Monthly Archives: aprile 2020
Il 27 Aprile del 1937 morì Antonio Gramsci, assassinato dalla dittatura fascista.
di Pietro Maurandi.
“Una disgrazia senza l’uguale” scrive Sraffa il 27 aprile del 1937, alla morte del suo amico Antonio Gramsci, per i postumi di una tubercolosi contratta nel carcere fascista. [segue]
Coronavirus Fase 2: cerchiamo di capirci qualcosa
- La conferenza stampa di oggi 26 aprile 2020 del presidente del consiglio Giuseppe Conte sul sito del Governo: http://www.governo.it/it/media/fase-due-conferenza-stampa-del-presidente-conte/14519
- L’ordinanza n. 11 /2020 del COMMISSARIO STRAORDINARIO PER L’ATTUAZIONE E IL COORDINAMENTO DELLE MISURE DI CONTENIMENTO E CONTRASTO DELL’EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA COVID-19
che DISPONE all’art. 1 (Prezzi massimi di vendita al consumo)
Il prezzo finale di vendita al consumo dei prodotti indicati nell’allegato 1, praticato dai rivenditori finali, non può essere superiore, per ciascuna unità, ad € 0,50, al netto dell’imposta sul valore aggiunto.
Roma, 26 aprile 2020
IL COMMISSARIO STRAORDINARIO PER L’EMERGENZA COVID-19 Dott. Domenico Arcuri
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- La bozza del DPCM pubblicata sul sito web del quotidiano Il Messaggero: https://statics.cedscdn.it/uploads/ckfile/202004/bozza_26204443.pdf
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Un primo commento di Beppe Andreozzi, avvocato
Secondo quanto dispone il nuovo DPCM, articolo 1 della bozza in corso di pubblicazione, si potrà uscire, entro la propria regione, anche per incontrare i “congiunti”.
Chi sono i congiunti? [segue]
Che succede?
I PILASTRI DELLA RIPARTENZA
26 Aprile 2020 by Forcesi | su C3dem.
Lucrezia Reichlin, “Per una società più resiliente tre pilastri (salute, green e scuola) e una globalizzazione da governare” (Corriere della sera – Pianeta 2020). Paolo Sorbi, “Pensare al lavoro come rivincita sul capitalismo” (Avvenire). Chiara Giaccardi e Mauro Magatti, “Per la famiglia bene comune” (Avvenire). EUROPA: David Sassoli intervistato dal direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda: “Europa significa attenzione concreta alle persone”. Umberto Gentiloni, “Europa dopo la tempesta” (Espresso). Sergio Fabbrini, “Il negoziato europeo tagli fuori la retorica” (Sole 24 ore). Etienne Balibar, “L’Europa o si reinventa solidale o esplode” (intervista al Manifesto).
Gli Editoriali di Aladinpensiero online
25 aprile e Costituzione di Giuseppe Andreozzi- Clicca per accedere.
Il trattamento dell’epidemia di “coronavirus” come problema costituzionale e amministrativo
di Umberto Allegretti. Clicca per accedere.
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In salute, giusta, sostenibile. L’Italia che vogliamo.Su Sbilanciamoci, 18 Aprile 2020 | Sezione: Apertura, Società. Clicca per accedere.
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Coronavirus. Pensare, analizzare, agire.
Proponiamo alle nostre lettrici e ai nostri lettori il sesto contributo, un intervento di Gianfranco Sabattini, economista, condiviso dalle redazioni de il manifesto sardo, Democraziaoggi e aladinpensiero, nell’ambito dell’impegno comune che qui si richiama.
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Il reddito di cittadinanza non è un provvedimento-tampone contro la povertà o contro gli esiti distruttivi di eventi eccezionali
di Gianfranco Sabattini
Lo scoppio della pandemia da Covid-19 sta rilanciando l’idea dell’introduzione nel sistema di sicurezza nazionale del reddito di cittadinanza, con le finalità che hanno inteso assegnargli coloro che per primi l’hanno proposto, non già in contrapposizione, ma ad integrazione (per il maggior rispetto della dignità umana e la maggiore efficacia sul piano della valorizzazione dell’attività lavorativa), del sistema di welfare State, introdotto dopo la fine del secondo conflitto mondiale nella seconda metà del secolo scorso.
La cosiddetta “prova dei mezzi” e le molte “condizionalità” alle quali devono sottostare i fruitori della “difesa sociale” garantita dal sistema welfarista sono la conseguenza dei molti pregiudizi che caratterizzano una malintesa tutela della “dignità del lavoro”, che hanno giustificato, sino ai nostri giorni, le critiche portate da un arco di forze sociali (tra loro molto distanti sul piano ideologico) contro la possibile introduzione del reddito di cittadinanza, riproposte di continuo da quando sono iniziate ad emergere gli irreversibili motivi di crisi del sistema del welfare State sinora realizzato. Tali forze sociali hanno sempre considerato “offensive” della dignità personale l’erogazione di un reddito cui non corrispondesse una “prestazione lavorativa” da parte del fruitore.
Ciò che ha accomunato l’intero arco di tali forze ideologicamente eterogenee è stato il convincimento che la tutela del lavoro come valore in sé fosse irrinunciabile, perché il lavoro è “vita”, “partecipazione”, “autonomia” ed altro ancora. Sulla base di questo radicato assunto, sia le forze politiche e sindacali di sinistra, sia quelle che si rifanno ai principi della dottrina sociale della Chiesa cattolica, hanno sempre sostenuto che la tutela del lavoro dovesse essere garantita attraverso la creazione di posti di lavoro, malgrado tale obiettivo divenisse sempre più difficile da perseguire nei moderni sistemi economici.
In tal modo, le “buone intenzioni” dell’ampio arco di forze sociali critiche del reddito di cittadinanza ha finito col subire gli esiti di un’eterogenesi dei fini, che ha condotto le loro intenzioni ad essere sostituite dalle “conseguenze inintenzionali” di un convincimento volto a tutelare il lavoro; in tal modo, la loro posizione è servita, non già a difendere la dignità del lavoro, bensì a tutelare gli interessi delle forze conservatrici, motivate a conservare gli esiti spontanei connessi al libero svolgersi delle forze di mercato.
