Monthly Archives: aprile 2020
Oggi venerdì 17 aprile 2020
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti——————————————–
Fase 2. Attenzione! Chi l’affretta pensa che a rischiare debbano essere gli altri: i più deboli
17 Aprile 2020
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
Verso la “fase 2” di allentamento delle restrizioni? Tonino Dessì, con la sua ben nota attenzione, ci segnala e chiosa una interessante intervista in cui il Professor Garattini fa il punto della situazione. Che resta problematica anche nella prospettiva. Dice fra l’altro il Prof. a proposito della fase 2: “Speriamo si possa attuare. […]
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Sepúlveda, il giramondo che combatteva l’ingiustizia e amava le parole
Biografie militanti. La sua è stata una vita rocambolesca, intrisa di politica. Entrato nel Partito socialista cileno, con il golpe del ’73 fu arrestato e torturato, fino all’esilio ottenuto da Amnesty International. Nel ’78 si unì alle Brigate internazionali Simon Bolivar in Nicaragua e poi, negli anni a seguire, diventerà lo scrittore acclamato che tutti conoscono. Roberto Zanini su il manifesto del 17.04.2020. [segue]
Addio a Luis Sepúlveda
IL MONDO PIANGE LUIS SEPÚLVEDA
16/04/2020 Alberto Paolo Palumbo su Frammenti rivista.it
Coronavirus. La fase due
Siamo a metà aprile e non si sente altro che parlare del dopo 3 maggio, indicando nel 4 maggio il primo giorno della fantomatica fase due. Parlarne (dopo aver pensato) sarebbe anche giusto e comprensibile, magari distinguendo nettamente gli ambiti. Ovviamente il primo è la salute dei cittadini. Ma ci sono tante altre decisioni che passo passo dovranno essere prese per affrontare la difficile situazione.
Ovviamente la salute. Alla domanda di un popolare conduttore televisivo che le chiedeva di indicare la data d’inizio della fase due, una scienziata in collegamento dagli Stati Uniti rispondeva: la fase due potrà iniziare anche domattina, se in Italia, in qualsiasi località qualsiasi persona (anche io che rientrando in Italia mi dovessi trovare nella condizione di infettata) potesse contare sulla disponibilità di posti in strutture ospedaliere Covid-19 (terapia sub-intensiva, terapia intensiva, rianimazione) che siano in grado di far fronte alle esigenze di cura, tenendo conto della perdurante circolazione del virus e dell’eventualità tutt’altro che remota di improvvise impennate di contagi.
Purtroppo dalle notizie che vengono diffuse dai mezzi di comunicazione è difficile farsi un’idea precisa di come viene affrontata la pandemia in Italia, meno ancora in Sardegna. Come mai la mortalità in Italia è almeno quintupla rispetto alla Germania? Terapia intensiva in Italia: 6000 posti, portati a circa 9000 nell’emergenza. In Germania partono con 28.000 posti. Come mai? [segue]
Che succede?
PENSARE IL DOPO CORONAVIRUS
15 Aprile 2020 su C3dem.
Interessante la raccolta, sul sito della rete dei Viandanti, di riflessioni uscite su vari giornali (alcune segnalate anche da c3dem) su come “pensare” il dopo coronavirus. Inoltre: Yuval Noah Harari, “Confini chiusi, ma solo al virus” (intervista a Repubblica); Edgar Morin, “Per l’uomo è tempo di ritrovare se stesso” (intervista a Avvenire); Leonardo Becchetti, “Resilienza green, la risorsa da perseguire” (Sole 24 ore); Martino Mazzonis, “Gli Stati Uniti, la pandemia, la crisi e le svolte epocali” (Manifesto); Raniero La Valle, “C’è vuoto e vuoto”. BIODIVERSITÀ E PANDEMIA: Gianluca Schimaia, “Così l’attacco alla biodiversità sta favorendo le pandemie” (Avvenire). Stefano Mancuso, “Ma che colpa abbiamo noi” (Repubblica).
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IL NODO EUROPEO. E I PROBLEMI DELLA RIPRESA
15 Aprile 2020 su C3dem.
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E’ online il manifesto sardo trecentoquattro.
