Monthly Archives: dicembre 2019
Oggi venerdì 13 dicembre 2019
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Contro la crisi attualità di Keynes
13 Dicembre 2019
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
In tempi di crisi, come quelli che i Paesi ad economia di mercato stanno attraversando, proliferano le riedizioni dell’opera principale del maggiore economista del secolo scorso, John Maynard Keynes. Di recente, la “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”, in veste economica ed a basso costo, è comparsa nelle librerie, ristampata per i tipi […]
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Lettera aperta alle sardine
di Paolo Flores d’Arcais su Micromega.
Cari Andrea Garreffa, Roberto Morotti, Mattia Santori e Giulia Trappoloni (rigorosamente in ordine alfabetico), [segue]
Disuguaglianze
La disuguaglianza è politica
Alfio Mastropaolo
5 Dicembre 2019 | Su Sbilanciamoci. Sezione: Apertura, Società.
Specchio della diseguaglianza economica è quella politica, anche dall’abbandono dei partiti, in particolare di sinistra, ormai dediti alla rappresentanza occasionale, dell’attività di fidelizzazione degli elettori, e manutenzione democratica. Alle radici del populismo, ma anche dei “gilet jaunes” e delle sardine.
Da qualche anno a questa parte – era ora! – il tema della disuguaglianza socioeconomica è tornato all’ordine del giorno. Si è accumulata una letteratura imponente, su cui internazionalmente spicca il contributo di Thomas Piketty, ma alla quale in Italia hanno offerto contributi di pregio Maurizio Franzini, Elena Granaglia, Mario Pianta, Michele Raitano e altri ancora. Un’attività di riflessione e sensibilizzazione sul tema la sta svolgendo il Forum delle disuguaglianze e delle diversità. Ultimamente un’assise del Pd ha dato la parola a Fabrizio Barca, che è tra gli animatori del Forum, il quale a questo argomento ha dedicato la sua relazione. Per sua natura, il capitalismo produce disuguaglianze socioeconomiche, e anzi vive di esse, così come di sfruttamento e oppressione. Ma lo Stato e la politica hanno rinunciato ad ogni credibile azione di contrasto. Come avevano fatto con discreti risultati, ancorché imperfetti, nella lunga stagione del dopoguerra.
Se non che, quantunque ottenga assai meno attenzione, non meno rilevante è l’incremento della disuguaglianza politica, la quale, a rifletterci sopra, è tanto effetto della disuguaglianza economica quanto suo fondamentale presupposto.
Mentre vi sono ceti che dispongono di molteplici possibilità di farsi valere nell’arena politica, vi sono segmenti larghissimi di società palesemente indifesi, ovvero privi di rappresentanza politica, politicamente diseguali e abbandonati alla disuguaglianza economica, che ha pure un valore politico. La responsabilità è principalmente dei partiti. I quali, forse perché convinti della superiorità delle tecnologie comunicative, hanno adottato una tecnica di rappresentanza che potremmo definire «occasionale». Puntano ad attrarre gli elettori sfruttando vuoi la capacità seduttiva dei loro leader, vuoi circostanze contingenti: un episodio criminale, un’ondata di sbarchi, lo scandalo suscitato da qualche indagine giudiziaria e via di seguito.
Convertiti alla rappresentanza occasionale, i partiti hanno del tutto revocato l’attività di fidelizzazione degli elettori, ovvero di raggruppamento e manutenzione democratica che un tempo svolgevano capillarmente: istituendo intorno a una concezione del mondo e a un progetto di società condivisi appartenenze collettive robuste e temibili, eventualmente da mobilitare. Con queste modalità i partiti socialisti e comunisti riducevano la disuguaglianza politica e contrastavano i potentati economici. Pure i partiti moderati e conservatori, per ragioni di concorrenza, attenuavano la disuguaglianza politica, benché avvalendosi di tecniche diverse, sfruttando cioè le appartenenze religiose, quelle clientelari e quant’altro. Anch’essi, in maniera diversa, erano in grado di contrastare i potentati economici e di difendere i loro elettori. In buona sostanza: i partiti hanno sconfessato l’impegno che si erano assunti con l’istituzione del suffragio universale, che era stato introdotto appunto con la promessa di compensare le disuguaglianze istituite dal mercato.
È in coerenza cambiato il significato del voto. Sempre meno è gesto di conferma di comune appartenenza, compiuto in solido con altri, sempre più è segno di preferenza individuale per un leader e una squadra di governo, i quali potranno liberamente interpretare la somma dei consensi espressi uti singuli da chi li ha votati. Ove non bastasse, un altro colpo all’uguaglianza politica l’ha inferto l’emarginazione dei sindacati. Frutto del declino dell’occupazione e della precarizzazione del lavoro, che hanno spuntato quell’arma formidabile contro la disuguaglianza politica che era lo sciopero. Ma pure del rifiuto dei partiti, inclusi quelli di sinistra, d’interloquire con essi.
Le disuguaglianze s’intrecciano e si cumulano. Le vittime della disuguaglianza politica sono oggidì inermi di fronte alla disuguaglianza economica, la quale, com’è noto, a sua volta si cumula con la disuguaglianza informativa e culturale (in qualche modo anch’essa curata a suo tempo dai partiti). A trarne beneficio sono i partiti populisti. Non più classe e tanto meno demos, ma semmai ridotti a plebs orfana dei suoi antichi tribuni, i cosiddetti losers, secondo una teoria molto diffusa, mostrerebbero un’inquietante propensione a prestare ascolto alle grossolane semplificazioni dei paladini dell’ethnos.
