Monthly Archives: marzo 2020
Bisogno di Umanesimo. Il messaggio del Papa a credenti e non credenti
Due immagini forti, insieme a molte altre, ricorderanno per sempre questo momento drammatico per l’Umanità, la pandemia. Due immagini di forte impatto comunicativo che parlano molto più dei pur importanti commenti degli osservatori di avvenimenti che riempiono i canali mediatici dell’informazione. Due vicende particolari e inusuali che tutti hanno visto, credenti e non credenti, praticanti di una qualche fede e laici. Il Papa di Roma che esce dal Vaticano e si reca a piedi, in silenzioso pellegrinaggio, in una chiesa di Roma per pregare il Signore affinché aiuti gli uomini a superare questo gravissimo momento. Pochi giorni dopo, durante la Quaresima, in un periodo nel quale si svolgevano solitamente grandi cerimonie religiose, il Papa decide di pregare in una piazza San Pietro desolatamente vuota. Tutti gli osservatori, i cronisti, i titolisti della carta stampata e dei telegiornali hanno sostanzialmente titolato i loro articoli sottolineando la novità rappresentata dalla piazza San Pietro vuota. Comprensibile, ma proviamo a riflettere meglio. Veramente quel pellegrinaggio nelle strade di Roma e la preghiera in piazza San Pietro si sono svolte in luoghi vuoti? Vi è sembrata davvero vuota quella piazza cosi famosa per le numerose adunate di folla? Senza scomodare analisti dell’immagine e esperti in comunicazione mediatica direi che mai come in questa occasione un messaggio comunicativo così forte è arrivato efficacemente ai destinatari. Ai credenti e ai non credenti, a chi auspica pace e solidarietà a prescindere dal credo religioso e politico, a chi vuole esprimere solidarietà reale e concreta verso il prossimo.[segue]
Oggi sabato 28 marzo 2020
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Ancora e sempre è il lavoro a salvarci (meglio il questore di Truzzu)
28 Marzo 2020. Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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Coronavirus, il partigiano Carlo Smuraglia: «Affrontare il virus è come camminare in guerra tra le mine»
28 Marzo 2020, su Democraziaoggi.
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Ascoltando il ministro dell’istruzione pubblica
27 Marzo 2020
Caterina Gammaldi del CIDI – Centro iniziativa democratica insegnanti. Ripreso da Democraziaoggi.
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Emergenza coronavirus e Oltre. Il contributo degli intellettuali sull’aladelpensiero
Costituente della Terra – Newsletter n. 9 del 27 marzo 2020
IL BISOGNO DI ISTITUZIONI, MA GIUSTE
di Valerio Onida
La situazione eccezionale nella quale ci troviamo induce fra l’altro a farci più che mai delle domande sulle istituzioni che governano la società, sul loro funzionamento, su ciò che ad esse chiediamo e dobbiamo chiedere.
La prima riflessione è sul “bisogno” di istituzioni pubbliche giuste, funzionanti ed efficienti. Se in tempi “normali” qualcuno può, a torto, pensare che le istituzioni pubbliche siano quasi solo una presenza fastidiosa ed eccessiva, idonea solo a intralciare il libero dispiegarsi delle iniziative individuali, e così alimentare la richiesta di uno “Stato minimo”, e di riduzione al minimo delle risorse che le istituzioni pubbliche esigono e prelevano dai privati (“meno tasse per tutti”), in tempi di emergenza anche i liberisti più sfrenati devono prendere atto del “bisogno” di istituzioni forti, efficaci e che dispongano delle risorse necessarie per realizzare le finalità di interesse generale.
In questi giorni tutti plaudono, giustamente, all’allentamento dei vincoli finanziari per consentire alle istituzioni pubbliche di apprestare le misure e le risorse necessarie per far fronte nel modo migliore possibile agli effetti e ai rischi dell’epidemia. In situazioni di emergenza la spesa pubblica non può non aumentare. E non possono certo bastare a coprirla le pur generose donazioni spontanee che da tante parti giungono alla Protezione civile o ad altri enti pubblici. Ma dovremmo anche domandarci come ci comporteremo quando (speriamo presto) l’emergenza sarà rientrata, e però continuerà ad essere necessario disporre di risorse pubbliche, anche per restituire il maggior debito pubblico che nel frattempo si sarà formato. Sarà allora inevitabile riconoscere la necessità di ulteriori sacrifici e prelievi tributari a carico di tutti, in proporzione, come dice la Costituzione, alla capacità contributiva di ognuno, e rispettando i criteri di progressività.
In altri tempi, per fortuna lontani, si è arrivati a chiedere ai singoli (trovando non piccola risposta più o meno forzata) perfino di offrire “oro alla patria”, cedendo allo Stato oggetti preziosi del proprio patrimonio per contribuire – purtroppo – a imprese belliche e coloniali, in nome di quel funesto nazionalismo che ha caratterizzato nel Novecento tanta parte della politica nazionale e internazionale. Quel nazionalismo che solo l’”evento epocale” della seconda guerra mondiale, con i suoi milioni di morti, le sue tragedie immani e le sue distruzioni apocalittiche sembrava aver relegato definitivamente al passato, ma che sotto varie forme risorge, come se anche gli obblighi di solidarietà umana che la situazione sollecita fossero solo obblighi di “solidarietà nazionale” e non globale.