Il numero 304
Il sommario
Misteri della lotta alla “nuova peste” (Stefano Deliperi), La difficile via della nonviolenza. Su un recente libro di Giuliano Pontara (Annamaria Loche), La morte ai tempi del Coronavirus (Amedeo Spagnuolo), Una proposta per la costruzione di un’intersindacale sarda (Niccolò Piras), Accordo Ecofin, che fare? (Roberto Mirasola), Il vaccino che si sta attivando dentro di noi (Alessandro Barban), La Turchia tiene i prigionieri politici in carcere (Emanuela Locci), Amentare sa Die de sa Sardigna (Francesco Casula), Un servizio di sostegno psicologico a distanza (red), Covid-19, non torniamo alla normalità. La normalità è il problema (Ángel Luis Lara), Se le librerie diventano specchietti per le allodole della politica (Marirosa Pili), La fase due deve essere la riconversione (Guido Viale), I have a dream. Lettere di una testimone del Novecento (Jacopo Onnis), L’epidemia del cemento e dell’ottusità (Cristiano Sabino e Sandro Roggio), Che fare? (Franco Meloni, Roberto Loddo e Andrea Pubusa), Un manuale di sopravvivenza all’isolamento sociale (red).
Oggi giovedì 16 aprile 2020
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Caro Solinas, ti prego, un po’ di buon senso!
Amsicora su Democraziaoggi.
Caro Solinas,
scusami se ti distolgo dalle tue incombenze, ma anche ciò che io ti scrivo, rientra fra quelle, non vado fuori tema. So che molti ti importunano con richieste impossibili, pretese assurde o insolenze piccole e grandi. So che ti fanno solo perdere tempo, ma se avrai la bontà di ascoltarmi, ti convincerai che io […]
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Nuovo decreto entro il 20 aprile: Governo al lavoro su Fase 2 e misure assistenziali
Isabella Policarpio, 16 Aprile 2020 su Money.it.
Entro la fine del mese, un nuovo decreto con le misure che accompagneranno l’Italia duramente la Fase 2. Si parla di ammortizzatori sociali e investimenti ben oltre quanto stanziato nel Cura Italia. I dettagli.[Si introdurrà anche un reddito di emergenza per chi non ha altri redditi e non percepisce ammortizzatori sociali].
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Papa Francesco chiede un «salario universale» per i precari
Redazione BIN Italia 15 Aprile 2020 Lavoro
di Roberto Ciccarelli su il manifesto*
In una lettera ai «movimento popolari» inviata nel giorno di Pasqua, Papa Francesco ha chiesto un «salario universale» per i lavoratori precari che operano nei settori informali che non hanno un «salario stabile per resistere» nella crisi indotta dalla diffusione del virus Covid 19. [segue]
Coronavirus. Pensare, analizzare, agire.
Brevi riflessioni su distanziamento e anziani
di Roberto Paracchini
Oggi vi sono alcune parole ricorrenti e interconnesse. Si ripetono soprattutto nella narrazione pubblica ma anche privata: distanziamento, anziani, solidarietà, guerra. Si dice che siamo in guerra contro un nemico invisibile che, nel qui ed ora, possiamo tenere sotto (parziale) controllo solo mantenendo una certa distanza (almeno un metro) dalle altre persone (tutti coloro che non vivono nella nostra stessa casa, se non già contagiati). Il che significa che occorre evitare qualsiasi tipo di contatto (strette di mano, abbracci ecc.) con gli altri da noi, da un lato e limitare anche i “rapporti” con noi stessi (niente dita in bocca, nel naso o negli occhi), dall’altro. Il tatto, quel senso che mette la superficie del nostro organismo in contatto col mondo permettendoci di riconoscerne i caratteri fisici nelle diverse declinazioni (dalla durezza alla forma), viene precluso.
In questi appunti non si vuole discutere l’importanza della politica del distanziamento, oggi indispensabile al fine di arginare la diffusione dello specifico Coronavirus (il Covid-19) che ha messo in crisi il mondo intero e i suoi stili di vita prevalenti. Di seguito solo poche note per evidenziare alcune conseguenze di carattere relazionale, in particolare sulle persone anziane; per poi tentare di comporre da quanto accade l’invito a un’ipotesi di intervento.