Quant’è attendibile questa teoria? Forse meno di quanto sostengano coloro che tengono a squalificare i losers. Confermata o meno che sia la teoria, in tutto o in parte, diffidenza, risentimento, rancore, dei losers e l’eventuale loro adesione al populismo non sarebbero comunque prova della loro inaffidabilità politica e della loro inadeguatezza culturale. La loro potrebbe essere per contro una tattica di autodifesa, un modo – forse l’unico possibile, insieme all’astensione – per protestare per come funzionano i regimi democratici e per sanzionare i loro ceti dirigenti. Quantunque non sia da escludere la possibilità che il voto populista porti seco la conversione almeno di alcuni all’intolleranza e al razzismo.
Tutto questo per dire che senza combattere la disuguaglianza politica è piuttosto improbabile tanto combattere la disuguaglianza economica, quanto contrastare il populismo. I tre fenomeni sono legati. Ricordare il tema della disuguaglianza economica e dell’ingiustizia è altamente meritorio, specie se serve a sensibilizzare e sollevare le vittime, che molti sintomi danno per assuefatte e rassegnate. Ma la lotta alla disuguaglianza politica richiede anche altre armi. Diverse da quelle improvvisate ultimamente dai partiti. I quali saranno forse vittime di processi che non controllano, ma nulla hanno fatto per sottrarvisi. Salvo opportunisticamente introdurre nuovi dispositivi di partecipazione fittizi come le primarie o assai complessi come le procedure deliberative, onde lenire gli effetti della loro trasformazione. Solo che le primarie non sono un rimedio all’individualizzazione del voto e semmai un’aggravante. Mentre dispositivi quali la deliberazione in partenza sono fuori misura per i ceti meno scolarizzati e meno informati e non sembrano nemmeno soddisfare granché i ceti istruiti. Visti i limiti opposti dalla politica alle pratiche deliberative, se questi ceti dapprincipio potevano nutrire qualche aspettativa e profittare dell’occasione loro offerta per farsi sentire, alla fine ne hanno tratto unicamente motivi di delusione.
Anche per chi potrebbe giovarsene maggiormente, i partiti di sinistra, la disuguaglianza politica è divenuto un concetto incomprensibile. Quand’è forse il tema preminente di vasti movimenti popolari quali gli indignados, i gilets jaunes, le sardine e altri ancora. Grazie ai quali chi non trova rappresentanza emette segnali di sofferenza. Sono segnali e come tali vanno apprezzati e sarebbe un grave errore pretendere da essi altro da quel che sono. Ma intanto la disuguaglianza politica è un’enorme montagna tutta da scalare e c’è da scoprire in che modo sia possibile.
Oggi giovedì 12 dicembre 2019
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Mes, la demagogia di Lega e destra non possono essere l’alibi per scelte sbagliate
12 Dicembre 2019
Alfiero Grandi su Democraziaoggi e su aladinpensiero online.
Andiamo con ordine. Quante volte è stato detto che il Patto europeo di stabilità e crescita aveva di fatto una attuazione unilaterale sulla sola stabilità, senza riguardo alla parte relativa alla crescita, con il risultato inevitabile di scelte restrittive, di tagli ai bilanci pubblici. La Grecia ha pagato cara questa politica europea. Parte importante […]
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No all’autonomia che divide
Red su Democraziaoggi.
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Auguri di lunga vita a Nino Garau “Geppe”, il partigiano cagliaritano che liberò Spilamberto
12 Dicembre 2019 su Democraziaoggi.
Tanti affettuosi auguri al comandante “Geppe” nel suo 96° compleanno dall’ANPI, CoStat e Scuola di cultura politica Francesco Cocco.
“Geppe” è il coraggioso partigiano di Cagliari che il 23 aprile 1945 liberò il paese di Spilamberto. Per questo è stato insignito della medaglia […]
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Ricordi su Piazza Fontana e dintorni
12 Dicembre 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Di piazza Fontana ricordo il senso di smarrimento che ci pervase tutti, noi studenti o neo laureati, freschi di ‘68, accanto ai lavoratori nell’autunno caldo. Ricordo anche l’ossessiva campagna contro gli anarchici e la sinistra, individuati subito come i responsabili dalla grande stampa. Come dimenticare il mite Valpreda in manette. Il mostro sbattuto in […]
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Noi che amiamo la nostra Costituzione
Marta Cartabia prima Presidente donna della Corte Costituzionale.
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
TITOLO VI – GARANZIE COSTITUZIONALI
SEZIONE I – LA CORTE COSTITUZIONALE
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Oggi mercoledì 11 dicembre 2019
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No all’autonomia che divide
11 Dicembre 2019
Red su Democraziaoggi.
Pubblichiamo la lettera di presentazione del Presidente Villone e una sintesi del documento su cui si fonda la iniziativa del Coordinamento per la democrazia costituzionale contro l’Autonomia differenziata. Viene indetta una campagna di mobilitazione e di iniziative per una critica di fondo a questo progetto che appare lesivo di diritti fondamentali dei […]
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Quale energia per quale sviluppo?
Oggi mercoledì 11 dicembre allo Studium Franciscanum di via Principe Amedeo, Cagliari. Su il manifesto sardo.