Con ben altro fondamento, di fronte ad esigenze come quelle che ci si prospettano per il futuro, sarà necessario riconoscere l’esigenza di alimentare la “macchina” delle istituzioni con risorse adeguate. Se in tempi “normali” tante critiche si rivolgono (giustamente o meno giustamente) agli “sprechi” pubblici, oggi si sente rimpiangere per esempio il fatto che il Servizio sanitario nazionale e le strutture sanitarie pubbliche non sono stati sufficientemente alimentati con le risorse necessarie per far fronte ai bisogni che oggi si manifestano in maniera particolarmente stringente.
Insomma, puntare sulla futura sperata “crescita” o ricrescita dell’economia va bene, ma si dovrà altresì porre attenzione, anche per combattere le eccessive disuguaglianze, ad una corretta distribuzione delle risorse fra l’aumento dei consumi o dei patrimoni privati (non da oggi si sente dire che in Italia c’è una elevata misura della ricchezza privata) e le esigenze collettive, a cui provvedono le istituzioni pubbliche.
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P. S. Aggiungiamo qui di seguito una lettera aperta del 26 marzo dell’Associazione “Laudato Sì” di Milano in cui si denuncia una grave decisione delle Istituzioni che hanno consentito che continuasse la produzione di armi, in particolare nei reparti dell’industria bellica di Aermacchi e Agusta in provincia di Varese, nonostante gli impegni che il governo aveva preso con i sindacati. Questa la lettera:
Sabato 21 marzo abbiamo sottoscritto la lettera aperta lanciata da alcuni membri dell’associazione “Laudato sì” per dare voce e sostenere la giusta rivendicazione di sospendere l’attività, portata avanti da molti lavoratori – alcuni dei quali già scesi in sciopero – costretti a lavorare fianco a fianco in aziende e processi produttivi non indispensabili e a ritrovarsi ammassati nei mezzi di trasporto utilizzati per andare e tornare dal lavoro. Questo appello ha riscosso adesioni assai significative.
Nel frattempo, anche le confederazioni CGIL, CISL e UIL hanno deciso in modo unitario di chiedere al Governo la chiusura temporanea di tutte le lavorazioni non essenziali. Al termine dell’incontro, il Presidente del Consiglio ne annunciava il fermo, ma questa decisione ha incontrato, prima e dopo il suo annuncio, la netta opposizione di Confindustria che, anche con una lettera del suo Presidente, anteponeva la salvaguardia della continuità produttiva a quella della salute dei lavoratori, delle loro famiglie e della collettività tutta. Così il decreto governativo – pubblicato a distanza di un giorno – consente la prosecuzione delle attività nella quasi generalità dei settori, fino ad includervi persino l’industria bellica. Il fatto che l’industria delle armi continui ad essere promossa e mantenuta in attività è uno scandalo al cospetto degli ammalati e delle vittime, del mondo ospedaliero, delle lavoratrici e dei lavoratori chiamati a rischiare il contagio pur di non fermare la produzione di strumenti di morte.
Non sappiamo attraverso quali meccanismi si sia arrivati a una conclusione che contraddice gli impegni presi con i sindacati (non esistono verbali del confronto), tanto che questi si sono detti pronti a mettere in atto uno sciopero generale; ma tutto il processo decisionale appare viziato da una grave mancanza di trasparenza e da un insufficiente rispetto della salute dei lavoratori e della collettività. Trasparenza e rispetto che dovrebbero accompagnare tutte le procedure attraverso cui il governo e le sue agenzie decidono i provvedimenti di contenimento della pandemia, che avvengono invece senza il parere di un organismo di controllo tecnico-scientifico indipendente, in presenza di un sistema sanitario spogliato dai successivi tagli subiti negli ultimi decenni, fino a giungere all’attuale mancanza di ogni possibilità di dotarsi per tempo degli indispensabili presidi a tutela della salute pubblica.
Contro le “maglie” decisamente troppo larghe del decreto governativo, gli scioperi in fabbriche e aziende si sono moltiplicati per iniziativa diretta delle lavoratrici e dei lavoratori con i loro rappresentanti. Esprimiamo loro la nostra solidarietà e diamo sostegno alla loro rivendicazione di avere voce in capitolo nel decidere che cosa è essenziale e che cosa no delle produzioni e delle attività in cui sono impegnati in ogni azienda. Auspichiamo che questa iniziativa sia la premessa perché sin da ora l’economia possa imboccare un percorso radicalmente diverso da quello che ci ha condotto all’attuale catastrofe, grazie a una riconquistata capacità dei lavoratori di far valere le loro ragioni insieme a quelle della collettività, sia nelle aziende che nella società. La ricomposta unità nella lotta per la sicurezza e la salute – dai rider senza tutele ai nuclei più organizzati di metalmeccanici, chimici e tessili – lascia sperare in un fronte attorno cui possa crescere la presa di coscienza di tanti movimenti, associazioni e corpi sociali alla ricerca di un diverso rapporto con la natura anche per contrastare il cambiamento climatico e promuovere una vera riconversione ecologica.
Associazione “Laudato Sì”
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Sullo stesso argomento della continuità della produzione nelle fabbriche delle armi pubblichiamo sul sito Costituente terra.it un intervento del giornale “Avvenire” con la protesta di numerose associazioni, e una lettera di Virginio Colmegna, della Casa della carità di Milano, sul rischio di una frattura sociale nelle misure per rispondere al virus.