Tra le voci contrarie al reddito di cittadinanza, una delle più autorevoli è stata quella espressa tempo addietro da Papa Francesco in un discorso tenuto a Genova davanti ad un’assemblea dei lavoratori dell’Ilva; ora, però, a fronte dello scoppio della pandemia da Covid-19, anche il Papa sembra essersi convinto dell’urgenza, come di recente ha dichiarato, di una “retribuzione universale di base”, cioè di una forma di reddito in grado di garantire e realizzare un tipo di società che rispetti i suoi stessi membri. L’apertura del Papa all’introduzione di un reddito di cittadinanza incondizionato ha suscitato un coro di consensi anche tra quelle forze politiche di sinistra e sindacali (forse anch’esse indotte a cambiare parere di fronte agli effetti distruttivi della pandemia da Covid-19) tradizionalmente contrarie all’introduzione di ogni forma di reddito universale e incondizionato.
La rapida conversione ad accettare di istituzionalizzare una proposta sempre avversata sotto l’incalzare dello stato dell’urgenza e della necessità non può che essere apprezzata da quanti, da tempo, nell’ambito del dibattito politico-culturale in corso in Sardegna, sottolineano la positività dell’introduzione del reddito di cittadinanza nel sistema di sicurezza sociale, a motivo della crisi irreversibile del welfare State; ne è prova l’attività del Comitato Regionale d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria, i cui promotori ed organizzatori hanno ospitato nei loro “Blog” (Democraziaoggi, Aladinpensiero e Il Manifesto sardo), scritti e riflessioni sull’opportunità di introdurre il sempre criticato reddito di cittadinanza incondizionato nel sistemi sociali democratici ad economia di mercato; del dibattito, protrattosi negli anni non senza contrasti, fa fede la
celebrazione, ad iniziativa del suaccennato “Comitato” e dell’“Europe Direct Regione Sardegna”, di un Convegno sul lavoro (svoltosi a Cagliari il 4-5 ottobre 2017, i cui atti sono stati raccolti nel volume “Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti”), nel corso del quale sono stati esposti gli aspetti positivi del reddito di cittadinanza, rispetto alla tutela di chi involontariamente è privato della disponibilità di un reddito di base necessario alla sua sopravvivenza. Qui di seguito vengono riassunte le motivazioni che hanno caratterizzato la proposta dell’introduzione di tale reddito di base, intorno al quale sembra essersi finalmente realizzato un generale consenso.
Il welfare State, il sistema di protezione sociale oggi esistente, è stato formulato sul piano teorico tra le due guerre mondiali del secolo scorso, per tradursi in strutture pubbliche operative nei Paesi ad economia di mercato e retti da regimi democratici, a partire soprattutto dalla fine del secondo conflitto mondiale, legittimando sul piano sociale che l’intervento dello Stato nell’economia costituisse la base portante del benessere dei cittadini, da conseguirsi attraverso la conservazione dello stabile funzionamento del sistema economico; ciò ha prodotto la trasformazione dello Stato di diritto liberale in Stato sociale di diritto, legittimando in tal modo un intervento pubblico costante di natura strutturale nel governo dell’economia. Le riforme istituzionali introdotte hanno dato luogo alla costruzione del sistema di sicurezza sociale, la cui funzione è stata quella di rendere operante la stipula di un patto politico tra capitale e lavoro, fondato sull’apporto teorico di John Maynard Keynes al pensiero economico dominante.
Il welfare State è divenuto così, sul piano dell’azione politica dei Paesi che l’hanno adottato, il presidio della realizzazione delle condizioni volte a garantire lo stabile funzionamento del sistema economico, con una crescente creazione e conservazione di opportunità lavorative. In particolare, il sistema welfarista ha assunto anche la funzione di assicurare alla forza lavoro, nel caso fosse risultata temporaneamente e involontariamente disoccupata, la garanzia di un reddito da corrispondere sotto forma di sussidio, a fronte di contribuzioni previdenziali a carico di imprese e lavoratori.
Negli anni successivi alla sua introduzione, il welfare State ha perso gran parte della sua funzionalità, a causa del formarsi di una diffusa disoccupazione sempre più difficile da “governare”; fatto, quest’ultimo, che ha messo progressivamente in crisi il sistema di sicurezza sociale realizzato, a causa delle profonde trasformazioni delle modalità di produzione del prodotto sociale e della crescente partecipazione dei cittadini alle procedure decisionali dell’attività politica.
E’ però opportuno ricordare che il welfare State fondato sulle idee di William Beveridge, si contrapponeva una proposta alternativa, avanzata da James Edward Meade (premio Nobel per l’economia 1977 e già docente alla London School of Economics e alla Cambridge University). Meade proponeva che la sicurezza sociale fosse garantita in termini radicalmente diversi da quelli previsti dal sistema suggerito da Beveridge; la sicurezza sociale, a suo parere, poteva essere meglio assicurata, invece che con la corresponsione ai soli disoccupati di sussidi condizionati (vincolando, ad esempio, il disoccupato a reinserirsi nel mondo del lavoro e a sottoporsi a un insieme di controlli non sempre rispettosi della dignità della persona), attraverso l’erogazione di un reddito di cittadinanza universale e incondizionato, da corrispondere a tutti i cittadini senza alcun vincolo. Meade chiamava tale forme di reddito “dividendo sociale”, da finanziarsi senza alcun inasprimento del sistema fiscale ad integrazione del welfare State. Il dividendo sociale, doveva essere corrisposto a ciascun cittadino sotto forma di trasferimento pubblico, indipendentemente da ogni considerazione riguardo ad età, sesso, salute, stato lavorativo, stato coniugale, prova dei mezzi e funzionamento stabile del sistema economico.
Il fine ultimo della proposta di Meade era quello di realizzare un sistema di sicurezza sociale che riconoscesse ad ogni singolo soggetto, in quanto cittadino, il diritto ad un reddito di base, erogato in termini assolutamente ugualitari. Tuttavia, tale proposta non è stata accolta, non solo per il maggior accreditamento sociale delle idee keynesiane sulle quali era stato formulato il sistema di welfare, ma anche perché i “Gloriosi Trent’Anni” (1945-1975), nell’arco dei quali i sistemi sociali democratici ad economia di mercato hanno vissuto un periodo di crescita sostenuta, sono valsi a giustificare il consenso in pro dei welfare State nazionali, aperti ad allargare sempre di più le loro funzioni.
