Monthly Archives: gennaio 2020
SPEGNIAMO LA GUERRA ACCENDIAMO LA PACE
Chiamata in causa l’Europa
SPEGNIAMO LA GUERRA ACCENDIAMO LA PACE
Una giornata di mobilitazione internazionale contro le guerre e le dittature a fianco dei popoli in lotta per i propri diritti
Pubblichiamo l’appello con cui è stata indetta, anche in Italia, la giornata di mobilitazione per la pace del 25 gennaio
“La guerra è un male assoluto e va ‘ripudiata’, come recita la nostra Costituzione all’Art. 11: essa non deve più essere considerata una scelta possibile da parte della politica e della diplomazia”.
Il blitz del presidente Trump per uccidere il generale iraniano Soleimani, il vicecapo di una milizia irachena ed altri sei militari iraniani, è un crimine di guerra compiuto in violazione della sovranità dell’Iraq. Insieme alla ritorsione iraniana si è abbattuto anche sui giovani iracheni che da tre mesi lottano contro il sistema settario instaurato dall’occupazione Usa e contro le ingerenze iraniane, in un paese teatro di guerre per procura ed embarghi da decenni.
Irak, Iran, Siria, Libia, Yemen: cambiano i giocatori, si scambiano i ruoli, ma la partita è la stessa. Nella crisi del vecchio ordine internazionale, potenze regionali e globali si contendono con la guerra aree di influenza sulla pelle delle popolazioni locali. La sola alternativa consentita al momento è il mantenimento dei regimi teocratici o militari – comunque illiberali e non rispettosi dei diritti umani – con i quali si fanno affari, chiudendo occhi e orecchie su repressione, torture e corruzione.
La guerra non produce solo distruzione, ma cancella anche dall’agenda politica la questione sociale, oramai incontenibile ed esplosa nelle proteste delle popolazioni che hanno occupato pacificamente le piazze e le strade.
Non possiamo stare a guardare
Dobbiamo gridare il nostro no alla guerra, alla sua preparazione, a chi la provoca per giustificare la produzione e la vendita di armi. Guerre che, in ogni momento, possono fare da miccia ad un conflitto globale tanto più preoccupante per il potenziale degli armamenti nucleari oggi a disposizione dei potenti del mondo. Le vittime innocenti dell’aereo civile abbattuto “per errore” da un missile, dimostrano una volta di più che la guerra è un flagello per tutti, nessuno può chiamarsi fuori, siamo tutti coinvolti.
Manifestiamo il nostro sostegno alle popolazioni, vere vittime delle guerre, a chi si rivolta da Baghdad a Teheran, da Beirut ad Algeri, da Damasco, al Cairo, a Gerusalemme, a Gaza.
Quel che sta avvenendo nel Golfo Persico, aggiungendosi alle sanguinose guerre e alle crescenti tensioni in corso, mette in luce la drammatica attualità e il vero realismo dei ripetuti ma inascoltati appelli di Papa Francesco per l’avvio di un processo di disarmo internazionale equilibrato.
L’UE, nata per difendere la pace, deve assumere una forte iniziativa che – con azioni diplomatiche, economiche, commerciali e di sicurezza – miri ad interrompere la spirale di tensione e costruisca una
soluzione politica, rispettosa dei diritti dei popoli, dell’insieme dei conflitti in corso in Medio Oriente e avviare una rapida implementazione del Piano Europeo per l’Africa (Africa Plan) accompagnandolo da un patto per una gestione condivisa dei flussi migratori.
Fermare la spirale di violenze è responsabilità anche italiana e chiediamo al nostro Governo di farlo con atti concreti:
• opporsi alla proposta di impiego della Nato in Iraq e in Medio Oriente;
• negare l’uso delle basi Usa in Italia per interventi in paesi terzi senza mandato ONU;
• bloccare l’acquisto degli F35;
• fermare la vendita di armi ai paesi in guerra o che violano i diritti umani come sancito dalla L. 185/90;
• ritirare i nostri soldati dall’Iraq e dall’Afghanistan, richiedendo una missione di peace-keeping a mandato ONU ed inviare corpi civili di pace;
• adoperarsi per la sicurezza del contingente italiano e internazionale in missione UNIFIL in Libano;
• aderire al Trattato per la messa al bando delle armi nucleari eliminandole dalle basi in Italia;
• sostenere in sede europea la necessità di mantenere vivo l’accordo sul nucleare iraniano implementando da parte italiana ed europea le misure di revoca dell’embargo
• porre all’interno dell’Unione europea la questione dei rapporti USA-UE nella NATO.
Per tutto questo invitiamo a aderire ed a partecipare alla giornata di mobilitazione internazionale di sabato 25 gennaio 2020, promossa dal movimento pacifista statunitense contro la guerra, che per noi sarà una grande mobilitazione contro tutte le guerre e tutte le dittature, a fianco dei popoli che si battono per il proprio futuro.
PROMOTORI NAZIONALI
ACLI, AIDOS, AOI, ARCI, Archivio Disarmo, Arci Servizio Civile, ASGI, Ass. 46° parallelo, Ass. Senza Confine, Associazione della pace, Assopace Palestina, Atlante delle Guerre, Beati i Costruttori di Pace, CGIL, CIPAX, CIPSI, CNCA, Cultura è Libertà, Europa verde, FIOM, Fond. Benvenuti in Italia, Ass. naz. Giuristi Democratici, Gruppo Abele, Lega Diritti dei Popoli, Legambiente, Libera, Link, Lunaria, Medicina Democratica, MIR, Movimento Consumatori, Movimento Europeo, Movimento federalista europeo, Movimento Nonviolento, Noi Siamo Chiesa, Opal, Pax Christi, PeaceLink, PRC-SE, Rete della pace, Rete italiana disarmo, Rete degli Studenti, Rete della Conoscenza, Sbilanciamoci!, Sinistra italiana, Tavola della pace, Tavolo salta muri, Transform! Italia, UDS, UDU, Un ponte per …, US ACLI, Unione sindacale italiana, Chiesa di tutti Chiesa dei poveri.