Nella sezione “Il principio femminile” pubblichiamo un estratto dal capitolo “Il principio femminile” tratto dal libro di Italo Mancini “Filosofia della prassi”, un “classico” pubblicato dalla Morcelliana nel 1986. Richiamare in vita questo scritto ci pare particolarmente appropriato nel momento in cui dalle dolenti statistiche italiane di questi giorni emerge che le donne sono colpite dal virus assai meno degli uomini: due donne contro otto uomini. È una scienziata che ne ha fatto una notizia, la virologa Ilaria Capua. Non se ne conosce la ragione, ma forse le tracce dello sguardo meno distratto che, nel tempo, la cultura ha dedicato alla differenza femminile, può aprire piste di ulteriore riflessione; e forse nell’attuale momento potrebbe suggerire, come è stato scritto, che dopo la crisi toccherà alle donne «ridare ricchezza alla vita, ripartire dal profondo, dire di sì al compito di far dono alla terra dei “nati da donna”».
Con la più viva cordialità
Costituente Terra
Gli Editoriali di Aladinpensiero
Il capitalismo della sorveglianza e il pericolo di deriva della società dell’informazione. Gianfranco Sabattini su Aladinpensiero online.
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L’ITALIA È BELLA.Newsletter n. 188 del 26 marzo 2020
di Raniero La Valle
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Papa Francesco invoca Dio per la salvezza dell’umanità e del mondo nella tempesta della pandemia
Omelia del Papa per la preghiera straordinaria in Piazza San Pietro
Pubblichiamo l’Omelia che Papa Francesco ha pronunciato oggi venerdì sera dopo l’ascolto della Parola di Dio in Piazza San Pietro in occasione del momento straordinario di preghiera in tempo di pandemia. IL VIDEO.
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«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.
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Diventa Volontario Temporaneo della Croce Rossa
Covid-19, ognuno di noi può fare la differenza. Diventa Volontario Temporaneo della Croce Rossa
In questo delicato momento il contributo di tutti è importante. Per questo la Croce Rossa ha deciso di attivare il “Volontariato Temporaneo” permettendo così a tutti, dopo una breve formazione online, di poter supportare le attività dell’Associazione a favore della popolazione.
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L’attività della Caritas di Cagliari per l’emergenza coronavirus
Emergenza coronavirus, continua la solidarietà nel territorio diocesano, con piena responsabilità
Non si ferma, in questo momento di grande criticità per il Paese, l’attività della Caritas di Cagliari finalizzata a garantire i servizi essenziali per le persone più fragili e bisognose. Un impegno portato avanti con «piena responsabilità e consapevolezza – spiega il direttore della Caritas diocesana don Marco Lai -, seguendo le indicazioni delle istituzioni governative e locali, certi che ciò sarà un importante contributo al contenimento dell’epidemia».
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Emergenza e Oltre. Il contributo degli intellettuali sull’aladelpensiero
Il capitalismo della sorveglianza e il pericolo di deriva della società dell’informazione
di Gianfranco Sabattini
Il mondo contemporaneo è dominato dall’importanza assunta dall’informazione, un bene immateriale che, nella società post-industriale, sta soppiantando l’industria, il settore dell’economia che, per tutto il XX secolo, ha trainato il mutamento economico, sociale e politico di gran parte dell’Occidente. L’informatica (apparecchi digitali e programmi software) e le telecomunicazioni (le reti telematiche) costituiscono i due pilastri su cui si regge la società dell’informazione, il cui sopravvento sta ridefinendo il modo di vivere dei cittadini, senza offrire a chi ne subisce le conseguenze la possibilità di riflettere per decidere se accettare o meno i nuovi stili di vita.
Chi fa parte della società dell’informazione può apprezzare i vantaggi che essa offre, ma nello stesso tempo subire l’ansia per i pericoli che possono pesare sul suo prevedibile futuro. Oggi, secondo Shoshana Zuboff, docente alla Harvard Business School e autrice de “Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri”, miliardi di persone, di ogni stato sociale, età e provenienza sono vittime di tale stato d’ansia, in quanto “i dilemmi intrecciati della conoscenza, dell’autorità e del potere non sono più limitati ai luoghi di lavoro come negli anni Ottanta del Novecento, ma sono ramificati in tutte le necessità quotidiane”. Allo stato attuale, perciò, a parere di Zuboff, gli antichi dilemmi devono essere ricollocati all’interno di una prospettiva più ampia, che può essere definita “civiltà dell’informazione”.
Nel 2018, ricorda l’autrice, un gruppo di ingegneri informatici del “Georgia Institute of Technology” di Atlanta ha collaborato sul progetto avveniristico “Aware Home” (Casa Consapevole), il cui obiettivo era quello di creare un “laboratorio vivente”, per studiare “l’uso dell’informazione in ogni luogo”. Scopo dei partecipanti al progetto era quello di realizzare una “simbiosi Uomo-Casa”, con cui “catturare” molti processi concernenti i due elementi di tale simbiosi, attraverso “una complessa rete di ‘sensori consapevoli del contesto’ incorporati nell’abitazione e da appositi computer indossati dai suoi occupanti”. In altri termini, il progetto mirava a realizzare una casa caratterizzata da “una collaborazione automatizzata wireless” tra una piattaforma (base di apparecchi digitali e di programmi software), che accumulava le informazioni personali rilevate attraverso i computer indossati dagli ospiti della casa, ed una seconda, ospitante le informazioni ambientali ricavate dai sensori incorporati nella struttura della casa stessa.