Dall’Illuminismo alle (improbabili) “magnifiche sorti e progressive” del Capitalismo
Il presunto inganno delle false promesse annunciate dall’Illuminismo
Gianfranco Sabattini
Ripercorrendo la storia delle idee dell’età moderna, l’editorialista indiano di diversi periodici e giornali anglosassoni, Pankaj Mishra, in “L’età della rabbia” individua il “filo rosso” che collega tra loro gli eventi negativi del nostro tempo, come conseguenza del fallimento delle promesse annunziate dell’Illuminismo, “di un avvenire di giustizia, uguaglianza e prosperità che, per gran parte dell’umanità, si è rivelata solo un’illusione, se non un vero a proprio inganno”.
Dopo la fine della Guerra Fredda si era diffuso il convincimento che al capitalismo neoliberista, inteso come strumento regolatore della vita economica e sociale, non esistessero alternative; oggi, invece – afferma Mishra – “il presupposto condiviso all’inizio dell’era post Guerra Fredda, secondo cui l’economia capitalistica globale può mitigare le differenze di religione ed etiche e determinare prosperità e pace in tutto il mondo, è peggio che screditato”. Il trionfalismo del capitalismo neoliberista, però, ha subito (e continua a subire) improvvise e inaspettate battute d’arresto; il guaio è, a parere dell’editorialista indiano, che il mondo non dispone di ipotetiche visioni di organizzazione politica ed economica ad esso alternative.
Per la comprensione della “miscela esplosiva” di rancore, odio, invidia e risentimenti, che fa della storia attuale del mondo “l’età della rabbia”, “avvelenando la società civile” e mettendo in pericolo la libertà politica e la democrazia, occorre, secondo Mishra “smantellare l’architettura concettuale e culturale” sulla quale è stata fondata la costruzione dell’idea della superiorità, rispetto ad ogni altra forma, dell’organizzazione politica ed economica dell’Occidente. Si tratta, per Mishra, di un’architettura costruita sulla base di presupposti semplicistici e ingannevoli ispirati dalla logica trionfalistica del capitalismo che, da quando si è affermata, influenza gli uomini di Stato e mass-media, e attraverso questi ultimi l’opinione pubblica.
Strutturati all’interno delle istituzioni occidentali, i “corifei” del trionfalismo capitalista hanno concorso a diffonderne, coi loro messaggi, la presunta superiorità, oscurando “l’immagine di un mondo complesso e in continuo cambiamento”; erano certi (i “corifei”) che le istituzioni capitalistiche si sarebbero diffuse in tutto il mondo e che gli esseri umani razionali, sostituendo alla religione lo spirito laico, avrebbero sconfitto le forze dell’irrazionalismo, quindi che tutte le società avrebbero subito un’evoluzione identica a quella subita dalle società occidentali che avevano già sperimentato il successo.
La religione del progresso universale ha avuto – sostiene Mishra – “molti presunti papi ed encicliche”, che sono valsi ad affermare la teoria della modernizzazione, preludendo ad una “rivoluzione su scala mondiale” delle aspirazioni umane allo sviluppo economico. Una delle ultime “encicliche” è stata scritta e diffusa, dopo la fine delle Guerra Fredda e il crollo dell’Unione Sovietica, da parte del politologo americano Francis Fukuyama, il quale, in “La fine delle storia e l’ultimo uomo” ha sostenuto, all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, che la “Dissoluzione dell’Unione Sovietica”, dissoluzione dell’“Impero sovietico”, rappresentava la premessa per raggiungere il traguardo comune delle società occidentali: lo stato liberale e democratico, basato sui principi fondamentali dei “Diritti umani”. Si trattava di un giudizio fondato sulla convinzione che la modernità capitalistica rappresentasse “un potentissimo treno merci che gli ultimi eventi, per quanto dolorosi e inauditi, non [sarebbero riusciti] a far deragliare”; con il passar del tempo, la democrazia e i liberi mercati avrebbero continuato ad espandersi, sino a diventare dominanti nella maggior parte del mondo.
Questo atto di fede nell’”inevitabilità della storia”, però, osserva Mishra, è stato smentito dai fatti, rendendolo privo di credibilità; con l’allargamento della globalizzazione, il succedersi di continue crisi economiche (culminate nella Grande Recessione del 2007-2008) è valso a favorire la diffusione di movimenti politici “che hanno fatto piombare le élite politiche e mediatiche dell’Occidente in uno stordito stupore”, rendendole incapaci di azioni idonee a garantire ai sistemi sociali le promesse della tanto propagandata modernizzazione sostenuta dal trionfalismo capitalista.
Come ora si tende ad ammettere, il culto del neoliberalismo internazionalista “è stato un’imitazione sfacciata del sogno marxista di rivoluzione universale”; non casualmente – nota Mishra – sia l’internazionale comunista che l’internazionale liberale hanno mutuato la loro origine dalla profezia settecentesca “di un mondo organizzato razionalmente e ordinato logicamente: l’aspettativa che, come elemento determinante della storia, la ragione potesse rimpiazzare la tradizione e l’inerzia”. E’ accaduto invece che il liberalismo non “abbia trovato fondamenta sicure nemmeno sul suolo natio”, nel senso che molto spesso neanche “l’Occidente è stato ‘occidentale’”.
