più gli Stati Uniti d’America.
Questa volta la protesta ha raggiunto le proporzioni di una sommossa nazionale che minaccia di sfociare nella proclamazione di uno stato di assedio, un corso di azione repressivo palesemente favorito da un presidente che agisce con l’unico intento di garantirsi l’appoggio della sua base. Sono molti quelli che sospingono questo timore ad una estremo inconcepibile per una democrazia liberale, quello di una decisione presidenziale di sospendere o posticipare il ricorso alle urne ai termini del mandato costituzionale. Donald Trump è capace di tutto, forte dell’appoggio di poco più di un terzo dell’elettorato americano, nel quale si distacca il movimento
degli evangelici ultra-conservatori – vale la pena di notarlo con l’ironia che si addice all’episodio – che non hanno mosso ciglio dinanzi alla mancanza di rispetto del presidente verso una chiesa ed il suo clero malmenato all’aperto. Tra tanti altri, Paul Krugman pone il quesito essenziale sul “come siamo attivati a questo punto?” E risponde che il “nucleo centrale” della politica americana degli ultimi quattro decenni è che “le elite ricche hanno usato il razzismo bianco come un’arma per conquistare il potere politico” e per attuare politiche hanno arricchito ancor più i ricchi a spese dei lavoratori.
La verità che va affermandosi in queste drammatiche giornate dell’America contemporanea è che una massa di americani ha finalmente reagito agli eccessi di una presidenza che ha fortemente indebolito le istituzioni nazionali e concentrato il potere nelle proprie mani. Questa grave deformazione del
mandato istituzionale è stata attuata da Trump sul modello di quanto predicava, e continua a predicare, un ideologo che ha cercato di infettare la stessa democrazia italiana, un certo Steve Bannon. La sua strategia è presto detta: è la “decostruzione dello stato amministrativo”, volta a smantellare le infrastrutture globali, a conquistare il potere e solidificare il controllo. Questa, per l’appunto, è stata sin dagli inizi la strategia di Donald Trump.
Il pericolo che income sugli Stati Uniti e sul mondo è che la rielezione di Trump porterebbe al rafforzamento del potere centrale nella branca esecutiva del sistema di governo degli Stati Uniti. Peggio ancora sarebbe se i democratici non
riuscissero a conquistare il Senato e il controllo del ramo legislativo. Per gli alleati dell’America ciò significherebbe vedere compromesse soluzioni globali per problemi globali. La politica estera americana è presentemente un feudo delle ambizioni politiche di Mike Pompeo, che passerà alla storia come il peggior segretario di stato americano, cortigiano del presidente ed incapace di esercitare alcuna leadership internazionale.
Una inquietante appendice della “law and order”, nell’interpretazione trumpiana di pugno di ferro contro i “teppisti”, è il ricorso alla militarizzazione, ossia
l’impiego di forze armate per contenere la marcia di proteste. E’ un terreno di controversia in rapido flusso, all’indomani della partecipazione di militari allo sgombero forzato di manifestanti dinanzi alla chiesa di Lafayette Park e della
dichiarazione del Segretario alla Difesa Esper che definiva quello scenario come “un campo di battaglia”. Non passavano ventiquattro ore che Mark Esper faceva marcia indietro rispetto all’impiego dello Insurrection Act del 1807 invocato da Trump come giustificazione per il dislocamento di forze armate in città americane, anche in mancanza di una esplicita richiesta delle autorità cittadine e dello stato di appartenenza. Esper dichiarava di non approvare il ricorso alle Insurrection Act se non in casi estremi (come “last resort” ossia ultima ratio), una valutazione che a suo dire non sussiste nelle attuali circostanze. Funzionari della
Casa Bianca non tardavano nel riferire l’irritazione del presidente, un chiaro prodromo della liquidazione del Segretario Esper.
