Monthly Archives: giugno 2020

Che succede?

c3dem_banner_04LA SPERANZA DI POTER TORNARE A QUELLA FELICE VITA DI RISTRETTEZZE…
8 Giugno 2020 by Forcesi | su C3dem.
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Oggi lunedì 8 giugno 2020

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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————–
I lombardo-veneti, predi Murru, su sturru e il covid
8 Giugno 2020
Amsicora su Democraziaoggi
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Amici e amiche, detto confidenzialmente, inter nos, ogni tanto mi viene il dubbio di essere preda di un rincoglionimento galloppante. Metto insieme cose impossibili, faccio paragoni demenziali, e poi torno sempre alle reminiscenze più lontane, a quelle di bidda, alla preistoria, prima del mio esodo in città. Volete un esempio? Ditemi voi cosa c’entra la […]
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Come e perché la finanza etica cresce in Italia
Alessandro Messina
Su Sbilanciamoci, 2 Giugno 2020 | Sezione: primo piano, Società
Nel mezzo della crisi legata alla pandemia, Banca Etica registra cifre e tendenze positive e incoraggianti. A conferma del valore e delle potenzialità della finanza etica e del modello cooperativo nel promuovere l’alternativa credibile di un modello sociale ed economico equo, inclusivo e sostenibile.
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I problemi del lavoro nel mondo che cambia
di Sandro Antoniazzi.
8 Giugno 2020 by Forcesi | su C3dem
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TERZO SETTORE, questo (tuttora) sconosciuto.

caritas-cagliaricaritas-cagliari TERZO SETTORE che cosa è cambiato, dentro e fuori.
Fiorella Farinelli, su Rocca.

Li abbiamo visti in azione negli ultimi mesi, gli uomini e le donne del volontariato. Sulle ambulanze in corsa verso gli ospedali nelle strade deserte delle città assediate dalla pandemia, nelle case e negli alberghi trasformati in lazzaretti, nelle mille iniziative a supporto dei rinchiusi nei tanti ghetti esposti al contagio della nostra modernità crudele. Gli edifici occupati dai senza tetto, le baraccopoli degli ultimi degli ultimi, i campi Rom, i marciapedi e i lungofiume desolati dei più disgraziati. E poi i luoghi apparentemente più facili del conforto agli anziani rimasti soli, dell’aiuto alle famiglie con disabili abbandonati dai servizi pubblici, dei pasti da preparare per le file sempre più numerose delle mense dei poveri. [segue]

Che succede?

c3dem_banner_04EUROPA, USA, CINA. LE TENSIONI IN CAMPO
6 Giugno 2020 su C3dem.
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IL PREMIER CONTE, GLI STATI GENERALI E IL MES
6 Giugno 2020 su C3dem.
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PENSARE IN GRANDE. MA ANCHE IN PICCOLO…
5 Giugno 2020 su C3dem
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Assistenti civici e spinta gentile
di Vittorio Sammarco.
30 Maggio 2020 by Forcesi | su C3dem.
[segue]

Oggi domenica 7 giugno 2020

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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————–
Carbonia. Da partito di quadri a partito di massa, in città le prime esperienze dei comunisti
7 Giugno 2020
Gianna Lai su Democraziaoggi.

Altro momento importante della storia di Carbonia: la nascita del partito comunista. I precedenti articoli ogni domenica dal 1° settembre 2019.
Partito di quadri nella clandestinità e nella lotta contro il fascismo, il PCI diveniva ora organizzazione impegnata a costruire una democrazia progressiva, ‘per scardinare dal basso, con l’apporto decisivo delle masse popolari, il […]
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Più politica nell’economia
Matteo Lucchese e Mario Pianta
Su Sbilanciamoci, 5 Giugno 2020 | Sezione: Economia e finanza, Nella rete
Al di là delle misure di emergenza legate alla pandemia di Covid-19, è necessario costruire nuove capacità produttive all’insegna del welfare e della sostenibilità ambientale. Per fare tutto questo, serve un nuovo ruolo degli attori e degli investimenti pubblici, riequilibrando il rapporto tra Stato e mercato. Da “Collettiva.it”.
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La questione irrisolta (perché non lo si vuole) dei migranti.

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Migranti e diritto internazionale. Esistono alternative alla sanatoria degli “irregolari”?
di Giuseppe Andreozzi*

Non è facile addentrarsi in un campo minato come quello dei fenomeni migratori verso l’Europa. Bisogna mettere in conto che due accese tifoserie aspettano soltanto il momento buono per affibbiarti l’etichetta di “buonista” o di “razzista” a seconda della maglia che indossano e di quel che oserai dire.
Comunque ci proviamo, osservando innanzitutto che nessuna persona di buon senso può considerare con favore una migrazione indiscriminata. Non conviene ai Paesi di provenienza, che vedono allontanarsi le forze più giovani, sane e potenzialmente produttive; non conviene a noi, che dobbiamo gestire un fenomeno obiettivamente complesso dal punto di vista economico e sociale.
Sicuramente la fuga dalla fame e dalle guerre potrebbe essere frenata se il mondo occidentale si adoperasse per favorire davvero il progresso di quei popoli, ma ciò avviene in misura del tutto inadeguata ed è utopistico immaginare politiche più energiche in tempi ragionevolmente brevi. Cerchiamo allora di capire, in un’ottica di pura tutela dei nostri interessi, quali altri strumenti potrebbero essere utilizzati per contrastare l’esodo.
La materia è regolata prevalentemente da norme definite “trattati”. Questo perché nel diritto internazionale le regole non sono dettate da “leggi”, le quali presuppongono l’esistenza di un’autorità superiore che le emana, ma attraverso accordi fra gli Stati. Si tratta perciò di norme che possono cambiare solo attraverso nuovi accordi fra i soggetti che le hanno sottoscritte.
Per quanto superfluo, l’obbligo di rispettare i trattati internazionali ai quali l’Italia aderisce è previsto anche dalla Costituzione, che all’articolo 10 dice altre cose interessanti sul tema degli stranieri e vale la pena rileggerlo per intero: “L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici”.