A tal fine è importante chiarire meglio che cosa implica il distanziamento in termini socio-antropologici. Innanzi tutto va detto che il distanziamento incide sui vari sistemi della comunicazione non verbale (paralinguistico, cinesico, prossemico e aptico). Entrando nello specifico si rileva che questo influenza meno quello paralinguistico, relativo all’intonazione e all’inflessione della voce che accompagna i nostri modi di parlare; conseguenze un po’ più gravi si hanno sull’aspetto cinesico, che coinvolge l’insieme dei gesti volontari e modulati dalle emozioni e comprendenti in via prioritaria le espressioni del volto e l’articolarsi dello sguardo (perplessità, timore, colpa, ecc.). Maggiore è poi l’effetto del distanziamento sugli ultimi due sistemi. Nella prossemica, che interessa la gestione degli spazi tra gli interlocutori, si ha un’alterazione evidente della gestione dei propri movimenti di immediata prossimità. Le neuroscienze insegnano che ognuno di noi ha dei propri spazi di sensibilità (di propria giurisdizione), sensibili alla presenza fisica ravvicinata altrui e che variano a seconda del livello di confidenza ed affetto con l’interlocutore. In questo quadro vi sono gesti di contatto consuetudinari che assumono forme culturalmente determinate. Il bacio su entrambe le guance, ad esempio, è molto diffuso in Italia (in altre culture lo si dà su una sola guancia, in altre ancora ci si tocca coi rispettivi nasi, ecc.); si tratta però, sempre, di un avvicinamento con contatto, quindi a metà strada tra la prossemica e l’aptica e rappresenta un modo per indicare condivisione e amicizia. L’eliminarlo compromette il calore del rapporto interpersonale che tanta parte ha nelle nostre vite (produzione del senso di sé, sicurezze e/o insicurezze, ecc.). Ancora più pesanti sono le ripercussioni provocate dal distanziamento sul sistema aptico, il cui ruolo è oggi rivalutato anche dalle neuroscienze e, tra l’altro, da un ampio settore dell’arte contemporanea, perché coinvolge importanti funzioni legate al nostro corpo. Il sistema aptico indica, infatti, il processo di riconoscimento degli oggetti attraverso il tatto ed è il frutto della combinazione tra la percezione tattile prodotta dagli oggetti sulla superficie della nostra pelle e dalla propriocezione che coinvolge quei recettori del nostro organismo (i propriocettori) che ci forniscono informazioni sulla posizione, il movimento e l’equilibrio del nostro corpo appunto. Nel caso specifico della comunicazione non verbale che si serve del sistema aptico, la propriocezione interessa la posizione della mano rispetto all’oggetto/o persona con cui ci si rapporta o comunica. L’universalità della stretta di mano ad esempio e delle infinite sfumature che può avere rende merito a questa “abitudine” culturale che coinvolge appieno il sistema aptico.
A riguardo è interessante notare gli aspetti simbolici e coreografici che questo gesto ha assunto nel tempo. In greco antico si indicava con la parola “dexiosis”, darsi la mano destra, probabilmente per un’iniziale diffidenza, dato che in questo modo non si poteva impugnare la spada o un’altra arma, poi diventato simbolicamente un “non ho cattive intenzioni”. Inoltre vi è qualche studioso che afferma che l’handshake, l’agitare e il muovere su e giù la mano mentre se ne stringe un’altra potrebbe essere stato un modo per assicurarsi che l’interlocutore non nascondesse niente di offensivo nella manica, mentre successivamente ha assunto una valenza di forte intesa, come un “sono veramente felice di vederti”. National Geographic informa che la prima testimonianza di stretta di mano, da noi conosciuta, risale a un bassorilievo del nono secolo a. C. in cui a darsi la mano sono un re assiro e un comandante babilonese, probabilmente in segno di alleanza. Col tempo la stretta di mano è diventata sempre più simbolo di mutualità, accordo, alleanza, amicizia. Variante contemporanea è il “dammi il cinque”, in uso soprattutto tra gli sportivi e i giovani. La si fa risalire a una casualità avvenuta negli Stati Uniti durante una partita di baseball: Glenn Burke dei Los Angeles Dodgers, il 2 ottobre del 1977, durante un incontro con gli Houston Astros, ebbe l’idea di alzare il braccio destro col palmo della mano rivolto verso il compagno di squadra Dustin Baker che, dopo aver fatto un fuoricampo ed aver girato le basi, si avviava in panchina. E Baker rispose a quel gesto colpendo quella mano col palmo della sua, oggi si direbbe “dandogli il cinque”. Da quel giorno quel gesto fu il segno distintivo dei giocatori del Los Angeles Dodgers per complimentarsi tra loro. In seguito Baker spiegò che, vista quella mano alzata e non sapendo che fare, istintivamente la schiaffeggiò. In Italia il “dammi il cinque” si diffuse a macchia d’olio soprattutto grazie a “Gimme Five”, uno dei primi successi di Jovanotti del 1988 (contenuta nell’album “Jovanotti for President”). Una casualità, si è detto, che ha però incrociato un’esigenza di condivisione dell’entusiasmo, divenendone un’espressione caratteristica.
