Monthly Archives: aprile 2020
Pasquetta
Mi son rotto! Io oggi la pasquetta la faccio in bidda!
13 Aprile 2020
Amsicora su Democraziaoggi
Acqua in bocca, compagni ed amici, rimanga rigorosamente fra noi, io oggi la scampagnata di pasquetta voglio farla. Niente di stravagante, nulla di straordinario, voglio andare in bidda, al mio paese. Mi son rotto, sempre in casa, al più un po’ di sole in terrazzo come i vecchietti. Non ci penso neanche! Devo vedere […]
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Lunedì dell’angelo 2020: Sant’Efis atturada in domu. Il voto si scioglie virtualmente.
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Lunedì 5 aprile 1999: ce lo ricorda Cicci Borghi su fb.
Oggi lunedì 13 aprile 2020
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti——————————————–
I bambini e i ragazzi al centro delle politiche per la fase 2
Alessandro Rosina, Chiara Saraceno, Emmanuele Pavolini
Su Sbilanciamoci, 11 Aprile 2020 | Sezione: primo piano, Società
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QUALI RAPPORTI FRA LE EMERGENZE SANITARIE E QUELLE AMBIENTALI?
di Federico Francioni su Fondazione Sardinia.
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Messaggio Pasquale del Santo Padre e Benedizione “Urbi et Orbi”, 12.04.2020 .Alle ore 12.10, dai cancelli dell’Altare della Confessione, all’interno della Basilica Vaticana, il Santo Padre Francesco ha rivolto ai fedeli che lo ascoltavano attraverso la radio e la televisione il Messaggio Pasquale. Quindi, dopo l’annuncio della concessione dell’indulgenza dato dal Cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Basilica di San Pietro, il Papa ha impartito la Benedizione “Urbi et Orbi”.
Pubblichiamo di seguito il Messaggio Pasquale del Santo Padre:
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12 aprile 2020: è Domenica Pasqua di Risurrezione. Auguri!
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti——————————————–
- Gli Editoriali di Rocca ripubblicati su aladinpensiero online.
Ne usciremo migliori o peggiori?
di Ritanna Armeni.
CRISI ECONOMICA: ripartenza tra salute e lavoro-
di Roberta Carlini.
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Carbonia. Verso una nuova cultura del lavoro
12 Aprile 2020
Gianna Lai su Democraziaoggi.
[Democraziaoggi con gli Auguri pasquali!] Si conclude qui il Primo Capitolo della storia di Carbonia, che abbiamo pubblicato con distinti post ogni domenica a partire dal 1° settembre 2019. Benché non riportati a fine ppagina, ciascun articolo è corredato da un apparato di note, che rimandano alle fonti consultate, documenti d’archivio, testimonianze, pubblicazioni, ecc. [...]
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PANDEMIA
il ritorno del Quarto cavaliere
di Pietro Greco, su Rocca.
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Coronavirus. Pensare, analizzare, agire.
Proponiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori il quarto contributo, una riflessione di Alessandro Barban, priore generale dei camaldolesi, condiviso dalle redazioni de il manifesto sardo, Democraziaoggi e aladinpensiero, nell’ambito dell’impegno comune che qui si richiama.
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IL VACCINO CHE SI STA ATTIVANDO DENTRO DI NOI. La nostra vita col virus.
L’epidemia in corso sta rimettendo tutto in discussione. Anche la nozione di Dio. Le illusioni, l’emergenza, il nuovo normale, i cambiamenti evolutivi
di Alessandro Barban o.s.b
Ormai è chiaro. Ci eravamo solo illusi che la diffusione del virus Covid-19 sarebbe rimasta nella regione dello Hubei e precisamente nella città di Wuhan in Cina. Già alla fine di novembre e ancor di più all’inizio di dicembre dello scorso anno si manifestavano a Wuhan polmoniti atipiche molto gravi (interstiziali) che non si riuscivano a guarire con i soliti farmaci. Poi un dottore oculista molto scrupoloso Li Wenliang (morto il 6 febbraio 2020 per Covid-19) si accorse a dicembre che ben sette suoi pazienti erano colpiti da congiuntiviti aggressive, dense, resistenti ai medicinali. E il suo sospetto divenne realtà: si trattava di un virus. Dette l’allarme, per cui alla fine di dicembre 2019 molti sapevano in Cina, certamente diversi direttori di ospedali e capi di partito. Ma non si sono ascoltati i medici più attenti e preparati. Non si trattava della comune congiuntivite, non si trattava della solita influenza annuale o della consueta polmonite invernale. Non si volle credere che si era davanti ad un nuovo virus.
Ancora un’altra illusione: alcuni supponevano (come il Dott. Li) che era il virus della Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome) del 2002-2003, che ritornava … Altri pensarono: si tratterà della Mers (sindrome respiratoria mediorientale) che ha avuto inizio in Arabia Saudita nel 2012. Invece, no! Eravamo e siamo di fronte ad un coronavirus sconosciuto: Covid-19 (Corona Virus Disease 19) o malattia respiratoria acuta da SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus2). Una volta individuato l’agente patogeno, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, informava nel mese di gennaio della reale pericolosità del nuovo virus. Tuttavia, preferiva non comunicare il panico. E’ una faccenda della Cina che con un lockdown generale sembra contenere la diffusione del virus. Andrà tutto bene: tutto è cominciato in Cina e tutto finirà in Cina. Invece, non è stato così! Il virus si diffondeva attraverso i malati, non riconosciuti per tempo e isolati, e soprattutto tramite gli asintomatici che viaggiavano senza troppi controlli dalla Cina in Europa e viceversa, ma erano infettati senza presentare alcuna malattia trasmettendo il virus agli altri.
