Monthly Archives: maggio 2020
Oggi mercoledì 27 maggio 2020
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————————————-
La sorte dei popoli? E’ condizionata dal debito ambientale
27 Maggio 2020
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
La Terra non soffre solo del problema climatico, ma anche di altre crisi che stanno esponendo l’umanità a diverse gravi tipologie di rischio. In un recente rapporto della Fondazione Lancet-Rockefeller sullo “stato di salute” del pianeta (inclusivo, oltre a quello dell’ambiente, anche di quello degli uomini e degli animali) denunciava che le sue alterazioni […]
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La scelta assurda della “guardia civica”
Giulio Marcon
Sbilanciamoci, 26 Maggio 2020 | Sezione: Editoriale, Politica
Che succede?
Il caso. Enzo Bianchi deve lasciare la comunità di Bose
Riccardo Maccioni martedì 26 maggio 2020 su Avvenire.
La decisione della Santa Sede al termine della visita apostolica iniziata sei mesi fa. Problemi di rapporti con il nuovo priore.
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PRODI: ABOLIRE IL CONTANTE, RIDURRE AL MINIMO L’EVASIONE FISCALE
25 Maggio 2020 by Forcesi | su C3dem.
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Le politiche nazionali per il Mezzogiorno e per la Sardegna. Sud: un Piano c’è, bisogna conoscerlo, migliorarlo, attuarlo!
Con l’intervento di Gianfranco Sabattini proseguiamo il dibattito sul “Piano Sud 2030, Sviluppo e coesione” avviato dall’articolo di Umberto Allegretti su Aladinpensiero del 14 maggio 2020. Non sfuggono le diverse accentuazioni di giudizio sugli elementi che compongono il piano dei due illustri Autori. Sabattini mette in guardia da un’impostazione tuttora eccessivamente centralistica del piano, almeno nella sua attuale configurazione, foriera di nuovi fallimenti e anche sul rischio che si riproduca da parte regionale nei confronti dei Comuni il perverso rapporto tra Stato e Regioni. Non ultimo il severo richiamo alla persistente impreparazione della classe politica locale, che richiederebbe adeguati interventi di formazione e aggiornamento (e non solo) degli operatori, politici e tecnici e amministrativi, a tutti i livelli. Allegretti si mostra più ottimista, intanto per l’impianto condivisibile del piano, suscettibile di miglioramenti, soprattutto negli aspetti gestionali. Il punto di incontro tra i due Autori ci sembra stia soprattutto nella sollecitazione a lavorare per rendere operativo il piano correggendone carenze e difetti. Come non potrebbe essere d’accordo Umberto Allegretti nell’auspicare e prevedere nella concretezza della gestione il massimo di partecipazione da parte delle amministrazioni regionali e locali e delle popolazioni, sapendo essere lui uno dei massimi esperti e propugnatori della democrazia partecipativa e deliberativa? [Franco Meloni].
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Piano per il Sud 2030: propositi e limiti
di Gianfranco Sabattini
Il Ministro per il Sud e la coesione sociale, Giuseppe Provenzano, ha presentato, poco prima che scoppiasse la pandemia da Coronavirus, un “Piano per il Sud 2030”, il cui scopo dovrebbe essere quello, non solo di migliorare le condizioni sociali e produttive delle regioni meridionali, ma anche di avviare un processo di crescita e sviluppo dell’intero Paese; un obiettivo da perseguire all’interno di una strategia generale: “investire nel Sud oggi pensando all’Italia di domani”. A tal fine, sono indicate le “risorse” da utilizzare, le “missioni” da svolgere, i “risultati” da raggiungere, le “procedure” da migliorare, i “processi” da monitorare, gli “strumenti” da utilizzare e i “soggetti” da coinvolgere.
Le risorse saranno prevalentemente quelle nazionali ed europee riferite al periodo di programmazione 2021-2027, da utilizzare per il rilancio degli investimenti pubblici, al fine di compensare il progressivo disinvestimento dello Stato nel decennio trascorso. Il Piano individua cinque “grandi missioni”, per realizzare un “Sud rivolto ai giovani”, un “Sud connesso ed inclusivo”, un “Sud per la svolta ecologica”, un “Sud frontiera dell’innovazione” e un “Sud aperto al Mondo Mediterraneo”. La realizzazione delle cinque missioni risponderà alle priorità di promuovere un deciso avanzamento competitivo del sistema produttivo meridionale e di creare “nuova impresa e nuova occupazione, in particolare per i giovani e le donne meridionali”.