PROMOTORI LOCALI
ACLI – Palermo, ACLI – Brescia, Amerindia, Amici di Villa S.Ignazio, Amnesty International – Sassari, ANPI – Sassari, ANPI – Genova, ANPI – Trentino A.A., Ass. Alisso, Ass. Donne+Donne, Ass. E. Berlinguer, Ass. Il Melograno, Baby Kinder Park, Casa della Carità, Casa delle Donne, Coord. Ass Vallagarina per l’Africa, CDMPI, Cesvitem, CGIL – Sassari, Circolo PD E. Berlinguer, Comitato Pop. Antico Corso, Comunità di Base S. Paolo, Comunità Parrocchiali, Consulta per la Pace – Palermo, Coop.Soc. Il Torchio, Coord. Per la Pace – Spoleto, Coordinamento per la Pace – Como, COPE, CSS, Earth Gardeners, Emergency – Venezia, Emergency -Sassari, Emergency – Perugia, Fermiamo la Guerra – Firenze, FIOM – Roma-Lazio, Firenze Città Aperta, FIS Raider,
Forum Siciliano Acqua Beni Comuni, MIR – Palermo, Movimento Nonviolento – Cagliari, NoiDonne 2005 – Sassari, Ora in Silenzio per la Pace, Parrocchia SS Pietro e Paolo, Rete Romana Solidarietà Popolo Palestinese, Salaam-Ragazzi dell’Olivo – Vicenza, Sardegna per la Pace, Sardine Napoletane, Sicilia Bene Comune, Sprar V.Solesin, Tavola Sarda della Pace, Telefono Amico – Sassari, Theatre en Vol, Ass. Voci della Terra, ANPI – Massa, Ass. reggiana per la Costiruzione – Reggio Emilia, ANPI – Perugia, Ass. Diritti e frontiere, Centro Ghandi – Ivrea, CGIL – Perugia, Circolo Libertà e giustizia – Umbria, Cittadinanza attiva – Umbria, Comitato pace convivenza e solidarietà Danilo Dolci – Trieste, Costituzione beni comuni – Milano, Fondazione Angelo Frammartino, L’altra Europa – Venezia, MIR -Palermo, Ponte solidale – Perugia, Società di mutuo soccorso – Umbria, Trieste per la pace contro la guerra, UDS – Perugia, Verso il Kurdistan – Umbria, Aladinpensiero associazione socio-culturale.
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In Sardegna
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PERCHE’ SI’
UNA COSTITUENTE DEI POPOLI, UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA?
17 GENNAIO 2020 / EDITORE / COSTITUENTE TERRA /
Soggetto costituente è il popolo, i popoli, prima ancora che le nazioni. È il popolo degli oppressi che non sono “nazione”, gli esuberi, gli scarti, tutti coloro che oggi sono sotto il tallone dei potenti
Felice Scalia
L’iniziativa di cui il blog “Chiesa di tutti, chiesa dei poveri” ha dato notizia ai primi dello scorso dicembre, “La storia continui – Appello-proposta per una Costituzione della Terra”, non nasce come improvvisazione di sognatori per professione, ma come ovvio sbocco di un lungo cammino di ripensamento evangelico sul nostro destino di uomini e cristiani anche nei tempi grigi del “riflusso” ecclesiale e dell’incancrenirsi della politica.
Non mi soffermo su questo terreno di resilienza in nome del Vangelo. Basti dire che nell’ultimo decennio, si temeva di affogare e si prese coscienza che era venuta l’ora di scuotere la cenere. Giuseppe Ruggieri organizzava incontri già nel 2010 su “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”. Un gruppo di amici (credenti e non credenti) attorno a Raniero La Valle faceva suo il grido di Giovanni XXIII “La chiesa vuole essere la chiesa di tutti la chiesa dei poveri”, in un ciclo di incontri autoconvocati. Si ebbero quattro assemblee nazionali in occasione dei 50 anni dal Vaticano II, dal 2012 al 2015. Quella vasta iniziativa di base, in controtendenza rispetto al clima ecclesiale di allora, si chiamò “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”.
Ricordo bene quelle prime assemblee. Si era tutti come in attesa di trovare qualche indizio per scoprire qualche goccia d’acqua tra la dura roccia, rivelatrice che la sorgente non si era esaurita. Si era come a custodire le deboli fiammelle di ciascuno, piuttosto minacciate dal buio istituzionale e dal pratico abbandono delle prospettive conciliari.
Poi viene, irrompe come vescovo di Roma Francesco. Con lui ritorna il Concilio, il Vangelo come norma della Chiesa, un cammino di gioiosa speranza e di riscoperta del volto di Dio e del suo Verbo fatto carne. All’inizio del pontificato, dinanzi a una platea di 6000 giornalisti, il papa svelò il suo programma con parole altamente evocative: “Come vorrei una Chiesa povera per i poveri!”
La povertà ed i poveri di cui parlava erano luoghi molto concreti, storici, fatti di carne e sangue, di lotte e speranze, ma insieme “luoghi teologici” che rivelavano il Mistero Santo della vita, le immense chiamate del “Dio-con-noi” in una epoca dove al Dio della vita si era sostituito l’idolo del denaro-potere-possedere.
Dono inaspettato di Francesco fu “Evangelii gaudium”, il suo programma, e poi, “Laudato sì”. In quesa “esortazione apostolica” – come è noto – tra i “poveri” appare esplicitamente la Terra che geme sotto il peccato di coloro che genera e nutre. Donne oppresse, Terra oppressa, poveri oppressi diventati scarti di produzione, Vita a rischio di estinzione per guerre “infinite” e “preventive”, diventavano il “luogo” dove scoprire la volontà e lo stesso volto del Padre.
Ricordo che “ci sembrava quasi di sognare”. Possibile che quanto avevamo atteso e difeso trovando tra le pieghe di un magistero conservatore qualche appiglio di novità, ora diventava programma di un Papa e dunque voce dello Spirito che rivisitava la sua chiesa?
Ben presto però si fu … di nuovo in trincea. Molti nella Chiesa e nel mondo ebbero paura di Francesco. Molti di noi ebbero paura per Francesco. Ma l’onda lunga del soffio dello Spirito pareva oltrepassare gli argini che per secoli erano stati i confini della chiesa. Viene Greta Thunberg che parla di una “casa che brucia”, viene Carola Rackete che affronta la legge italiana e rimette sul tavolo il problema scottante delle migrazioni, vengono milioni di persone che gridano un “basta!” allo scempio della vita, alla politica dell’odio e della paura.
Come se navigassimo con vele gonfiate da soffi dello Spirito di Dio che ha un segno in Francesco, e da quello stesso Spirito che sorge prepotente dai cuori di milioni di creature nel mondo, ci rendiamo conto che è tempo di agire.
Per questo nasce la “Proposta-appello per una Costituzione della Terra”.
Adista pubblica il documento nella sua interezza. A me preme sottolineare solo qualche aspetto personale.
Se anche come prete ho accolto quanto veniva fuori dai nostri incontri, e dunque ho aderito all’avventura che si prospettava, lo attribuisco alla percezione chiara di una situazione globale di non-salvezza in cui versa il mondo e l’umanità intera, e della enormità del peso insopportabile di macerie che nei cuori umani sopprimono la stessa possibilità di un Dio annunziato da Gesù.