Al di là delle origini storico-antropologiche e di costume, importanti per capire meglio il radicamento nella nostra vita della stretta di mano e delle sue varianti, forse non tutti sanno che un simile gesto, che mette a contatto dita e palmo di una mano con un’altra, impegna addirittura un terzo della nostra regione cerebrale, incluse l’area motoria e sensoriale. Con le dita svolgiamo, infatti, una enorme molteplicità di compiti, che attivano ampie aree del cervello in un feedback continuo. Non è un caso, ad esempio, che diversi psichiatri raccomandino ai pazienti, per superare il senso di angoscia del risveglio, di lavare i piatti e di farlo con le mani, esercizio che implica una serie di complicate operazioni (insaponatura, tenuta del piatto scivoloso, suo corretto posizionamento e movimentazione, risciacquo, asciugatura ecc. ecc.) che, appunto, interessano il tatto delle dita in una molteplicità di funzioni coinvolgendo in tal modo diverse aree cerebrali, così come capita nella classica stretta di mano, anche se non ce ne accorgiamo.
Torniamo ora agli anziani. Presumo che molti abbiano provato che cosa può significare il parlare con una persona, il toccarla o sfiorarla per sottolineare alcune parti del discorso, poi spostarsi leggermente per guardarla negli occhi, sorridere o fare una smorfia, riprendere il discorso allontanandosi di un passo, per poi riavvicinarsi a sottolineare un concetto e quasi toccarla… Immagino anche che tutti noi si sia provato il calore, il senso di comprensione provocato da un abbraccio, una carezza, uno sguardo ammiccante e comprensivo; si sia sentito il sentimento di vicinanza affettiva prodotto da una prossimità fisica, dal percepire un ascolto interessato da parte dell’interlocutore; ci si sia sentiti protetti in un’affabile comunanza e intesa prodotta da una stretta di mano, solo per fare alcuni degli infiniti esempi possibili. Tutto questo impasto di sensibilità e di calde contaminazioni con la tangibile prossimità dell’altro da noi, negli anziani è ancora più forte e intenso. Malinconico, a volte, proprio perché nella maggior parte dei casi il loro mondo relazionale si è impoverito (pensionamento, morte di un coniuge o delle amiche o amici più cari, lontananza dei parenti, difficoltà di deambulazione, maggiore isolamento insomma). Un contesto in cui l’arricchimento del proprio spazio di prossimità con un abbraccio, una stretta di mano o una maggiore vicinanza diventa più che mai prezioso, come acqua fresca per un assetato. Ma oggi, purtroppo, scelte storiche inique e predatorie verso l’ambiente da parte di quella potente componente dei sapiens votata al profitto e cultrice di un modello di sviluppo basato sul dominio della natura e quindi dell’essere umano in quanto esso stesso natura, hanno compromesso questo sistema di relazioni causando – come spiegheremo – la pandemia che stiamo vivendo.
E così quell’impasto virtuoso di sensibilità a cui si è accennato, viene precluso a tutti per la necessità impellente di evitare il contagio dato che il virus si trasmette nell’aria soprattutto attraverso le microparticelle che produciamo con un colpo di tosse, uno starnuto o, a distanza ancora più ravvicinata, col nostro respiro. Sappiamo poi che, nonostante l’impegno della ricerca scientifica, i tempi di uscita dall’attuale crisi non saranno brevi perché l’elaborazione e produzione di un vaccino specifico (che pur ci sarà) richiede diverse validazioni, pena la creazione di un qualcosa di inadatto e pericoloso; e poi altri tempi organizzativi saranno necessari per una vaccinazione di massa che, sia per il qui ed ora che in prospettiva, obbligherà a una riorganizzazione sanitaria territoriale, constatato anche che l‘Italia ha negli ultimi anni privilegiato le grosse strutture ospedaliere.