Alcuni virologi come la Prof.ssa Ilaria Capua che dirige One Health Center of Excellence della Univerisity of Florida, già nei primi giorni di febbraio afferma che eravamo di fronte ad una epidemia sconosciuta che presto sarebbe diventata pandemia, che tantissimi sono gli asintomatici, che è presente ormai da settimane non solo in Cina ma in Europa e raggiungerà gli Stati Uniti perché il virus farà il giro del mondo, che può presentarsi come un’influenza normale e in questi casi si può guarire, ma ci saranno tanti malati gravi da polmonite interstiziale, che finiranno in terapia intensiva perché non riusciranno a respirare da soli … e allora ci saranno tanti morti. Dice con chiarezza che c’è solo un mezzo per fermare la diffusione del virus, visto che non abbiamo alcuna difesa di anticorpi e non c’è un vaccino: fare come i cinesi che si sono chiusi in casa e hanno fermato ogni attività. I capi dei governi in Europa non hanno ascoltato né lei, e neppure i bravi ed esperti virologi dei loro Paesi …
Ma nel giro di poche settimane in Italia scoppiano diversi focolai virulenti, e il virus si diffonde poi in Spagna, in Francia, in Germania e in tutti i Paesi europei. Il virus già presente da settimane approfittava del nostro stile di vita costituito da relazioni multiple, viaggi, vicinanze. L’Inghilterra e gli Stati Uniti minimizzavano i dati nella speranza di non venir toccati dal virus … poi si è capito che le cose non stavano così … Mentre sto scrivendo, vengo a sapere che negli USA i morti stanno superando quelli delle Torri Gemelle di New York, e che il virus ha infettato 150-200 marinai della portaerei americana Roosevelt. Ma a bordo ce ne sono quasi 5000! Il Premio Nobel per la Pace 2018 il Dott. Denis Mukwege della Repubblica Democratica del Congo (Africa), noto per aver curato e assistito nel suo ospedale a Bukavu più di 50.000 donne vittime di abusi sessuali, ha denunciato in questi giorni che se non si interverrà con aiuti massicci assisteremo ad una ecatombe nel continente africano.
Ecco la nostra supponente ed orgogliosa illusione: tutti abbiamo pensato che il virus avrebbe colpito gli altri e non noi! Miopia che rivelava solo il nostro individualismo egoistico.
L’emergenza
Il virus è infido, veloce, pericoloso, letale colpisce non solo anziani con e senza altre malattie, ma anche giovani. Là dove non ci sono altre complicanze mediche e se si arriva per tempo molti ce la fanno, producono anche degli anticorpi … molti muoiono nelle loro case a causa della presunta influenza, tanti si ammalano nelle case di riposo e nelle carceri, altri soccombono negli ospedali dove non ci sono posti sufficienti in terapia intensiva, e soprattutto non ci sono farmaci adatti e testati. I posti negli ospedali non bastano, c’è bisogno di respiratori (in Italia si scopre che abbiamo solo un’azienda che li produce, ma appena 30 al mese, perché la grande produzione è in Cina), non si trovano le mascherine (prodotto che si produce esclusivamente in Cina). La popolazione si deve chiudere in casa, le fabbriche si fermano. Tutto chiuso: scuole, bar, ristoranti, cinema, chiese. Rimangono aperti solo i supermercati, le farmacie e altre attività riconosciute come essenziali. La nostra vita quotidiana viene stravolta: da veloci e inquieti ci dobbiamo fermare e non possiamo più andare da alcuna parte; dai mille impegni che avevamo dividendoci tra famiglia, lavoro e tanto altro improvvisamente non abbiamo più niente da fare; alcuni possono lavorare con lo smart working, ma molti altri non lavorano perché le loro aziende chiudono; bisogna prendersi cura dei figli a casa ma anche dei genitori anziani o dei nonni. Vai alla finestra e non c’è più nessuno per strada. Si sentono i suoni delle sirene delle ambulanze. Per televisione si vedono gli ospedali al collasso per il numero dei ricoverati, il personale medico vestito come degli astronauti per proteggersi dal contagio dei malati è stremato per la mole di lavoro (ma anche medici, infermieri, paramedici e autisti delle autoambulanze si infettano, e vengono ricoverati).
Gli esperti cominciano a descrivere uno scenario di contagio molto grave sostenendo che la pandemia non sarà breve. Sembra un film di fantascienza. Invece, è tutto vero: un virus sconosciuto che va in giro per il mondo, contagia chiunque perché non abbiamo né anticorpi né vaccini, tutto si ferma, gli ospedali sono intasati e anche i cimiteri non sanno più dove seppellire i morti. Eppure e malgrado questa situazione si risveglia una rete di solidarietà, di aiuti molteplici (da quello economico a quello di fare spesa per il vicino di casa; di medici in pensione che si ripresentano in corsia e molti si offrono da altri Paesi per dare una mano negli ospedali) … Mancano mascherine, camici e guanti … Tonnellate di materiale ospedaliero sono arrivate in dono dall’estero in Italia ma anche in altri Paesi, e diversi settori di produzione si riconvertono per produrre ventilatori e materiale sanitario.
Abbiamo attraversato queste tappe delicate nel giro di poche settimane: dall’illusione che il virus non ci riguardava alla paura del contagio diretto; dal pericolo di perdere anche la vita alla possibilità di trovare delle cure efficaci e anche il vaccino; dall’emergenza generalizzata della diffusione virale alla risposta del distanziamento sociale e anche familiare ritrovando inaspettate vicinanze fatte di attenzioni, telefonate, dialoghi, approfondimenti e nuove consapevolezze.