Ricordiamo anche l’art. 117 comma 1 della Costituzione: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto … dei vincoli derivanti … dagli obblighi internazionali”.
Cerchiamo allora di rispondere a una delle domande più ricorrenti: visto che la migrazione verso il nostro Paese avviene principalmente attraverso il mare, è possibile impedire l’arrivo dei migranti? Diciamo che è molto difficile.
Esiste innanzitutto un obbligo di soccorrere il naufrago, che appartiene al diritto consuetudinario delle genti di mare. Fra le ultime disposizioni va citata la “Convenzione ONU sul diritto del mare” (c.d. Convenzione UNCLOS) del 1982 che dispone all’art. 82 l’obbligo per gli Stati di “esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera … presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo”. E la “Convenzione internazionale sull’assistenza e soccorso in mare” del 1989 (c.d. Salvage), la quale prevede all’art. 10 come “Ogni capitano è tenuto a prestare assistenza a qualsiasi persona che si trovi in pericolo di perdersi in mare”.
La domanda successiva può essere: va bene salvare i naufraghi dal rischio di annegamento, se la loro imbarcazione è affondata o in difficoltà di navigazione (nei trattati si parla di “distress”), ma perché portarli in Italia?
In effetti, non ci sono molte alternative. Quando una nave, di qualunque nazionalità, avrà accolto a bordo dei naufraghi, al caso si applica la “Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare” del 1979 (la c.d. Convenzione SAR), la quale dispone che “Le Parti si assicurano che venga fornita assistenza ad ogni persona in pericolo in mare. Esse fanno ciò senza tener conto della nazionalità o dello statuto di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata”. Tale dovere è completato dalla Risoluzione MSC.167(78) del 2004, paragrafo 2.5: gli Stati hanno l’obbligo di “… fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito…”.
Il luogo sicuro è tale se garantisce alle persone soccorse la sicurezza e l’opportunità di acquistare lo status di “rifugiati” e quindi il “diritto di asilo”. Anche sul punto abbiamo una norma di diritto internazionale: secondo l’art. 33 della “Convenzione di Ginevra”, gli Stati non possono respingere un rifugiato “verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. Simile divieto troviamo nell’art. 19 della “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea” (c.d. Carta di Nizza): “Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”.
Ebbene, se pensiamo che attualmente buona parte dei salvataggi avviene nel tratto di mare che separa la Libia dall’Italia, praticamente non esistono alternative allo sbarco nel nostro Paese. Perché quelli libici sono considerati porti “non sicuri”, a causa del trattamento riservato ai migranti, privati del diritto di protezione e spesso sottoposti a detenzione e torture. Dal canto suo la Tunisia, eludendo gli obblighi internazionali, rifiuta lo sbarco di migranti che non siano suoi concittadini, o salvati da navi tunisine, o partiti dal proprio territorio; mentre Malta rifiuta gli sbarchi se il naufragio non avviene nelle proprie acque territoriali. Non è quindi contestabile la decisione di un comandante che dirige la nave verso un porto italiano.
Però, almeno a salvataggio compiuto, è possibile rimpatriare l’immigrato? Diciamo subito che anche questa è impresa ardua. L’impianto delle norme sul tema è costituito dal “testo unico sull’immigrazione” n. 286 del 1998 sottoposto a successive modifiche. Per farla breve, secondo queste disposizioni l’immigrato deve essere accolto presso i “Centri di permanenza temporanea”, ma la permanenza è obbligatoria solo per un limitato periodo di tempo, trenta giorni, al quale può seguire un ulteriore trattamento coercitivo (una specie di detenzione amministrativa) per un tempo massimo di 180 giorni presso i Centri di identificazione ed espulsione.
Trascorsi i sei-sette mesi di simile “trattenimento”, il migrante, se non avrà ottenuto il diritto di asilo del quale abbiamo parlato, riceverà un decreto di espulsione. E qui arriva l’ultimo nodo, perché solo pochi Stati africani hanno raggiunto con l’Italia accordi per il rimpatrio; si tratta di Tunisia, Algeria, Marocco, Nigeria, Gambia ed Egitto, spesso con difficoltà e limitazioni. Resta quindi una moltitudine di stranieri, ufficialmente espulsi, che vagano per il nostro Paese ufficialmente senza lavoro e senza dimora, invisibili, ma esistenti.
In passato si provò a introdurre il reato di immigrazione clandestina, poi rivelatosi anch’esso un rimedio inutile perché semplicemente differiva il fenomeno di pochi anni con l’aggiunta dei costi esorbitanti della carcerazione. L’unico palliativo sembra perciò il ricorso a sanatorie, attraverso permessi di soggiorno che quantomeno consentono di far emergere il lavoro nero e garantire l’istruzione, l’integrazione e la sicurezza. Non a caso si affidano in modo ricorrente a tale strumento sia gli altri Paesi europei che l’Italia, a prescindere dal colore politico di chi governa; ricordiamo ad esempio il decreto “Bossi – Fini” n. 195 del 2002, grazie al quale circa seicentomila “irregolari” ottennero il permesso di soggiorno sulla base di una semplice autodichiarazione del datore di lavoro che attestava un rapporto di lavoro “in nero”, come braccianti, badanti etc, di almeno tre mesi.
Può sembrare una resa incondizionata, ma possiamo giustificarla vantandoci di essere i degni epigoni di una cultura che aleggia nel mediterraneo fin dall’antichità e che legittimava l’accoglienza riservata a Ulisse dal mitico popolo dei Feaci con simili versi: “questi è un misero naufrago, che c’è capitato, e dobbiamo curarcene: vengono tutti da Zeus gli ospiti e i poveri; e un dono, anche piccolo, è caro”.
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* Articolo pubblicato a maggio 2020 sulla rivista abruzzese “LACERBA”.
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Per correlazione: su Aladinpensiero online.