La modernizzazione capitalistica, divenuta il credo universale, ha glorificato l’individuo autonomo e dotato di soli diritti, celebrandone la capacità di compiere scelte razionali, per promuovere una crescita economica intesa come “colonna portante della vita politica nonché l’indicatore universale del progresso”, la cui avanzata sarebbe dipesa dall’accumulazione di denaro. E’ accaduto persino che, con la diffusione dell’ideologia della modernizzazione capitalistica, anche “la lotta dei rivoluzionari marxisti” (condotta per realizzare una società liberata dal conflitto tra le classi) abbia accettato “le fantasie storiche” maturate nell’Occidente capitalista durante la Guerra Fredda, giungendo a condividere l’affermazione definitiva dell’ideologia neoliberista del mercato autosufficiente.
Mishra ritiene che la crisi attuale nella quale versa la presunta modernizzazione dell’occidente capitalistico imponga considerare in termini più disincantati uno degli eventi più drammatici della storia umana: “l’ascesa di una civiltà industriale materialista che, emersa nel Regno Unito e in Francia, [si è diffusa] nel vecchio mondo asiatico e africano e nel nuovo mondo dell’America e dell’Oceania”, creando le basi dello stato di solidarietà negativa in cui i popoli vivono oggi. Si tratta di una crisi innescata da due rivoluzioni (quella francese e quella industriale) che, dopo aver determinato una profonda discontinuità della storia, hanno contribuito ad affermare una nuova coscienza globale.
Infatti, le due rivoluzioni, forti “l’una delle idee e l’altra delle navi a vapore”, hanno determinato che le promesse valicassero i loro confini geografici, dando all’azione umana “un contesto nuovo e potenzialmente sconfinato”; in tal modo, ha avuto inizio il tanto declamato processo di modernizzazione dell’Occidente, dando origine, per gli esseri umani, a “un nuovo universo di possibilità” e a un nuovo modo di agire nella storia, sino a determinare la caduta degli “anciens régimes”.
Gli illuministi colti, che hanno elaborato le idee innovative e guidato il processo rivoluzionario di cesura rispetto al passato, hanno anche concorso a fondare “la moderna ‘teoria’ dell’ideologia”, secondo cui le idee “esprimono gli interessi conflittuali di un individuo o gruppo”; a prevalere nella competizione degli interessi sono stati i soggetti che, arricchitisi con il commercio, hanno concorso alla formazione di una nuova classe, tradizionalmente esclusa dalle gerarchie sociali. Al fine di garantirsi la mobilità sociale verso l’alto, i membri della nuova classe non hanno esitato ad utilizzare le risorse e la forza sociale delle quali disponevano, per determinare la formazione in Europa di istituzioni che avrebbero progressivamente soppiantato forme di governo, politica ed economia vecchie di millenni.
Tuttavia, prima di irrompere nei mondi più antichi dell’Asia e dell’Africa, le idee rivoluzionarie degli illuministi – a parere di Mishra – a causa delle aspirazioni che esse avevano alimentato, hanno scatenato “una lunga emergenza” europea, sotto forma di rivoluzioni e rivolte scoppiate nel corso del XIX e nella prima parte del XX secolo. E’ stato dopo il 1945 che i Paesi più industrializzati dell’Occidente, usciti vittoriosi dal secondo conflitto mondiale, hanno indirizzato la propria esperienza verso l’elaborazione e l’adozione di “un modello di progresso universale”; dopo un primo trentennio di ricostruzione (1945-1975), si è optato per la liberazione del mercato dagli eccessivi “lacci e laccioli” imposti nel primo periodo postbellico e per l’integrazione nel mercato mondiale delle economie nazionali.
Ciò ha consentito, attraverso la globalizzazione, l’avvio di una crescita esponenziale dell’economia mondiale, alla quale, se per un verso va accreditato il miglioramento delle condizioni economiche di molti Paesi precedentemente sottosviluppati, per un altro verso va imputato l’aumento delle disuguaglianze tra i diversi sistemi economici integrati a livello planetario e tra i diversi gruppi sociali presenti in ognuno di essi. L’approfondimento delle disuguaglianze e l’insufficiente azione politica attuata per contrastarle ha causato – sostiene Mishra – “una crescita esponenziale dell’odio” e del disagio sociale, scatenando una delle patologie peggiori nella ricerca del capro espiatorio scatenata dalle crisi politiche ed economiche diffuse.
In conclusione, secondo Mishra, dopo l’inganno delle false promesse annunciate dall’Illuminismo, predicato dai “philosophes” settecenteschi, è divenuto impossibile negare il grande divario che esso ha concorso a creare tra un’élite che ha colto (e continua a cogliere) “i frutti più maturi della modernità [...], e le masse sradicate che, scoprendosi defraudate di quegli stessi frutti, si rifugiano nel fondamentalismo culturale, nel populismo e nella violenza rancorosa”. Le contraddizioni e i costi del progresso annunciato dall’Illuminismo, a lungo occultati, sono oramai visibili su scala planetaria. Essi inducono a pensare che l’ordine globale attualmente esistente sia “fondato sulla forza dell’imbroglio”; fatto, questo, che causerebbe la formazione di un “umore diffuso e apocalittico come mai prima d’ora” sperimentato dall’umanità e che varrebbe a sottolineare la necessita di un pensiero in grado di trascendere lo stato attuale. Troppo drastica la conclusione di Mishra!