Il nuovo normale
Sempre la Prof.ssa Ilaria Capua ha coniato l’espressione: nuovo normale. Un quotidiano diverso – appunto nuovo – che si interfaccia alla normalità del nostro vivere. Altri hanno colto nelle relazioni la presenza di gesti di umanità che si credeva perduta in tante persone dominate da cinismo (che mi importa: io me ne frego!), da interesse egoistico, indifferenza e razzismo, impoverite da mancanza di etica e di responsabilità … dominate dal denaro e motivate solo dal far soldi, prese solo dal benessere del proprio io. Invece, è emerso in migliaia di uomini e donne da sotto la cenere, dal fondo dell’anima – dopo un lungo letargo – un inaspettato umanesimo frutto del processo evolutivo dello spirito, che dà nuovamente senso alla vita, a questa vita che ora viene minacciata. “L’umanesimo diventerà la nostra prassi quotidiana e l’unica vera ricchezza: non sarà una disciplina di studi, sarà uno spazio del fare che non ci lasceremo mai rubare” (A. Baricco).
E’ evaporato velocemente il bla bla della politica e di una certa opinione di massa, e gli scienziati e la scienza hanno trovato fiducia, ascolto e comprensione. Un intero linguaggio è cambiato. Malgrado la prova durissima che stiamo vivendo in tanti Paesi del mondo (dalla Cina e dall’India all’Europa e agli Stati Uniti) si registra meno rabbia, disaffezione, apolitica, e maggior senso civico, solidarietà umana, interesse al futuro comune. La paura degli altri, della differenza, della globalizzazione è stata sostituita dalla speranza che l’aiuto può venire dall’altro, che insieme ce la possiamo fare a fronteggiare la pandemia, che forse è meglio vedere le cose in modo inclusivo condividendo le esperienze, le intuizioni e le soluzioni.
Ma tutto ciò non basta, perché la pandemia venga fermata o limitata. Certo lo sarà, ma con dei costi umani, sociali ed economici a tutt’oggi imponderabili. Tuttavia, un dato è chiaro fin da ora: la nostra esistenza e il nostro mondo non saranno più quelli di prima. Da qui la domanda che ci preoccupa: e dopo? Come sarà dopo? Come se questo tempo di virulenza terminasse tra qualche mese. Invece, dovremo convivere col virus e continuare ad usare mascherine, tenere distanze fisiche, utilizzare amuchina, misurarci la febbre … Le terapie intensive non saranno più affollate, ma continueranno a lavorare, forse useremo dei farmaci mirati e più efficaci finché non avremo un vaccino valido ed efficace.
Ecco il vaccino, la nuova attesa messianica! Si presenta l’ennesima illusione: col vaccino sarà tutto come prima! Non credo proprio. Per alcuni è arrivato il tempo dell’audacia perché – pur convivendo più o meno a lungo con il virus Covid-19, il nemico che ha depotenziato tutti gli altri presunti nemici (extracomunitari, rom, ebrei, musulmani cinesi, etc.) -, cominciamo a pensare e immaginare – appunto con audacia – le future relazioni umane e sociali. Per altri è il tempo della scelta perché siamo chiamati ad una opzione decisiva della nostra vita: senso e qualità dell’esistenza, etica, visione del mondo. Tuttavia, sappiamo bene che l’audacia e la scelta potranno veramente attivarsi solo quando prenderemo coscienza e liberemo la personale energia del nostro mondo interiore per abitare questo tempo non più normale. “Ciò che è certo – annota R. Repole – è che in un momento così anormale, non si può continuare a vivere come se tutto fosse semplicemente normale. Sarebbe insipiente e distruttivo”.
Cambiamenti evolutivi
Nel discorso che Papa Francesco ha tenuto il 27 marzo scorso davanti alla piazza vuota di S. Pietro, ma rivolto a milioni di persone che partecipavano alla preghiera attraverso la televisione, la radio e il web, egli ha proposto alcune riflessioni decisive:
1. La tempesta della pandemia ha fatto cadere il trucco degli stereotipi delle nostre maschere moderne “ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”;
2. “In questo nostro mondo siamo andati avanti a tutta velocità sentendoci forti e capaci di tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta … Non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”;
3. Siamo chiamati “a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta … il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. E’ il tempo di reimpostare la rotta della vita”.
Francesco ha rotto l’orizzonte tenebroso e nero della paura, dell’angoscia esistenziale dell’essere soli, e del pericolo della morte, e ha delineato un orizzonte umano universale costituito da luminosa fiducia, da fratellanza, e da una vita da riscoprire e inverare, lungo il quale possiamo già scorgere le realtà decisive che stanno evolvendo. Avendo il coraggio di stare da solo davanti a quella piazza vuota, si è posto simbolicamente di fronte al vuoto del male senza temerlo: al non-senso, alla morte e al nulla che minaccia l’intera umanità. E l’ha fatto senza indietreggiare, pregando: preghiera rivolta a Dio, ma rivolta anche agli uomini. Non basta richiamare la speranza – tema molto caro a noi cristiani – di un tempo futuro di rigenerazione, o il kairòs della scelta di ciò che conta sul serio e ciò che passa, e neppure l’audacia proposta da diversi laici (A. Baricco, M. Recalcati etc.) per delineare il dopo, perché così facendo in realtà facciamo un errore di sguardo e di visione. Non c’è il dopo, c’è l’oggi che già albeggia, appare presentando le sue forme, perché questo è il tempo di accogliere o meglio è l’ora di cogliere – proprio come si coglie un frutto maturo da un albero – la pulsione di vita presente dentro di noi. E lo facciamo – paradossalmente – provando “a trarre da questa impensata potenza negativa una forza nuova”, perché “la crisi più profonda può sempre rivelarsi come l’occasione straordinaria di una ripartenza” (M. Recalcati). Il cambiamento è già in atto e le scelte si stanno formando dentro ciascuno di noi. Certo arriverà il vaccino medicale per vincere definitivamente il virus. Ma dentro di noi si sta preparando un altro vaccino ed è già pronto all’uso.
1. Ristrutturazione della psiche
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Buona Pasqua!
Dagli amici della Pro Civitate Christiana di Assisi
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Dagli amici della Caritas
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“Se ne vanno.