I risultati saranno perseguiti attraverso una serie di “discontinuità” rispetto al passato, la principale delle quali riguarderà il “metodo di definizione e attuazione dei programmi di investimento”, che verrà riformato adottando una “cooperazione rafforzata” fra tutti gli attori coinvolti nell’attuazione del Piano. Il nuovo metodo, si precisa, sarà anche improntato al rafforzamento del ruolo di coordinamento e di impulso del “presidio centrale”, attraverso l’istituzione, per ciascuna delle cinque missioni, di “Comitati di indirizzo” e di “Piani di sicurezza e coordinamento nazionali”.
Col nuovo metodo sarà inoltre inaugurata una “nuova politica territoriale” in grado di rispondere, non solo alla riduzione del divario tra il Nord e il Sud del Paese, ma anche di quello tra “centri e periferie”, per restituire “protagonismo” ai luoghi marginalizzati dalle precedenti politiche.
Infine, il Piano per il Sud prevede che la sua attuazione debba avvenire attraverso un percorso partecipato dell’azione pubblica e di quella privata, ma anche e soprattutto attraverso “il confronto e la interlocuzione con le amministrazioni regionali e locali, con i parlamentari, i partiti, gli attori sociali e sindacali, le imprese e le forze dell’associazionismo”.
Nel complesso, considerate le condizioni economiche e sociali che caratterizzano attualmente il Paese, il Piano appare essere un’ennesima proposta di “buone intenzioni”; la sua attuazione, oltre che delle incertezze che peseranno sulla sua compiuta realizzazione, a causa degli effetti e delle conseguenze della pandemia da Coronavirus, risentirà dell’indeterminazione del nuovo metodo di definizione e attuazione dei programmi di investimento, della burocratica moltiplicazione degli strumenti operativi e dell’incerta individuazione degli enti periferici da coinvolgere (non è indicato il ruolo delle Regioni e tanto meno quello degli Enti locali). Inoltre, la formulazione e l’attuazione del Piano ripropongono, come risulta dal previsto “rafforzamento del presidio centrale”, la persistenza del centralismo decisionale statale che ha sempre caratterizzato la politica d’intervento nelle regioni meridionali del Paese. Da quest’ultimo punto di vista, il Piano si pone perciò in netta antitesi, non solo con la critica oramai consolidata sui limiti del centralismo decisionale, ma anche con i più recenti indirizzi della teoria economica riguardanti le procedure più appropriate per la promozione della crescita e dello sviluppo delle aree marginalizzate inquadrate all’interno di più vaste aree economiche.
Con riferimento all’Italia, il miglioramento dei metodi di natura quantitativa realizzato negli ultimi decenni ha consentito una più precisa valutazione degli esiti connessi agli aiuti erogati a favore delle regioni meridionali, per il superamento del loro ritardo sulla via della crescita e dello sviluppo. Grazie a tale miglioramento, Antonio Accetturo e Guido De Blasio, ad esempio, in “Morire di aiuti. I fallimenti delle politiche per il Sud [e come evitarli]”, hanno potuto valutare se i trasferimenti pubblici a favore delle regioni e aree arretrate del Paese (attuati dopo la fine dell’intervento straordinario all’inizio degli anni Novanta) hanno realmente contribuito a promuovere il superamento dello stato di arretratezza.
La verifica effettuata ha confermato, su basi oggettive, quella che è ormai una percezione consolidata: ovvero, che circa trent’anni di politiche d’intervento “hanno generato una diffusa sfiducia” da parte delle comunità delle regioni in ritardo nei confronti dell’utilità e dell’opportunità dei trasferimenti pubblici. Se, per il futuro, non si terrà conto di queste considerazioni, è inevitabile che all’interno delle regioni arretrate si radichi ulteriormente il convincimento che gli aiuti sono stati, nella migliore delle ipotesi, solo un sussidio per attività improduttive. Non è casuale che sia diffuso il dubbio che, stante la situazione attuale, l’ulteriore prosecuzione delle politiche in pro del Mezzogiorno, sul piano produttivo e della coesione sociale, sia destinata a sortire gli effetti sinora sperimentati.