Intanto, approfittando del panico prodotto dal virus, riesplodono fake-news di ogni tipo, come la teoria del complotto, sempre presente perché facile e semplificatrice di una realtà ben più complessa. In questa messa ai margini del pensiero critico si inserisce anche un pericolo, forse più insidioso perché meno evidente, che può essere definito di inquinamento linguistico. In questo quadro va sottolineato l’uso continuo del termine guerra per parlare del nostro duro confronto col virus e delle modalità per arginarlo. “Insidioso”, si è detto, in quanto il ripetere continuamente una parola conduce, spesso inconsapevolmente, a considerare reale il significato semantico e pragmatico che si porta dietro. In questo caso guerra, essere in guerra, implica avere un nemico fisico contro cui scagliarsi con la forza delle parole o degli atti (la Cina prima, i pipistrelli e altri animali poi, e anche l’OMS). La comunità scientifica internazionale, i virologhi e chi studia i fenomeni ambientali (da Ilaria Capua a Mario Tozzi), concordano nell’affermare che sono i pesanti insulti inferti all’ambiente i veri responsabili, come la pratica insistente delle deforestazioni ad esempio, di cui poco si parla, mentre autorevoli studi scientifici (su Scienze e Nature) sottolineano che, togliendo l’habitat naturale agli animali, li si mette sotto stress e si aumenta la loro carica virale agevolando così il salto di specie, proprio come è capitato per il COVID-19 e, in precedenza, per gli altri virus causa delle diverse e recenti epidemie. E sempre all’ottusità di uno sviluppo iniquo e distorto si deve l‘impetuoso aumento degli allevamenti intensivi nella pianura Padana (bovino e soprattutto suino), con conseguente immissione (tramite le loro deiezioni) di ammoniaca nell’atmosfera e forte incremento del particolato nell’aria. Situazione inquietante se si considera che in quella parte d’Italia c’è stato il maggior numero di contagi e che ricerche dell’università di Harward, ma anche di Shanghai e Pechino (come sottolineato da un ottimo servizio di Report) hanno messo in collegamento la maggiore diffusione del virus all’incremento del particolato che funzionerebbe come suo vettore.
Le cause della diffusione della pandemia richiedono quindi maggiore consapevolezza, in tutti i sensi, anche linguistica e la parola guerra è inadatta. L’attuale pandemia ha un campo di battaglia completamente diverso e relativo alle modalità di contagio del virus, costituito da due elementi fondamentali: i rapporti interpersonali (da cui il distanziamento) e il nostro organismo che questo virus non conosce e che, proprio per questo, lo subisce anche violentemente, tanto più quanto la clessidra del tempo ha reso il nostro corpo più fragile e più esposto. Da qui, la necessità di mantenere il distanziamento, appunto, per il bene di tutti, ma soprattutto come atto di solidarietà verso la nostra memoria vivente, quella incarnata dagli anziani.
La genetista Ilaria Capua ha definito il COVID-19, un virus opportunista che approfitta del “lavoro” fatto da terzi (il tempo e altre patologie preesistenti) per metterci al tappeto. Ma la guerra, come quella testimoniata ad esempio dai bombardamenti che distrussero gran parte di Cagliari nel 1943 è un’altra cosa. Oggi siamo nel mondo della pandemia, non della guerra, parola da guardare con diffidenza e la cui reiterazione permette di giustificare pericolosi interventi autoritari, come avvenuto in Ungheria dove Orban si è fatto dare i pieni poteri dal Parlamento, o violenti proclami come nelle Filippine dove il presidente Duterte ha ordinato alla polizia di sparare a chi viola la quarantena.
Distanziamento dei corpi per solidarietà, si è detto, per evitare il contagio dei più fragili. Quasi un ossimoro perché nel e dal corpo, proprio per il significato intensamente corporeo della comunicazione non verbale, ha radici la solidarietà e tutto quel che ne segue in termini di comunione e condivisione. Ci son voluti millenni acchè l’essere umano, come afferma l’economista Luigino Bruni, “apprendesse l’arte delle distanze brevi per pensare di poterle dimenticare in pochi mesi” ed anche le neuroscienze supportano questa esigenza di distanze ravvicinate in quanto “cablata” nel nostro organismo nelle varie necessità di rapporto comunitario. Il senso fisico della solidarietà, proprio perché precognitivo non si dimentica e, anzi, fertilizza, seppure con sofferenza, anche nel distanziamento sotto forma di desiderio. In questa delicata fase aiuta anche la storia della parola solidarietà che deriva dal latino, solidum, moneta, e dall’espressione del diritto romano in solidum obligari, obbligazione in solido, per cui diversi debitori si impegnano a pagare gli uni per gli altri e ognuno per tutti un qualcosa preso a prestito o dovuto. E così, e non solo per metafora, si può dire che questo anomalo distanziamento solidale è un modo per rendere ai nostri vecchi una pur simbolica parte del nostro debito nei loro confronti. In solidum obligari, quindi, come premessa per abbracciare il significato moderno di solidarietà come fratellanza universale, sorto in Francia tra gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento e rafforzato poi come “legame di ciascuno con tutti” dai padri fondatori della sociologia Auguste Comte ed Emile Durkheim.