Mesti, silenziosi, come magari è stata umile e silenziosa la loro vita, fatta di lavoro, di sacrifici. Se ne va una generazione, quella che ha visto la guerra, ne ha sentito l’odore e le privazioni, tra la fuga in un rifugio antiaereo e la bramosa ricerca di qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno mani indurite dai calli, visi segnati da rughe profonde, memorie di giornate passate sotto il sole cocente o il freddo pungente. Mani che hanno spostato macerie, impastato cemento, piegato ferro, in canottiera e cappello di carta di giornale. Se ne vanno quelli della Lambretta, della Fiat 500 o 600, dei primi frigoriferi, della televisione in bianco e nero. Ci lasciano, avvolti in un lenzuolo, come Cristo nel sudario, quelli del boom economico che con il sudore hanno ricostruito questa nostra nazione, regalandoci quel benessere di cui abbiamo impunemente approfittato. Se ne va l’esperienza, la comprensione, la pazienza, la resilienza, il rispetto, pregi oramai dimenticati. Se ne vanno senza una carezza, senza che nessuno gli stringesse la mano, senza neanche un ultimo bacio. Se ne vanno i nonni, memoria storica del nostro Paese, patrimonio della intera umanità. L’Italia intera deve dirvi GRAZIE e accompagnarvi in quest’ultimo viaggio con 60 milioni di carezze.”
[ricevuto da un medico]
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IL VACCINO CHE SI STA ATTIVANDO DENTRO DI NOI
La nostra vita col virus
L’epidemia in corso sta rimettendo tutto in discussione. Anche la nozione di Dio. Una riflessione del priore generale dei camaldolesi. Le illusioni, l’emergenza, il nuovo normale, i cambiamenti evolutivi
di Alessandro Barban o.s.b
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Coronavirus. Pensare, analizzare, agire.
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Ne usciremo migliori o peggiori?
di Ritanna Armeni, su Rocca.
Questa domanda che ha scandito i giorni del coronavirus è – va detto – senza mezzi termini una domanda inutile e, anche, un po’ deviante. Non bastano due o tre mesi di quarantena, di angoscia, di malat- tia a rendere l’umanità migliore o peggio- re. Altri e più lunghi sono i percorsi.
Vale la pena di chiedersi, invece, che cosa queste settimane hanno dimostrato. O meglio – ancora più modestamente – che cosa ci auguriamo ci abbiano insegnato. Quali riflessioni ci hanno portato e come queste possono essere utilizzate per il futuro.
A me hanno confermato qualcosa che già sapevo ma che si è presentato con una forza sconvolgente: l’esistenza dell’imponderabile e i limiti delle previsioni umane. Sono fatti noti, direte, ma spesso – troppo spesso – ce ne dimentichiamo. E questo ci dà arroganza e presunzione. L’esplosione imprevedibile e incontrollata di un virus che oggi terrorizza miliardi di abitanti del globo ci ricorda che non dominiamo completamente la natura, tanto meno ne siamo i padroni. La scienza spesso troppo sicura ha ancora molta strada da compiere; il progresso continuo, ineluttabile e scontato è un’illusione. L’hanno dimostrato proprio in quest’occasione la sorpresa, le incertezze, gli opposti pareri degli scienziati e degli esperti. Il coronavirus, la quarantena, la riflessione hanno fatto capire quanto il controllo di noi stessi e della nostra vita sia aleatorio e quanto sia non fatalistico ma realistico tenerne conto in futuro. Il secondo insegnamento riguarda il rapporto o meglio lo scontro tra il mercato e la salute umana.
Veniamo da decenni di supremazia dell’economia che ha vinto sulla politica, sulla natura, sulla cultura. Naturalmente in questi anni abbiamo assistito anche a uno scontro del Mercato (quello con la M maiuscola, globale e pervasivo) con la salute e la vita umana. L’abbiamo visto ogni giorno nei disastri ecologici del pianeta, nella vita di tanti popoli distrutti dalle scelte economiche di altri, ma mai in modo così concreto, diffuso, globale ed evidente come nei giorni della pandemia. Il virus ha reso impossibile edulcorarlo, farne qualcosa di limitato, attribuirlo all’ideologia di qualche dissidente nei confronti delle magnifiche sorti e progressive del mercato. Gli stati, i governi, le organizzazioni di quasi tutti i paesi del mondo si sono trovati di fronte al dilemma chiaro ineludibile, non rinviabile a riunioni, convegni e conferenze: continuare a privilegiare l’economia e, quindi, il funzionamento del sistema così com’era andato avanti fino a quel momento a scapito della salute e scontando la morte di molti o fermarsi, bloccare la produzione e il sistema economico per proteggere la salute dei cittadini, di tutti i cittadini, La scelta non si era mai posta prima in modo violento, chiaro, sotto gli occhi di tutti. C’è stato il dubbio e, nel dubbio, il virus è andato avanti. La lentezza delle decisioni ha mostrato quanto fosse forte l’ideologia del mercato e della produzione a tutti i costi. Paesi come la Francia, gli Stati Uniti, la Gran Bretagna hanno per molto continuato a favorire il business chiudendo gli occhi di fronte al contagio. L’Italia è stata più veloce nella scelta della salute ma non tanto da evitare la catastrofe in molte zone del suo paese. Credo che l’ideologia del mercato sia ancora molto forte, ma il virus ne abbia evidenziato le debolezze, mancanze ed errori più che in altri casi. E credo che un insegnamento ci sia: non può essere rinviata una ricomposizione, un equilibrio maggiore dello sviluppo economico con l’ambiente e con la salute. Se questo si rompe le conseguenze non sono più limitate e parziali, non riguarda- no più questa o quella parte del pianeta. Riguardano proprio tutti. E possono prefigurare qualcosa che ci fa pensare alla fine dell’umanità.