Se il processo di allargamento delle finalità dei sistemi di welfare, ha avuto l’effetto di promuovere l’espansione e la sicurezza economica dei cittadini, esso ha anche portato ad una continua crescita della spesa pubblica, la cui copertura, per via dell’aumentata frequenza dei periodi di instabilità dei sistemi economici, è stata la causa del rallentamento del processo di crescita e sviluppo delle economie, con la formazione di crescenti livelli di disoccupazione strutturale irreversibile. Tali fenomeni, oltre ad incrinare l’antico patto tra capitale e lavoro, hanno anche determinato una crisi più generale del welfare State, progressivamente trasformatosi in struttura caritatevole nei confronti di una crescente massa di disoccupati, contribuendo ad allargare l’area della povertà, a causa delle sempre più limitate prestazioni sociali nei confronti di chi perdeva la stabilità del posto di lavoro.
Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, il rallentamento della crescita e dello sviluppo, nonché la conseguente crisi del welfare, hanno comportato il “ricupero” di antiche ideologie economiche e politiche conservatrici, dando vita al neoliberismo; imputando la causa della stagnazione del sistema economico al crescente livello della spesa pubblica, questa nuova ideologia ha individuato la soluzione del problema del rilancio della crescita e dello sviluppo nella riduzione delle prestazioni sociali (considerate un disincentivo al lavoro) e del carico fiscale (col quale veniva finanziato il sistema di sicurezza sociale).
Quali siano stati gli esiti di questo nuovo orientamento politico è ormai nell’esperienza di tutti. Ma se il connotato principale degli attuali sistemi produttivi ad economia di mercato è stato quello di causare crescenti livelli di disoccupazione strutturale (complici, da un lato, l’internazionalizzazione senza regole delle economie nazionali e, da un altro lato, l’elevata velocità dei processi di miglioramento delle tecnologie produttive), quale prospettiva può essere offerta ai disoccupati irreversibili (e, in generale, a tutti coloro che risultano privi di reddito) di partecipare alla distribuzione del prodotto sociale, perché sia loro reso possibile di perseguire dignitosamente il proprio progetto di vita?
La risposta a questo interrogativo può essere data solo prendendo in considerazione una riforma delle modalità di distribuzione del prodotto sociale, erogando a tutti i cittadini un dividendo sociale (come originariamente lo ha denominato Meade), indipendentemente dalla loro età e dal fatto di essere occupati, disoccupati o poveri; una soluzione però ignorata dai Paesi sempre più frequentemente colpiti da crisi economiche, le cui forze politiche hanno preferito, al contrario, continuare a “rabberciare” il vecchio sistema welfarista.
Da tempo, a livello internazionale, si propone di ricuperare l’originaria proposta di Meade, per istituzionalizzare un reddito di inclusione, una forma di trasferimento pubblico (a favore di chi è privo di reddito) diversa da quella prevista dal sistema welfarista; tale è, ad esempio, il trasferimento che, con la denominazione impropria di reddito di cittadinanza, viene corrisposto sulla base dei provvedimenti adottati di recente in Italia. In realtà, questa forma di erogazione fondata su un’impropria identificazione tra povero e disoccupato ed un approccio caritatevole, che vede nel percettore del reddito un potenziale approfittatore da tenere sotto sorveglianza ed al quale prescrivere persino i consumi, è tutto fuorché un dividendo sociale (o reddito di cittadinanza) universale e incondizionato.
Una riforma delle regole di distribuzione del prodotto sociale fondata sull’introduzione di un reddito di cittadinanza à la Meade renderebbe inutile, quasi totalmente, l’intero apparato del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, qualora essa fosse associata ad una riqualificazione dell’attuale sistema di welfare, indirizzandolo a curare prevalentemente, se non esclusivamente, la formazione professionale e lo stato di salute dei cittadini. Tale riforma renderebbe plausibile il rilancio di uno stabile processo di crescita e sviluppo, evitando ogni possibile spreco della risorsa più preziosa (cioè la capacita lavorativa e creativa dei cittadini) della quale ogni sistema dispone anche nelle fasi di crisi.
Con l’introduzione di un reddito di cittadinanza (universale e incondizionato) e la riqualificazione del sistema di welfare diventerebbe realistico pensare che il settore pubblico, liberato dall’incombenza di risolvere i problemi distributivi di momento in momento insorgenti, possa essere orientato prevalentemente ad allargare e diversificare l’offerta di beni collettivi, utili a massimizzare la valorizzazione delle capacità lavorative di tutti i cittadini; i quali, attraverso la loro creatività, potranno concorrere a plasmare, non solo l’economia, ma anche la società alla quale appartengono.
Che senso può avere la costituzione di un’organizzazione della società fondata su un’attività d’investimento pubblico volto a rendere massima la valorizzazione delle capacità lavorative individuali? Se si riflette sulle difficoltà delle moderne economie industriali a creare nuovi posti di lavoro, l’introduzione di un reddito di cittadinanza universale e incondizionato risponderebbe all’urgenza che le politiche pubbliche tradizionali divengano conformi alla soluzione dei problemi del nostro tempo, quali – tra i molti – la povertà, la disoccupazione, la salute pubblica e la bassa produttività dell’attività politica, ora perennemente “schiacciata” sul presente e poco orientata a progettare il futuro.
Questi problemi possono essere adeguatamente affrontati da una riorganizzazione del sistema sociale che, eliminando le disuguaglianze, la disoccupazione, la povertà e le minacce allo stato di salute della collettività, crei sempre più spazio ad attività d’investimento pubblico volte a massimizzare il prodotto sociale, attraverso la promozione di attività produttive autodirette, come fonte di reddito alternativo al lavoro eterodiretto (o dipendente), del quale il processo di accumulazione capitalistica contemporanea tende ad avere sempre meno bisogno.
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Rammentiamo che è in corso una Campagna per l’istituzione del Reddito di cittadinanza incondizionato e universale in Italia e in tutti gli altri paesi dell’Unione Europea, promossa da Unconditional Basic Income Europe e da BIN Italia. Aladinpensiero, il manifesto sardo, Democraziaoggi e Giornalia appoggiano detta Campagna e invitano a firmare l’apposito appello.
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Materiali per il Dibattito su Lavoro e Reddito di Cittadinanza
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Il Sindaco scordato
Signor Sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, il 25 aprile 2020 lei si è colpevolmente scordato di aver giurato fedeltà alla Costituzione antifascista della Repubblica Italiana.