Per il superamento di tanto pessimismo riguardo alla formulazione delle future politiche in favore delle regioni arretrate, occorrerà considerare criticamente la bassa qualità delle istituzioni locali che hanno sempre condizionato l’attuazione degli interventi. Chi vive in una regione che sinora ha fruito di trasferimenti per la promozione di un processo di crescita non riesce a liberarsi della sensazione che le politiche di sviluppo regionale sinora attuate siano diventate veri e propri canali di selezione della classe dirigente locale: si viene eletti, non per le proprie capacità amministrative o politiche, ma perché si è in grado di fare affluire risorse sul territorio e di distribuirle fra i più disparati “clienti”. Tutto ciò è valso a rendere ragionevole la presunzione che gli obiettivi dei programmi d’intervento non fossero la crescita, l’occupazione o l’inclusione sociale, ma siano stati, al contrario, i “vantaggi” della classe politica locale e della pletora di professionisti coinvolti nella progettazione e nell’attuazione di quei programmi, nonché le possibilità di carriera delle burocrazie regionali.
Se esiste una via d’uscita da questa situazione, essa non può che essere la sconfitta del centralismo decisionale; sinora è accaduto che lo Stato abbia sempre normalmente ricondotto a sé le decisioni, riguardanti non solo gli indirizzi di politica economica, ma anche quelli relativi agli interventi infrastrutturali, produttivi e sociali; quando nei programmi d’intervento che si sono succeduti nel tempo sono state coinvolte le Regioni, queste hanno reiterato il “vizio” centralista ai danni delle comunità locali, lasciando agli Enti politici che le rappresentavano solo competenze amministrative, esercitate senza una loro preventiva riorganizzazione territoriale.
Per il superamento del vizio centralista, sia a livello statale che regionale, diventa cruciale, in assenza di rimedi istituzionali assunti a livello nazionale, che all’interno delle aree regionali gli Enti locali, previo un loro riordino, siano dotati dei poteri decisionali e della strumentazione tecnica adeguata per promuovere e supportare il loro processo di crescita. In questa prospettiva di decentramento decisionale spetta alle Regioni dotare gli Enti locali del potere decisionale e della strumentazione tecnica necessari, nel quadro di una nuova prospettiva organizzativa e di funzionamento dell’intero impianto istituzionale regionale.
In quest’ottica, è plausibile ipotizzare che le Regioni abbiano solo un ruolo di coordinamento e di sintesi per rendere compatibili tra loro tutti i progetti espressi dal basso dai singoli Enti locali; inoltre, è anche plausibile assumere che le stesse Regioni giungano a svolgere il ruolo di “polo di equilibrio dinamico” tra le forze che tendono all’accentramento verticistico del potere decisionale dello Stato e le possibili derive localistiche a livello regionale.
L’uscita dall’attuale inefficienza della politica economica nazionale dovrebbe perciò significare un “ritorno al territorio”, al fine di ostacolare lo spopolamento delle aree interne regionali, rafforzandone la coesione sociale, e “curare” la sostenibilità ambientale dei processi di crescita e di riorganizzazione urbana attuabili a livello locale.
Allo stato attuale, pertanto, la discontinuità di metodo nella programmazione e attuazione degli interventi per il sostegno della crescita e dello sviluppo delle singole Regioni (in funzione anche dello sviluppo nazionale) deve consentire la partecipazione diretta delle società civili dei territori sub-regionali all’assunzione di scelte che, superando la prassi di una mera “interlocuzione” con le amministrazioni di ordine superiore, siano invece il risultato finale del coordinamento a livello regionale delle politiche locali, per la crescita dei singoli territori e dell’intera regione della quale sono parte.
A questo scopo, la riforma dell’organizzazione istituzionale, volta ad includere forti “elementi federalistici” a favore dei territori, deve essere fondata sull’attribuzione di un’autonomia decisionale alle istituzioni locali, per la progettazione e l’assunzione di scelte conformi a priorità predeterminate. In questo modo, le Regioni cesserebbero di esercitare il potere decisionale del quale hanno sinora disposto, rendendo possibile che ciò che avviene a livello dei luoghi sub-regionali sia il risultato (come sinora è avvenuto) di scelte operate dall’alto e poi calate nelle realtà territoriali.
Sin tanto che la discontinuità di metodo cui fa riferimento il Piano per il Sud 2030 lascerà impregiudicate queste auspicate e preventive riforme organizzative sul piano istituzionale è alta la probabilità che ogni nuovo programma d’intervento, per quanto lodevole nelle intenzioni, sia destinato a non riuscire, com’è accaduto per tutti i “programmi” sinora sperimentati, a perseguire gli obiettivi prefissati.
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Gli editoriali di Aladinpensiero.
NUOVE POSSIBILI PANDEMIE
Che fare? Pietro Greco, su Rocca. Ripubblicato come Editoriale da Aladinpensiero online.