C’è poi un terzo insegnamento che mi piacerebbe fosse esteso. La pandemia – reale, concreta, dolorosa – avrà conseguenze sociali ed economiche ancora non definite, di certo profonde e drammatiche. Queste esigono un percorso di verità. Mai come oggi le chiacchiere, le baruffe della politica, la retorica, le parole vuote sono non solo inutili ma offensive per chi da questa pandemia è e sarà ancora di più colpito nella vita, nei bisogni, nelle condizioni materiali e nelle aspirazioni. Andiamo incontro a un periodo – avrebbe detto Winston Churchill – «di lacrime e sangue». Nel quale, come lo statista inglese ben intuì, non si deve mentire, non si deve illudere. Tutto deve essere fatto nella massima chiarezza. Sarebbe bene che la durezza di quel che ci aspetta fosse esposto ai cittadini, che i fatti non fossero occultati o edulcorati che i sacrifici non fossero nascosti, che delle difficoltà si parlasse senza indugi. Quando finirà la pandemia non comincerà una nuova primavera ma un autunno e un inverno durissimi con più debito, più disoccupazione, più povertà, nel quale pagheremo i tentativi di arginare la malattia con un peggioramento delle nostre condizioni materiali. Sappiamo anche che i primi a soffrirne (non è una novità) saranno i più deboli. Ma molti altri possono esserne travolti. Per questo occorre subito una strategia, una linea chiara e precisa che renda i sacrifici inevitabili almeno compresi e accettabili. Il coronavirus che ci ha fatto soffrire così tanto ha un solo merito. Gli italiani hanno dimostrato di essere un popolo maturo e consapevole. Non meritano bugie, tentennamenti, rinvii, illusioni. Spero che chi ci governa lo abbia capito. Non so se sarà all’altezza.
Ritanna Armeni
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CRISI ECONOMICA
ripartenza tra salute e lavoro
di Roberta Carlini, su Rocca.
Dobbiamo pensare ai più deboli». «Che è adesso ‘sta novità?».
Il dialogo contenuto in una bella vignetta di Mauro Biani, pubblicata su La Repubblica nei giorni dell’insorgenza dell’epidemia di Covid 19, è perfetto non solo in sé, ma anche per parlare delle conseguenze economiche del coronavirus. Paragonate per la durezza del loro impatto alla Grande Recessione del 2008, anzi no a quella dell’influenza spagnola del 1918, oppure no, alla Grande depressione del 1929, o ancora a una delle due guerre mondiali del secolo scorso. Ogni paragone ha una sua parte di credibilità; eppure lo choc economico da coronavirus è imparagonabile ad altri del passato, per la sua simultaneità – con un lasso di tempo molto breve, si è esteso all’intera economia mondiale –, per le sue caratteristiche, e per le differenze tra la struttura economica di oggi e quella del secolo scorso. Ma un elemento comune tra le lezioni del passato e la sfida di oggi è proprio in quelle parole provenienti dalla satira: dobbiamo pensare ai più deboli. E questa è una novità, rispetto all’impianto della politica economica corrente prima che il virus cambiasse il mondo.
che crisi è
Dai giorni di febbraio nei quali, con i primi casi italiani ufficialmente accertati, è stato chiaro che il virus era sbarcato in Europa, come era prevedibile, è risultato evidente anche che il suo impatto economico non sarebbe stato limitato a uno «choc cinese». Ossia all’effetto della brusca frenata della enorme potenza della fabbrica del mondo, gigantesco mercato di provenienza e di sbocco di merci e capitali. No, non era più «solo» questo. Ma uno choc economico simultaneo – con sfasamenti temporali brevissimi, dell’ordine di una o due settimane – su tutte le economie dei paesi industrializzati e in via di sviluppo. Lo choc ha tre facce: viene dalla domanda di beni e servizi (i consumi si fermano, gli investimenti pure), dall’offerta (le fabbriche chiuse, tranne che per i beni essenziali) e, a seguire, dalla finanza e dal sistema creditizio (banche in difficoltà con i loro debitori, e instabilità delle borse e dei cambi).
«Siamo in guerra», ha detto il presidente francese Macron, e tanti altri suoi colleghi hanno seguito questa metafora. Approssimata per difetto: poiché nelle guerre «vere» da un lato i danni in vite umane sono molto maggiori, e così anche la perdita di infrastrutture materiali, per la distruzione di impianti, strade, ferrovie, ponti; dall’altro c’è – di solito – una domanda pubblica per le necessità belliche, che per esempio ha forgiato la nascita della grande industria italiana nel caso della prima guerra mondiale, e ha sancito l’evoluzione verso il «keynesismo di guerra» nella seconda guerra mondiale. Uno storico dell’economia, Barry Eichengreen, ha preferito fare altri raffronti, ricordando il numero di disoccupati e il calo del prodotto interno lordo che furono causati dalle due grandi crisi economiche (quella del ’29 e quella del 2008) e dall’epidemia della «Spagnola» del 1918. Durante quest’ultima, morirono solo negli Stati Uniti più di mezzo milione di persone; in alcune città chiusero negozi e ristoranti, l’economia ebbe un calo ma tutto sommato se la cavò riprendendo subito dopo. Quanto alle grandi recessioni del secolo scorso e di quello presente, le perdite dell’occupazione e del prodotto sono state gigantesche, ma «spalmate» nel giro di qualche mese o anche anno. Mentre stavolta l’impennata dei disoccupati è immediata: gli Stati Uniti, il Paese che ha il conteggio più rapido dei suoi disoccupati, hanno visto salire il numero dei sussidi di disoccupazione dai 211.000 della prima settimana di marzo a circa 10 milioni. Per i Paesi europei avremo i dati ufficiali più tardi, e forse il moltiplicatore sarà minore, visto che abbiamo una struttura del mercato del lavoro diversa. Ma la rapidità del declino della produzione e del consumo è identica. Secondo le stime dell’Ocse, si sta perdendo il 2% del Pil per ogni mese di lockdown. E l’Organizzazione mondiale del lavoro prevede, per il secondo semestre del 2020, la cancellazione di 195 milioni di posti di lavoro.