A parte il fatto che egli manca di indicare quali dovrebbero essere le caratteristiche del nuovo pensiero, la sua apocalittica conclusione trascura che la “molla principale” dei costruttori originari del mondo materiale delle modernità (gli economisti ispirati dal pensiero illuminista) hanno forgiato uno strumento (la teoria economica) con cui analizzare l’”ingegnosissimo e potentissimo meccanismo sociale” (l’organizzazione capitalistica dell’attività economica) che ha concorso a creare, non solo un’opulenza mai vista prima, ma anche una straordinaria ricchezza di nuove opportunità.
Un tale meccanismo sociale, cioè l’ideale organizzazione di un libero sistema economico inquadrato all’interno di un libero sistema politico, era destinato, sia pure in prospettiva, a cambiare la vita di tutti gli abitanti del pianeta. Restava, tuttavia, un problema irrisolto, che John Maynard Keynes, in anni a noi più vicini, ha designato come “il problema politico dell’umanità” e che riguarda il modo in cui combinare l’efficienza economica, la giustizia sociale e la libertà individuale.
I costruttori della teoria economica, quindi, sotto la diretta influenza del pensiero illuminista, sono sempre stati motivati dal desiderio che le loro idee potessero essere usate per promuovere sistemi sociali caratterizzati “dalla libertà individuale e dall’abbondanza invece che dalla rovina morale e materiale”. Come lo stesso Keynes pensava, lo sviluppo della teoria economica ha potuto così trasformarsi in “un motore d’analisi in grado di separare il grano dell’esperienza dalla pula”, convinto che le “idee economiche avessero trasformato il mondo più del motore a vapore”.
Per tutte queste ragioni, e contro ogni interpretazione apocalittica dell’esito del pensiero illuminista, è quindi necessario fare tesoro di tale pensiero, considerandolo come la base per realizzare, dopo averlo immaginato, un futuro migliore del mondo attuale, prima che i suoi “rudi costruttori” lo distruggano, in nome di una crescita senza limiti e regole, per una presunta civiltà del benessere.
Che succede?
UN OCCIDENTE CON POCHE LUCI
8 Dicembre 2019 by Forcesi | su C3dem
Sulla Nato scrivono Romano Prodi: “Lo strappo Merkel-Macron nell’Alleanza senza bussola” (Messaggero) e Ezio Mauro: “Se la Nato perde il profilo dell’Occidente” (Repubblica). Su Europa e Occidente scrivono Piero Stefani, “La democrazia cristiana illiberale di Victor Orban” (blog); Umberto Gentiloni, “La paura di Angela” (Repubblica); Nadia Urbinati, “I nuovi nemici della Ue” (Repubblica); Sabino Cassese, “Un Occidente privo di luci” (recensione sul Sole 24 ore).
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Sardine con la Costituzione per un futuro migliore. Su Giornalia online.
Cagliari così come molte altre città italiane ha risposto alla convocazione del Movimento delle Sardine con la partecipata manifestazione del 7 dicembre. Che fare ora? Il dibattito è aperto.
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Oggi martedì 10 dicembre 2019
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Per non dimenticare. Addio a Piero Terracina, tra gli ultimi sopravvissuti di Auschwitz
Gianni Marilotti su Democraziaoggi.
E’ morto a Roma a 91 anni Piero Terracina, uno degli ultimi sopravvissuti al più grande campo di sterminio nazista. “All’Inferno ci sono stato, si chiama Auschwitz-Birkenau”, aveva detto qualche anno fa alla platea dell’Auditorium Paganini di Parma che lo aveva accolto per non dimenticare. “La Memoria – raccontò sul palco l’ex deportato […]
Sardine più Costituzione per un futuro migliore
Anche a Cagliari migliaia di “sardine”: la grande folla riempie piazza Garibaldi
Una folla enorme riempie piazza Garibaldi e le vie laterali dall’altezza di via Alghero sino alle vie Bacaredda e Paoli. Uno sciame di sardine sono accorse a Cagliari con una semplice chiamata via Facebook. Un successo, una bella manifestazione contro razzismo e odio, per la Costituzione e i suoi valori, come già accaduto in una trentina di città italiane.
E’ una folla composta, persone di ogni età: dai bambini accompagnati dai giovani genitori ai pensionati. “Cagliari non si lega“, recita più di un cartello. Ma, ahinoi!, si è già legata! E legata si è anche la Sardegna. Qui sarebbe meglio dire “Cagliari si slega“, la “Sardegna si slega“. Un impegno generoso, ma difficile. Chi slegherà Cagliari da Truzzu, e la Sardegna da Solinas? Non è alle viste alcuno slegatore, inteso in senso collettivo, come forze politiche. Ma questa manifestazione è un bell’inizio in questa direzione. Così come è bello e tutto un programma il canto di ‘Bella ciao‘, nelle due versioni: prima lenta poi con ritmo rock. Non poteva mancare “Procurade ‘e moderare“, anche se i baroni più che moderati andrebbero cacciati. Cartelli, musica e tanta buona volontà. Nessun intervento o quasi, senza microfono. Basso profilo dei personalismi. Forte impegno collettivo per la democrazia.