Reddito di cittadinanza incondizionato e universale. Giusto! E le risorse? Ecco dove trovarle.

aladin-on-skyIl reddito di cittadinanza (o dividendo sociale) incondizionato e universale convince e conquista molti, dappertutto, ma più all’Estero che in Italia. E le risorse? Quelle che mancando lo rendono una irrealizzabile utopia? E, invece, ci sono eccome! Vero è che quanti dovrebbero metterle a disposizione (con minimi sacrifici) cioè soprattutto i ricchi del mondo, non sono disponibili. La novità del contributo-saggio del gesuita-economista Gaël Giraud sta nel fatto che indica chiaramente dove trovare i soldi: nei “frutti” dei “beni comuni” unito al prelievo fiscale sui grandi (enormi) profitti dei ricchi del mondo, con particolare intervento sui “paradisi fiscali”. È d’obbligo il richiamo alla necessità di Organismi internazionali di garanzia anche con riferimento al “demanio della Terra” e alla fiscalità internazionale, con la costituzione di appositi Fondi (seguendo le indicazioni di Thomas Piketty e di Anthony Atkinson), come esposti con efficace sintesi nella piattaforma programmatica del movimento “Costituente della Terra”. L’utilizzo dei “beni comuni” per ricavarne un fondo che possa sostenere “i poveri del mondo”, attraverso opportune ridistribuzioni (reddito minimo universale) è una tesi sostenuta dal nostro amico economista sardo Gianfranco Sabattini, il quale unisce a tale fonte di risorse quella che deriverebbe dalla ristrutturazione del welfare state [cfr. articolo di G. Sabattini su aladinpensiero del 3/11/2017]. Prendiamo atto di un approfondito dibattito che esce dall’ambito accademico per diventare (in certa parte) progetto/i politico/i. (Franco Meloni)
democraciaoggi-mnifestosardo-aladinpensiero Le tre testate online Democraziaoggi, il Manifesto sardo e Aladinpensiero diffondono il saggio di Gaël Giraud (per stralci, rinviando al sito de La Civiltà cattolica per una lettura integrale), segnalandolo come materiale prezioso per il grande dibattito su “lavoro, reddito di esistenza e dintorni” nel quale sono impegnate con la pubblicazione di qualificati contributi e con l’organizzazione di apposita convegnistica [undicesimo articolo condiviso]. L’articolo con la premessa di Franco Meloni è pubblicato (per stralci) anche dalla rivista online Giornalia. *****Editoriale su Aladinpensiero online*****.
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Oggi sabato 6 giugno 2020

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Cambiare si può… Cambiare si deve…
6 Giugno 2020
Caterina Gammaldi su Democraziaoggi.

Continuo a pensare che cambiare sia la cosa più difficile in assoluto. Esige nuove consapevolezze, pacatezza, riflessione e responsabilità. Ha necessità di prospettiva e di futuro per attraversare senza inganni il tempo presente. Ho spesso sentito invocare il cambiamento come necessario per convivere con la complessità, ma mi è accaduto abbastanza spesso di dovermi confrontare […]
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Reddito di cittadinanza incondizionato e universale. Giusto! E le risorse? Ecco dove trovarle.

aladin-on-skyIl reddito di cittadinanza (o dividendo sociale) incondizionato e universale convince e conquista molti, dappertutto, ma più all’Estero che in Italia. E le risorse? Quelle che mancando lo rendono una irrealizzabile utopia? E, invece, ci sono eccome! Vero è che quanti dovrebbero metterle a disposizione (con minimi sacrifici) cioè soprattutto i ricchi del mondo, non sono disponibili. La novità del contributo-saggio del gesuita-economista Gaël Giraud sta nel fatto che indica chiaramente dove trovare i soldi: nei “frutti” dei “beni comuni” unito al prelievo fiscale sui grandi (enormi) profitti dei ricchi del mondo, con particolare intervento sui “paradisi fiscali”. È d’obbligo il richiamo alla necessità di Organismi internazionali di garanzia anche con riferimento al “demanio della Terra” e alla fiscalità internazionale, con la costituzione di appositi Fondi (seguendo le indicazioni di Thomas Piketty e di Anthony Atkinson), come esposti con efficace sintesi nella piattaforma programmatica del movimento “Costituente della Terra”. L’utilizzo dei “beni comuni” per ricavarne un fondo che possa sostenere “i poveri del mondo”, attraverso opportune ridistribuzioni (reddito minimo universale) è una tesi sostenuta dal nostro amico economista sardo Gianfranco Sabattini, il quale unisce a tale fonte di risorse quella che deriverebbe dalla ristrutturazione del welfare state [cfr. articolo di G. Sabattini su aladinpensiero del 3/11/2017]. Prendiamo atto di un approfondito dibattito che esce dall’ambito accademico per diventare (in certa parte) progetto/i politico/i. (Franco Meloni)
democraciaoggi-mnifestosardo-aladinpensiero Le tre testate online Democraziaoggi, il Manifesto sardo e Aladinpensiero diffondono (per stralci) il saggio di Gaël Giraud, segnalandolo come materiale prezioso per il grande dibattito su “lavoro, reddito di esistenza e dintorni” nel quale sono impegnate con la pubblicazione di qualificati contributi e con l’organizzazione di apposita convegnistica [undicesimo articolo condiviso]. L’articolo con la premessa di Franco Meloni è pubblicato sempre per stralci anche dalla rivista online Giornalia, mentre l’articolo integrale è disponibile sul sito web de La Civiltà Cattolica.
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UNA «RETRIBUZIONE UNIVERSALE»
Un urgente discernimento collettivo
Gaël Giraud. Chi volesse leggere l’articolo integrale potrà consultare direttamente il sito web de La Civiltà Cattolica, Quaderno 4079 pag. 429 – 442 Anno 2020 Volume II – 6 Giugno 2020.