È stato rassicurante per me che “Costituzione della Terra” non significa “Governo della Terra”. Soggetto costituente è il popolo, i popoli, prima ancora che le nazioni. È il popolo degli oppressi che non sono “nazione”, gli esuberi, gli scarti, tutti coloro che oggi sono sotto il tallone dei potenti. La proposta infatti si configura come “movimento”, non come un ennesimo partito che vuole giungere al potere. Ai partiti riconosciamo il ruolo insostituibile che hanno nei regimi democratici, per questo pensiamo necessario influenzarli perché si adoperino per il bene comune oggi individuato nella necessità di essere dalla parte della Terra per essere sua voce, dato che essa è madre offesa e senza voce.
Infine, sono perfettamente convinto che qui si chiede un cambio assiale, non uno spostamento di qualche pedina sullo scacchiere internazionale. Cambio assiale antropologico, teologico, economico, industriale, ecc. Si tratta di un’opera immane e sarebbe ridicolo pensare che si possa agire da soli. Questa opera è compito di una umanità che assieme alla Terra oggi “geme ed attende”. E primo punto di riferimento sono quegli uomini di buona volontà diffusi in tutto il mondo, quei cenacoli di pensiero e di azione che sono sensibili al problema.
Mi pare sia doveroso concludere ribadendo una nostra convinzione. Ci siamo detti – cito a memoria – che tutta l’iniziativa parte da una idea o ipotesi: il tempo non si è fermato, il progresso storico non è ricacciato indietro dalla tempesta della crisi. Nonostante tutto, “viene un tempo nuovo ed è questo”. Un “tempo nuovo” offerto ad ogni uomo che ritiene indispensabile lasciargli aperto un varco, anche un piccolo varco, perché possa manifestarsi.
Felice Scalia
Oggi venerdì 17 gennaio 2020
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La Consulta boccia Salvini: col referendum non si può fare una nuova legge
17 Gennaio 2020
Red su Democraziaoggi.
Inammissibile per l”eccessiva manipolatività del quesito nella parte che riguarda la delega al Governo, ovvero nella parte che avrebbe consentito l’autoapplicatività della ‘normativa di risulta’‘
Una bocciatura annunciata. Con un secco comunicato la Corte costituzionale dà notizia della sentenza, che ha giudicato inammissibile il referendum sulla legge elettorale sostenuto dalla Lega. Salvini puntava ad ottenere l’abrogazione […]
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Femminismo? Ripensiamolo con Carla Ravaioli
17 Gennaio 2020 su Democraziaoggi.
Il 16 gennaio di sei anni fa ci lasciava Carla Ravaioli. Giornalista, saggista, politica, autrice di testi sul femminismo che sono stati veri e propri “cult”. E, ultimo ma non ultimo, co-fondatrice dell’AWMR Italia, venti anni fa.
Per ricordare lei e la sua opera pubblichiamo questo articolo di Ada Donno tratto da “Il paese delle donne on line – Rivista”. […]
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Il Green New Deal e la bussola della politica economica
Stefano Lenzi su Sbilanciamoci.
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Verso la democrazia plebiscitaria [di Nicolò Migheli]
By sardegnasoprattutto / 17 gennaio 2020
[segue]
Genitori brava gente!
Una vera riforma della Scuola non è mai stata realizzata, e sappiamo quanto sarebbe necessaria
di Vanni Tola.
Comprendo assai poco l’indignazione per l’atteggiamento sostanzialmente classista della scuola romana che sembra voler distinguere e selezionare gli alunni nei plessi con riferimento al ceto sociale di appartenenza. Ma dove avete vissuto finora? Pensavate che questi comportamenti nella scuola non esistessero più? Che la distribuzione degli alunni nei diversi corsi (leggi fra gli insegnanti considerati bravi e impegnati e gli altri) fossero finora regolati da criteri oggettivi e democratici e non di selezione basata su censo, area culturale di provenienza, desiderio di creare le classi dei bravi per far ben figurare la scuola in fase di valutazione del proprio operato? Se avete pensato cosi probabilmente avete saltato qualche passaggio. Fin dalla scuola primaria si verifica ogni anno una feroce lotta tra genitori per far accogliere i propri figli nelle classi e nei corsi ritenuti, a torto o con ragione, i migliori. C’è poi la lotta per scegliere “buone e giuste compagnie” ai propri pargoli e via dicendo fino alla vergognosa richiesta, talvolta esplicita e senza pudori, di non inserire il proprio figlio/a in classi con alunni disabili o problematici, con alunni stranieri, ecc. Naturalmente tali richieste, indirizzate ai dirigenti scolastici, sono precedute dalle solite frasi di circostanza: “non ho niente contro i disabili, non ho niente contro gli stranieri e le persone con pelle scura, neppure contro i bambini rom che vanno a scuola, però non vorrei che mio figlio subisse un “ritardo” di apprendimento durante lo studio”. In realtà l’unico ritardo è quello mentale dei genitori che non colgono l’importanza formativa di ambienti classe eterogenei e il valore altamente formativo del confronto con gli altri, con i “diversi”. E’ cosi da sempre e dappertutto, soprattutto da quando si sono affievolite le speranze generate dai grandi movimenti studenteschi di diversi decenni fa. Un serio e reale processo di riforma della scuola non è mai stato attuato e sappiamo tutti quanto ce ne sarebbe bisogno.
Lavoro, lavoro
Il lavoro nel 2019, ancora una corsa verso il basso
IN PRIMO PIANO. Su Volerelaluna, 08-01-2020.
di Fulvio Perini
Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso Susan George definì «corsa verso il basso» il processo di globalizzazione e gli accordi internazionali che lo sostenevano. Corsa verso il basso ma non per tutti, solo per gli esseri umani coinvolti in un modello economico fondato sulla competitività a costi più bassi del lavoro, della sicurezza sociale e della protezione ambientale. Il lavoro è stato direttamente investito. È vero che il processo di globalizzazione ha favorito per alcuni decenni, sino alla crisi finanziaria del 2008, una diffusione delle attività economiche e manifatturiere che ha comportato in diversi Paesi una crescita dell’occupazione, o meglio un trasferimento di centinaia e centinaia di milioni di lavoratori dell’agricoltura verso l’industria e, progressivamente, verso i servizi, ma questo processo si va esaurendo. L’unica cosa che continua – come documentato nei resoconti mensili pubblicati in questo sito [volerelaluna] – è la corsa verso il basso di diritti, condizioni e rispetto dell’ambiente.