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Oggi martedì 26 maggio 2020
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Sono un complottista e me ne vanto. Per i lumbard propongo a Christian: teniamoli al largo
26 Maggio 2020
Amsicora su Democraziaoggi.
Cari amici e compagni, tutti negano di essere complottisti. Complottista? Quandomai! Non sia mai! Essere tacciato di complottismo equivale a essere considerato un divulgatore di notizie false, uno fuori dal mondo, un mestatore, un untore. E invece io mi dichiaro, mi proclamo complottista, me ne vanto, mi onoro di essere socio della P.A.C.I. – Premiata […]
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Una settimana lavorativa di 4 giorni?
Scritto da Giorgio Maran su PandoraRivista online.
In questo articolo Giorgio Maran – autore di Il tempo non è denaro. Perché la settimana di 4 giorni è urgente e necessaria, recentemente edito da Altrimedia – delinea alcuni dei temi affrontati nel libro.
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Esplorare i futuri
Come si usa il futuro.
di Roberto Poli
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1. Fasi di un esercizio di futuro
Un esercizio di futuro include quattro fasi fondamentali: Impostazione, Documentazione, Visualizzazione e Azione.
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2. Metodi di futuro
Servono visioni di lungo periodo: come i futuristi hanno sviluppato una intera batteria di metodi per pensare l’impensabile.
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3. Gli studi di futuro
Distinguere fra ‘forecast’, ‘foresight’ e ‘anticipation’: i primi si traducono entrambi con ‘previsione’, quando in realtà sono ambiti molto diversi.
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Orientare le scelte, disegnare il futuro
Evento del 21 maggio 2020
Laudato sì’ ha compiuto 5 anni (il 24 maggio) : i Comboniani propongono uno strumento per presidiarne l’attuazione.
Vademecum Laudato si’: uno strumento per aiutare a vivere la conversione ecologica
[Giovedì 21 maggio 2020]
In occasione della «Settimana Laudato si’», che si è svolta dal 16 al 24 maggio 2020, i Padri Comboniani della Provincia italiana hanno pubblicato un “Vademecum Laudato si’”, preparato dalla loro Commissione di Giustizia, Pace e Integrità del Creato (GPIC).
Di seguito il link per leggerlo (ed eventualmente scaricarlo).
Vademecum_Laudato-si’
Oggi lunedì 25 maggio 2020
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————————————-
CA, convergenza con la linea della nuova Confindustria
25 Maggio 2020
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
La pandemia è ancora tra noi, seppure con minore virulenza, ora è indispensabile concentrarsi sul superamento delle drammatiche difficoltà occupazionali ed economiche. Il governo è finalmente riuscito a pubblicare la versione finale del decreto legge che allunga i tempi degli interventi di sostegno al reddito, li allarga e li completa, punta al sostegno del […]
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Lo statuto dei lavoratori: mezzo secolo di diritti, di Giacomo Meloni su Fondazione Sardinia.
Cinquant’anni fa, il 20 maggio 1970, venne pubblicata la legge n.300, lo Statuto dei lavoratori: la ricorrenza è l’occasione per il ricordo di un evento che ha segnato la storia collettiva ed individuale di un’ampia generazione. All’articolo del segretario della Confederazione Sindacale Sarda segue il servizio speciale che la LETTURA, settimanale culturale de ‘Il corriere della sera’ ha dedicato il 17 maggio 2020.
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Gli editoriali di Aladinpensiero
Coronavirus. Tutto dovrà cambiare? Ma i costi non saranno equamente distribuiti. Cosa fare per contrastare l’aumento della povertà. Papa Francesco propone una retribuzione universale di base. Qualcosa già si fa, ma non basta. Cosa fare di più e meglio prima che la casa bruci. Franco Meloni su Aladinpensiero e su Giornalia online.
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Oggi domenica 24 maggio 2020
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Ci vuole più Stato (sociale)
Roberto Artoni
Sbilanciamoci, 18 Maggio 2020 | Sezione: primo piano, Società
Per uscire dalla crisi avremo bisogno di un rafforzamento dello Stato sociale: ripristino della funzionalità del sistema previdenziale, allargamento dell’intervento nella sfera sanitaria e nell’area assistenziale, oltre a una maggiore equità, dovranno essere gli elementi chiave per una ripresa dopo la pandemia.