Questa caratteristica deriva dalla stessa natura della crisi, che è, in qualche modo, un effetto delle misure di contenimento del contagio. Per appiattire la curva dell’epidemia, che sarebbe altrimenti schizzata verso l’alto causando una vera strage in vite umane, vista l’impossibilità per gli ospedali di reggere l’impatto di un’ondata gigantesca di ricoveri in terapia intensiva, i governi (prima quello cinese, poi quello italiano e a seguire quasi tutti gli altri) hanno fermato l’economia con l’unica politica messa in campo e finora dimostratasi efficace: il distanziamento sociale. Era inevitabile – anche se alcuni governi hanno tentennato molto prima di decidere la chiusura; era, ed è, costoso, ma avrebbe potuto essere ancora più costoso, anche per l’economia, non farlo. È stato fatto di corsa, forse troppo tardi in alcuni casi: come dimostrano le testimonianze di quanti nelle zone-focolaio della Lombardia, che sono anche tra le più produttive e le più connesse con il commercio internazionale, hanno chiesto che si chiudessero le fabbriche ben prima di quando è poi effettivamente avvenuto. Dunque si può dire che è stata, ed è, una recessione «indotta», per motivi di salute pubblica.
che crisi sarà
Questo non vuol dire che è tutto sotto controllo e che basterà un clic per tornare alla normalità della produzione. Quel che è complicato dal punto di vista epidemiologico – decidere quando riaprire, con quali precauzioni e modalità, con quale scansione temporale – dal punto di vista economico è una sfida quasi impossibile. O quantomeno, impossibile da affrontare con gli strumenti e la mentalità del passato. Il primo motivo è evidente nel ruolo che i governi hanno già assunto ovunque, entrando in campo con grandi pacchetti di soldi, in prima battuta per pagare le spese sanitarie (almeno in Europa); poi per garantire la sicurezza sociale a chi si trova senza salario, e per evitare un’ondata di fallimenti delle imprese; sullo sfondo, per il cosiddetto «stimolo fiscale», per aiutare la ripresa. Per l’emergenza, si ricorre al debito: nessuno, neanche tra gli economisti più allineati con l’ideologia dello «stato minimo» e l’ortodossia del bilancio in pareggio, contesta la necessità di fare debito pubblico in questa fase. E tutti i governi stanno ricorrendo al debito pubblico. Nello spazio monetario comune europeo, il patto di stabilità e crescita, che ha governato per decenni la nostra politica fiscale e le discussioni attorno ad essa, si è dissolto in poche ore: è stato sospeso, come gli stessi trattati prevedevano, per l’eccezionalità del momento. Il problema è che questo non basta. Paesi con economie e finanze pubbliche diverse si trovano in condizioni diverse, e se
– per fare un esempio – l’Italia dovesse essere costretta a pagare interessi più alti sul suo debito questo avvierebbe un circolo vizioso capace di far saltare tutto. Di qui la richiesta di una mutualizzazione del debito, ossia che tutti i Paesi dell’euro si assumano insieme il rischio e la responsabilità: richiesta osteggiata da alcuni governi del Nord Europa, stretti attorno alla Germania, e non accolta dall’eurogruppo, che ha invece deciso di affidarsi ad altri strumenti per prestare ai governi soldi a tassi più vantaggiosi di quelli di mercato. Questi strumenti sono il cosiddetto Sure (destinato a coprire le spese per la disoccupazione, ma sottodimensionato rispetto all’entità delle domande di senza lavoro che ci saranno in Europa), la Banca europea per gli investimenti e il Mes, ossia il Meccanismo europeo di stabilità, che per l’occasione è stato «liberato» dal peso della condizionalità, il che vuol dire che i governi che chiedono quei prestiti non dovranno assoggettarsi a piani di austerità, purché usino i fondi per spese sanitarie «dirette o indirette». Tutti strumenti utili ma assai sottodimensionati rispetto all’entità dei bisogni. L’eventuale varo dei coronabond, oppure un uso diverso del bilancio europeo (che però ammonta solo all’1% di tutto il Pil europeo e sarebbe già destinato ad altri scopi), saranno discussi nelle prossime settimane.
Eppure l’Unione europea, che non ha neanche potuto mettere in campo un sistema statistico standardizzato per contare i suoi contagiati e i suoi morti, dovrebbe fare d’un balzo quel che non ha fatto nel- la crisi del 2008, e poi in quella greca del 2010, e «pensare ai più deboli» – come dice Biani – sarebbe l’unico modo per salvare anche «i più sani». C’è da sperare che, dopo il copione un po’ triste e ripetitivo dell’eurogruppo, prevalgano le voci nuove, anche all’interno di quegli stessi Paesi che adesso si oppongono alla ricerca di strumenti per mettere in comune rischi e opportunità, e anche che si affermi una leadership politica in grado di interpretarle.
Non è l’unica sfida per l’economia. L’altra è ricostruire quelle catene internazionali del valore, spezzate dal contagio. Fare in modo che la riapertura, quando ci sarà, non sia una corsa ad accaparrarsi i nuovi pezzi di mercato lasciati sguarniti dai perdenti, a costo di ignorare i pareri degli epidemiologi e le loro raccomandazioni, e di subire nuove e ancora più letali ondate di contagio. In altre parole, fare in modo che la cooperazione prevalga sulla competizione, per salvaguardare le condizioni di una sana competizione nel futuro.
Roberta Carlini
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Rocca da La Repubblica online e sulla pagina di Mauro Biani maurobiani.it
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ROCCA 1/15 APRILE 2020
Oggi sabato 11 aprile 2020
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DOCUMENTAZIONE SUL MES ( Meccanismo Europeo di Stabilità). Dalla pagina fb di Manuela Croatto, che ringraziamo.