Ora su questo movimento pubblichiamo una riflessione di
Alfiero Grandi, vice presidente nazionale del Coordinamento per la democrazia costituzionale
Sardine più Costituzione: la parola d’ordine per un futuro migliore
La destra è rimasta interdetta di fronte alle manifestazioni (riuscite) delle “sardine” che il 14 dicembre avranno l’importante appuntamento della manifestazione nazionale a Roma. Per tante ragioni: i toni non aggressivi, la critica all’istigazione all’odio verso i diversi di qualunque natura, la determinata opposizione ai toni beceri e arroganti della destra. Ora la destra si sta riprendendo dallo stupore, si preoccupa che i risultati elettorali potrebbero essere diversi da quanto raccontano i sondaggi e cerca di sminuire il valore delle sardine concentrando l’attacco su una presunta assenza di risposte sugli argomenti attualmente oggetto di polemica politica. La destra non riesce a concepire che possa esserci una reazione di cittadini, un loro protagonismo disinteressato, in particolare di giovani, che si propone un obiettivo preciso come fermare l’avanzata della destra, che troppo in fretta è stata data per pressoché inarrestabile. Le piazze piene sono la prova che le sardine hanno ragione. Hanno dimostrato che una mobilitazione contro la destra è possibile e vorrà pur dire qualcosa se dopo molte settimane ancora non si è vista un’iniziativa dei partiti non di destra in grado di misurarsi con l’obiettivo di riempire le piazze.
Le forze che per comodità definisco democratiche e di sinistra non erano evidentemente in grado di mobilitare con altrettanta forza. Anzi proprio la loro scarsa energia ha spinto le sardine, giovani ma non solo, a muoversi per bloccare la destra, per contribuire ad invertire un clima di scontro, di aggressività e di paura alimentato ad arte da Salvini, Meloni e alleati subalterni. Un ruolo politico di prima grandezza. Le sardine hanno occupato uno spazio vuoto e che probabilmente i partiti che avrebbero dovuto non avevano la forza di riempire, neppure volendo. Mentre l’accoglienza dell’opinione pubblica di centro sinistra, per quanto delusa, c’è stata perché le sardine hanno saputo presentarsi in modo semplice, senza pretese, contribuendo ad unire le energie anziché a dividerle. Del resto lo spettacolo dei contrasti, delle polemiche – fino ad evocare la possibilità della crisi di governo – in queste ore conferma che da qui non potrebbe venire un messaggio unitario, di tranquilla e determinata alternatività alla destra. Per questo le sardine hanno trovato ascolto e credito in tanti che si erano astenuti, che hanno votato per partiti della attuale maggioranza salvo restarne delusi, che hanno provato a votare per altre componenti minori, che però non hanno raccolto granché. Lo spazio occupato dalla sardine è quello di offrire un’occasione ai delusi, ai critici per farsi sentire, dimostrando di essere tanti e soprattutto disponibili ad entrare in campo se chiamati a farlo da soggetti credibili. Le sardine hanno chiarito che non intendono farsi partito, partecipare in proprio alle elezioni. Anzi hanno esplicitato che vogliono rivolgersi alla rappresentanza politica che c’è provando a smuoverla dai suoi difetti, dai suoi errori. Potrebbe perfino uscirne un rafforzamento elettorale dei soggetti politici attuali.
Molto diversa questa posizione da quella che portò alla nascita del Movimento 5 Stelle che era di critica radicale alla rappresentanza politica esistente, fino a tentare di formarne una nuova. Prova che si sta rivelando in crisi, se non fallimentare. La stessa ideologia né di destra né di sinistra per motivare una nuova posizione politica si è rivelata errata, al punto che oggi la destra è in campo come tale, rafforzata proprio dalla collaborazione di governo con i 5 Stelle che nel frattempo hanno dimezzato i voti. I democratici e la sinistra hanno maggiormente sofferto in questa fase riducendo i consensi elettorali perché incapaci di recuperare una alternatività forte e visibile alla destra. Il superamento della destra e della sinistra si è risolto in un favore alla destra che si è rafforzata, mentre la sinistra balbetta. Le sardine la spingono a recuperare. Le sardine rivelano che c’è uno spazio potenziale per recuperare e se questa area di elettori si convincesse che non si tratta solo di fare diga contro la destra ma occorre schierarsi per una politica alternativa, il futuro dell’Italia potrebbe essere diverso e migliore da quello che sembrerebbe inevitabile. Le sardine quindi riempiono un vuoto, danno corpo ad una richiesta di novità, offrono l’occasione per recuperare e correggere un andazzo che, se continuasse, lascerebbe alla destra la possibilità di una vittoria elettorale. Un’occasione non una certezza.
Nella vicenda del Fondo salva stati è emerso chiaramente che oggi la polemica arrogante e becera di Salvini è strumentale per coprire il nulla politico suo, e della Lega, sull’argomento durante il primo governo Conte, di cui era vicepresidente. Il problema però non è tanto il fracasso della Lega ma che posizione dovrebbero avere le forze democratiche e di sinistra sull’argomento, invece ancora una volta emerge una subalternità, un’incapacità ad affrontare in modo alternativo la soluzione di un nodo fondamentale per il futuro dell’Italia. Le sardine occupano uno spazio vuoto e per ciò stesso mettono in luce che è del tutto aperto il problema politico dell’autonomia e dell’alternatività alla destra che dovrebbero caratterizzare i democratici e la sinistra. Se queste forze non riusciranno a superare i limiti attuali si porranno seri problemi e forse in futuro le sardine o i loro eredi dovranno rassegnarsi a inventarsi altro. In questo momento tuttavia il bisogno di mobilitarsi e contrastare in campo aperto, con le manifestazioni, la destra è un problema reale e alle sardine potrebbe essere utile definire una piattaforma di riferimento più solida.