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Carbonia. L’esperienza politica di Carbonia, negli anni dell’unità d’azione
Domenica 24 Maggio 2020
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Puntuale il post domenicale sulla storia di Carbonia a partire dal primo settembre scorso.
Dice Ginsborg che ‘i partiti, numericamente assai deboli alla caduta del governo Mussolini, furono del tutto presi in contropiede dall’azione di Badoglio e del re il 25 luglio, garanzia di continuità dell’ordinamento tradizionale’, rispetto a ciò che avverrà di lì a […]
Iniziativa ASViS
La rigenerazione richiede investimenti sociali e nel capitale umano
Come uscire dalla pandemia senza tornare a comportamenti insostenibili? Il primo evento on line che precede il Festival dello sviluppo sostenibile ha raccolto preoccupazioni e proposte. Presentato il nuovo portale futuranetwork.eu. 22/5/20.
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Il futuro sarà quello che sceglieremo
Alla domanda “quale sarà il futuro” ho sistematicamente risposto “sarà quello che sceglieremo”. Per questo nasce Futura network: per aiutare l’Italia e i suoi cittadini a scegliere di “rimbalzare avanti” per cambiare in meglio, nonostante la crisi economica e sociale già cominciata.
di Enrico Giovannini
21 maggio 2020 su futuranetwork.eu.
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La salute prima di tutto. Per l’umanità e per il Pianeta. Che fare in Italia, in Europa e nel Mondo. Per il contrasto efficace alle pandemie indispensabili gli Organismi internazionali di garanzia (come l’OMS).
NUOVE POSSIBILI PANDEMIE
Che fare?
di Pietro Greco, su Rocca.
Due sono le cose da fare adesso che il lockdown è finito e qualcosa sembra tornare alla normalità (a una normalità, come sempre, variabile e dunque contingente). La prima è imparare a convivere con il virus. Anche con questo virus. La seconda è non farci trovare impreparati dalla prossima pandemia che, ci dicono gli scienziati, certamente ci sarà, anche se non sappiamo né quando né come si manifesterà
Ora non abbiamo più alibi, ammesso che li avessimo solo qualche mese fa. Ora sappiamo quanto male può fare una pandemia. Dobbiamo tenere sempre viva questa memoria. Ma non una memoria statica, in attesa degli eventi. Bensì una memoria attiva, che agisce con razionalità, rapidità e determinazione.
Non parliamo – non in questa sede, almeno – di tutto quanto dobbiamo attivamente fare per convivere nei prossimi mesi e forse anni con Covid-2019. Concentriamoci su come evitare o, almeno, contenere al massimo gli effetti della pandemia prossima ventura.
gli scienziati nuove Cassandre
Qualcuno ci darà della Cassandra. Ma quella donna preveggente non è una figura negativa della mitologia greca. Tutt’altro. Ricordiamone brevemente il profilo, perché può essere utile. Lei, Cassandra, era la figlia di Priamo, il re di Troia. Pare fosse capace di leggere il futuro. Così, quando nacque il fratellino Paride, la giovane principessa si lanciò in una previsione: il pargoletto appena venuto al mondo avrebbe causato la distruzione della città. Povera
Ebbene, da almeno cinquant’anni una nuova Cassandra – gli scienziati, che non hanno capacità profetiche, ma solidi dati scientifici – avverte noi concittadini dei pericoli che minacciano la moderna Troia. Ma da almeno cinquant’anni noi, cittadini della città minacciata (la Terra intera), non le diamo ascolto. E puntualmente spalanchiamo le porte al cavallo costruito dall’astuto e invisibile Ulisse di turno. Omero narra nell’Iliade che il cavallo nascondeva nella sua pancia un plotone di soldati. Oggi il cavallo porta ben evidente in groppa il Quarto cavaliere dell’Apocalisse: quello della peste, ovvero delle malattie infettive. Vestite, indegnamente, le vesti di Cassandra, torniamo dunque al futuro prossimo venturo e al nostro dovere di ascoltare gli scienziati e iniziare subito ad agire per gestire meglio il prossimo attacco di virus o batteri.
Che fare, dunque?
Ormai sappiamo che virus, batteri e altri agenti patogeni sono solo le cause prossime delle malattie infettive. Ci sono, poi, anche le cause remote: che coinvolgono tra le altre l’economia, il nostro rapporto con il resto della natura (eh, sì: perché noi siamo parte della natura), i nostri stili di vita. Ebbene, la risposta alla nostra domanda è abbastanza semplice: dobbiamo agire lungo direttrici che tengano conto sia delle cause prossime sia delle cause remote delle infezioni prossime venture.
prudenza ecologica
Queste direttrici sono abbastanza chiare. Iniziamo con quelle che devono tener conto delle cause remote. A determinare una transizione – una nuova transizione – nel rapporto dell’umanità coi microbi è una congerie di cause ecologiche: i cambiamenti del clima; l’erosione della biodiversità; l’invasione di nuovi ecosistemi selvaggi; l’ecologia degli allevamenti, l’urbanizzazione.