Cagliari, 25 aprile 2020. Nella foto (Archivio Anpi) la delegazione del Comitato 25 aprile che depone una corona di fiori nel monumento ai Caduti, per ricordare coloro che pagarono con il sacrificio della vita la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. La delegazione era formata da Carlo Boi, Antonello Murgia, Franco Boi e Carlo Dore. Assenti il Sindaco di Cagliari e gli altri rappresentanti istituzionali.
Il 25 aprile e i sindaci disertori
26 Aprile 2020, il manifesto sardo
di Roberto Loddo.
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Oggi domenica 26 aprile 2020
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————————————–
Carbonia. Le miniere per la Ricostruzione
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Un nuovo momento della storia di Carbonia, come ogni domenica dal 1° settembre.
Nell’Ottobre del 1943 il governo Badoglio e il Comando militare delle forze armate alleate riattivano la produzione delle miniere di Carbonia […]
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Mio padre, schiavo di Hitler
Gianfranco Meleddu su Democraziaoggi.
Mio padre Ignazio Meleddu, nato il 22 febbraio 1923, ha scritto un libro sulla sua vita per regalarlo a tutti noi figli e nipoti. Di seguito riporto alcuni estratti riguardanti la prigionia
Partì nell’agosto del 1940 a 17 anni, tornò nel luglio del 1945 a 22 anni […]
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Direi che adesso basta. Vanni Tola su fb.
E’ ora di smetterla con le buffonate. E’ indispensabile arginare la fantasia malata e perversa di amministratori regionali e sindaci che, dopo essersi distinti per disorganizzazione e manifesta incompetenza nella fase emergenziale della pandemia, tentano di “gettare fumo negli occhi” improvvisandosi strateghi del ripopolamento delle città e della ripresa delle attività produttive. Non servono decreti locali per la ripresa su base comunale o regionale. Serve un piano con regole certe e ragionevoli per l’intero paese al quale gli amministratori locali possano apportare modifiche altrettanto ragionevoli e adeguatamente motivate. [segue]
Che succede?
EUROPA, TRA INCOGNITE E PASSI AVANTI
25 Aprile 2020 su C3dem.
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QUESTO 25 APRILE. E NOTE SULLA POLITICA
25 Aprile 2020 su C3dem.
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POVERI. IMMIGRATI. RSA. E UN CASO EDITORIALE
24 Aprile 2020 su C3dem.
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LA COMPLESSITÀ DELLA RIPARTENZA. COVID-19 E VERI BISOGNI
24 Aprile 2020 su C3dem.
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25 aprile e Costituzione
Nella costituzione italiana è posto a chiare lettere il principio che ragioni di carattere generale, come quelle che riguardano la salute e la sicurezza, possono giustificare limitazioni alle libertà personali dei cittadini, ma con una ben precisa limitazione: simili restrizioni possono essere imposte soltanto con legge. Nel diritto si chiama “principio di legalità”.
Fra le libertà personali “inviolabili” c’è quella della libertà di circolazione.
Più precisamente l’art. 16 (comma 1 prima frase) dispone: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”
Ricordiamo oggi, 25 aprile, in quale contesto e per quali ragioni nacque questa norma.
L’assemblea costituente, incaricata di elaborare la carta dopo la fine della guerra, rappresentava le forze politiche antifasciste, nelle cui fila figuravano partigiani combattenti, ma anche, in larga misura, donne e uomini che a suo tempo avevano rifiutato di riconoscersi nella dittatura fascista e avevano espresso idee di libertà e di democrazia incompatibili col regime.
Manifestazioni di dignità e coraggio spesso pagate col carcere, col confino, ma anche con la sottoposizione a misure restrittive ad opera di prefetti, questori e podestà pronti a cogliere ogni pretesto, come la visita di un ministro o una manifestazione del regime, per angariare gli antifascisti obbligandoli a trascorrere il tempo nella propria dimora o nelle camere di sicurezza della polizia.
La prima formulazione dell’articolo 16 della costituzione fu illustrata nel corso della seduta del 20 settembre 1946 della prima sottocommissione della costituente dal relatore Lelio Basso, avvocato, socialista, collaboratore di Piero Gobetti nella rivista “Rivoluzione Liberale”, confinato nell’isola di Ponza e poi recluso nel campo di concentramento di Colfiorito.
Dal resoconto del relativo dibattito, al quale parteciparono tra gli altri Aldo Moro, Palmiro Togliatti, Giorgio La Pira, Nilde Iotti, Giuseppe Grassi, esponenti di spicco della sinistra, del mondo cattolico e della cultura liberale, risalta con evidenza la memoria di simili angherie e la comune volontà di porre un freno al potere esercitato dalle autorità amministrative attribuendo soltanto al legislatore il compito di disporre in materia.
In questi giorni il proliferare in tutto il Paese di provvedimenti restrittivi della circolazione dei cittadini adottate da presidenti di regione e sindaci ha messo gravemente in crisi quel principio di legalità in materia di libertà del cittadino.
Gli uni e gli altri, a dire il vero, hanno il potere di emettere, per ragioni di necessità e urgenza, provvedimenti che richiedono prestazioni di natura personale e patrimoniale “in base alla legge”. Però, come ha precisato la Corte Costituzionale “La Costituzione italiana, ispirata ai principi fondamentali della legalità e della democraticità, richiede che nessuna prestazione, personale o patrimoniale, possa essere imposta, se non in base alla legge (art. 23). La riserva di legge appena richiamata ha indubbiamente carattere relativo, nel senso che lascia all’autorità amministrativa consistenti margini di regolazione delle fattispecie in tutti gli ambiti non coperti dalle riserve di legge assolute, poste a presidio dei diritti di libertà, contenute negli artt. 13 e seguenti della Costituzione” (sentenza n. 115 del 2011).
Dunque libertà personale (art. 13), inviolabiltà del domicilio (art. 14), libertà e segretezza della corrispondenza (art. 15), libertà di circolazione (art. 16), coperti da “riserve di legge assolute”, possono essere limitate solo attraverso una precisa regolamentazione che spetta in via esclusiva al legislatore.
Si dirà che quelle in atto sono misure limitate all’emergenza sanitaria. Non dimentichiamo però che nella previsione della costituzione alla sanità è accomunata la sicurezza. E potrebbe accadere, se oggi permettiamo simili restrizioni alle autorità amministrative, che un domani le stesse possano adottate, ad esempio, a fronte del pericolo di tumulti di piazza.