Il progetto assumeva la “sovranità dell’individuo” e “l’inviolabilità della casa come dominio privato”; inoltre, il laboratorio vivente era pensato a circuito chiuso, interamente occupato dai suoi ospiti. Poiché la casa, attraverso i sensori in essa incorporati, avrebbe monitorato costantemente la posizione, l’attività e lo stato di salute di chi vi abitava, il team dei progettisti di Atlanta assumeva che fosse doveroso, nel consentire la conoscenza e il controllo delle informazioni raccolte, assicurare che esse sarebbero state archiviate nei computer indossati dagli stessi occupanti, per garantire la privacy delle informazioni concernenti le loro persone.
Meno di vent’anni dopo, i presupposti sui quali era stato fondato il progetto “Aware Home” si sono del tutto “volatilizzati”, nel senso che la sua visione, come quella di molti altri progetti futuribili, è stata del tutto disattesa dalla particolare evoluzione che ha subito la società dell’informazione. All’inizio del nuovo millennio si pensava che le persone, con la decisione di digitalizzare la propria vita, le persone avrebbero detenuto per sé “i diritti esclusivi sulla conoscenza” ricavata dalle informazioni raccolte sul loro stato esistenziale e sul loro possibile uso. Oggi, al contrario – continua Zuboff -, il diritto alla conoscenza esclusiva degli aspetti personali e al suo uso “è stato usurpato da un mercato aggressivo che ritiene di poter gestire unilateralmente le esperienze delle persone e le conoscenze da esse ricavate”.
Quali sono le implicazioni del cambiamento epocale intervenuto nell’originaria società dell’informazione? Rispondendo alla domanda, Zuboff sostiene convincentemente che il “sogno digitale” si è fatto sempre più oscuro, trasformandosi “in un progetto commerciale famelico e completamente nuovo”, che l’autrice denomina “capitalismo della sorveglianza”. In presenza di tale forma di capitalismo, ha senso parlare di “Casa Consapevole”? Sicuramente no, se la sorveglianza implica lo stravolgimento della tradizionale funzione che la casa, simbolo della privacy individuale, svolge riguardo all’esistenzialità dell’uomo; la casa è infatti il luogo che ogni essere umano usa per riposare e riflettere sul proprio stato esistenziale, al fine di decidere come orientarsi per affrontare ciò che gli riserva il futuro.
La propensione a “rifugiarsi” nella propria casa è, tra le esigenze umane, una delle più profonde, com’è provato dal “prezzo” che chiunque è disposto a pagare per soddisfarla. Per ogni uomo, la casa non rappresenta semplicemente un luogo; può essere scelto il posto dove ubicarla e la forma più conveniente che essa deve avere, ma non può essere alterata la sua funzione. Se il capitalismo della sorveglianza tende a stravolgere la privacy dell’uomo è inevitabile che tale pericolo sia per l’uomo stesso fonte di ansia, soprattutto se i caratteri attuali della società dell’informazione tendono ad aggravarla piuttosto che a rimuoverla.
L’evoluzione della società digitale dimostra che il capitalismo della sorveglianza si sta appropriando “dell’esperienza umana usandola come materia prima da trasformare in dati comportamentali”. Molti aspetti del comportamento privato sono sottoposti dal capitalismo della sorveglianza a “un processo di lavorazione avanzato noto come ‘intelligenza artificiale’ per essere trasformati in prodotti predittivi“, destinati ad essere scambiati in un nuovo tipo di mercato, che Zuboff chiama “mercato dei comportamenti futuri” dei singoli individui. I capitalisti della sorveglianza, grazie all’intelligenza artificiale, si stanno arricchendo con l’accumulazione di informazioni comportamentali sempre più predittive, dopo aver scoperto che tali prodotti “si ottengono intervenendo attivamente sui comportamenti delle persone, consigliandole o persuadendole ad assumere quelli che generano maggior profitto”.
In tal modo, gli operatori del capitalismo della sorveglianza, non solo si appropriano della conoscenza sulle tendenze comportamentali degli uomini, ma concorrono a formarle e ad automatizzarle, per cui i comportamenti umani consapevoli vengono sostituiti da altri, sottratti alla valutazione autonoma dei singoli nelle varie fasi della loro esecuzione. Per questa via, il capitalismo della sorveglianza sta evolvendo in senso opposto all’originaria prospettiva digitale, facendo sembrare ingenuo e utopistico il progetto della “Casa Consapevole”. Esso (il capitalismo della sorveglianza), perciò, a differenza di quanto faceva all’inizio del sua affermazione, non si limita più ad offrire sul mercato dei comportamenti futuri prodotti nel campo della pubblicità.
Le nuove attività produttive del capitalismo della sorveglianza vanno ben oltre il campo della pubblicità e del marketing, in quanto i loro nuovi prodotti non sono oggetto di uno scambio di beni, nel senso che non implicano un rapporto di reciprocità tra produttore e consumatore; sono, al contrario, delle “trappole” che attirano i consumatori “in operazioni nelle quali le loro esperienze personali vengono estratte e impacchettate per gli scopi” di altri soggetti. I consumatori, secondo Zuboff, non sono “clienti” degli operatori del capitalismo della sorveglianza, ma solo “l’oggetto di un’operazione di estrazione della materia prima” per l’allestimento di prodotti da offrire ad altri attori operanti presenti nel mercato dei comportamenti futuri.