Il quadro internazionale
Come ogni anno l’Organizzazione internazionale del Lavoro (ILO) pubblica alcuni dati e svolge alcune considerazioni. Va tenuto conto che è un organismo dell’ONU tripartito, composto cioè per un terzo da rappresentanti dei governi, per un terzo da rappresentanti degli imprenditori e per un terzo da rappresentanti dei lavoratori: i documenti sono valutati e condivisi considerando e mediando i tre punti di vista, ma i dati non si possono ignorare:
– l’8% degli occupati del mondo vive in povertà;
– il 55% della popolazione mondiale NON è coperta da alcuna forma di protezione sociale;
– il 51% dell’occupazione non agricola nel mondo è informale (senza riconoscimento e protezione sociale);
– esiste un divario retributivo globale di genere del 19% e le donne detengono solo il 27% delle posizioni manageriali;
– il tasso di disoccupazione globale è del 5%;
– il 21% dei giovani del mondo non ha impiego, istruzione o formazione;
– il 10% di tutti i bambini nel mondo è impegnato nel lavoro minorile;
– il 14% delle persone occupate nel mondo lavora nel settore manifatturiero;
– il 52% del PIL mondiale è destinato alla remunerazione del lavoro.
Dalla crisi del 2008 i salari dei lavoratori del gruppo dei Paesi più ricchi denominato G7 sono praticamente fermi. Erano invece cresciuti e parecchio quelli degli altri 13 Paesi del gruppo G20 ma questa crescita era fortemente influenzata dagli aumenti dei salari in Cina. Ora si sono fermati anche in Cina e dal 2016 si assiste a un lieve ma progressivo declino.
Tutto questo ha portato l’ILO a dichiarare: «la maggioranza dei 3,3 miliardi di persone impiegate a livello globale non ha potuto lavorare e vivere in condizioni di benessere materiale, di sicurezza economica, pari opportunità o possibilità di sviluppo umano. Il lavoro non garantisce sempre una vita dignitosa. Molti lavoratori si trovano a dover assumere lavori poco attraenti che tendono ad essere informali e sono caratterizzati da bassi salari e scarso o nessun accesso alla protezione sociale e ai diritti sul lavoro».
Circa 6.500 persone muoiono ogni giorno a causa di malattie professionali e 1.000 a causa di incidenti mortali sul lavoro. Sommati nell’anno i morti per ragioni di lavoro sono circa 2,4 milioni.
Circa 40,3 milioni di persone sono in condizione di moderna schiavitù, 24,9 milioni in condizioni di lavoro forzato e 15,4 milioni di matrimonio forzato. In larga parte il lavoro forzato rappresenta un modo per pagare debiti contratti, si chiama servitù del debito. Sorge spontanea una domanda: e quando il debito lo contrae uno Stato, ad esempio la Grecia, come lo dobbiamo chiamare?
Le diseguaglianze
Negli anni successivi alla crisi finanziaria il numero dei miliardari è raddoppiato e i loro patrimoni aumentano di 2,5 miliardi di dollari al giorno; nonostante ciò i superricchi e le grandi imprese sono soggetti alle aliquote fiscali più basse registrate da decenni. I costi umani di tale fenomeno sono enormi: scuole senza insegnanti, ospedali senza medicine. I servizi privati penalizzano i poveri e privilegiano le élite. I soggetti che risentono maggiormente di tale situazione sono le donne, su cui grava l’onere di colmare le lacune dei servizi pubblici con molte ore di lavoro di cura non retribuito. Forse non va ignorato il commento della segretaria del sindacato internazionale dei lavoratori dei servizi: «Il reddito di base universale senza servizi pubblici di qualità è un paradiso neoliberale». Illusorio, aggiungerei.
Immigrazione
Le stime attuali indicano che ci sono 244 milioni di migranti internazionali a livello globale (il 3,3% della popolazione mondiale). Mentre la stragrande maggioranza delle persone nel mondo continua a vivere nel paese in cui è nata, sempre più persone stanno migrando verso altri paesi, in particolare quelli all’interno della loro regione. Molti altri stanno migrando verso paesi ad alto reddito che sono più lontani. Il lavoro è la ragione principale per cui le persone migrano a livello internazionale e i lavoratori migranti costituiscono una grande maggioranza dei migranti internazionali del mondo: la maggior parte di quelli che vivono in paesi ad alto reddito è impegnata nel settore dei servizi.
Solo in Inghilterra esiste una norma che impone ai datori di lavoro di pubblicare informazioni sulla retribuzione su base etnica. Nel primo anno di pubblicazione dei dati sono emerse prove evidenti del divario retributivo.
Il blocco dell’immigrazione negli Stati Uniti e in Europa è una grande ipocrisia. Uno dei suoi massimi sostenitori, l’ungherese Orban, costruisce muri e blocca l’immigrazione dei musulmani ma grandi agenzie ungheresi organizzano l’immigrazione dalla Mongolia e dal Vietnam. L’obiettivo della destra nazionalista è quello di creare e mantenere un sottoproletariato senza riconoscimenti e senza diritti; eternamente ricattabile per poter ricattare così anche quei lavoratori che alcuni diritti li hanno e indurli ad accettarne una riduzione pur di lavorare ed evitare di diventare come degli immigrati.
Una diffusa lotta di classe, quasi sempre difensiva
Da ormai molti anni si va svolgendo un attacco ai diritti di libertà, rappresentanza e sciopero dei lavoratori e un attacco alle misure di protezione sociale, prima di tutto la sicurezza previdenziale rispetto alla vecchiaia.
Prima, ma soprattutto dopo la crisi del 2008 questo attacco si è svolto in Europa e in particolare nel Sud del continente con i tagli pesanti e ripetuti ai sistemi pensionistici e sanitari in Grecia, Italia, Francia, Spagna e Portogallo che hanno visto i lavoratori impegnati in decine di scioperi generali nazionali ma anche l’assenza totale di una azione del sindacato europeo. Lo stesso è avvenuto con il drastico depotenziamento, se non la demolizione, degli statuti del lavoro in Italia, Francia e Spagna. In Spagna la risposta è stata anche politica e il nuovo governo PSOE-Podemos ha nel programma il cambiamento delle norme volute da Rajoy; in Francia lo scontro è durissimo ma non si intravvede una proposta politica alternativa; da noi il problema non si pone, è prioritario “salvare la democrazia”.