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Scuola: iniziamo a riflettere sull’anno prossimo
11 Aprile 2020
Rosamaria Maggio su Democraziaoggi.
Il DL n. 22 dell’8.4.020, “Misure urgenti sulla regolare conclusione e l’ordinato avvio dell’anno scolastico e lo svolgimento degli esami di Stato”, prevede una ipotesi A (rientro a scuola entro il 18 maggio) e una ipotesi B (nessun rientro). Ritengo, con riferimento alle dichiarazioni governative e del Comitato tecnico scientifico, che non ci sarà […]
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Sanità privata: non c’è solo chi fa affari
Roberto Mirasola su Democraziaoggi.
Le notizie che in questi giorni si leggono sulla stampa locale riguardo le critiche alla sanità privata fanno pensare più a un uso politico dell’informazione piuttosto che al giusto compito della stampa volto a ricostruire la veridicità dei fatti scevra da ogni qualsivoglia pregiudizio.[…]
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PROPOSTA DI LEGGE PER IL PERSONALE SANITARIO VITTIMA DEL COVID-19
Su invito del gruppo fb “solidarietà e sviluppo della sanità pubblica” ho pensato a questa proposta di legge, molto semplice, per estendere al personale sanitario (medici, operatori sanitari, lavoratori e volontari della sanità esposti a rischio di contagio) vittima del COVID-19, contratto in conseguenza dell’attività lavorativa, benefici già previsti per le “vittime del dovere”. Si tratta ovviamente di un testo aperto a modifiche, aggiunte, contributi etc. Con la speranza che sia fatta propria e condivisa da nostri parlamentari [al riguardo presto una petizione sulla piattaforma online Avaaz].
di Giuseppe Andreozzi.
PROPOSTA DI LEGGE PER IL PERSONALE SANITARIO VITTIMA DEL COVID-19
L’alto prezzo di vite umane pagato da un elevato numero di medici, operatori sanitari e altri addetti alla sanità a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 ha suscitato nel Paese un moto profondo di commozione e cordoglio, unito a un diffuso sentimento di riconoscenza per il loro sacrificio e di apprezzamento per lo spirito di servizio col quale il personale della sanità, nella generalità delle sue componenti, ha affrontato l’emergenza, spesso esercitando l’attività di propria competenza in condizioni non adeguate ad assicurare la salvaguardia della loro salute.
Sembra giusto che tale sentimento si traduca anche in gesti tangibili da parte dello Stato.
Esiste nel nostro ordinamento una legge (13 agosto 1980 n.466) avente ad oggetto “Speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche” che, attraverso successive modificazioni e integrazioni, ha previsto una elargizione economica destinata alle seguenti categorie di vittime del dovere: “Ai magistrati ordinari, ai militari dell’Arma dei carabinieri, del Corpo della guardia di finanza, del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, del Corpo degli agenti di custodia, al personale del Corpo forestale dello Stato, ai funzionari di pubblica sicurezza, al personale del Corpo di polizia femminile, al personale civile dell’Amministrazione degli istituti di prevenzione e di pena, ai vigili del fuoco, agli appartenenti alle Forze armate dello Stato in servizio di ordine pubblico o di soccorso, i quali, in attività di servizio, per diretto effetto di ferite o lesioni subite nelle circostanze ed alle condizioni di cui agli articoli 1 e 2 della presente legge, abbiano riportato una invalidità permanente non inferiore all’80 per cento della capacità lavorativa o che comporti, comunque, la cessazione del rapporto d’impiego” (art. 3 legge 13 agosto 1980 n.466). La medesima elargizione spetta anche ai “vigili urbani, nonché qualsiasi persona che, legalmente richiesta, presti assistenza ad ufficiali e agenti di polizia giudiziaria o ad autorità, ufficiali e agenti di pubblica sicurezza” (art. 5 legge citata).
L’art. 3 citato aveva previsto la misura dell’elargizione di lire 100 milioni, elevata a euro 200.000 dall’art. 2 del decreto legge 28 novembre 2003, n. 337.
L’articolo 1 comma 563 della legge 23 dicembre 2005, n. 266 ha successivamente precisato e ampliato le categorie dei beneficiari delle disposizioni citate, stabilendo che “Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all’articolo 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità.”.
L’art. 6 della citata legge 13 agosto 1980 n.466 prevede le categorie dei familiari ai quali l’elargizione deve essere devoluta in caso di decesso del destinatario.
Sembra doverosa l’attribuzione dei medesimi benefici anche in favore dei medici, degli operatori sanitari e dei lavoratori e volontari della sanità esposti a rischio di contagio vittime dell’epidemia, in aggiunta agli eventuali emolumenti già previsti dall’ordinamento per le singole categorie dei destinatari (ad esempio, la pensione privilegiata che spetta ai dipendenti pubblici in caso di invalidità e decesso per causa di servizio).