Tutto ciò può avvenire solo perché i capitalisti della sorveglianza possono sfruttare un’asimmetria della conoscenza che non ha precedenti. Avvalendosi di questa asimmetria, essi sanno tutto dei consumatori, mentre a questi ultimi è impossibile conoscere quello che fanno i primi, i quali accumulano un’infinità di nuove conoscenze dai consumatori, ma non per avvantaggiarli. Finché il capitalismo della sorveglianza e il mercato dei comportamenti futuri potranno prosperare – sostiene Zuboff – “la proprietà dei nuovi mezzi di modifica dei comportamenti eclisserà i mezzi di produzione come fonte della ricchezza e del potere del Ventunesimo secolo”. Così, come le attività industriali del vecchio capitalismo hanno potuto prosperare sfruttando le risorse naturali, sino a rischiare di distruggerle, il capitalismo della sorveglianza prospera a danno della natura umana, minacciando di automatizzarla. Ma come è potuto accadere che l’evoluzione della società dell’informazione si stia trasformando in una reale minaccia dell’autonoma capacità di decisone dell’uomo?
Come si è già detto, il trionfo del capitalismo della sorveglianza può essere spiegato sulla base di una asimmetria della conoscenza senza precedenti, risultando per questo motivo irriconoscibile; quando ci si trova davanti a qualcosa che non si conosce è inevitabile – secondo Zuboff – che si faccia ricorso a categorie conoscitive delle quali già si dispone, rendendo però invisibili la caratteristiche inedite del nuovo che sopravviene. E’ infatti in questo modo che ciò che è senza precedenti riesce a non farsi comprendere, in quanto il ricorso alle conoscenze pregresse porta a concentrasi su ciò che è familiare, mettendo in ombra gli aspetti innovativi e trasformando il nuovo in una prosecuzione del passato. Questo contribuisce, afferma Zuboff, “a normalizzare l’anormale, e a rendere più difficile combatterlo”.
A fronte di tutte queste difficoltà, quale può essere una strategia efficace per contrastare l’ulteriore espansione del capitalismo della sorveglianza? La risposta di Zuboff è che una valida strategia di contrasto esiste, a patto che ci si convinca che, per valutare la pericolosità del capitalismo della sorveglianza, occorre interiorizzare che l’evoluzione delle tecnologie informatiche non può essere una cosa a sé, isolata da economia e società, e rendersi conto che le nuove tecnologie sono sempre dei mezzi al servizio della società e non dei fini in sé. Sulla base di questa consapevolezza diventa allora possibile contrastare la pretesa del capitalismo della sorveglianza di voler “lasciarsi alle spalle” il patto di reciprocità del vecchio capitalismo industriale con le persone e la società, imponendo una visione totalizzante della vita degli uomini, con i capitalisti della società della sorveglianza nei ruolo di controllori e di supervisori della vita umana.
L’opposizione al capitalismo della sorveglianza è tanto più necessaria, se si pensa che il “suo potere strumentalizzante” supera di gran lunga “le storiche ambizioni capitalistiche”; tale potere persegue infatti il “dominio su territori umani, sociali e politici” che vanno ben oltre l’usuale tendenze del capitalismo industriale. Quella del capitalismo della sorveglianza è una pretesa, osserva Zuboff – che aspira a compiere una presa del potere dall’alto, attraverso il rovesciamento “non dello Stato, ma della sovranità individuale”, trasformandosi in una forza capace di imprimere una pericolosa deriva alla democrazia liberale.
Solo il popolo – conclude Zuboff – “può cambiare il corso degli eventi, prima prendendo coscienza di tutto ciò che non ha precedenti, poi mobilitandosi per ingaggiare uno “scontro” che rimetta al centro della società dell’informazione il “bene dell’uomo e dell’umanità”. Se il futuro digitale dovrà essere “casa degli uomini”, allora spetta al popolo renderla abitabile.
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L’ITALIA È BELLA.
Newsletter n. 188 del 26 marzo 2020
di Raniero La Valle, ripreso dall’ultimo Editoriale, prima dell’odierno.
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Shoshana Zuboff
- Per scaricarlo da web: 0_zuboff – Il capitalismo della sorveglianza (2019)_1.pdf
Importante messaggio del presidente dell’Ordine dei medici
Ai colleghi libero professionisti operanti in proprio o all’interno di strutture accreditate.
Credo che non sfugga a nessuno il grave momento che vive la Sardegna sotto la scure dell’infezione da coronavirus.
Questa condizione ci attribuisce una doppia responsabilità, quella di essere aderenti alle disposizioni di sicurezza emanate dal governo nazionale e da quello regionale come cittadini, e quella di essere partecipi in maniera attiva come medici al contrasto della diffusione della SARS COV-2 Ridurre a zero le prestazioni differibili e non urgenti e quelle che non rispondano a criteri di continuità assistenziale non è solo un dovere etico e deontologico ma anche una violazione delle norme emanate in questo frangente.
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Oggi venerdì 27 marzo 2020
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Gente mi son rotto! E sapete perché?…
27 Marzo 2020
Amsicora su Democraziaoggi.
Gente! Mi son rotto! Rotto più di quando la prof. di matematica faceva equazioni alla lavagna! Scassato perché? Non tanto di stare a casa. In fondo è meglio che stare in trincea o in ospedale. Leggo, scrivo, telefono, mando e ricevo messaggi, faccio la spesa e cucino. Cazzeggio alla grande. Niente male! E allora – […]
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Nell’emergenza e oltre.