Nel mondo. A gennaio si è svolto in India lo sciopero generale di due giorni che ha visto la partecipazione di quasi 200 milioni di lavoratori, il più grande sciopero della storia; a giugno lo sciopero unitario indetto dai sette sindacati brasiliani contro il governo ha visto partecipare 45 milioni di lavoratori. E poi: a fine giugno lo sciopero generale in Argentina contro i provvedimenti voluti dal Fondo Monetario (FMI); sempre nello stesso mese lo sciopero generale in Tunisia contro il governo e il FMI; a luglio sciopero generale in Uruguay contro la proposta dei padroni di cancellare la contrattazione collettiva nazionale, che vedeva disponibilità del governo a trovare una mediazione; a ottobre primo sciopero generale in Cile che proseguirà (e prosegue) con la costruzione del movimento Unidad Social mentre lo sciopero e le manifestazioni di dicembre hanno visto più di 2,5 milioni di manifestanti in piazza; nello stesso periodo lo sciopero generale in Ecuador e in Colombia; il 5 dicembre lo sciopero generale in Francia (e la continuazione della lotta è in corso ancora oggi).
In tutti questi casi le ragioni della lotta sono state l’opposizione alla precarizzazione del lavoro, alla riduzione dei diritti sindacali e di sciopero, al taglio dei servizi pubblici in particolare delle pensioni. I due scioperi generali in Algeria, ma anche quello di dicembre in Cile, hanno avuto al centro la riaffermazione della democrazia contro le derive elitarie e oligarchiche, prima di tutto militari. Nello Zimbabwe lo sciopero è stato represso a colpi di arma da fuoco che hanno provocato 12 morti e l’arresto di diversi dirigenti sindacali tra cui il segretario della confederazione sindacale del continente africano.
Gli arresti di dirigenti sindacali è fenomeno sempre diffuso nel mondo. Spiccano quelli in Russia, Bielorussia e Kazakhstan ma soprattutto la frequenza quasi mensile in Algeria anche in contemporanea con le elezioni politiche. Ma quello che colpisce è la frequenza degli omicidi dei dirigenti sindacali in Colombia con 18 vittime e nelle Filippine che ha provocato l’intervento di Sharan Burrow, segretaria del sindacato internazionale, indicando il governo Duterte come responsabile di 43 omicidi.
Le lotte delle insegnanti negli Stati Uniti
Nell’ultimo anno ci sono state negli Stati Uniti importanti e diffuse lotte delle lavoratrici delle scuole, insegnanti e assistenti. Lo scontro si è svolto a partire dal West Virginia contro le privatizzazioni, il trasferimento di servizi scolastici alle “scuole charter”, e a visto una importante vittoria delle decine di migliaia di lavoratrici in lotta per diverse settimane. Sempre sugli stessi temi si sono svolte lotte analoghe in California dove sono scesi in sciopero 30mila insegnati a Los Angeles. Alcune settimane fa sono scese in lotta le insegnanti di Chicago contro la scelta di privatizzare dell’amministrazione comunale, criticando il voltafaccia del sindaco che in campagna elettorale aveva chiesto i voti per un programma contro le privatizzazioni.
I 33 giorni di sciopero dei lavoratori della General Motors
A mezzanotte del 16 settembre i 50.000 lavoratori della General Motors (GM) sono scesi in sciopero. È stato il primo sciopero dal 2007. Gli obiettivi erano: l’abolizione del sistema di retribuzione “a due livelli”; il contrasto al continuo aumento di esternalizzazioni e di utilizzo di lavoro temporaneo; oltre ad aumenti salariali generalizzati e a miglioramenti nell’assistenza sanitaria contro il progetto di GM di far pagare ai lavoratori una quota maggiore di spese mediche; infine, il no alla chiusura di impianti negli USA.
Si sono ottenuti significativi aumenti salariali per tutti. Il “doppio livello” era stato introdotto negli anni passati e comportava il fatto che a svolgere la stessa mansione ci fossero operai retribuiti 30 e altri 15 dollari l’ora, in ragione del momento dell’assunzione. Questa differenza è stata superata per gli operai delle linee di montaggio ma permane per i lavoratori che operano direttamente nella componentistica e nella logistica dell’impresa. Differenze analoghe permangono per i contributi per l’assistenza sanitaria e per le pensioni.
Comunque il problema è stato risolto per la maggioranza dei lavoratori e la maggioranza ha approvato l’accordo.
Rider di tutto il mondo unitevi
Praticamente in ogni mese del 2019 s’è avuta notizia di scioperi, proteste, cause giudiziarie o sentenze che hanno visto protagonisti lavoratori delle piattaforme della logistica che qui chiamiamo “fattorini”.
I conflitti si sono svolti sempre sugli stessi problemi: l’imposizione del lavoro autonomo al posto del rapporto di lavoro subordinato, l’avviamento al lavoro da parte di agenzie in Belgio o di cooperative in Spagna, il taglio delle retribuzioni orarie o il mancato pagamento del salario.
In Europa ma anche in America Latina il più delle volte le controparti sono state Deliveroo, Glovo, Uber, Eat o Stuart. In Argentina lo scontro è avvenuto anche contro imprese nazionali come Pedidos Ya e Orden Ya. In Cina contro il gigante della logistica YTO Express e le principali piattaforme di distribuzione alimentare, Meituan ed Ele.me, oppure collegate al crollo del noto corriere Rufengda Express, mentre le altre proteste si sono verificate in piccole società di corrieri regionali nello Jiangxi, nello Yunnan e Shandong.
In alcuni casi, come è avvenuto a Torino (conosceremo tra alcune settimane la definitiva sentenza della Corte di Cassazione), si è ricorso alla magistratura.
Due recenti decisioni di un tribunale di Amsterdam segnano una vittoria nella lotta contro Deliveroo con il riconoscimento che i lavoratori svolgono l’attività come dipendenti, non come imprenditori autonomi.
Interessante è stata la sentenza di un tribunale a Valencia, in Spagna, dove un analogo riconoscimento è avvenuto dopo il ricorso del locale ispettorato del lavoro: inimmaginabile in Italia.
Le lotte e la drammatica repressione negli ultimi sei mesi
Drammatica è stata la repressione perché in essa hanno perso la vita quasi 1500 persone, più di 10mila sono rimaste ferite da armi da fuoco, gli arresti sono stati in numero ancora superiore. Ci sono stati casi di tortura ma quello che colpisce è lo stupro di centinaia e centinaia di donne, soprattutto in America Latina dove da anni le donne erano entrate in campo contro la violenza di genere e la libertà dell’aborto diventando un soggetto sociale protagonista. Sempre la polizia è stata affiancata dall’esercito e nei casi del Cile e dell’Ecuador il governo ha dichiarato lo stato di emergenza e d’assedio. Parliamo delle manifestazioni ad Haiti e subito dopo in Ecuador, poi in Cile e a fine anno in Bolivia. Contemporaneamente si sono svolte analoghe proteste in Iraq e in Iran.