Il risultato può essere conseguito attraverso una norma di legge del seguente tenore:
«le disposizioni contenute nella legge 13 agosto 1980, n. 466 avente ad oggetto “Speciali elargizioni a favore di categorie di dipendenti pubblici e di cittadini vittime del dovere o di azioni terroristiche” e successive modificazioni e integrazioni sono estese ai medici, agli operatori sanitari e ai lavoratori e volontari della sanità esposti a rischio di contagio, vittime dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 per ragioni connesse all’attività prestata»
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Capitalismo e democrazia politica
Il difficile rapporto tra capitalismo e democrazia
di Gianfranco Sabattini
Il rapporto tra capitalismo e democrazia è sempre stato oggetto di un serrato dibattito, riproposto in questi ultimi anni soprattutto all’interno delle democrazie avanzate, per gli esiti della Grande Recessione 2007-2008. Dopo i “trent’anni gloriosi” vissuti da tali democrazie nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, le trasformazioni economiche e politiche seguite al miglioramento delle condizioni di vita hanno imposto ai sistemi sociali ad economia di mercato la formulazione di nuovi orientamenti dell’azione politica; in particolare, questi hanno comportato, come sostiene Carlo Trigilia (“Capitalismo e democrazia politica. Crescita e uguaglianza si possono conciliare?”, Il Mulino, n. 2/2019), l’adozione di nuove “chiavi di lettura” della realtà economica, per comprendere i possibili effetti negativi della globalizzazione (fenomeno che cominciava ad emergere già nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso), ma anche per approfondire l’analisi del complesso rapporto creatosi tra capitalismo e democrazia, al fine di poter condurre un’adeguata attività politica di correzione e di contrasto. [segue]
Oggi venerdì 10 aprile 2020
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Cosa c’insegna il coronavirus in campo istituzionale
Franco Ventroni su Democraziaoggi.
Non intendo, soprattutto in questo momento, farmi trascinare in un serrato dibattito sulla possibile riforma del Servizio Sanitario Nazionale proposta dai 5 Stelle, passando attraverso una modifica costituzionale, anche perché non la condivido […]
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Pula: il Tar salva l’ordinanza della sindaca che limita la circolazione dei cittadini
di Simone Angei con chiosa di Andrea Pubusa, su Democraziaoggi.
Pochi giorni fa riflettevo sul fantasioso fiorire di ordinanze sindacali dai contenuti più disparati, tutte accomunate dal fatto di incidere pesantemente sulle libertà fondamentali costituzionalmente tutelate dei cittadini. In questo contesto alcuni cittadini di Pula hanno impugnato l’ordinanza del sindaco, con la quale viene loro vietato di recarsi[…]
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Venerdì santo
- Venerdì santo.
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VIA CRUCIS
PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE FRANCESCO
VENERDÌ SANTO
10 APRILE 2020
PIAZZA SAN PIETRO
MEDITAZIONI E PREGHIERE
proposte dalla cappellania
della Casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova
redatte da
I una persona detenuta condannata all’ergastolo
II due genitori ai quali hanno ammazzato una figlia
III una persona detenuta
IV la mamma di una persona detenuta
V una persona detenuta
VI una catechista della parrocchia
VII una persona detenuta
VIII la figlia di un uomo condannato alla pena dell’ergastolo
IX una persona detenuta
X un’educatrice del carcere
XI un sacerdote accusato e poi assolto
XII un magistrato di sorveglianza
XIII un frate volontario
XIV un agente di Polizia Penitenziaria
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La foto: MAIOLICHE (1757)
ERETTE DALL’ARCICONFRATERNITA DEI TEUTONICI
CIMITERO TEUTONICO – CITTÀ DEL VATICANO
L’America che vorremo: liberata dal coronavirus e dai danni provocati da Trump
Ho il piacere di condividere questo articolo di un mio carissimo amico (ultraottantenne), Marino de Medici*, americano di origine italiana, col quale intrattengo un rapporto epistolare.
Giancarlo Morgante
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Cari amici, in risposta ad alcune domande ricevute se i miei articoli del blog possano essere distribuiti ad altri, vi comunico che vi autorizzo a farlo. E’ bene che gli italiani sappiano dei danni che Trump ha arrecato all’America, che tutti noi conoscevamo come una democrazia illuminata. Qui speriamo di sopravvivere al disegno di fare dell’America un paese autoritario ed insensibile alle cause umane. Con i miei sinceri auguri di superare il virus e tornare alla normalità, in America e in Italia.
Il vostro Marino
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LA PRESIDENZA TRUMP E LE SUE FALSE ILLUSIONI
Tra più o meno trent’anni, quando gli storici passeranno al setaccio il secolo scorso e i decenni successivi al 2000, non vi è dubbio alcuno che assegneranno a Donald Trump il primato di peggior presidente della storia americana. I suoi concorrenti in questa sciagurata classifica sono James Buchanan, quindicesimo presidente, che non seppe o volle affrontare la questione della schiavitù e impedire la secessione degli stati del Sud. L’altro è Warren Harding, il ventinovesimo presidente, la cui amministrazione fu pervasa dagli scandali, tra cui il Teapot Dome e quello legato al direttore del Veterans Bureau che vendette illegalmente le scorte mediche del governo a imprenditori privati. Ironicamente, Harding era stato eletto con una valanga di voti. La coincidenza tra lo scandalo di quel Veterans Bureau e il presente tracollo della politica assistenziale di fornitura di equipaggiamenti medicali per la lotta contro il coronavirus hanno la stessa radice, l’inettitudine del capo dell’esecutivo. [segue]
Che succede?
IL PAPA: COSÌ STO VIVENDO L’EMERGENZA PANDEMIA
8 Aprile 2020 by sammarco | su C3dem.
Come sta vivendo il Papa la crisi causata dal Covid-19? E come prepararsi al dopo? Francesco ha risposto a distanza, registrando degli audio, alle domande del giornalista e scrittore britannico Austen Ivereigh. L’intervista viene pubblicata simultaneamente in The Tablet (Londra) e Commonweal (New York). ABC offre il testo originale in spagnolo e La Civiltà Cattolica quello italiano. Una sintesi di Vatican news: “Il Papa: così sto vivendo l’emergenza pandemia”. Da leggere anche due riflessioni su ilregno.it: Stefano Biancu, “’Come io vi ho amato’. Meno, non basta più”, e Marinella Perroni, “La resurrezione nei giorni di angoscia e morte”. Su Adista, Alex Zanotelli: “Che Pasqua celebriamo?”.
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Oggi giovedì 9 aprile 2020
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Alcune riflessioni sul passato prossimo, pensando al futuro
9 Aprile 2020
di Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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