Nella sua Lettera ai movimenti popolari, pubblicata nel giorno di Pasqua, il 12 aprile 2020, papa Francesco ha chiesto l’istituzione di una «retribuzione universale» di base [omissis] [1].

La proposta non ha mancato di suscitare reazioni, sia entusiaste sia critiche. Queste sue affermazioni significano forse che il Santo Padre abbraccia la causa di un reddito universale, versato a tutti, senza condizioni? O egli intende difendere il principio del giusto salario per tutti i lavoratori? E poi, se davvero si sta parlando di un reddito universale senza condizioni, in che modo un’attenzione autenticamente evangelica ci può orientare per valutare bene le condizioni pratiche di una sua attuazione? Oppure si tratta semplicemente di un’utopia irrealizzabile?

[omissis]
Salario minimo o reddito universale?

È dentro l’orizzonte di questa domanda spirituale e politica che s’inserisce la proposta di una «retribuzione universale». Si tratta di un salario minimo riservato a coloro che hanno un lavoro, o di un reddito universale destinato a tutti, senza condizioni?

Per gli economisti esperti in queste distinzioni, la formulazione del Papa è ambigua. Ad esempio, agli occhi di un sindacalista francese come Joseph Thouvenel, segretario della Confederazione francese dei lavoratori cristiani, le osservazioni di Francesco non possono essere interpretate come un alibi per coloro che «oziano»[8], ma possono essere solo un’allusione alla teoria del «giusto salario», formalizzata da Tommaso d’Aquino e poi ripresa da Leone XIII nell’enciclica Rerum novarum (1891). [omissis]

Diversi economisti, tra cui Thomas Palley[9], propongono di imporre un salario minimo, pari al 50% del salario mediano di tutti i Paesi del Pianeta. In Italia, ciò equivarrebbe a fissare uno stipendio mensile minimo di circa 1.860 euro (anziché i 500 attuali): un quarto della forza lavoro italiana attualmente riceve uno stipendio inferiore a tale importo, e questa quota rischia di aumentare nei prossimi anni. Contrariamente a quanto di solito si afferma, questo non causerebbe un’esplosione della disoccupazione[10], porterebbe ad aumenti abbastanza piccoli dei costi di produzione[11] e, d’altra parte, cambierebbe la vita a molti «lavoratori poveri», anche in Germania.

Tuttavia l’elenco dei beneficiari della «retribuzione universale» alla quale allude papa Francesco va oltre la categoria dei salariati stricto sensu: «venditori ambulanti, raccoglitori, giostrai, piccoli contadini, muratori, sarti, quanti svolgono diversi compiti assistenziali […], lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento»[12]. Le varie traduzioni della Lettera pontificia fanno pensare che il termine «salario» non possa essere interpretato rigorosamente: salaire, salarios, salário e wage, ma anche Grundeinkommen e retribuzione. Coloro che devono uscire dall’invisibilità sono anche i «malati e [gli] anziani. Non compaio­no mai nei mass media, al pari dei contadini e dei piccoli agricoltori che continuano a coltivare la terra per produrre cibo senza distruggere la natura, senza accaparrarsene i frutti o speculare sui bisogni vitali della gente»[13].

A chi si rivolge, dunque, la proposta del Papa? A tutti i «lavoratori». Una casalinga, per esempio, i cui servizi, dal momento che non sono sul mercato, non vengono mai presi in considerazione nel calcolo del Pil, fornisce una prestazione «lavorativa»? Chi sono questi «lavoratori», se non vengono riconosciuti da uno status che li qualifichi come tali? È proprio in questa loro invisibilità che sta il problema che Francesco vuole risolvere. Crediamo che la risposta si trovi negli stessi «invisibili». [omissis]

Dopotutto, i dibattiti che ruotano attorno alla definizione di un salario minimo o di un reddito universale sono prevalentemente condotti da coloro che appartengono al centro della società. È senza dubbio il momento di dare voce ai senza voce, in modo che essi stessi possano aiutare a decidere quale significato dovrebbe essere dato a una «retribuzione universale», piuttosto che subire ancora la violenza delle definizioni e degli standard imposti dal centro.

atd-4-mondoÈ questa inversione di prospettiva – dal centro alla periferia – che guida, per esempio, il movimento ATD-Quarto mondo e il pensiero di padre Joseph Wresinski[16]. Questo cambiamento di prospettiva non è estraneo all’approccio di alcuni economisti. Esso sta alla base, per esempio, della costruzione di indicatori statistici su base partecipativa, come il Barometro delle disuguaglianze e povertà (BIP 40), realizzato in Francia nel 2002 da e con comuni cittadini[17].

Utopia o riforma profetica?