In conclusione, non sarà Donald Trump a guidare l’America verso il recupero della pace sociale e della prosperità, una convinzione condivisa dalla parte sana del Paese, pienamente cosciente che Trump sta perdendo il controllo della macchina
governativa. Attendersi un miracolo sotto forma di una conversione del partito repubblicano è futile. Ma la conversione di un numero sufficiente di elettori, nauseati dalla “law and order” di Donald Trump, sarà più che sufficiente a porre fine alla sua presidenza.
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Fonte dell’illustrazione in testa
Oggi giovedì 4 giugno 2020
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Ue. Bene gli interventi per fronteggiare la crisi ma insieme rivedere i trattati
4 Giugno 2020
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
La Presidente della Commissione Europea ha presentato al parlamento europeo il programma di interventi (nome originario recovery fund) per sostenere il rilancio dei sistemi economici messi in ginocchio dalla pandemia. Questi interventi che si aggiungono a quelli già decisi, sono una novità politica ed economica di rilievo e rilanciano l’Unione europea dando aiuti consistenti […]
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A proposito di settanta giorni chiusi in casa. Intervista di Marcello Fois al prof. LUIGI GESSA
Il lockdown? Ci ha resi ansiosi e aggressivi*
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Come cambia il lavoro
Il lavoro da casa mette alla prova il sindacato
Cambiamento. La burocrazia è smart se la professione non è più a comando ma a progetto
Andrea Ranieri
Su il manifesto, EDIZIONE DEL 02.06.2020
PUBBLICATO 1.6.2020, 23:58
Non chiamiamoli smart. Come se il lavoro intelligente e autonomo si identificasse con quello da casa. La pandemia ci ha mostrato quanto smart, densi di competenze, capaci di gestire imprevisti, siano i lavori essenziali per le persone e le comunità.
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Massimo Fini contro la Sardegna: ragli d’asino che non arrivano in cielo!
A Marco Travaglio, Direttore del Il Fatto Quotidiano ho scritto questa Lettera
Egregio Direttore,
il 30 maggio scorso su Il Fatto, con disappunto, ho letto un’intera pagina scritta da Massimo Fini contro la Sardegna. Lei, pur prendendo le distanze, la derubrica a semplice “invettiva”. Di ben altro si tratta: di un cumulo di falsità contumelie e ingiurie contro i Sardi.
Se tale pagina fosse apparsa su uno dei tanti fogliacci nordisti, nulla quaestio. Come Sardi siamo adusi ai loro insulti. Ma leggerla su Il Fatto, uno dei pochi Quotidiani italiani “potabili”, specie dopo la definitiva svolta padronale e neosabauda di Repubblica, sorprende.
Mi son chiesto il perché di tanta acrimonia antisarda unita a spocchiosa saccenza. E mi è tornato in mente certo giornalista e uomo d’affari francese Gustave Jourdan che deluso per non essere riuscito dopo un anno di soggiorno in Sardegna, a coltivare gli asfodeli per ottenerne alcool, parla dell’Isola terra di barbarie in seno alla civiltà che non ha assimilato dai suoi dominatori altro che i loro vizi.
Fini che delusioni ha avuto? Ma termino, seguendo il saggio apoftegma latino De minimis, (pardon, de Maximo) praetor non curat. Anche perché – come mi insegna un bel detto nella nostra bella lingua sarda: sos orrios de sos molentes no arribant in chelu (i ragli degli asini non arrivano in cielo).
Con cordialità
Francesco Casula – Cagliari
P. S.
Mi son limitato a queste poche righe, le canoniche 1200 battute richieste dalla Direzione de Il Fatto.
Sulla descrizione delle donne sarde vestite di nero, schiamazzanti come galline non aggiungo niente a quello che egregiamente ha scritto Cristina Muntoni, secondo cui in essa Fini “cavalca uno stereotipo di una tale ignoranza da non meritate altro che una risata (io, indossando orgogliosamente una gonna nera della nostra tradizione, ho tenuto un seminario sul potere delle parole alla sede di Roma del Parlamento Europeo e, oltre che sul contenuto, proprio sul mio abbigliamento, ho ricevuto enormi attestazioni di valore visto che portavo la mia identità culturale anche in modo visivo)”.