Del resto questa piattaforma esiste già, basta richiamarla per recuperare l’orizzonte di un programma forte e convincente, che così si potrebbe materializzare. Si tratta della Costituzione. Non solo, la Costituzione definisce il quadro istituzionale della nostra democrazia e non è poco. Non solo il richiamo alla Costituzione ha bloccato 3 anni fa, con la vittoria del No al referendum costituzionale, gli apprendisti stregoni che la stavano massacrando con la proposta voluta da Renzi. La Costituzione è anche un insieme di valori, di diritti garantiti ai cittadini e non a caso nello splendido art. 3 si afferma non solo che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali, ma aggiunge che la Repubblica rimuove gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini. Principi come questo possono ispirare un programma politico che potrebbe fare il nostro paese migliore, amico dei giovani, attento a chi è in difficoltà, unirlo in un impegno solidale per uscire, insieme, dalle difficoltà. Richiamare la Costituzione, invocarne l’attuazione, difenderne con determinazione l’impianto contro chiunque è un programma politico forte. Semmai sono i singoli partiti che hanno fatto pasticci e se ne sono allontanati, attratti dalla sirene di quello che Fitoussi chiama la neolingua, o se si vuole il pensiero unico.
Sardine più Costituzione, potrebbe essere questa la parola d’ordine per un futuro migliore del nostro paese.
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Costituzione della Repubblica Italiana
Principi fondamentali
Art. 1
L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 5
La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento.
Art. 6
La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Art.7
Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani.
I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art. 8
Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano.
I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Art. 9
La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 10
L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.
Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici.
Art. 11
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
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- La fotografia in testa all’articolo è del nostro amico e collaboratore Renato d’Ascanio Ticca, che ringraziamo.
Sardine in Sardegna: per proseguire organizzati
Scrivono i promotori del Movimento Sardine in Sardegna
CASELLA MAIL E PROGRAMMI PER IL FUTURO
CASELLA MAIL
Abbiamo aperto una casella mail per ricevere tutte le vostre proposte, i temi e le idee che vi verranno in mente! La casella mail è 6000sardine.sardegna@gmail.com e la vorremmo usare appunto per concentrare tutti gli spunti che magari scrivete nei commenti o nei post e che poi, inevitabilmente, cascano sommersi da altre mille idee! Cerchiamo quindi di riorganizzarci tutti. Siete tantissimi, quasi sicuramente sarà difficile rispondere a tutti, ma così avrete la quasi matematica certezza che uno di noi riceverà le vostre idee. Noi siamo qui per questo!
PROGRAMMI PER IL FUTURO [segue]
Oggi lunedì 9 dicembre 2019
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Anche a Cagliari Sardine+Costituzione per un futuro migliore
9 Dicembre 2019 su Democraziaoggi.
Anche a Cagliari migliaia di “sardine”: la grande folla riempie piazza Garibaldi.
Una folla enorme riempie piazza Garibaldi dall’altezza di via Alghero sino alle vie Bacaredda e Paoli. Uno sciame di sardine sono accorse a Cagliari con una semplice chiamata via Facebook. Un successo, una bella manifestazione contro razzismo e odio, per la Costituzione e i suoi valori […]
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TRA IL SOGNO DELL’UOMO FORTE E IL PIACERE DI SENTIRSI SARDINE
8 Dicembre 2019 by Forcesi | su C3dem.
Sul Rapporto Censis scrivono. Dario Di Vico, “Perché gli italiani sono attratti dall’uomo forte” (Corriere della sera); Giuseppe De Rita, “Noi più soli a forza di vaffa. Ma il livore sta passando di moda” (intervista a Repubblica); Guido Crainz, “Il Paese in ansia sogna l’uomo forte” (Repubblica); Chiara Saraceno, “Ma l’Italia di oggi è meno cupa” (intervista al Manifesto). Una nota di Alessandro Quarelli su “Gli italiani tra società aperta e società chiusa” (neodemos.info). Andrea Grillo discute su un tema-chiave relativo alle sardine: “Le sardine e l’ascolto: una questione seria”. Luca Kocci: “Il risveglio dei papa-boys: il 14 in piazza a Roma con le sardine” (Manifesto).
Oggi domenica 8 dicembre 2019
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Carbonia. Quale sicurezza? Le condizioni di lavoro in miniera
8 Dicembre 2019
Gianna Lai su Democraziaoggi. Sedicesimo post sulla città di Carbonia delle origini. Il primo domenica 1 settembre. Oggi parliamo di un argomento tragico delle miniere: la sicurezza e la salute.
E’ l’inosservanza delle norme più elementari di prevenzione e sicurezza, da parte dell’Azienda, a mettere in pericolo il lavoro degli operai, se si tien conto innanzitutto della loro stessa grave inesperienza, svolgendosi […]
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La piazza ci dice che c’è un enorme potenziale di energie che la politica non riesce (in massima parte non vuole) a mettere in circolo. Moltissima di questa energia è costituita da giovani, ma ci sono anche riserve di “anziani” inutilizzate. Probabilmente (anzi, sicuramente, visti i dati elettorali) molti di questi giovani e non giovani (e tanti altri) non hanno votato. Giusto insistere (come fa il CoStat) sulla necessità di modificare le leggi elettorali vigenti, che scoraggiano la partecipazione (scandalosa la legge regionale sarda, voluta da quasi tutte le forze politiche in un esercizio diabolico, perché perseverante, di autoreferenzialità). E’ certo necessaria una profonda riforma dei partiti. Qualche riflessione, datata, ma credo sempre valida su Aladinpensiero online (29 luglio 2013).