Cosicché la prevenzione non può che fondarsi su un radicale incremento della nostra prudenza ecologica. Rallentiamo il cambiamento del clima globale e l’erosione della biodiversità. Rendiamo più morbido e attento il nostro impatto con gli eco-sistemi regionali e locali. Rendiamo meno fitta la rete antropica che interconnette regioni ecologiche distinte e distanti. Cambiamo il nostro modello di sviluppo che genera pressioni insostenibili sull’ambiente. Cambiamo anche i nostri stili di vita, compresi quelli alimentari.
Non si può fare tutto in un giorno. È un’impresa titanica, ma ineludibile. La consapevolezza della portata della sfida, tuttavia, non può essere un alibi per non agire o ritardare l’azione. Quello cui abbiamo accennato non è solo retorica e non è mera astrazione. È quanto di più tangibile e pratico ci sia. Dobbiamo capire (agendo di conseguenza) che la lotta alle pandemie non può che avvenire nell’ambito di una visione globale e prudente – sostenibile, dicono alcuni – del nostro rapporto con il resto della natura.
nuovi farmaci
La prudenza ecologica, a sua volta, deve necessariamente far leva sulla conoscenza scientifica. Dobbiamo investire più ri- sorse economiche e umane nella conoscenza. Che è fondamentale anche per lo sviluppo della seconda direttrice, quella volta a minimizzare le cause prossime delle malattie infettive.
I sistemi d’arma per combattere da vicino i microbi patogeni e cercare di evitare la pandemia prossima futura sono tre: nuovi farmaci, nuove campagne di vaccinazione, nuovi sistemi di sorveglianza e di intervento.
Allestire e dispiegare l’arma difensiva dei farmaci contro una pandemia a lenta diffusione non è affatto semplice. Lo abbiamo visto col nuovo coronavirus: non abbiamo farmaci specifici (non al momento in cui scriviamo, almeno). La messa a punto di nuovi farmaci costa e il sistema sociale mondiale è attrezzato ormai per la diffusione dei farmaci di mercato, offerti a popolazioni di pazienti/consumatori. La storia dell’Aids come quella delle malattie diarroiche dimostra che il sistema non è attrezzato per una diffusione di farmaci presso popolazioni di pazienti che non sono consumatori. Detta in altri termini, l’accesso ai farmaci (quando ci sono) non è democratica.
Ancor più difficile è dispiegare l’arma dei farmaci contro una pandemia a rapida diffusione. Prendiamo il caso degli antivirali. Questi farmaci sono efficaci se somministrati appena dopo l’infezione. Ma alle industrie servono diversi mesi, anche un paio di anni, per produrre quantità adeguate di antivirali specifici. In caso di pandemie da virus che si diffondono con la rapidità della Spagnola e del coronavirus Sars-CoV-2 l’arma dei farmaci è, almeno all’inizio, spuntata, persino per i pazienti/consumatori, figuriamoci per le popolazioni più povere. A meno che… A meno che non intervengano i governi e agiscano in tre modi: allestendo, in largo anticipo, scorte adeguate di farmaci potenzialmente utili; finanziando la ricerca di questi farmaci; socializzando i costi.
vaccinazioni universali
I vaccini, con la stimolazione di difese immunitarie, sono un’ottima arma preventiva contro i microbi patogeni e le pandemie. Campagne di vaccinazioni universali contro i microbi noti sono, forse, il sistema migliore per cercare di evitare il ritorno del Quarto cavaliere. Ma anche queste campagne di vaccinazioni, per poter essere universali, devono essere gratuite. E, quindi, occorre che i governi intervengano ancora una volta, con norme e fondi, per campagne di vaccinazioni universali e gratuite. Di più, occorre che i governi intervengano anche per finanziare la ricerca di vaccini contro quelle malattie infettive che, come la malaria, colpiscono ormai solo i poveri e sono quasi del tutto dimenticate nei paesi ricchi. Oggi la gran parte della ricerca mondiale su farmaci e vaccini è realizzata da industrie private in un’ottica di mercato. Questo rende «orfane» di attenzione e di ricerca le malattie che aggrediscono persone povere, che non possono partecipare alla dialettica del mercato perché non hanno ricchezze da offrire. Ebbene, occorre che anche la ricerca dei rimedi contro le «malattie orfane» sia socializzata. Ovvero, sia realizzata da centri, pubblici o privati, finanziata con fondi pubblici.