In Ecuador, Cile e, per ultimo, le lotte contro il golpe in Bolivia e lo sciopero generale in Colombia di dicembre hanno visto tra i protagonisti in prima fila le popolazioni indigene. La protesta in Haiti era stata definita levantamiento de los hambrientos, rivolta degli affamati. In Argentina l’opposizione al governo neoliberale ha vinto le elezioni e il primo provvedimento, contenuto in un accordo con le organizzazioni degli imprenditori e dei lavoratori, è garantire l’alimentazioni a tutti, come hanno scritto “a partire dagli ultimi”.
Alcune riflessioni
Gli avvenimenti prima descritti sono una delle espressioni della fase ormai di esaurimento del trentennio dell’economia globale. L’illusione si trasforma in dura realtà: non ce n’è più per tutti; una parte degli esseri umani deve essere abbandonata al suo destino.
Tra “noi” e “loro” vanno costruiti muri e siamo ormai giunti nel mondo a 55 muri per un totale di 40mila chilometri, metà dei quali costruiti dopo il 2008, e altri sono in costruzione. Se non basta vendere le armi perché si ammazzino tra loro, prima di tutto alimentando gli integralismi religiosi (i golpisti boliviani salutano con il tradizionale saluto militare ma con l’indice e il dito medio della mano incrociati appunto a forma di croce), allora li bombardiamo o appoggiamo in silenzio chi bombarda. Tutto questo mentre la crisi climatica incombe e già oggi – come ha segnalato l’organismo dell’ONU preposto ai diritti umani – oltre 120 milioni di esseri umani a sud dei muri vivono in una sorta di apartheid climatico, mentre palestinesi e kurdi in quello materiale.
In un contesto di questo tipo i lavoratori si battono, eccome… Non sono tutti come i lavoratori italiani! Eppure la prospettiva è incerta. Come scriveva Luciano Gallino «i lavoratori non pensano più di avere un destino comune», ma come possono pensare di averlo nel pieno della frantumazione del lavoro e quando, come scrive il sindacato internazionale dei lavoratori dell’industria, è venuta scemando la solidarietà internazionale? Se lo sguardo non va oltre al proprio villaggio anche quando sei subissato di notizie dai social e la speranza non va oltre la giornata o la settimana quando sei fortunato e lavori, viene anche a mancare la speranza individuale. Le contraddizioni impongono una nuova progettualità. Per ora è importante schierarsi, almeno idealmente, con quelli che stanno a sud dei muri.
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ROCCA 15 GENNAIO 2020
LAVORO E SOCIETÀ
i cupi colori della nuova schiavitù
di Ritanna Armeni
Ci sono cose che si sanno e si ritengono assodate. Che c’è la globalizzazione, per esempio, che questa ha sconvolto il mondo del lavoro, che ha creato insicurezza e precarietà, che ha cambiato anche – e a fondo – le nostre abitudini, il nostro modo di consumare e di vivere. Ripeto: si sa. Poi un giorno si va al cinema a vedere un film di un regista che si ama molto, Ken Loach. Il film s’intitola «Sorry, we missed you», «Spiacenti, non vi abbiamo trovato» (la frase del cartoncino lasciato dal corriere se il cliente è assente), e si capisce che quel che avevamo pensato e anche intravisto attorno a noi, quel che ci dicevano le statistiche, che qualche volta leggevamo nei libri e, raramente, anche sui giornali, ci aveva dato un’immagine edulcorata e solo sbiadita di quel che è oggi il mondo del lavoro. Che non è solo brutto, incerto, dominato dallo sfruttamento. Questo, appunto, lo sapevamo già. Quel che Ken Loach ci dice con lucidità e persino spietatezza e che è diventato il luogo di una nuova schiavitù e della disperazione. E fra sfruttamento e schiavitù, fra sconforto e disperazione c’è una bella differenza.
Ma cominciamo dall’inizio. Una famiglia, un uomo, una donna, due figli. Lui fa un nuovo lavoro, il corriere, appunto, di una delle tante ditte che consegnano a domicilio. Potrebbe essere Amazon, per capirci.
Potrebbe essere quell’uomo che almeno una volta la settimana ci consegna il pacco che abbiamo ordinato via Internet, o il giovane che ci porta la pizza ancora calda per cena. Quattordici ore di lavoro, sei giorni su sette, uno scanner che controlla ogni tuo passo, una bottiglia per pisciare dentro il camioncino perché non si possono perdere minuti preziosi per cercare un bagno. Niente assicurazioni e garanzie, tanti rischi, nessun diritto, di corsa per riuscire a vivere, o piuttosto per riuscire ad arrivare la sera a un letto che ti consente di riprendere forze per il giorno dopo e ricominciare. Non ci sono padroni, o almeno non si vedono, nel film di Loach, c’è solo un piccolo prepotente capetto, che somiglia a un ingranaggio, non ci sono sindacati, non c’è protezione di alcun tipo. C’è un «sistema», nella sua assurda astrazione, rappresentato da una macchinetta che dà ordini, controlla i minuti, monitora clienti e movimenti, conosce ogni spostamento e non dà tregua. Un oggetto piccolo e nero che si tiene in mano e che collega «il mercato» grande, invisibile, ma incombente al lavoro, o meglio all’uomo che lavora. E un’illusione che porta il protagonista Ricki direttamente all’inferno: quella di essere padrone del proprio destino, di non lavorare «per» un qualcuno ma «con» qualcuno. E per chi è padrone di se stesso non c’è bisogno di garanzie e diritti.
L’illusione diventa un incubo che Ricky vive ogni giorno nella corsa fino all’ultimo minuto, nella impossibilità di vivere gli affetti e la famiglia, nella disperazione che si estende agli altri, ai figli, alla moglie. Lavoratore? Sfruttato? Precario? No, piuttosto schiavo, legato dalla catena invisibile che è quella del consumo di tutti noi, dominato e diretto dall’alto attraverso le macchine e la tecnologia.
C’è poi la donna, Abby, moglie, madre e badante di tanti anziani non più autosufficienti. Una figura importante, ma che per incomprensibili motivi, nelle tante recensioni del film, trascurata. Eppure la vita di Abby ci mostra un altro spaccato di tragedia e di disperazione. I vecchi, malati, incontinenti, dementi che lei visita ogni giorno di corsa, con umanità amore e dedizione, sono gli scarti di una società che non produce più spontaneamente e naturalmente amore ma che lo delega a pagamento, a tempo parziale alle cure di una donna che, anch’essa sottopagata, dalle sette del mattino alle nove di sera gira per le case offrendo a pagamento quel che la famiglia, i figli, i coniugi, le madri e padri, non riescono più a dare. L’amore ai tempi della Gig economy dell’i commerce è solo limitato e a pagamento e se, di tanto in tanto fiorisce, come nel caso di Abby che ama i suoi pazienti (clienti), è un bocciolo unico e sofferente in una spianata di duro e grigio cemento. Affetto che si dà, certo, ma che si toglie. Ai figli, che hanno una madre e un padre sempre assenti, a se stessi, alla propria vita.