In questo quadro di rispetto e maggiore consapevolezza del debito verso i più anziani nasce la necessità di ipotizzare scenari di riflessione più o meno nuovi, ma recentemente trascurati, sul loro ruolo storico e sociale. Occorre, in pratica, ripristinare o tentare di creare ex novo un senso di presenza, che punti al loro, degli anziani e soprattutto dei più anziani, opportuno recupero tramite la raccolta e valorizzazione della loro memoria, che implica, di conseguenza, la considerazione della loro presenza fisica come valore. Progetto da predisporre e, possibilmente, iniziare nella seconda fase della pandemia, quella del rientro, pur lento e graduale, in un paesaggio di ripresa dei rapporti sociali.
La solitaria morte dei più vecchi e fragili resterà un peso nella coscienza collettiva. Quanto capitato ha spalancato con rabbia quello che, purtroppo, già si sapeva, ma che vedeva i più nascondere il viso dall’altra parte, l’abbandono in cui i più vecchi e deboli vengono spesso lasciati. Un oblio fisico e relazionale che una fredda e macabra idea della produttività tende a giustificare da parte di quei sapiens a cui si è accennato in precedenza. Riprovevole non solo da un punto di vista etico, ma anche sociale ed economico. Ha ragione Papa Francesco nel denunciare aspramente questo sistema produttivo che incrementa la pratica dello scarto dei prodotti e degli esseri umani. Da tempo, però, anche tra gli economisti si ha contezza che sono il know how e i saperi tutti la ricchezza di base da cui si può crescere, seppure non più come viaggiatori di un illusorio e lineare progresso, bensì come esploratori di un labirinto ricco di traguardi e di sconfitte, ma proprio per questo intrigante perché spinge e costringe a negoziazioni mai concluse.
La memoria dei singoli è un patrimonio non solo per la salute dei diretti interessati perché il ricordo riattiva mondi personali, ma anche per la collettività. Lo dimostrano i tanti frutti dell’evoluzione della metodologia degli studi storico-antropologici, dalla rivista degli Annales in poi, che hanno inglobato e valorizzato pure le piccole storie come importanti “spie” dei tempi in cui si vive.
Ogni anziano è un archivio di saperi, sedimentati nel suo vissuto, che vanno dal lavoro alle sue relazioni, ai rapporti familiari, sino all’incespicare degli aneddoti faticosamente ricordati. Ora si tratta di non disperdere questo patrimonio e, come accennato, di valorizzarlo. Quindi occorrerà impostare un lavoro certamente non facile ma possibile, che sposi ricerca storica, sociologica, antropologica e, indirettamente, sanitaria; che delimiti il proprio target in base all’età e che pensi soprattutto ai giovani come i maieutici di questa memoria.
In questo modo si potrebbe innanzi tutto far ridiventare gli anziani protagonisti, stimolandoli a ricordare e raccontare con qualcuno che raccoglie i loro ricordi. Presenza possibilmente fisica (ma potrebbe anche essere virtuale, soprattutto all’inizio) che interloquisca con loro e ponga attenzione alle loro parole, le stimoli e le raccolga. Il tutto fatto con metodologie apposite, ovviamente, che tengano conto della sensibilità degli interlocutori, con l’obiettivo di creare spicchi di testimonianza/conoscenza su costume, abitudini e vita di ampi settori della popolazione.
Si tratta di un progetto di difficile realizzazione nel qui ed ora, ma non impossibile, anche in tempi non lontani se visto in modo graduale. Per questo occorre iniziare a prefigurare un progetto (di cui queste brevi note sono solo una proposta) che, oltre al coinvolgimento dei diretti interessati, preveda un’altra serie di figure professionali (dall’università alla scuola) e uno studio di fattibilità.
Roberto Paracchini
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[Nell’illustrazione per scelta redazionale: “Noli me tangere è un dipinto a olio su tela (130×103 cm) di Correggio, databile al 1523-1524 circa e conservato nel Museo del Prado di Madrid“].
Che succede?
– “UN BANCO DI PROVA PER LA NOSTRA UMANITÀ”
14 Aprile 2020 su C3dem
- RIPARTENZA. REGOLARIZZAZIONE DEGLI IMMIGRATI. ACCOGLIENZA DEI PROFUGHI
14 Aprile 2020 su C3dem. [segue]
Oggi mercoledì 15 aprile 2020
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SOLIDARIETA’: Aladinpensiero con Claudia Zuncheddu. “I Comitati della Rete Sarda in Difesa della Sanità Pubblica, esprimono la piena solidarietà alla portavoce Claudia Zuncheddu“.