Qualche riga invece vorrei aggiungere [segue]
Che succede?
LO STRANO 2 GIUGNO 2020
2 Giugno 2020 by Forcesi | su C3dem.
Il discorso di Sergio Mattarella per il 2 giugno. Marcello Sorgi, “L’appello del Colle tra timori e rassegnazione” (La Stampa). Giovanni Orsina, “Destra-centro tra le piazze e l’anno zero” (La Stampa). Massimo Cacciari, “La missione del buon repubblicano” (La Stampa). Gianfranco Pasquino, “La Repubblica siamo sempre tutti noi” (Il Fatto). Carlo Verdelli, “La strada giusta per il dopo” (Corriere della sera). Emanuele Macaluso, “Preoccupa il calo di tensione. [segue]
Oggi mercoledì 3 giugno 2020
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Il punto: certificazioni sanitarie per la mobilità interregionale e gestione dell’emergenza pandemica
3 Giugno 2020
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
Tutta la vicenda della “fase 2”, a voler prescindere dal gioco degli interessi economici e territoriali prevalenti che stanno finendo per caratterizzarla, è stata deformata dall’uso di una terminologia inappropriata.
“Passaporto sanitario” è stata un’espressione, forse suggerita con intenti di efficacia mediatica, che si è rivelata un boomerang.
Ma che possano ammettersi provvedimenti regionali recanti l’obbligo […]
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Tre proposte per il lavoro
3 Giugno 2020
Tre proposte per il lavoro su Democraziaoggi.
Democratizing Work. Questo importante appello di oltre 3.000 ricercatori di tutto il mondo è uscito di recente in simultanea su 41 giornali, tra cui El Comercio, Boston Globe, Guardian, Gazeta Wyborcza, La Folha de São Paulo, The Wire, Cumhuriyet, Le Soir, Le Monde, Die Zeit, Publico, El Diario, […]
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Che succede?
MESSAGGIO DEI VESCOVI DELLA SARDEGNA
La fede e il futuro del nostro popolo nel tempo della prova
“Consolate, consolate il mio popolo…” (Isaia 40,1)
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L’America che ferisce, quella da amare. Ora ci vuole un Kennedy
Ferdinando Camon
martedì 2 giugno 2020 su Avvenire.
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Oggi martedì 2 giugno 2020
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2 giugno. Ricordiamo un padre della Repubblica: Pietro Nenni
2 Giugno 2020 su Democraziaoggi.
Oggi è la festa della Repubblica. La vittoria al referendum è stata il frutto della lotta partigiana e della Resistenza al nazifascuìismi, un’azione collettiva e popolare, a cui hanno partecipato migliaia di italiani, operai, contadini, intellettuali. Questa è la forza essenziale della spinta verso la Repubblica. Fra chi ha guidato quelle masse tanti sono i […]
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Padre Enzo Bianchi ha lasciato la comunità di Bose
È stato un decreto papale a ordinare il temporaneo allontanamento del teologo dalla struttura, nota a livello internazionale per essere in prima fila nel dialogo ecumenico [Fonte Ansa 2 giugno 2020]—–[Fonte Il fatto quotidiano].
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Perchè mi è cara Bose |
di Lidia Maggi
Giu 1, 2020
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E’ online il manifesto sardo trecentosette
Il numero 307
Il sommario
Consiglio regionale sardo: interpretazione autentica dei propri inconfessabili desideri mattonari (Stefano Deliperi), Il 2 giugno, l’identità nazionale e l’autodeterminazione della Sardegna (Roberto Loddo), Perché siamo ritornati al modello di famiglia arcaico (Lisa Ferreli), Piano casa e demolizione del PPR, cambiano gli attori ma la rappresentazione è sempre più scadente (Graziano Bullegas e Carmelo Spada), I capelli verdi (Marinella Lőrinczi), La normalità era il problema (Graziano Pintori), Lazzarato e le nuove modalità di governo dell’economia capitalistica (Gianfranco Sabattini), Il 2 giugno i sardi hanno poco da festeggiare (Francesco Casula), Come decolonizzare il pensiero e la ricerca in Sardegna (Sebastiano Ghisu e Omar Onnis), Turchia e dintorni. Donne in prima linea (Emanuela Locci), Emiliano Deiana: “La morte si nasconde negli orologi” (Ottavio Olita), 2 giugno. Un presidio contro le spese militari (red), Tre proposte per il lavoro (red), Diario di una pandemia (Massimo Dadea).