È quindi giustificato che il Movimento francese per un reddito di base concluda cautamente che il Papa «si sta avvicinando alla causa del reddito universale»[18]. A patto di comprendere che, se «si avvicina» a esso e basta, non è per timidezza, ma è perché sta prima di tutto alle stesse persone senza voce decidere ciò che vogliono per loro. Il rispetto della dignità delle persone deve spingersi fino a tal punto.

Tuttavia, l’interpretazione che proponiamo qui implica che sia possibile che la «retribuzione universale» a cui allude Francesco sia intesa come «reddito universale» nel senso comune, qualora gli invisibili delle nostre periferie decidessero così.

Sono cinque i criteri usati normalmente per definire il reddito universale. Esso è:

- un versamento periodico [omissis] [19];
- un trasferimento monetario, cioè non in natura, che offre a tutti la libertà di fare ciò che vogliono con i propri soldi [omissis];
- universale: non viene sottoposto ad alcun particolare requisito;
- incondizionato: il pagamento non è coperto da alcun obbligo per il beneficiario, in particolare quello di dover cercare lavoro.
Ricordiamo alcuni ordini di grandezza. La Banca mondiale ha identificato la soglia della povertà estrema al livello di 1,9 dollari di retribuzione giornaliera, a parità di potere di acquisto. Ma è opinione largamente condivisa tra i ricercatori economici che questa convenzione sottostimi ampiamente i bisogni reali di un essere umano sano, capace di condurre una vita dignitosa. Un reddito minimo di 7,4 dollari al giorno sembra molto più ragionevole[20].

Nel 2018, oltre 4,2 miliardi di persone (il 60% della popolazione mondiale) vivevano ancora al di sotto di tale soglia, e questo numero aumenterà notevolmente nei prossimi mesi a causa delle conseguenze catastrofiche del lockdown. Quale flusso di reddito annuale sarebbe necessario per consentire a questa gente di vivere al di sopra di tale soglia? Senza entrare nei dettagli dei calcoli sulla parità del potere d’acquisto, possiamo rispondere che costerebbe meno di 13 mila miliardi di dollari. Questa può sembrare ad alcuni una cifra considerevole: è vicina al Pil nominale della Cina nel 2018. Tuttavia, uno studio della Ong Oxfam[21] mostra che, nello stesso anno, l’1% degli individui più ricchi del Pianeta ha percepito un reddito annuo di 56.000 miliardi di dollari (pari all’80% del Pil mondiale). Se solo «prelevassimo» un quarto di tale reddito, esso sarebbe sufficiente per finanziare un reddito base di 7,4 dollari al giorno (e anche di più) per quella parte dell’umanità che ne è privata. Dopo il «prelievo», al più alto percentile di questi super-ricchi resterebbero ancora in media 47.500 dollari di reddito mensile a persona: questo dovrebbe essere sufficiente per consentire loro di continuare a condurre una vita «dignitosa».

Non pretendiamo di sostenere che un tale «prelievo» sia politicamente facile da mettere in pratica. Tuttavia queste semplici cifre ci ricordano che, contrariamente a una comune convinzione, il problema del finanziamento di un reddito di base non consiste nella «mancanza di risorse». [omissis]

L’immaginario neo-liberale della scarsità, che ci conduce facilmente a pensare che una proposta generosa sia impossibile, è fuorviante: viviamo su un Pianeta sovrabbondante – sebbene minacciato da una crisi ecologica – e in un’economia mondiale molto ricca, sebbene rischi di diventare considerevolmente più povera a causa del lockdown e del confinamento.

Le due forme di reddito universale

Per andare oltre nell’esaminare la loro concreta fattibilità, dobbiamo distinguere almeno due forme di «reddito universale»: la prima, diremmo, «di destra», ispirata a criteri di efficienza economica; l’altra, «di sinistra», orientata dal desiderio di giustizia sociale. Questa distinzione elementare ci costringe però immediatamente a uscire da facili dicotomie: il reddito universale non è né di destra né di sinistra, ma è trasversale alle nostre categorie politiche tradizionali.

Il primo tipo di reddito di base ha le sue origini nel lavoro dell’economista di Chicago Milton Friedman[22] ed è pensato per sostitui­re tutti gli altri tipi di trasferimenti sociali, rendendo così superflua l’introduzione di un salario minimo. I suoi promotori nutrono la speranza di un’ulteriore flessibilizzazione del «mercato del lavoro» e di una riduzione della spesa pubblica per la solidarietà, o persino di un completo abbandono, da parte dello Stato, del suo ruolo decisionale sui redditi da lavoro dei cittadini. La carità, «più adattabile e flessibile» rispetto allo stato sociale, afferma Friedman, riacquisterebbe così un posto di rilievo nella lotta contro la povertà.

Chi contesta tale proposta sostiene che essa equivarrebbe a garantire un reddito minimo di sussistenza che rende schiavo l’«esercito di riserva» dei cittadini, costretti a farsi assumere a qualsiasi condizione pur di migliorare le proprie condizioni di vita ordinaria. È senza dubbio questo tipo di preoccupazione che alimenta il rifiuto, da parte di una certa parte del mondo sindacale, del reddito universale.

Indipendentemente dalla strumentalizzazione politica che può essere fatta sul reddito di base, è innegabile tuttavia che la sua forza risiede nella semplicità: l’assenza di qualsiasi condizione consente di cortocircuitare l’eventuale inefficacia delle procedure amministrative necessarie per identificare i beneficiari dei trasferimenti sociali tradizionali, i quali, come sappiamo, troppo spesso per questo rinunciano a godere di ciò a cui avrebbero diritto. Di conseguenza, più la pubblica amministrazione di un certo Paese è debole o il sistema di trasferimento sociale farraginoso, o addirittura inesistente, più diviene rilevante l’opzione di un reddito universale. Questo è il motivo per cui, qualunque sia la loro sensibilità politica, diversi economisti raccomandano la messa in atto di un reddito del genere nella maggior parte dei Paesi del Sud globalizzato[23].