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Il dopo coronavirus: “tutto come prima?”. No grazie! “Tutto il contrario di prima!”. Occorre un rivolgimento sociale nel segno dell’uguaglianza! Un tempo si chiamava socialismo
15 Aprile 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
“Tornerà tutto come prima“. Se c’è una cosa che dobbiamo fare è combattere col coltello fra i denti e senza esclusione di colpi perché niente sia come prima. Il virus ha messo a nudo le intollerabili storture della società in cui viviamo. Fin nelle azioni che vengono assunte ad esempio di buonismo è insita […]
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Editoriali di Aladinpensiero.
Lettera di Papa Francesco ai movimenti e alle organizzazioni popolari: “Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti”.
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-Tratto da Global Project
Oltre l’elemosina di Stato: la battaglia sul reddito è aperta!
Redazione BIN Italia 7 Aprile 2020 Politica
Intervista a Roberto Ciccarelli de il manifesto.
Grazie alla campagna per un “reddito di quarantena – verso un reddito universale” si è riaperto in Italia un dibattito sulla questione del reddito. Mai come in questo momento la battaglia è aperta sta diventando un tema cruciale per far fronte in cui il “tempo dell’emergenza” e quello della “normalità” sembrano sovrapporsi. Per approfondire la questione abbiamo intervistato Roberto Ciccarelli, giornalista de il manifesto e autore di numerosi saggi sui temi della precarietà e del Welfare.
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Campagna europea per un Reddito di base in Europa! Aladinpensiero aderisce alle iniziative promosse da Unconditional Basic Income Europe e da BIN Italia . Firma anche tu!
Mentre in Italia continua la raccolta firme per chiedere al governo ed al parlamento di estendere il reddito di cittadinanza ed ampliare la platea dei beneficiati (per firmare la petizione italiana clicca qui), in Europa la rete per il reddito UBIE (Unconditional Basic Income Europe) promuove una campagna di raccolta firme per chiedere l’introduzione immediata di un reddito di base incondizionato.
Di seguito il testo della petizione europea ed il link dove poter firmare:
Ad Ursula von der Leyen, capo della Commissione europea, Christine Lagarde, capo della Banca Centrale Europea, Mário Centeno, Presidente dell’Eurogruppo e i ministri delle finanze di tutti gli Stati membri europei
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Oggi martedì 14 aprile 2020
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Coronavirus: cigno nero o neoliberismo al capolinea?
Fabrizio Venafro, Salvatore Bianco
Sbilanciamoci, 6 Aprile 2020 | Sezione: primo piano, Società
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Pregiudizi sulla sanità privata, non tutti Mater Olbia
14 Aprile 2020
Mariella Montixi su Democraziaoggi.
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L’Eurogruppo ha trovato una prima intesa
14 Aprile 2020
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
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Lettera di Papa Francesco ai movimenti e alle organizzazioni popolari: “Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti”.
Ai fratelli e alle sorelle dei movimenti e delle organizzazioni popolari
Cari amici,
Ricordo spesso i nostri incontri: due in Vaticano e uno a Santa Cruz de la Sierra, e confesso che questa “memoria” mi fa bene, mi avvicina a voi, mi fa ripensare ai tanti dialoghi avvenuti durante quegli incontri, ai tanti sogni che lì sono nati e cresciuti, molti dei quali sono poi diventati realtà. Ora, in mezzo a questa pandemia, vi ricordo nuovamente in modo speciale e desidero starvi vicino.
In questi giorni, pieni di difficoltà e di angoscia profonda, molti hanno fatto riferimento alla pandemia da cui siamo colpiti ricorrendo a metafore belliche. Se la lotta contro la COVID-19 è una guerra, allora voi siete un vero esercito invisibile che combatte nelle trincee più pericolose. Un esercito che non ha altre armi se non la solidarietà, la speranza e il senso di comunità che rifioriscono in questi giorni in cui nessuno si salva da solo. Come vi ho detto nei nostri incontri, voi siete per me dei veri “poeti sociali”, che dalle periferie dimenticate creano soluzioni dignitose per i problemi più scottanti degli esclusi.