Fa parte della storia anche recente che emergenze di qualunque genere talvolta costituiscono il pretesto per avviare forme di repressione della democrazia. Come ha fatto giusto un mese fa il premier ungherese Orbàn il quale (beninteso, grazie a una costituzione assai più fragile della nostra) si è fatto attribuire, senza limiti di tempo, la possibilità di governare per decreto, riservandosi il potere di riconvocare quando vorrà il parlamento e di procrastinare nuove elezioni.
In questo clima preoccupano alcune pronunzie giudiziali, peraltro adottate in via cautelare e provvisoria, e l’imbarazzante silenzio di autorevoli giuristi che pure negli scorsi anni avevano acquistato la ribalta nazionale in difesa della carta costituzionale.
Dovremo impegnarci tutti, tecnici di diritto, ma non solo e non da soli, perché non resti traccia di decisioni e pareri, condiscendenti verso simili forme di esercizio abusivo del potere, che un giorno potrebbero essere usate in altri contesti e per altri fini. Sostenuti dalla stessa, forte convinzione del piccolo mugnaio di Potsdam che alla fine troveremo un giudice a Berlino.
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In argomento pubblichiamo uno scritto del prof. Umberto Allegretti, apparso su “Forum di Quaderni costituzionali” il 25 marzo scorso, che si sofferma anche su altre questioni (rispetto a quelle trattate dall’avv. Andreozzi) di carattere giuridico – e non solo – suscitate dai provvedimenti del governo, dei presidenti delle regioni e dei sindaci. Successivamente alla data dello scritto sono state assunte dalle stesse Autorità ulteriori decisioni in modifica e precisazione di una serie di divieti limitativi delle libertà dei cittadini. Altre si preannunciano imminenti inquadrabili nella cd fase 2. Restano gli interrogativi sia sull’efficacia di alcuni provvedimenti e sulla loro applicazione più o meno distorta, sia soprattutto rispetto alla costituzionalità di alcune norme adottate e alla legittimità di assunzione delle stesse da parte delle diverse autorità, pensando ai rischi di estensione “a discrezione” ai diversi campi in cui si esplicano i diritti dei cittadini.
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Il trattamento dell’epidemia di “coronavirus” come problema costituzionale e amministrativo
di Umberto Allegretti
L’epidemia del Covid-19, oltre ai problemi medici e di vita comune, fa sorgere sul fronte giuridico notevoli questioni, alcune delle quali fra le più acute cercheremo di delineare a caldo e sommariamente. Si tratta di questioni in continua evoluzione – dobbiamo qui tener conto della situazione esistente al 23 marzo – che, pur non prive di solidi riferimenti a nozioni giuridiche acquisite, sono in gran parte nuove e di fatto sembrano spesso affrontate più con aderenza alle necessità straordinarie del caso che non alla formale aderenza a quelle nozioni. Sappiamo di sfidare così, prima che i limiti dell’autore di queste note (…come di ogni altro, crediamo) le inadeguatezze e incertezze del diritto, soprattutto ma non solo di fronte a fatti così travolgenti.
Possiamo annodare le questioni da affrontare attorno a due nuclei, seppur legati tra loro: il primo è quello dei diritti delle persone e delle loro limitazioni; il secondo è il problema organizzativo.
Muoviamo qui da quest’ultimo, nonostante che esso abbia natura servente rispetto al primo. Esso, a un esame del sistema normativo messo in piedi per affrontare il caso, appare risolto in modo complessivamente soddisfacente, secondo linee adeguate alla forma di Stato propria del nostro ordinamento, smentendo, ci sembra, la condizione di un Paese… che in genere non possiede precisamente una vocazione all’organizzazione.
Il perno dell’azione deliberata per la lotta contro il virus, in nome di quel diritto della persona alla tutela della salute che la Costituzione definisce come diritto “fondamentale”, è la fonte legislativa statale. Trattandosi nella presente situazione di un caso straordinario di necessità e di urgenza, è stato giustificatamente approvato dal Governo come atto fondamentale un decreto legge (n. 6 del 2020), che il Parlamento ha con non frequente senso di concordia convertito nella legge 5 marzo 2020, n. 13, seguito da altri analoghi provvedimenti.
Questa fonte legislativa prevede (art. 1.2) un elenco di numerose e pregnanti misure restrittive di diritti fondamentali delle persone e di provvedimenti ad esse connessi, di applicazione nell’insieme doverosa pur lasciando aperta una discrezionalità applicativa, e autorizzandone come eventuali anche altre, individuate con la formula generale “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica” (art.1.1 e art. 2), che definisce quelle non esplicitamente elencate come misure “ulteriori”. L’elencazione è sufficientemente precisa, ma costituisce base per atti governativi previsti a valle della legge, che consistono essenzialmente nell’adozione di decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 3.1), che, come vedremo sono stati infatti abbondantemente emanati (fondamentale quello dell’11 marzo). E’ chiaro che il legislatore ha aderito all’idea che il carattere relativo che può avere la riserva di legge in relazione ad alcuni diritti fondamentali – tanto più quando, come quello alla salute, sono concepiti dalla Costituzione, anche in quanto interesse della collettività, come aventi un grado superiore rispetto ad altri – autorizza il complemento di provvedimenti governativi. E non si può negare – anche senza poter qui coinvolgere una competenza sanitaria che chi scrive non possiede – che i provvedimenti adottati dai numerosi DPCM finora emanati abbiano in generale una loro congruità.
Ma qual è il fondamento, nello Stato fortemente regionalizzato che è il nostro, dell’assegnazione di un ruolo fondamentale alle norme statali, come evidentemente ha ritenuto il sistema adottato? Se lo chiede… quel giustificatamente scrupoloso pignolo che è il giurista, mentre il profano risolve la questione con naturalezza, ritenendo che le dimensioni del problema dell’attuale epidemia sono almeno di livello statale (e in realtà chiamerebbero in gioco, più di quanto non sia finora avvenuto, l’organizzazione europea e quel tanto che esiste di organizzazione mondiale).
La Costituzione assegna la tutela della salute alla competenza concorrente di Stato e Regioni. Come pure è di tale natura la materia della protezione civile, che risulta ripetutamente invocata dalle norme adottate, nonostante che nel caso della salute siamo di fronte a un tipo di calamità diverse da quelle legate ai beni legati al territorio in quanto tale, normale oggetto di questa funzione, che ordinariamente le affronta sulla base, ora, del codice della protezione civile oggetto del d. lgsl. 2 gennaio 2018, n. 2. Entrambe le materie supporrebbero la determinazione da parte della legge statale dei principi fondamentali e l’applicazione dettagliata spetterebbe alla legge regionale. Qui ci troviamo invece davanti a una legge statale che domina il campo, avocandolo fondamentalmente allo Stato.