Il secondo tipo di reddito universale è stato difeso, almeno dal 1986, da Guy Standing, uno dei fondatori della Basic Income Earth Network (Bien)[24]. A differenza del primo tipo, questo sarebbe un reddito integrativo, e quindi non alternativo ai trasferimenti sociali già attivi, laddove ce ne siano. Sarebbe quindi un ottimo mezzo per risolvere i crescenti problemi di insicurezza finanziaria della classe media e dei ceti popolari e, soprattutto, renderebbe possibile un altro genere di rapporto di lavoro. La disumanità delle condizioni di lavoro in alcune situazioni – di cui la tragedia del Rana Plaza, in Bangladesh nel 2013, è diventato il simbolo – è ovviamente dovuta alla necessità, per coloro che non hanno alternative, di farsi assumere a qualsiasi condizione pur di sopravvivere. Ma anche nei Paesi ricchi un reddito universale di questo tipo implicherebbe sicuramente la fine dei cosiddetti bullshit jobs[25] («lavori-spazzatura»), come sono quelli di una quota crescente di impiegati delle nostre amministrazioni pubbliche e delle imprese private: se posso permettermi di vivere senza lavorare, perché dovrei accettare un lavoro che è socialmente inutile e mi fa star male?

Un simile strumento invertirebbe quindi radicalmente i termini della negoziazione impliciti in qualsiasi rapporto di lavoro, sia esso formalizzato da un contratto o meno. Naturalmente, rafforzando il potere contrattuale dei lavoratori, ciò porterebbe sicuramente a una riduzione della quota di reddito da capitale nel valore aggiunto di un’economia e a un aumento della quota di reddito da lavoro. Però questo correggerebbe la tendenza inversa che si registra da quarant’anni a discapito della stragrande maggioranza di noi: dalla fine del boom economico del secondo dopoguerra, e nella maggior parte dei Paesi precedentemente industrializzati, la quota del reddito da lavoro è scesa dal 70-80% del Pil al 60%.

Le virtù attribuite dai suoi difensori «progressisti» al reddito universale vengono spesso messe in discussione dai loro oppositori: un reddito siffatto non fornirebbe un alibi per non lavorare più? Lungi dal rafforzare i legami sociali, non causerebbe forse la dissoluzione delle relazioni umane? Dietro queste domande si intravedono due filosofie politiche radicalmente opposte: da un lato, quella di Thomas Hobbes o di John Locke, per i quali l’uomo è un atomo, persino un lupo, un essere solitario che si coinvolge in relazioni con altri solo per interesse; dall’altro, quella di un’antropologia relazionale che appartiene alla grande tradizione cristiana[26]. In questa seconda prospettiva, è solo sullo sfondo delle relazioni sociali costitutive dell’umanità in quanto tale che può aver luogo il riduzionismo che consiste nella ricerca del mio interesse particolare.

È possibile risolvere questo dibattito con l’aiuto di ciò che osserviamo empiricamente? È dal 2010 che in vari Paesi hanno avuto inizio esperimenti con il reddito di base. Essi ci testimoniano il crescente interesse per tale misura già prima della pandemia[27], ma hanno rivelato, a volte, una certa mancanza di ambizione da parte dei governi e la durezza del dibattito politico che accompagna tali esperienze: sebbene si sia trattato di strumenti dalla portata limitata, molti sono stati interrotti prima del tempo.

In Canada, l’Ontario Basic Income Pilot Project, avviato nel 2018 per testare l’impatto di un reddito di base su 4.000 canadesi, è stato annullato dopo pochi mesi dal partito conservatore appena eletto. L’obiettivo era sperimentare l’effetto del reddito di base su sicurezza alimentare, stress e ansia, salute – inclusa quella mentale –, casa, istruzione e partecipazione al mondo del lavoro[28]. Ci si può domandare: se è così ovvio che un reddito universale risulterebbe dannoso per tutti, perché non lasciare che l’esperimento lo provi? In realtà, sperimentazioni di un salario minimo (o del suo aumento) hanno dimostrato molto spesso il contrario di quanto previsto dai suoi oppositori, ossia un aumento generalizzato dei salari e del numero di ore lavorate, nonché una riduzione della disoccupazione[29]. Forse c’è qualcuno che teme che si possa dimostrare che un reddito di base andrebbe a beneficio della maggioranza?

Nel 2014, un esperimento in India si è posto l’obiettivo di testare il reddito universale come mezzo per introdurre liquidità in ambienti in cui lo scambio monetario è limitato. Le conclusioni di tale esperimento, che avrebbe potuto essere condotto fino alla fine, sono sfumate, ma estremamente positive. Esse suggeriscono che, a causa delle sue ricadute sociali, il «valore» economico del reddito universale supera di molto l’importo nominale assegnato a ciascun destinatario[30]. Infine, numerosi esperimenti di trasferimento di denaro si sono rivelati fruttuosi in Namibia, in India e in una dozzina di Paesi del Sud del mondo, al punto che, dopo decenni di sarcasmo, diversi analisti ora lo vedono come «la chiave dello sviluppo»[31].