Il lavoro si tinge di tinte fosche nel film di Ken Loach. Ma sono le «sue» tinte, quelle nascoste, quelle appena intraviste nelle statistiche sulla disoccupazione e sulla precarietà o occultate dagli asettici dati sull’economia. Sono i colori cupi della nuova schiavitù e della disperazione. Sono i colori dell’assenza. Perché nel lavoro moderno, in cui il patto con il capitale si è infranto e la frana ha portato via sicurezze e diritti, sono le assenze che diventano gigantesche e incombenti. L’assenza di una solidarietà che aiuti i deboli, di un sindacato che sappia organizzare chi lavora, di una sinistra che offra prospettive migliori e diverse. Tutto questo non c’è più attorno a noi e non c’è nel film del regista inglese. Non c’è neppure nello sfondo, non è oggetto di nostalgia, di rimpianto e di rabbia. Semplicemente è finito. Fa parte di un mondo passato di cui i giovani non hanno neppure la memoria. Non lo vediamo e non lo troviamo più. E con esso è finita la dignità, la gerarchia dei valori, la capacità di amare. Rimane la sopravvivenza e la domanda amara che non ci si può non porre alla fine del film: « Come abbiamo fatto ad arrivare a tutto questo?».
Ritanna Armeni
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- L’illustrazione in testa è tratta da Rocca n.2 del gennaio 2020.
E’ online il manifesto sardo duecentonovantotto
Il numero 298
Il sommario
La disumana condizione della sanità sarda (Massimo Dadea), Una lista di sinistra a Nuoro (Graziano Pintori), Il linguaggio dell’economia ha perso contatto con la realtà (Gianfranco Sabattini), Appello per la salvaguardia delle coste della Sardegna (Stefano Deliperi), Sorry We missed You: Ken Loach e le giuste domande (Francesca Pili), Fragile. Anatomie di un amore (red), Una telefonata interrotta (Gianni Loy), Antifascismo a Terralba (red), Alghe (Marinella Lörinczi), Il referendum elettorale leghista davanti alla Corte costituzionale (Francesco Pallante), Quando gli atti di guerra partono da un campo da golf (Ottavio Olita).
Oggi giovedì 16 gennaio 2020
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Zinga tira fuori dal cilindro l’ideona!
16 Gennaio 2020 su Democraziaoggi.
Amsicora
Gente di sinistra! Dico a voi. A voi che attendete novità. Ci sono movimenti nella politica italiana, e proprio dalle nostre parti. Che dico movimenti? Una scossa. Zingaretti parla di scioglimento, di rifondazione e, udite, udite!, di nuovo nome. Ha riunito un conclave per spiegare ai dirigenti dem perché ha deciso di imprimere una […]
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Oggi giovedì 16 gennaio inizia il percorso formativo “La Carità poliedrica in una società complessa”, promosso dal Laboratorio diocesano di promozione #Caritas.
Parte il progetto Jump. Un ciclo di incontri sulla mediazione penale minorile e la giustizia riparativa
Un ciclo di incontri per promuovere la conoscenza della mediazione penale minorile, di altri percorsi di giustizia riparativa e del relativo documento proposto dall’AGIA (Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza): parte Jump, il progetto organizzato dall’associazione di promozione sociale Efys Onlus, in collaborazione con F4CR Network e la Cooperativa Sociale Il Giardino di Clara. Il progetto, finanziato dall’AGIA, intende promuovere la cultura della mediazione, del dialogo e dell’inclusione e favorire il ricorso alla mediazione penale minorile quale percorso che promuove i valori della persona, l’educazione alla legalità e i diritti. [segue]
Che succede?
IL FALSO MITO DEI DUE PAPI, E IL FRONTE SOVRANISTA DELLA CHIESA
15 Gennaio 2020 by Forcesi | su C3dem.
Sul celibato dei preti, don Basilio Petrà, preside della Fac. Teol. dell’Italia centrale, intervistato dall’Avvenire, dice: “Per il Concilio è un grande dono ma non dogma o unica strada”. Sul tema dei “due papi”, sempre sull’Avvenire Giuseppe Lorizio, teologo: “Il falso mito dei due papi”, e Carlo Fantappiè: “Quando Pietro depone le chiavi”; Alberto Melloni su Repubblica: “I due papi come un film”. Stefano Ceccanti suggerisce di andare a vedere cosa scrive Luigi Accattoli, sul suo blog; Francesco Margiotta Broglio, “Bisogna chiedersi se Ratzinger stia diventando un antipapa” (intervista a La Stampa); Angelo Scelzo, “Se il fronte sovranista della chiesa tenta di arruolare Benedetto” (Mattino); Agostino Giovagnoli, “Qualcuno usa Benedetto ma esiste un solo papa” (intervista al mattino); Maria Elisabetta Gandolfi, “Non placet: il Sinodo e il libro di Sarah” (blog de Il Regno); Matteo Matzuzzi, “Obbligo di firma” (Foglio). INOLTRE: Paolo Rodari, “La controffensiva di Bergoglio. Celibato intoccabile” (Repubblica). Sergio Valzania, “Il problema della chiesa non è il celibato ma il ruolo dei sacerdoti” (il Dubbio). Franca Giansoldati, “Sarah, il capofila conservatore su cui puntano i tradizionalisti per preparare il dopo Francesco” (Messaggero). Card. Gerhard Muller, “Distruggere un principio è un pericolo per tutta la chiesa” (intervista al Corriere). Mons. Agostino Marchetto, “Troppo rumore per ogni sua frase. Il papa emerito va demitizzato” (intervista a Repubblica). Noi Siamo Chiesa, “Ratzinger contrasta papa Francesco e si fa portavoce dei conservatori”. Il video della trasmissione di Rai 3, PresaDiretta, “Attacco al papa”.
La storia e il Dettori
Recuperato e restaurato un documentario sul Liceo Dettori di Cagliari di oltre mezzo secolo fa. Sarà proiettato nell’istituto il 17 gennaio alle ore 18,30.