Se cerchiamo una giustificazione giuridica di questo fatto, viene sotto gli occhi la chiamata in sussidiarietà elaborata dalla Corte costituzionale nella ricostruzione degli art. 117 e 118 Cost., perché sembra che siamo in presenza della generale necessità di assicurare “l’esercizio unitario “ di una funzione sollecitata da circostanze la cui dinamica travalica i confini dei territori e delle stesse prerogative regionali. Potrebbe anche invocarsi l’art. 120, che opera quando vi è un “pericolo grave per l’incolumità pubblica” o quando lo richiede la tutela del’unità giuridica dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali. Anche se questo secondo tipo di intervento, lasciato al Governo, è assimilato a quelli sostitutivi nei confronti delle regioni considerate inadempienti, i due fondamenti dell’intervento statale convergono ed entrambi comportano la leale collaborazione tra Regione e Stato.
E lo Stato la ha realizzata, per disposizione del’art. 3.1 del d.l. n°6, come convertito dalla legge n. 13, sentendo prima dell’emanazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri ad efficacia per tutto il territorio nazionale il Presidente della conferenza dei presidenti delle Regioni e, sulle eventuali norme che concernono specificamente singole Regioni, i loro presidenti (art. 3.1). Si tratta dunque giuridicamente di un semplice parere e non di un’intesa, come si era in una prima fase pensato per i casi di attrazione in sussidiarietà; d’altronde risulta dai decreti o si apprende dai media che alcuni provvedimenti (come quelli ministeriali in tema di trasporti per il Sud e le Isole) sono stati assunti su richiesta delle relative Regioni.
Inoltre, la stessa legislazione statale, riconoscendo, quanto meno implicitamente, che vi sono altre “autorità competenti”, con l’art. 2 stabilisce che esse – e si tratterà, secondo l’estensione territoriale, del Ministro della salute o di altri ministri, delle Regioni e dei Comuni – possano adottare quelle ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza di cui si è accennato; e con l’art. 3.2 per i casi di “estrema necessità ed urgenza” mantiene in vita i poteri di ordinanza contingibile ed urgente che precedenti leggi assegnano a entrambi.
I presidenti di Regione e i sindaci hanno fatto largo uso di quei poteri per i servizi locali; così pure il Ministro della salute per problemi più generali. A sua volta, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti è stato dotato del compito di limitare o sospendere i servizi diversi da quelli locali di persone e di merci terrestri, aerei, marittimi e lacustri (art. 1.5 del DPCM dell’11 marzo in relazione all’art. 1 lett. m della legge). Il Ministro ad esempio se ne è avvalso con separati provvedimenti per la Sardegna e per i percorsi per il Sud.
Nel complesso sembra che le norme così adottate (salvo il giudizio sui singoli casi di merito) siano aderenti al sistema di ripartizione dei poteri costituzionalmente stabilito.
Per quanto attiene alla collaborazione tra le autorità statali, si può constatare che i provvedimenti del Presidente del Consiglio dei Ministri vengono adottati su proposta del Ministro della salute, sentiti una serie di altri ministri. Il Governo è dunque implicato collegialmente, e del resto aveva fin dal mese di gennaio agito in maniera preventiva con ordinanze del Ministro della salute e con la dichiarazione di emergenza nazionale assunta dal Consiglio il 31 di quel mese.
Da più parti è stata criticata la scarsa capacità di intervento lasciata al Parlamento; ma, a parte la conversione in legge dei decreti legge, e tenuto conto dell’assegnazione di gran parte della materia a riserve di legge puramente relative, esso ha mantenuto la possibilità, invero scarsamente esercitata (ma si veda la doppia deliberazione dell’11 marzo), di discutere dell’operato degli organi governativi.
Qui si viene a quello che abbiamo ricordato essere il primo nucleo di questioni, che non può qui essere facilmente oggetto di un’analisi riferita alla totalità degli aspetti e che, comunque, è quello su cui sono possibili le maggiori perplessità.
La questione generale che si apre è quella dei contenuti restrittivi che il trattamento dell’epidemia comporta per i diritti fondamentali. E’ chiaro che il riferimento primo riguarda il diritto alla salute delle persone e, in pari tempo, della collettività. Esso ha sempre comportato vari limiti a sua tutela, come ad esempio le vaccinazioni obbligatorie e altri trattamenti sanitari che colpiscono le libertà della persona. Tra i diritti fondamentali il diritto alla salute, dato il suo grado, nell’inevitabile comparazione che nasce dalla convivenza e spesso dallo scontro tra i diversi diritti pure qualificati come fondamentali tende a rivestire un valore tendenzialmente più elevato di altri. Ma si sa che nei diritti fondamentali non si può prescindere da un criterio di proporzionalità tra i diritti la cui prevalenza determina i sacrifici legittimi e i diritti sacrificati.
La prevalenza del diritto alla salute pesa proprio nella situazione attuale, che si inquadra prima di tutto nell’art. 16 della Costituzione. Anche quest’articolo garantisce un diritto e un valore collettivo fondamentale – la libertà di circolazione – ma prevede espressamente la possibilità di limitazioni, in via generale, per motivi di sanità (oltre che di sicurezza).
Senza entrare in tutti i provvedimenti economici né in quelli sul potenziamento del Servizio sanitario nazionale, che hanno disposto sia restrizioni che aiuti, va sottolineato che, con un successivo rapido infittirsi di provvedimenti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1°, 4, 8, 9, 11 e, ora, 22 marzo, sono state disposte misure restrittive e talora solo raccomandazioni o semplici inviti, a non allontanarsi o accedere ai luoghi infetti e ad astenersi da una serie di comportamenti, qualificati diversamente secondo tempi e luoghi, via via estesi all’intero territorio nazionale e fino al 25 marzo o al 3 aprile o data posteriore fissata dalle varie norme. Esse investono tutte le principali libertà, in particolare alcuni aspetti della libertà personale, quelle di riunione, di manifestazioni anche di pensiero, e attività di istruzione, di lavoro ed economiche, contenendo però una serie di deroghe.