sorveglianza globale e intervento efficace
C’è, infine, l’ultimo sistema d’arma, quello della sorveglianza pronta e dell’intervento efficace. La pandemia è, per definizione, un problema globale che ha un’origine locale. Per prevenire, in modo efficace, una pandemia occorrono sia una rete di sorveglianza globale, con fitte ramificazioni locali, che un centro di decisione mondiale con il diritto all’intervento locale.
La vicenda del Sars-CoV-2 esattamente come della Sars del 2003, con le reticenze iniziali della Cina e le difficoltà a stabilire un’azione comune persino nell’Unione Europea, hanno dimostrato a tutti che occorre la rete di sorveglianza e di intervento che ha molti, pericolosi buchi, strappata com’è dalle legislazioni e dalle gelosie nazionali. All’inizio del secolo il pronto intuito del medico italiano Carlo Urbani impedì che la Sars divenisse una grande pandemia.
Dobbiamo organizzare in una rete mondiale capillare ed estesa e trasparente che renda sistematico il pronto allarme. Non sempre c’è un Carlo Urbani a salvarci, immolando se stesso.
Contro un nemico globale oggi abbiamo schierati solo i medici e gli esperti dell’Organizzazione mondiale di sanità. Questa agenzia delle Nazioni Unite ha molti meriti, ma ahimè anche molti limiti e soprattutto pochi poteri (e pochi soldi). Non c’è da illudersi, se vogliamo evitare il ritorno del Quarto cavaliere e almeno minimizzare gli effetti della prossima pandemia, abbiamo bisogno di qualcosa che si avvicini molto a un governo mondiale della sanità. Purtroppo in questo periodo la pratica delle intese multilaterali non è molto frequentata. E la vecchia idea di un centro mondiale per il governo dei problemi globali, proposta già due secoli fa da Immanuel Kant, non incontra davvero molte simpatie.
Italia: che fare
Ma veniamo all’Italia e a quello che dovremmo dare nel nostro paese. Potremmo avere a disposizione molti miliardi per agire. Per esempio i 37 miliardi di euro del MES. Non sono pochi. Ma neppure tantissimi. Per il nostro sistema sanitario spendiamo, ogni anno, 110 miliardi di euro. Si tratta più o meno di un terzo da aggiungere una tantum al nostro budget. Occupiamoci, in primo luogo, delle terapie intensive. La Germania, prima della pandemia, poteva contare su 350 terapie intensive ogni milione di abitanti. L’Italia solo 83. Nel pieno dell’epidemia le nostre sono raddoppiate, a 160 per milione di abitanti. Dobbiamo raddoppiarle ancora, portandole al livello tedesco.
Queste attrezzature (e altre ancora) devono essere distribuite omogeneamente sul territorio nazionale. Se la Lombardia dovrà avere 3.500 terapie intensive in virtù della sua popolazione di 10 milioni di abitanti, la Campania con i suoi 5,8 milioni di abitanti ne dovrà avere 2.030 e la Basilicata, che di abitanti ne conta 562.000, ne dovrà avere 196.
Ma le terapie intensive sono solo una parte del problema. Ci vuole molto di più. Per renderci in grado di rispondere al meglio a questa e alle prossime pandemie occorre migliorare le strutture ospedaliere. Aumentando il numero di ospedali specializzati, come lo Spallanzani di Roma, il Cutugno di Napoli o il Sacco di Milano. Ma anche attrezzando tutti gli altri ospedali – e, se del caso, costruendone di nuovi – per- ché siano in grado senza sforzo e in tempi rapidissimi di fronteggiare un’emergenza. Il che significa, anche e forse soprattutto, formare tutti gli operatori sanitari alla ge- stione di una pandemia.
Ma questa pandemia ci ha insegnato che affrontare il problema solo dal punto di vista ospedaliero è una strategia perdente. Quello che è ancor più decisivo sono i servizi territoriali, in grado di prevenire e comunque di minimizzare il ricorso all’ospedale. Occorre, dunque, un’imponente azione di tessitura di un capillare ordito sul territorio, che prevede anche la formazione e la responsabilizzazione dei medici di base.