In televisione si susseguono i bollettini di guerra. I contagi aumentano, i morti aumentano, purtroppo. Meno male che aumentano anche le guarigioni. Giusto tenersi informati, ma dobbiamo dedicare più tempo a come affrontare la situazione oltre le priorità dell’emergenza. [segue]
L’ITALIA È BELLA
Newsletter n. 188 del 26 marzo 2020
di Raniero La Valle
Care Amiche ed Amici,
L’Italia è bella. Ce ne siamo resi conto al ricevere una lettera da un prete libanese, padre Abdo Raad, che non potendo far ritorno al suo Paese è rimasto bloccato in Italia , ma si dice “fiero” di esserci, e ne tesse le lodi perfino in modo eccessivo, mostrando in che modo si è realizzato il “prima gli Italiani”, nel fatto che contro tutto il pensiero dominante, e perciò evidentemente non “unico”, essi hanno scelto tra tutte le cose la vita, e la vita degli altri, e non per ideologia, come nelle campagne antiabortiste, ma per amore.
Questo infatti è ciò che l’Italia sta insegnando al mondo, non perché sale in cattedra, ma semplicemente con l’esserci.
E allora si vede come l’Italia è bella.
Le sue città non sono mai state così belle. Non solo perché i pesci, come dicono, sono tornati a nuotare nei canali di Venezia. Ma perché quelle piazze vuote, quelle strade deserte, quei monumenti che sembrano bastare a se stessi, anche se non più fruiti dai turisti, non mostrano un vuoto, ma un’attesa struggente di essere di nuovo vissuti, una maestà sconosciuta, un’eloquenza che in tutti i modi e con molti segni dichiara il dolore di tanto silenzio.
È bella l’Italia perché, pur nel cosiddetto “distanziamento sociale” (almeno un metro, un metro e mezzo!), mostra come siano forti i suoi legami sociali, autismo e individualismo non sono vincitori. Uno straordinario darsi degli uni agli altri si sperimenta nelle corsie, nelle sale di rianimazione, nelle “prime linee”, così come nei lavori necessari, nella comunicazione incessante, nel volontariato, nelle mille diaconie e negli incensibili e inopinati ministeri. Ha ricordato il vescovo di Bergamo che ogni cristiano, grazie al battesimo, può essere portatore di benedizione: un padre può benedire i figli, i nonni possono benedire i nipoti; ma allora anche medici e infermieri, fossero pure non credenti, “quando vedono morire gente da sola, ha detto il vescovo, se percepissero un desiderio, potrebbero con le loro mani offrire anche la benedizione di Dio”; e così avviene.
È bella l’Italia perché nel massimo del dominio della legge, del divieto, dei limiti imposti e accettati, manifesta un massimo di democrazia. Non è vero che la democrazia rappresentativa non può essere “governante”, che ha bisogno di correzioni autoritarie e presidenzialiste, di strette gerarchiche, di poteri usurpati (“i pieni poteri!”). La democrazia funziona, il consenso non è mai stato così alto. Certo l’esperienza di questo “stato d’eccezione” è nuova, nemmeno le Costituzioni l’avevano prevista e normata. Ma proprio in questo si rivela la superiorità di uno Stato costituzionale sui regimi senza Costituzione. Perfino in ciò che ancora non dice, la Costituzione ci tutela, ci fa figli della libertà, ci fa responsabili, solidali. Certo il sistema costituzionale andrà aggiornato, nuove norme dovranno garantirci per il futuro, e ancora di più dovremo batterci per una Costituzione mondiale; ma intanto la democrazia c’è e respira, le opposizioni danno di gomito per farsi vedere, dopo aver sbagliato su tutto, ma in realtà non hanno altro da dire, finché anch’esse non cambieranno.
L’Italia è bella perché al momento della prova si è fatta sorprendere con gli uomini giusti al posto giusto. Ed è come se i ruoli si fossero arricchiti, e addirittura rovesciati. Prendete il vescovo di Roma, il papa. Certo, non è solo per l’Italia; ma intanto è qui che soffre per il mondo. Ed è uno spettacolo straordinario vederlo profeta e guida dei “non messalizzanti”, come i sociologi erano abituati a chiamare i non credenti e non praticanti. Oggi i non messalizzanti sono tutti, o quasi tutti, e allora quella Messa quotidiana del papa dall’inedito eremo di Santa Marta è diventata la Messa sul mondo, e perfino la Televisione italiana la trasmette, compreso il lungo silenzio finale, e ne fornisce il segnale ad altre emittenti. Ma il papa non approfitta di una udienza così allargata per imporre la sua parola; mercoledì, infatti, nel giorno dell’annuncio a Maria, la sua omelia non è stata altro che rileggere una seconda volta quel passo del vangelo di Luca. Vi basti il Vangelo, “sine glossa”, diceva l’altro Francesco. Ma qui una “glossa”, folgorante, da parte del papa, c’è stata: ha detto che Luca di quell’ “annunciazione” non aveva potuto saperlo che dalla Vergine stessa; perciò quel Vangelo non è la cronaca di un evento che non ha avuto testimoni, ma è il racconto di Maria, la sua autobiografia più segreta, è la parola di una donna che rivela un mistero, ciò da cui ha avuto inizio la fede nell’incarnazione e ha preso avvio il cambiamento del mondo. Dunque tutto l’evento decisivo della storia è accaduto tra due testimonianze di donne: Maria, col concepimento, la Maddalena con la resurrezione. “Sulla tua parola…”. E le donne erano inaffidabili!
E prendete il presidente della Repubblica: il suo ruolo è di presiedere ai “cittadini”, ma si preoccupa di tutti. Chi sono più i cittadini dinanzi all’universalismo del virus, e alla comune risposta che bisogna dargli oltre ogni frontiera? Davvero la cittadinanza è l’ultima discriminazione che deve cadere. E Mattarella scrive al presidente tedesco augurandosi che l’esperienza italiana serva alla Germania e agli altri Paesi, perché ne sia alleviata la prova. E noi stessi riceviamo l’aiuto, non dall’Olanda, o dai più ricchi Paesi europei che sono troppo affezionati al denaro e al rigore, ma dalla Cina, da Cuba, dalla Russia, i nostri da noi dichiarati nemici di un tempo.