Beni comuni contro privatizzazione del mondo

L’esperimento condotto in Alaska dal 1982 merita una menzione speciale. Ogni anno, infatti, una frazione dei dividendi petroliferi viene distribuita ai residenti, incondizionatamente e su base individuale. Gli importi – tra i 1.000 e i 2.000 dollari l’anno, a seconda del periodo[32] – sono nell’ordine di grandezza della soglia di povertà di 7,4 dollari al giorno ricordati sopra. Si tratta di importi piccoli, ovviamente, considerando il tenore di vita medio in questo Stato americano. Ma la cosa più interessante è il principio usato dallo Stato dell’Alaska per giustificarli: si tratta di una compensazione per il diritto di sfruttamento di un bene comune, il petrolio, che in realtà appartiene a ciascuno dei residenti.

Per comprendere il significato di questo modo originale di finanziare un reddito universale occorre fare un passo indietro. Nel 1217, la Carta foresta aveva dato ai contadini britannici il diritto di godere dei commons («beni comuni») – foreste, pascoli, alpeggi, fiumi – per poter fare scorta di legna, acqua e dare da mangiare alle loro mandrie ecc. L’Inghilterra ha formalizzato un diritto che veniva percepito dalla maggior parte della popolazione come naturale e che era stato già riconosciuto dalla legge romana con la categoria della res communis, collocata dal Codice di Giustiniano al vertice della gerarchia dei beni, mentre la proprietà privata occupava l’ultimo posto.

Già nel XV secolo, come sappiamo, la nobiltà britannica promosse il movimento degli enclosures («recinzioni»), per delimitare i commons e decretare così che da quel momento in poi essi erano proprietà esclusiva del signore locale. Privando i poveri contadini di ogni forma di sussistenza, questo movimento ha contribuito a spingerli verso le città, alla disperata ricerca dei mezzi per sopravvivere. Senza questo esodo rurale la rivoluzione industriale non avrebbe mai visto la luce. Quindi, da principio, fu la privatizzazione dei beni comuni a produrre e incentivare quelle forme disumane di lavoro salariato che conosciamo da tre secoli[33].

Un reddito di base, anche solo parzialmente universale, spezzerebbe questa logica perversa. È possibile che uno strumento del genere si articoli in qualche modo con l’onnipotenza della privatizzazione, che oggi si traduce in un secondo movimento di enclosures, che colpisce i nuovi commons, come i beni e i servizi dell’ecosistema, il genoma umano, la proprietà intellettuale, le produzioni artistiche e potenzialmente tutte le attività umane?

L’esempio dell’Alaska fornisce l’abbozzo di una risposta positiva. Perché non immaginare che una frazione del reddito derivante dallo sfruttamento dei nostri beni comuni globali sia ridistribuita per finanziare un reddito di base? Non sarebbe questo un modo concreto ed efficace per onorare la destinazione universale dei beni, cara ai Padri della Chiesa e alla dottrina sociale della Chiesa? Ad esempio, l’atmosfera è certamente un bene comune a tutto il mondo: un’imposta globale sul carbonio – come quella fortemente sostenuta dalla Commissione Stern-Stiglitz[34] – di 120 euro per tonnellata di CO2 prodotta[35], applicata alle 100 multinazionali responsabili del 70% delle emissioni, genererebbe un gettito 3,1 mila miliardi di euro all’anno. Estesa a tutti gli altri tipi di emissione, questa tassazione fornirebbe 4.430 miliardi di euro. Gestite da un Fondo internazionale[36], queste entrate potrebbero essere distribuite alle popolazioni che vivono al di sotto della soglia di povertà[37]. Si potrebbe obiettare che non sono abbastanza per far uscire l’umanità dalla povertà estrema. Non importa: un’imposta del 27% sui 32 mila miliardi di dollari attualmente nascosti nei paradisi fiscali sarebbe sufficiente a integrare ciò che manca, affinché tutti possano vivere con più di 7,4 dollari al giorno. Anche le rendite derivanti dalla proprietà di terreni, foreste o persino dei rifiuti – un «male comune» – potrebbero essere soggette a imposizione globale.

Qualunque opzione venga scelta, lo si deve fare dopo aver consultato tutte le parti interessate. Molte altre domande, infatti, emergono sui destinatari di un reddito di base, qualora dovesse essere solo parzialmente universale: dovremmo, ad esempio, riservarlo agli under 25, visto che si può pensare che la maggior parte di loro avrà notevoli difficoltà a trovare lavoro in Europa nei prossimi anni?
[omissis]

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Note
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Gli Stati Uniti d’America in balia di tre sciagure

incendioroma-64-nerone LA LEGITTIMITA’ DELLA LEADERSHIP, LA VERA CRISI DELL’AMERICA di Marino de Medicilampadadialadmicromicro132Editoriale di Aladinpensiero online.

L’Italia a sovranità limitata. Come liberarsi dei vecchi e nuovi vincoli. Da Stato unitario a Stato federale?

I “vincoli” che condizionano la difesa dell’interesse nazionale
di Gianfranco Sabattini
L’Italia degli ultimi decenni, costantemente in emergenza, ha praticato la propria politica estera trascurando spesso la cura e la difesa dei propri interessi, anche con riferimento a quelle aree del mondo all’interno delle quali, per ragioni storiche e geografiche, era solita muoversi come uno degli attori principali. Una trascuratezza che è valsa ad amplificare le conseguenze negative del “vicolo esterno” del quale la Repubblica ha sofferto sin dal suo nascere, anche a causa del “vincolo interno”, espresso dal deterioramento delle istituzioni nazionali.
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Racconta l’Editoriale di “Limes” (4/2020) che, all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale, il viaggio in America compiuto da Alcide De Gasperi [3-17 gennaio 1947], capo del governo italiano, per chiedere “dollari, pane e carbone”, sia stato il prodromo che ha segnato l’inizio del massimo “vincolo esterno” nella storia d’Italia. [segue]