So che molte volte non ricevete il riconoscimento che meritate perché per il sistema vigente siete veramente invisibili. Le soluzioni propugnate dal mercato non raggiungono le periferie, dove è scarsa anche l’azione di protezione dello Stato. E voi non avete le risorse per svolgere la sua funzione. Siete guardati con diffidenza perché andate al di là della mera filantropia mediante l’organizzazione comunitaria o perché rivendicate i vostri diritti invece di rassegnarvi ad aspettare di raccogliere qualche briciola caduta dalla tavola di chi detiene il potere economico. Spesso provate rabbia e impotenza di fronte al persistere delle disuguaglianze persino quando vengono meno tutte le scuse per mantenere i privilegi. Tuttavia, non vi autocommiserate, ma vi rimboccate le maniche e continuate a lavorare per le vostre famiglie, per i vostri quartieri, per il bene comune. Questo vostro atteggiamento mi aiuta, mi mette in questione ed è di grande insegnamento per me.
Penso alle persone, soprattutto alle donne, che moltiplicano il cibo nelle mense popolari cucinando con due cipolle e un pacchetto di riso un delizioso stufato per centinaia di bambini, penso ai malati e agli anziani. Non compaiono mai nei mass media, al pari dei contadini e dei piccoli agricoltori che continuano a coltivare la terra per produrre cibo senza distruggere la natura, senza accaparrarsene i frutti o speculare sui bisogni vitali della gente. Vorrei che sapeste che il nostro Padre celeste vi guarda, vi apprezza, vi riconosce e vi sostiene nella vostra scelta.
Quanto è difficile rimanere a casa per chi vive in una piccola abitazione precaria o per chi addirittura un tetto non ce l’ha. Quanto è difficile per i migranti, per le persone private della libertà o per coloro che si stanno liberando di una dipendenza. Voi siete lì, presenti fisicamente accanto a loro, per rendere le cose meno difficili e meno dolorose. Me ne congratulo e vi ringrazio di cuore. Spero che i governi comprendano che i paradigmi tecnocratici (che mettano al centro lo Stato o il mercato) non sono sufficienti per affrontare questa crisi o gli altri grandi problemi dell’umanità. Ora più che mai, sono le persone, le comunità e i popoli che devono essere al centro, uniti per guarire, per curare e per condividere.
So che siete stati esclusi dai benefici della globalizzazione. Non godete di quei piaceri superficiali che anestetizzano tante coscienze, eppure siete costretti a subirne i danni. I mali che affliggono tutti vi colpiscono doppiamente. Molti di voi vivono giorno per giorno senza alcuna garanzia legale che li protegga: venditori ambulanti, raccoglitori, giostrai, piccoli contadini, muratori, sarti, quanti svolgono diversi compiti assistenziali. Voi, lavoratori precari, indipendenti, del settore informale o dell’economia popolare, non avete uno stipendio stabile per resistere a questo momento… e la quarantena vi risulta insopportabile. Forse è giunto il momento di pensare a una forma di retribuzione universale di base che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti che svolgete; un salario che sia in grado di garantire e realizzare quello slogan così umano e cristiano: nessun lavoratore senza diritti.
Vorrei inoltre invitarvi a pensare al “dopo”, perché questa tempesta finirà e le sue gravi conseguenze si stanno già facendo sentire. Voi non siete dilettanti allo sbaraglio, avete una cultura, una metodologia, ma soprattutto quella saggezza che cresce grazie a un lievito particolare, la capacità di sentire come proprio il dolore dell’altro. Voglio che pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità, e sull’accesso universale a quelle tre T per cui lottate: “tierra, techo y trabajo” (terra – compresi i suoi frutti, cioè il cibo –, casa e lavoro). Spero che questo momento di pericolo ci faccia riprendere il controllo della nostra vita, scuota le nostre coscienze addormentate e produca una conversione umana ed ecologica che ponga fine all’idolatria del denaro e metta al centro la dignità e la vita. La nostra civiltà, così competitiva e individualista, con i suoi frenetici ritmi di produzione e di consumo, i suoi lussi eccessivi e gli smisurati profitti per pochi, ha bisogno di un cambiamento, di un ripensamento, di una rigenerazione. Voi siete i costruttori indispensabili di questo cambiamento ormai improrogabile; ma soprattutto voi disponete di una voce autorevole per testimoniare che questo è possibile. Conoscete infatti le crisi e le privazioni… che con pudore, dignità, impegno, sforzo e solidarietà riuscite a trasformare in promessa di vita per le vostre famiglie e comunità.
Continuate a lottare e a prendervi cura l’uno dell’altro come fratelli. Prego per voi, prego con voi e chiedo a Dio nostro Padre di benedirvi, di colmarvi del suo amore, e di proteggervi lungo il cammino, dandovi quella forza che ci permette di non cadere e che non delude: la speranza. Per favore, anche a voi pregate per me, che ne ho bisogno.
Fraternamente,
Città del Vaticano, 12 aprile 2020, Domenica di Pasqua.
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