E guardate Conte: non lo volevano prendere sul serio, lo dileggiavano come un travicello in altre mani. Ma quando le altre mani sono venute meno, sono rimaste e si sono levate le sue, e governa con fermezza nella tempesta, ma anche con tenerezza ed equità; non ha una sua parte a cui badare, ma tutte le attraversa, come il samaritano, senza iattanza, formato com’è alla scuola del cardinale Silvestrini. Per questo i grandi poteri lo vogliono cambiare con Draghi, come se non si fosse già fatta l’esperienza di Monti.
E dei ministri prendete quello della forza più piccola, quel ministro della sanità che sembra essere nato per pensare alla salute di tutti.
È bella l’Italia perché mentre molti dicono che dopo saremo “migliori di prima”, è adesso che ci scopriamo migliori di quanto pensassimo. Sul futuro non ci potremmo giurare, altre volte dopo le tragedie ci sono state regressioni, cecità e odiose restaurazioni. Già adesso del resto si fa forte un mondo che è duro a morire. Basti pensare alla pretesa che mentre tutto chiude, resti attiva la filiera dell’aerospazio e della difesa: una bella caduta di credibilità e sensatezza di un governo altrimenti apprezzabile. È come se non si potesse decidere di smettere la produzione di armi per guerre non metaforiche, come quella del virus, ma guerre reali, presenti e future, al servizio delle quali si spendono oggi nel mondo 5 miliardi di dollari al giorno La verità è che il tempo di cambiare è questo, non quello futuro, e il futuro dipende dalle scelte che oggi facciamo. Non bisogna chiedersi che cosa faremo e come saremo “dopo Coronavirus”, ma che cosa facciamo e siamo “durante Coronavirus”. Il tempo è venuto ed è questo.
È bella l’Italia, perché proprio qui si è potuto vedere attraverso le dolenti statistiche di ogni giorno, che le donne resistono al virus molto più degli uomini, ne sono colpite due donne contro otto uomini. È una scienziata che ne ha fatto una notizia, la virologa Ilaria Capua. Non sanno spiegarsi il perché, e invece forse è chiaro: perché toccherà a loro ridare ricchezza alla vita, ripartire dal profondo, dire di sì al far dono alla terra dei “nati da donna”.
Sul sito www,chiesadituttichiesadepoveri” pubblichiamo la lettera di padre Abdo Raad, l’intervista al vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi, un articolo di Giangiacomo Migone sulla scelta insensata di tenere aperte le fabbriche di armi, a cominciare dagli F 35 di Cameri, e uno di Francesco Capizzi su tutte le malattie che si potrebbero evitare, al netto del virus.
Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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Non serve un Piano Marshall, ma un Piano Delors/Draghi
Per contrastare la pandemia di coronavirus, con Bei e Fei, l’Europa potrebbe mobilitare 1.000 miliardi
di Alberto Quadrio Curzio
Economista, presidente emerito Accademia dei Lincei, su Sbilanciamoci.
[26 marzo 2020] Oggi si riunisce il Consiglio dei capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea a 27 per decidere come contrastare la crisi da pandemia anche per gli effetti sociali, economici e finanziari. Nove leader di Paesi dell’Eurozona hanno chiesto di emettere uno “strumento di debito comune “ ovvero i “Coronabond”. Questo per ora sembra impossibile data l’opposizione della Germania e altri Paesi. Dato il recente nulla di fatto dell’Eurogruppo un cambiamento di rotta avrebbe richiesto l’Eurosummit dei capi di Stato o di Governo a 19 dell’Eurozona e non quello odierno della Ue a 27. Si parla inoltre di un Piano Marshall per la ricostruzione, mentre si dovrebbe parlare di un Piano Delors/Draghi, almeno per chi conosce la storia della costruzione europea. Così per ora rimane fermo anche il potenziale della Banca centrale europea (Bce) che ha deciso un “Pandemic Emergency Purchase Programme (Pepp)” per 750 miliardi.
Sullo sfondo rimane anche l’uso del Mes (Meccanismo europeo di stabilità) per emettere “Coronabond” al fine di fronteggiare le urgenze di singoli Stati dell’area euro. Al proposito ho più volte segnalato possibili rischi rivenienti da uno Statuto molto rigido, sia per le condizioni prescritte ai fruitori del sostegno, sia perché prima di appellarsi a strumenti è bene sapere come funzionano, sia ancora perché le decisioni del Mes vengono prese alla unanimità degli Stati sottoscrittori. Quindi la Lettonia pesa come l’Italia e Malta come la Spagna!
La mia proposta è stata ed è quella di varare due tipi di Eurobond: quelli per contrastare le emergenze (EuroRescueBond), non solo nel breve periodo, attivando un nuovo Fondo (o modificando radicalmente il Mes); quelli per rilanciare gli investimenti puntando su infrastrutture e innovazione ovvero gli EuroUnionBond, sui quali rifletto da anni. I due EuroBond sono complementari e riguardano anzitutto l’Eurozona perché su questa incide la politica della Bce.