Ma la risposta adatta a un’emergenza sanitaria non può essere un fiore, sia pure vistoso, nel deserto. Una quota parte importante, se non la principale, di quei 37 miliardi vanno impiegati per rafforzare il sistema sanitario nazionale fondato sul pubblico, mediante un’azione organica.
Che comprenda: la creazione di ospedali flessibili, in grado di adeguarsi alle diverse emergenze che eventualmente si presentano e la rete territoriale cui abbiamo già accennato. Ma che preveda anche un aumento degli organici nel pubblico: più medici, in particolare specializzati, e più personale sanitario. In entrambi i casi occorre che le università smettano la politica del numero chiuso per l’accesso alle specializzazioni o, quanto meno, la rivedano profondamente. Nello stesso tempo le università devono aumentare i corsi di formazione per infermieri e altro personale sanitario. Tutto questo potrebbe essere ottenuto anche con una politica di accesso gratuito e semi-gratuito alle università. Politica che potrebbe minimizzare l’attesa caduta delle iscrizioni ai nostri atenei. Non dimentichiamoci che l’Italia è ultima in Europa e penultima tra i paesi Ocse per numero di giovani laureati. E di questo paghiamo già salatissime conseguenze. Ma c’è di più. L’Italia vanta uno dei più efficienti sistemi sanitari al mondo. Ma questa nostra prerogativa è stata attaccata negli ultimi lustri sia dalla diminuzione costante degli investimenti nella sanità pubblica sia dalla scelta, perseguita da alcune regioni in particolare, di «privatizzazione» della sanità. La ricca Lombardia con una classe medica di valore assoluto ha pagato nelle scorse settimane un prezzo salatissimo, alla corsa al privato. La salute è un diritto universale dell’uomo che può essere efficacemente soddisfatto soprattutto dal pubblico.
Tra i punti deboli del nostro sistema sanitario c’è la profonda disuguaglianza dell’offerta tra il Nord, il Centro e il Sud. Questa crescente asimmetria non fa bene a nessuno. Utilizziamo, quindi, i 37 miliardi per diminuire le differenze. Per rendere tutti i cittadini italiani uguali difronte alla salute. Perché lei, la salute, non dimentichiamolo mai è un diritto universale dell’uomo.
Pietro Greco
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ROCCA n.11, 1 GIUGNO 2020
NUOVE POSSIBILI PANDEMIE. Che fare? Pietro Greco.
Oggi sabato 23 maggio 2020
Giornata Nazionale della Legalità.
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————————————-
Il compagno C., il compagno Mao e il compagno M. E molto altro. Memorie degli anni ‘70 del secolo scorso
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
Nel 1975 mi iscrissi dall’Università, in Giurisprudenza, a Cagliari. I primi due anni furono davvero intensi. Per la prima volta vivevo in autonomia, con la modesta mesata proveniente dallo stipendio di mio padre, impiegato statale, e qualche soldo ricavato da occasionali lavoretti estivi. Unica responsabilità, rassicurare i miei che stavo […]
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Mariolina Falzari ci ha lasciato
23 Maggio 2020
Rosalba Meloni su Democraziaoggi.
Proponiamo un ricordo di Mariolina Falzari, compagna del Cagliari Social Forum, sempre presente, attiva e propositiva nelle battaglie democratiche, con il piacere di averla conosciuta e stimata, anche per la sua gentilezza e sensibilità.
Mariolina, dopo il G8 di Genova, nel 2001 è stata una delle fondatrici del Cagliari Social Forum (insieme a Serafino Canepa ed altri)[…]
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SENZA ANZIANI NON C’E’ FUTURO: “Senza anziani non c’è futuro”, appello internazionale promosso da Sant’Egidio (tra i firmatari Prodi, Habermas, De Rita, Sachs, Michnik…). Aladinpensiero aderisce all’appello e lo diffonde. Per aderire:
https://www.santegidio.org/pageID/37740/langID/it/SENZA-ANZIANI-NON-C-È-FUTURO.html.
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Mario Giro, “Cultura dello scarto nella strage degli anziani” (Manifesto).
Che succede?
IL BARLUME DI UN’EUROPA SOLIDALE. E L’APPELLO “SENZA ANZIANI NON C’È FUTURO”
22 Maggio 2020 su C3dem
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ECONOMIA, SOCIETÀ, STILI DI VITA IN ITALIA DOPO LA PANDEMIA
22 Maggio 2020, by Forcesi su C3dem. [segue]