Dalla lingua che parliamo ci riconosciamo subito sardi

gramsci-sardoGramsci e la lingua sarda: un curioso e significativo episodio
francesco-casula-foto-microdi Francesco Casula
Domani sabato 6 giugno nella consueta intervista in Telecostasmeralda (ore 20.30, nella trasmissione a cura di Enrico Putzolu) parlerò di Antonio Gramsci. In questo spazio voglio ricordare quanto riferisce in una Lettera Alfonso Leonetti uno dei fondatori del Partito comunista, proprio insieme a Gramsci e altri – a proposito del rapporto fra Sardegna e lingua sarda e l’intellettuale di Ales.
[…] Anche il suo parlare era sardo. I lunghi anni passati lontano dall’Isola, ora a Torino, ora a Mosca e Vienna, ora a Roma, non avevano punto alterato la pronuncia sarda, con le o chiuse e i raddoppiamenti delle consonanti. [segue]

Il cammino lento dell’ITI di Is Mirrionis: l’Hangar

hangar-iti-ism-ghirraVenerdì 22 maggio si è tenuto un focus group sull’azione ITI di Is Mirrionis, denominata HANGAR. Ecco il report fornitoci dalla società PrimaIdea, che lo ha organizzato. [segue]

Oggi venerdì 5 giugno 2020

cq5dam-thumbnail-cropped-750-422Giornata mondiale dell’ambiente
sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2senza-titolo1lampadadialadmicromicro13democraziaoggi-loghetto55aed52a-36f9-4c94-9310-f83709079d6dasvis-oghetto
—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————–
Adottiamo un bar…
5 Giugno 2020
Rosamaria Maggio su Democraziaoggi.
Oggi ho deciso di fare un giro in città per osservare la ripartenza. Non che non fossi mai uscita in questi mesi di lockdown, ma lo avevo fatto poco e sempre molto velocemente per sbrigare incombenze di prima necessità. La situazione è tale da suggerire prudenza, osservanza delle raccomandazioni degli esperti, nonché’ delle norme giuridiche dettate […]

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avvenire-loghettoL’intervento. Retribuzione universale, ecco come la si può dare.
Gaël Giraud* giovedì 4 giugno 2020 su Avvenire.
L’ha chiesta esplicitamente il Papa nella «Lettera ai movimenti popolari», pubblicata nel giorno di Pasqua. Per non lasciare «nessun lavoratore senza diritti»
Pubblichiamo un estratto dell’articolo dell’economista padre Gaël Giraud* che appare sul quaderno 4079 della «Civiltà Cattolica» in uscita sul sito laciviltàcattolica.it e nelle librerie.
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Papa Francesco: “peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla”

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Che succede? c3dem_banner_04
IL SOCIALISMO DEL SINDACO DI MILANO
3 Giugno 2020 by Forcesi | su C3dem.
Esce un libro del sindaco di Milano: Beppe Sala, “Manifesto per la nuova sinistra” (La Stampa – estratto dal libro). Beppe Sala intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della sera: “E’ il momento di cambiare, serve un nuovo socialismo”. Enrico Letta ne scrive su Repubblica: “La sinistra può vincere solo se batte l’indifferenza”. Paolo Pombeni analizza le risposte dei partiti all’appello all’unità di Mattarella: “Partiti senza lungimiranza e futuro” (Il Quotidiano del Sud). Lettera di Silvio Berlusconi al Corriere: “Ora concordia per risollevarci tutti insieme”. Il costituzionalista Francesco Clementi dice che per rispondere a Mattarella “Ora serve un’Assemblea costituente” (intervista a Il Dubbio). Guido Tonelli, sul Corriere, scrive: “Per una nuova classe dirigente. Bisogna saper pensare in grande”. Marco Revelli e Marco Tarchi dialogano sulle manifestazioni di piazza del 2 giugno: “Negazionismo e populismo” (Repubblica). Claudio Cerasa propone “Quattro punti per una riconciliazione nazionale” (Foglio). Salvatore Sechi: “L’oplà di Franceschini e i rischi politici e identitari per il Pd nell’alleanza organica con i Cinquestelle” (Il Dubbio). Dice Serge Latouche, teorico della decrescita, a Il Fatto: “Il virus a Milano vi ha restituito il cielo azzurro”. Giulio Napolitano: “Come snellire la pubblica amministrazione” (Repubblica). Carlo Cottarelli, “Non so se serve un commissario… L’importante è che l’Italia prenda i fondi del Mes” (intervista al Corriere). Ora Ernesto Galli Della Loggia interviene sul nuovo Avanti: “Dove sono finiti i cattolici?”.
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avvenire-loghettoL’intervento. Retribuzione universale, ecco come la si può dare.
Gaël Giraud giovedì 4 giugno 2020 su Avvenire.
L’ha chiesta esplicitamente il Papa nella «Lettera ai movimenti popolari», pubblicata nel giorno di Pasqua. Per non lasciare «nessun lavoratore senza diritti»
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il_Manifesto_quotidiano_comunistaLAVORO. Lo tsunami della crisi sociale: 274 mila disoccupati in un mese
Emergenza. Istat: nei due mesi di blocco parziale della produzione 400 mila persone senza attività. Ad aprile non cercavano più occupazione 746 mila persone. Ed è record di precariato. In che modo il governo sta affrontando il secondo tempo dell’emergenza Covid 19 e la necessità di una rifondazione della cittadinanza sociale in una crisi pluriennale. A partire da una riforma del Welfare, degli ammortizzatori sociale e dell’estensione senza vincoli del cosiddetto “reddito di cittadinanza” verso un reddito di base.
Roberto Ciccarelli
Su il manifesto, EDIZIONE DEL 04.06.2020, [segue]