Tratto qui degli EuroUnionBond perché senza una immediata e forte attenzione all’economia reale (anche in relazione alle prospettive di “ri-continentalizzazione“) diventerà difficile evitare spaccature all’interno dell’Eurozona. In economia reale anche l’Italia potrebbe dare e avere molto laddove, muovendosi solo sul terreno della finanza pubblica, la sua debolezza sarà sempre marcata. La strategia degli EuroUnionBond non esonererebbe l’Italia da un miglior controllo dei suoi conti pubblici, ma se riuscissimo a far crescere di più il nostro Pil l’aggiustamento diverrebbe meno faticoso. E probabilmente gli altri Paesi dell’area euro capirebbero meglio che il peso del sistema produttivo italiano è essenziale all’economia europea. Basterebbe considerare al proposito che tra Francia, Germania e Italia arrivano al 64,2% del Pil dell’Eurozona..
EuroUnionBond: Bei e Fei
Per l’economia reale una realtà potente è la Bei (Banca Europea degli Investimenti) e il Fei (Fondo europeo per gli investimenti). Sono enti solo marginalmente considerati nell’attuale emergenza, eppure si tratta di “due giganti” che possono e devono essere più utilizzati adesso che Ue ed Eurozona rischiano una crisi strutturale delle loro economie.
La Bei, fondata nel 1958 in concomitanza alla firma dei Trattati di Roma, ha come azionisti gli Stati della Ue con Francia, Germania e Italia che arrivano al 48,3% del capitale sottoscritto e versato, pari a 233 miliardi di euro. Ha assets per 550 miliardi e annualmente concede crediti per circa 60 miliardi finalizzati a progetti di investimento specie nei campi della transizione energetica e dello sviluppo infrastrutturale sempre più in una ottica di ecocompatibilità.
Il Fei, di cui la Bei detiene il 59,1%, completa l’azione della Bei a supporto del sistema delle piccole e medie imprese europee, provvedendo a fornire agevolazioni di accesso al credito che integrano e facilitano l’accesso al mercato dei capitali. Le deliberazioni della Bei e del Fei sono prese tutte a maggioranza, più o meno qualificata, e questo dà agli Stati più grandi maggiore peso.
Data la loro dimensione e la loro flessibilità la Bei e il Fei potrebbero espandere il campo di operatività, fruendo anche della liquidità del Pandemic Emergency Purchase Programme della Bce, che potrebbe acquistare i loro titoli. La Bei e il Fei sono interconnesse sia ai sistemi delle imprese e delle banche dei Paesi dell’Eurozona e dell’Ue, sia alle National Promotional Banks (tipo Cassa depositi e prestiti), sia ancora a molti soggetti pubblici e privati fruitori di crediti. In vari modi Bei e Fei contribuiscono anche alla tecnoscienza, alla scienza e alla innovazione, avendo anche finanziato piattaforme europee come per esempio il Cern. Infine il Fei ha già in portafoglio partecipazioni che con adeguate modifiche di Statuto potrebbero crescere per favorire aggregazioni industriali europee sul modello Airbus.
Un impegno di questo tipo della Bei e del Fei avrebbe anche il merito di scaricare i bilanci pubblici dall’onere di ricorrere al deficit per finanziare la totalità degli interventi di sostegno, pur necessari e ineludibili, al tessuto produttivo, consentendo agli Stati di realizzare deficit primariamente per gli interventi pubblici necessari adesso nei campi della salute e della protezione sociale.
Per una conclusione: solidarismo liberale
Per gli EuroUnionBond ci vuole una notevole collaborazione tra pubblico e privato per attuare quel solidarismo liberale o liberalismo sociale che è una componente essenziale della costruzione europea. Ed ancor più dell’Eurozona che con l’euro e la Bce ha fatto un grande passo in avanti, rimanendo tuttavia un sistema ibrido confederalista e funzionalista. Draghi lo ha fatto capire in vari modi sempre restando però dentro i limiti del suo ruolo di presidente della Bce, sia nel fare che nel dire. È evidente che molti ne hanno nostalgia per la sua esperienza nella soluzione di problemi monetari-finanziari complessi con forti interdipendenze socio-economici ed occupazionali. Ho iniziato dicendo che oggi l’Europa non ha bisogno di un “Piano Marshall”, ma di un “Piano Delors/Draghi”, rispettivamente Presidente della Commissione Ue (1985-1995) e della Bce (2011-2019). Le Istituzioni europee ne avrebbero urgente bisogno per unire pragmatismo e visione nella complementarietà sia di pubblico-privato sia di economia reale-monetaria.
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Che succede?
POSSIBILE UN’UNITÀ NAZIONALE? E LA UE ANCORA DIVISA
25 Marzo 2020 by Forcesi | su C3dem.
Francesco Verderami, “E ora si evoca un governo di ricostruzione” (Corriere della sera). Stefano Folli, “Unità nazionale, la via è in salita” (Repubblica). Marco Olivetti, “Fare unità istituzionale nell’epoca dei radicalismi” (Avvenire). Marcello Sorgi, “Le colpe per le aule silenziate” (La Stampa). Vladimiro Zagrebelsky, “Attenzione all’uso dei soldati. Adesso i blindati non sono necessari” (la Stampa). Giovanni De Luna, “Il rito delle cerimonie pubbliche per ridare dignità alle vittime del Covid-19” (la Stampa). Meo Valpiana e F. Vignarca, “Paese chiuso, fabbriche d’armi aperte” (Manifesto). Michele Serra, “Il fantasma della libertà” (Repubblica). Mariana Mazzucato, “Così cambierà il capitalismo” (Repubblica). [segue]