La normativa delle varie fonti – per lo più nata dapprima nella tragica esperienza lombarda con provvedimenti regionali basati su un modello fatto proprio nell’insieme da altre Regioni ed esteso a tutto il territorio nazionale – suscita talora interrogativi e perplessità, data la pur comprensibile formulazione di categorie scarsamente definite. Per esempio l’espressione “esercizi commerciali di vicinato” (che sono permessi, e che comunque dovrebbero comprendere quasi tutti gli esercizi di vendita di generi alimentari e “di prima necessità”, purché limitatamente a questi ultimi). In esse può sorprendere fra altre…”l’indulgenza” per le rivendite di tabacchi, la cui apertura appare essenzialmente motivata da preoccupazioni per le entrate erariali. Fino al 22 marzo, non ha avuto corso un divieto generale delle attività produttive, anche se molte erano le attività vietate ed alcune assai delicate erano specificamente garantite (DPCM 11 marzo). Ora è in vigore (DPCM 22 marzo) una “sospensione” teoricamente generale, rinviando peraltro per le modalità all’accordo condiviso con le parti sociali del 14 marzo, e corredato da quasi cento deroghe; troppe, secondo i sindacati, spesso espresse con larghezza e “cumulativamente” a quanto previsto dal decreto dell’11 marzo. A differenza di quanto era stato discusso come oggetti di possibili generali divieti, risultano permesse numerose attività artigianali, le attività nei cantieri, determinati studi professionali.
In materia ci si potrebbe interrogare circa la congruità di alcune modificazioni a tale regime contenute nelle norme di altri Paesi, quali quelle del Portogallo che consentono, oltre la possibilità di requisizione di beni immobili e mobili, l’eventualità dell’imposizione di apertura e funzionamento di certe imprese e di prestazione al lavoro di collaboratori di entità pubbliche e private.
In alcune Regioni – la Lombardia, prima di tutto (v. le ordinanze n. 514 e 515 del 21 e 22 marzo) – sembrano da ritenere in vigore provvedimenti più restrittivi in importanti campi, il che dovrebbe esser possibile in forza della disposizione, già ricordata, per cui le Regioni possono sancire misure ulteriori rispetto a quelle previste dalle norme statali. Tali sono la sospensione di attività “decentrate” delle amministrazioni pubbliche, le attività nei cantieri (salvo alcuni tipi di essi) e la chiusura degli studi professionali, mentre altre disposizioni delle ordinanze ripetono prescrizioni già vigenti o anticipano misure contenute poi nel DPCM del 22 marzo, incoraggiando le forme di lavoro detto agile o a distanza.
In molti aspetti dubbia è l’identificazione degli “spostamenti” delle persone, che le norme hanno disposto prima come da “evitare”, poi vietati, salvo che per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o di salute o per rientro al proprio domicilio, abitazione o residenza. Si potrebbe forse accogliere, per via interpretativa o meglio con una modifica al decreto vigente, l’ulteriore deroga per “assistenza a terzi”. Da ultimo è stata vietata l’attività motoria, svolta anche singolarmente, se non nei pressi della propria abitazione. Nei dettagli, come sempre accade (come si suol dire…il diavolo è nei dettagli) molte sono le perplessità che possono sorgere al riguardo. Evidentemente sono da ritenere permesse da stretta necessità le uscite da casa per accedere alle attività garantite; ma altre sono soggette a interpretazione non agevole. In ogni caso la prescrizione, così frequente nei media e a livello di opinione pubblica, “Io resto a casa” sembra comunque semplificata o nella sua generalità ha il valore di una raccomandazione o di un invito.
Un interrogativo tra gli altri verte sulla chiusura dei parchi urbani, su cui si potevano già documentare, per le grandi città, i casi dei Comuni di MiIano, Bologna, Firenze e Cagliari (ma certamente anche di altri), che hanno chiuso i parchi recintati, impedendo così attività per altro verso di giovamento alla normale salute dei cittadini (si pensi in particolare ad anziani e bambini) e che se, come si rilevava, avrebbero teso a essere luogo di assembramenti di persone, potrebbero semmai essere oggetto di maggior vigilanza di polizia volti a scioglierli. Sennonché nell’ultimo provvedimento del presidente del consiglio dei ministri i parchi sembrano ora tutti oggetto di divieto, così come le ville, le aree di gioco, i non meglio identificati giardini (le aiuole aperte su strade pubbliche sono comprese nel divieto?)
In genere lo spostamento ammesso è quello nell’ambito del proprio comune; ma così non pare si tenga conto della diversa configurazione degli abitati, per esempio delle particolari esigenze delle campagne e di abitati molto piccoli, privi di essenziali servizi, e per altro verso di quelle delle città metropolitane, che vedono per solito certi tipi di esercizi – come quelli riguardanti gli arredi per la casa, quand’anche di stretta necessità – funzionare nei comuni suburbani anziché nella città centrale o negli altri comuni dell’area; il che dovrebbe impedire come eccessivamente semplificata l’esortazione che lo spostamento delle persone debba sempre esser confinato al proprio comune. E’ invece generale e giustamente ripetuta la prescrizione di osservare la distanza di un metro fra le persone.
Volendo scegliere altri giustificati esempi, potremmo indicare l’assoggettamento a quarantena (40 giorni, 14 o altra durata?) di coloro che arrivano dalle zone rosse e di coloro che sono risultati positivi o che abbiano avuto contatti stretti con casi della malattia confermati positivi e la permanenza domiciliare fiduciaria per le persone provenienti dalle aree colpite (quale sia la vera differenza di effetti tra le due misure non è chiarissimo); la sottoposizione delle persone in arrivo nei porti e aeroporti al rilevamento automatico della temperatura corporea; e, in presenza di frequenti arrivi nel Sud e nelle Isole di proprietari di seconde case, che anche prima erano stati oggetti di divieti, gli obblighi di questi soggetti di osservare la permanenza domiciliare con isolamento fiduciario.