Tutto aperto?
di Gianni Pisanu
Passaporto prego
L’arrivo delle persone nella nostra isola deve pur riprendere. Lo sapevamo tutti e non da oggi ma da tre mesi che la chiusura era temporanea e non eterna. L’allarme per l’arrivo di persone provenienti dal nord Italia è comprensibile, ma viene da rispondere domandandosi cosa abbia fatto in questi tre mesi la Sardegna per non essere presa dal panico al momento della riapertura. [segue]
Che succede?
IL VERO VALORE DELLA NOSTRA REPUBBLICA
1 Giugno 2020 by Forcesi | su C3dem.
Marta Cartabia, presidente della Corte costituzionale: “Il vero valore della Repubblica” (Corriere della sera). Le critiche di Carlo Bonomi (Confindustria) al governo: “Questa politica rischia di fare più danni del Covid” (intervista al Corriere). Ma Alessandro Barbera, su La Stampa, illustra la difesa del ministro dell’Economia: “Gualtieri pensa a una manovra pluriennale e non esclude il Mes”. Anche Anna Maria Furlan (Cisl) polemizza con Bonomi: “Gli industriali capiscano che serve una grande patto sociale” (intervista a Repubblica). Di patto nazionale, sociale e politico, parla anche Nicola Zingaretti (in sintonia con Banca d’Italia), intervistato dal Corriere: “Piano di rinascita in un clima di concordia nazionale”. Ma Stefano Folli, su Repubblica, indica le difficoltà politiche: “Tutto immobile, ma non troppo”. Romano Prodi si sofferma a spiegare “La strategia di Stato a difesa delle imprese” (Messaggero) e Carlo Bastasin indica “Le condizioni (obbligate) per crescere” (Repubblica). E molto si parla del possibile crescere della rabbia popolare anche in Italia (e non solo di “Sovversivi da avanspettacolo”, Luigi Manconi su Repubblica); Piero Ignazi, “Pd, l’estate dello scontento” (Repubblica); Marc Lazar, “Virus e populismi possono infiammare anche Italia e Francia” (intervista a Repubblica). [segue]
Oggi lunedì 1° giugno 2020
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————-
C’e’ chi chiude ai lumbard e dintorni, noi sardi apriamo, chiedendo un piccolo gesto di responsabilita’ e di attenzione. E’ troppo?
1 Giugno 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
L’altro giorno mi sono recato all’oncologico per un prelievo. Tutto perfetto, all’ingresso un addetto, con mascherina e guanti, mi misura la temperatura, mi mette il gel nelle mani e mi indica una signora per l’accettazione. Nome e cognome e altre poche domande. Abituato alla politica di un tempo, volta anzitutto a capire la realtà, […]
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Anche di fronte alla pandemia egoismi nazionali e mancanza di solidarietà europea
1 Giugno 2020
Gianfranco Sabattini Su Democraziaoggi
La pandemia ha fatto emergere a livello europeo gli egoismi nazionali, che tradiscono ancora una volta le ragioni del “progetto europeo”; all’origine, le ragioni principali fra queste sono state sicuramente di natura politica […]
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La Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco invita sostenitori e simpatizzanti a sostenerne l’attività attraverso il sistema del 5×1000 della denuncia dei redditi: nella casella delle organizzazioni di volontariato, SCRIVETE e fate SCRIVERE il CF della Scuola: 92252870925
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