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Oggi mercoledì 15 gennaio 2020
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Insularità ovvero un movimento massimalista a rischio “pugno di mosche”
15 Gennaio 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
I movimenti anche condivisibili nei loro contenuti ed obiettivi, possono non esserlo nel modo in cui sono indirizzati o gestiti. Di solito poi bisogna sempre distinguere tra programma massimo e programma minimo, ossia fra l’obiettivo generale e le tappe di avvicinamento. Un esempio storico viene dai socialisti dei primi del Novecento: c’erano i massimalisti […]
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Aladinpensiero News formalmente associato all’ASviS (Alleanza per il Sviluppo Sostenibile)
Riceviamo Segreteria dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) e con piacere pubblichiamo
Spett. Aladinpensiero News,
Sono lieta di informarvi che l’Assemblea degli Aderenti ha espresso, sulla base della raccomandazione del Comitato per i nuovi aderenti e viste le finalità e le caratteristiche della vostra Organizzazione, parere positivo sulla vostra richiesta di partecipare alle attività dell’ASviS in qualità di Associati (http://asvis.it/associarsi/). [segue]
Oggi martedì 14 gennaio 2020
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Il femminismo ancella del capitalismo?
14 Gennaio 2020
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Un emendamento alla legge di bilancio 2020, approvato dalla Commissione Bilancio del Senato, prevede che la quota di genere (riferita alle donne) minima dei componenti gli organi delle società quotate in borsa sia portata al 40%, visto il successo della legge Golfo-Mosca del 2011 che, definendo una quota minima del 33%, ha però […]
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Che succede?
PERCHÉ LA UE NON È IN GRADO DI PREPARARE TEMPI MIGLIORI
12 Gennaio 2020 su C3dem
Mario Deaglio, “Se le comunità offrono una via di uscita alla crisi degli stati” (La Stampa). Massimo Ammanniti, “I giovani possono riuscire dove noi abbiamo fallito” (Corriere della sera). Romano Prodi, “Perché la Ue non è in grado di preparare tempi migliori” (Messaggero). Sergio Fabbrini, “Trump e Ue, politica estera cercasi” (Sole 24 ore). Maurizio Molinari, “La sfida tra potenze su Tripoli” (La Stampa). Luigi Di Maio, “Una missione in Libia coi caschi blu” (intervista a La Stampa). Mario Monti, “Spero che Macron non ceda, perché ha idee avanzate e l’Europa ha bisogno di lui” (intervista al Corriere). Dario Di Vico, “Se Macron inciampa sulle pensioni, l’Europa non può ridere” (Corriere). Sergio Romano, “Il regime alla prova. L’Iran dopo la crisi” (Corriere).
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RATZINGER SUL CELIBATO CHIEDE CHE NON SI CAMBI
13 Gennaio 2020 by Forcesi | su C3dem.
Jean-Marie Guénois, “Lo schiaffo di Ratzinger” (Repubblica). Paolo Rodari, “Le parrocchie senza preti rette da diaconi sposati” (Repubblica). Mons. Michele Pennisi, “Ostacolare o correggere il papa regnante è irrealistico” (intervista a La Stampa). Mons. Domenico Mogavero, “La tempistica non è delle migliori. Invece il momento è maturo per una riforma” (intervista a Repubblica). INOLTRE: Massimo Faggioli, “La chiesa cattolica comincia i suoi ruggenti anni venti” (La Croix – trad. Finesettimana). Jean-Marie Guénois, “2020, anno decisivo per la chiesa cattolica” (La Figaro, trad. it. di Finesettimana.org). Mons. Luc van Looy, vescovo emerito di Gand: “Belgio, una chiesa in transizione” (Settimana news). Claudio Tito, “Il sinodo italiano voluto da Francesco fa litigare i vescovi” (Republica). Piergiorgio Cattani, “Le vere sfide di papa Francesco” (Trentino). Mauro Magatti, “Il dialogo, risposta europea al nazionalismo religioso” (Corriere della sera). Antonio Sciortino, “La Bibbia, il nostro libro del cuore” (Vita pastorale). Marina Terragni, “Il senso di Francesco per la forza delle donne” (Avvenire). Andrea Grillo, “Messale nuovo, teologia vecchia?” (come se non). SUL SINODO DELL’AMAZZONIA: Mauro Castagnaro, “Un Sinodo davvero sinodale. Un primo bilancio” (Missione oggi). Luigi Bettazzi, “Per un’ecologia integrale” (Mosaico di pace). Dario Vitali, “Si è fatto un passo avanti nella sinodalità” (Vita pastorale); Roberto Repole, “Porsi in ascolto della terra e dei poveri” (Vita pastorale).
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IL PD CERCA DI CAMBIARE. IL M5S DI NON FRANARE
12 Gennaio 2020 su C3dem
Dopo l’intervista di Nicola Zingaretti ieri alla Repubblica (“Pd, cambio tutto”), gli interventi di: Emanuele Macaluso, “Percorso senza dibattito, e dov’è la discontinuità al governo?” (Repubblica); Dario Nardella, “Bene, guai però se il segretario guarda solo a sinistra” (Repubblica); Luigi Zanda, “Costituente con tutti i partiti per cambiare forma dello Stato” (La Stampa); Roberto Morassut, “Togliere la parola partito e dare più spazio al civismo” (Messaggero); Matteo Orfini, “Non siano solo parole, una lista unitaria in 4 mesi” (Avvenire); Antonio Bassolino, “Sì a verdi e sardine, il Pd guardi al nuovo” (Mattino); Matteo Renzi, “Se fanno come Corbyn, ci aprono un’autostrada” (Corriere della sera); Marco Revelli, “Dire qualcosa di sinistra? Basterebbe cominciare a dire qualcosa” (Gazzetta del Mezzogiorno). Inoltre: Franco Monaco, “Auguri a Bonaccini, con una preoccupazione” (Huffington post); Paolo Pombeni, “Pd e M5S, il dilemma del partito” (Il Quotidiano). CRISI 5STELLE: Antonio Gibelli, “Il Movimento è allo sbando. Si salvi chi può” (Manifesto). Sofia Ventura, “In attesa delle Idi di marzo” (La Stampa).
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Un serio ritorno dei cattolici alla politica
di Enzo Bianchi
in “Vita pastorale” del gennaio 2020 e su C3dem.
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Addio don Vasco
IL MIO RICORDO DI DON VASCO PARADISI. DIO LO ABBIA IN SA SANTA GLORIA.
di Giacomo Meloni
Addio, don Vasco.
Per molti anni ho seguito padre Vasco – frate carmelitano – dal suo impegno pastorale nella Chiesa del Carmine a Cagliari alla sua avventura
cristiana nel Quartiere di S. Elia.
Eravamo un bel gruppo di giovani universitari, gia’ impegnati nella Scuola Popolare di Is Mirrionis e promotori dei Comitati di Quartiere di Is Mirrionis, Stampace e Marina. [segue]