Sono notevolmente colpiti i trasporti di persone, rispetto ai quali il decreto del presidente del consiglio dei ministri dell’11 marzo, pur avendo sulle prime disatteso le proposte di una rigorosa misura di chiusura reiteratamente sostenuta dai presidenti di varie Regioni, li ha autorizzati all’adozione, nei limiti dei “casi di estrema necessità ed urgenza”, a una cosiddetta “programmazione del servizio” locale “finalizzata alla riduzione” e fino alla “soppressione” dei servizi locali. Così pure, ma in questo caso con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro della Salute, può essere oggetto di discussione l’analoga possibilità di riduzione dei servizi automobilistici interregionali e dei mezzi di trasporto aerei, ferroviari e marittimi. Così, oltre al divieto assoluto di trasporti marittimi di persone per la Sardegna, molte restrizioni sono state introdotte nei collegamenti aerei, stabilendo che resti in attività, di massima, un solo aeroporto per regione, provocando rilevanti disagi (così, a differenza della Sicilia, in cui sono aperti due aeroporti, la Sardegna del Nord, assai malagevolmente collegata a Cagliari per via interna, è stata privata di ogni collegamento aeroportuale), e sono stati gravemente ridotti i numeri di voli in arrivo anche negli aeroporti lasciati aperti. [segue]
Oggi sabato 25 aprile 2020 Festa della Liberazione
Ungaretti, Rodari, Quasimodo – Tre brevissime, incredibilmente belle, poesie per il 25 aprile, festa della Liberazione
Per i morti della resistenza [segue]
Che succede?
Che succede? La Rassegna di C3dem.
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L’ACCORDO EUROPEO
24 Aprile 2020 su C3dem.
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NUOVA NORMALITÀ. GRANDE POVERTÀ
23 Aprile 2020 su C3dem.
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L’UNICA STRADA È PIÙ EUROPA
23 Aprile 2020 su C3dem.
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IL SIGNIFICATO DI RESISTENZA, OGGI
23 Aprile 2020 su C3dem.
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GOVERNO SULLE SPINE
22 Aprile 2020 su C3dem.
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NOI, LA TERRA, LO STATO, IL FUTURO
22 Aprile 2020 su C3dem.
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Appelli di Greenpeace. Il vero prezzo della carne – Salviamo le api!
Il prezzo degli allevamenti intensivi lo paghiamo anche con la nostra salute. Antibiotici, malattie di origine alimentare, consumi eccessivi, infezioni batteriche: la carne che finisce nel nostro piatto può trasformarsi in un rischio. Eppure gli allevamenti intensivi continuano ad essere sostenuti anche con fondi pubblici. Un sistema che minaccia la nostra salute e quella del Pianeta non deve più essere finanziato con le nostre tasse: non possiamo più permetterlo!
Chiedi all’Unione Europea e al Governo italiano di tagliare i sussidi agli allevamenti intensivi e sostenere aziende agricole che producono con metodi ecologici. Appello.
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SALVIAMO LE API DAI PESTICIDI
Le api sono in declino, minacciate da pesticidi, perdita di habitat, monocolture, parassiti, malattie e cambiamenti climatici.
Se le api muoiono, a farne le spese sono l’ambiente, il nostro cibo e l’agricoltura. Le api, infatti, non producono solo miele: dalla loro opera di impollinazione dipende un terzo degli alimenti che consumiamo abitualmente – come mele, fragole, pomodori e mandorle – e la produttività del 75% delle nostre principali colture agricole.
L’attuale sistema di agricoltura industriale basato sulla dipendenza dai pesticidi chimici, come i neonicotinoidi, non è più sostenibile!
Il 27 aprile 2018 l’Unione Europea ha approvato il bando permanente di tre insetticidi neonicotinoidi dannosi per le api: l’imidacloprid e il clothianidin della Bayer e il tiamethoxam della Syngenta.
Il loro utilizzo resta però consentito all’interno di serre permanenti. Inoltre, è ancora consentito l’uso di altri neonicotinoidi: acetamiprid, thiacloprid, sulfoxaflor e flupyradifurone e altre sostanze quali cipermetrina, deltametrina e clorpirifos, tutti insetticidi potenzialmente pericolosi per le api e gli altri insetti impollinatori.
PER QUESTO CHIEDIAMO AL GOVERNO ITALIANO E ALLA COMMISSIONE EUROPEA DI:
bandire l’uso di tutti i pesticidi dannosi per le api e gli altri insetti impollinatori
applicare rigidi standard per la valutazione dei rischi da pesticidi
aumentare i finanziamenti per la ricerca, lo sviluppo e l’applicazione di pratiche agricole ecologiche
Recenti studi hanno confermato che i neonicotinoidi danneggiano non solo le api, ma anche i bombi, le farfalle, gli insetti acquatici e persino gli uccelli, con possibili ripercussioni su tutta la catena alimentare.
Dobbiamo agire subito!
Unisciti a noi per fare pressione su Governo italiano e Commissione Europea, firma ora la petizione.
LA TUA FIRMA E’ IMPORTANTE: insieme possiamo ottenere la messa al bando di questi pesticidi, per sempre!
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Approfondimenti: https://www.greenpeace.org/archive-italy/Global/italy/file/2013/elenco_semi.pdf
Collegamento live
Iniziativa de il manifesto sardo, che coinvolge aladinpensiero.
Collegati!
https://www.youtube.com/watch?v=tLXFKaedf1M
- L’evento può essere seguito “in diretta” sul sito YouTube o nelle pagine fb collegate (ecco quella del manifesto sardo: https://www.manifestosardo.org/il-manifesto-sardo-live-incontra-sonia-borsato/). La registrazione dello stesso è istantanea, per cui successivamente può essere rivista, collegandosi con uno dei siti segnalati (YouTube e fb).
Oggi venerdì 24 aprile 2020
Domani 25 aprile
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—————————Opinioni, Commenti e “Riflessioni, Appuntamenti—————————————————–.
ANPI. Il 25 tutti insieme in festa dai balconi.
L’ANPI della Città metropolitana di Cagliari e della Provincia del Sud Sardegna, così come quella delle altre realtà sarde e nazionali, il 25 aprile festeggerà la Liberazione dal nazifascismo nelle forme stabilite dalla Costituzione e nel rispetto della normativa anticontagio da Coronavirus e degli accordi intercorsi con le autorità preposte […]
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Mio padre partigiano “Geppe”
24 Aprile 2020 su Democraziaoggi.
Dino Garau, figlio di Nino, il comandante “Geppe”
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Combattenti e reduci, vi spiego la fase1 e anche la 2!
24 Aprile 2020
Amsicora su Democraziaoggi.
Gente! Scommetto che non avete capito una mazza di come sta andando il coronavirus? Cresce, scende? O è stazionario? La diffusione in Italia intendo. Cred’io che voi crediate ch’io creda che scenda. E invece no, proprio no. Io credo sia stabile. E sapete perché? Perché l’unico dato reale sono i morti e questi, ahinoi!, si […]
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