Ripetere giova? La qualità delle istituzioni è la qualità delle persone che le costituiscono. Sono pertanto da costruire nuovi adeguati meccanismi di selezione del personale pubblico a livello politico e amministrativo.
Franco Meloni su Aladinpensiero online del 29 luglio 2013.
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Lo sbotto della domenica (di sardine sarde e dintorni).
di Tonino Dessì su fb.
[segue]
Movimento Sardine in Sardegna: Procurade ‘e moderare e Bella ciao uniscono le generazioni dei giovani di sempre.
(Cagliari, piazza Garibaldi, sabato 7 dicembre 2019, la foto è di Dietrich Steinmetz).
Commenti a caldo tratti da fb.
Cagliari risponde alla convocazione delle Sardine. Piazza Garibaldi gremita come non mai. Bene, benissimo!
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Siamo assetati di politica vera e non di odio: questo anima il movimento delle Sardine. I valori costituzionali dell’uguaglianza, della solidarietà, dei diritti… aleggiano in una bella piazza Garibaldi gremita quanto non mai. La speranza cammina su gambe e teste che la rendono credibile. (f.m.)
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Piazza Garibaldi è stata invasa stasera da un numero incredibile di sardine, portatrici di un vento dolce ma tenace di cambiamento. Una bella piazza, con tanti giovani che cantano Bella ciao. Qui non abitano razzismo, fascismo, antisemitismo, ma solidarietà, accoglienza, integrazione, diritti, a partire da quello al lavoro.
Procurade ‘e moderare barones sa tirannia.
Cagliari non si arrende alla Lega e a Fratelli d’Italia in Regione e Comune!! (Giancarlo Ghirra).
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(…) Non so quante persone possa contenere una piazza così grande quando è così gremita di gente, con una densità superiore a qualsiasi banco di sardine.
Notevole il fatto che contemporaneamente le vie del centro addobbate per le prossime festività, i locali pubblici e i negozi erano anch’essi affollati di altra gente in uscita per il sabato e per gli acquisti.
Due universi contigui, comunque non reciprocamente ostili, a tratti in tollerante contatto fisico nei rispettivi flussi di movimento o di stazionamento.
Niente passerelle di volti politici noti.
Età media una volta tanto apprezzabilmente bassa, anche se, confusi in mezzo, ho intravisto molte compagne e compagni che conosco, di età matura e più che matura.
Discorsi brevi e seri, ma non scontati né deprimenti.
Ho colto una grande energia pacifica e sobria, ma determinata nei valori e nella tenuta del campo solidale e democratico.
Non ritengo di dover far cenni al problema enorme -e al momento totalmente aperto- di chi dovrebbe interpretare tutto ciò e addirittura rappresentarlo.
Il tempo sarà maestro.
Consiglierei a tutte e a tutti rispetto e, a chi abbia ancora remore di principio, una riflessione scevra da pregiudizi. (Tonino Dessì)
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Su L’Unione Sarda
Cagliari, “Sa die de sa Sardina”
La manifestazione in piazza [VIDEO]
Le Sardine sarde lanciano i loro ideali: “Contro fascismo e intolleranza”
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Su La Nuova Sardegna
Le sardine mobilitate a Cagliari cantano Bella Ciao
La Sardegna ha risposto all’appello degli organizzatori: tutti in piazza Garibaldi per manifestare contro discriminazioni e fomentatori di odio
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Su Casteddu online
Cagliari, 5mila sardine in piazza Garibaldi: “Uniamoci tutti contro fascismo e populismo”
In migliaia per il primo sit-in sardo, presenti tante famiglie ma anche anziani: “Chi arriva da lontano non è responsabile dei nostri problemi, non possiamo solo lamentarci senza proporre soluzioni. Basta con chi predica l’odio”. E, dopo Procurare E Moderare, tutti cantano a squarciagola Bella Ciao.
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Su Cagliari Pad
Migliaia di persona in piazza per la manifestazione delle Sardine
Migliaia di persona in piazza Garibaldi a Cagliari. Gli organizzatori si aspettavano circa due-tremila persone. “Ma – ha spiegato Lorenzo Caddeo, uno dei promotori della manifestazione – siamo al di là delle più rosee aspettative”.
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Su Sardinia Post
Cagliari invasa da migliaia di ‘sardine’: la grande folla riempie piazza Garibaldi
Una folla enorme. Che dall’inizio di piazza Garibaldi (lato via Alghero) arriva sino alle vie Bacaredda e Paoli. Ecco le sardine sarde che dalle 19 si sono date appuntamento a Cagliari. Una chiamata rimbalzata attraverso Facebook e che, stando al colpo d’occhio, è piaciuta anche da queste parti come successo già in un’altra trentina di città italiane.
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Oggi il giorno delle sarde sardine
- La pagina fb dell’evento di Cagliari. – La pagina fb delle Sarde-Sardine in Movimento.
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Sardine, un bel movimento, un sasso nello stagno
di Andrea Pubusa, su Nuovo Cammino, quindicinale della Diocesi di Ales-Terralba.
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