Monthly Archives: settembre 2019
SALVARE IL CREATO
Ogni creatura ci è stata donata come una “parola di Dio”. È ora di abbandonare la dipendenza dai combustibili fossili e di intraprendere, in modo celere e deciso, transizioni verso forme di energia pulita e di economia sostenibile e circolare
Quello che segue è il messaggio di papa Francesco per la giornata mondiale di preghiera del 1 settembre e il “Tempo del creato” che si concluderà il prossimo 4 ottobre, festa di san Francesco
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«Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,25). Lo sguardo di Dio, all’inizio della Bibbia, si posa dolcemente sulla creazione. Dalla terra da abitare alle acque che alimentano la vita, dagli alberi che portano frutto agli animali che popolano la casa comune, tutto è caro agli occhi di Dio, che offre all’uomo il creato come dono prezioso da custodire.
Tragicamente, la risposta umana al dono è stata segnata dal peccato, dalla chiusura nella propria autonomia, dalla cupidigia di possedere e di sfruttare. Egoismi e interessi hanno fatto del creato, luogo di incontro e di condivisione, un teatro di rivalità e di scontri. Così si è messo in pericolo lo stesso ambiente, cosa buona agli occhi di Dio divenuta cosa sfruttabile nelle mani dell’uomo. Il degrado si è accentuato negli ultimi decenni: l’inquinamento costante, l’uso incessante di combustibili fossili, lo sfruttamento agricolo intensivo, la pratica di radere al suolo le foreste stanno innalzando le temperature globali a livelli di guardia. L’aumento dell’intensità e della frequenza di fenomeni meteorologici estremi e la desertificazione del suolo stanno mettendo a dura prova i più vulnerabili tra noi. Lo scioglimento dei ghiacciai, la scarsità d’acqua, l’incuria dei bacini idrici e la considerevole presenza di plastica e microplastica negli oceani sono fatti altrettanto preoccupanti, che confermano l’urgenza di interventi non più rimandabili. Abbiamo creato un’emergenza climatica, che minaccia gravemente la natura e la vita, inclusa la nostra.
Alla radice, abbiamo dimenticato chi siamo: creature a immagine di Dio (cfr Gen 1,27), chiamate ad abitare come fratelli e sorelle la stessa casa comune. Non siamo stati creati per essere individui che spadroneggiano, siamo stati pensati e voluti al centro di una rete della vita costituita da milioni di specie per noi amorevolmente congiunte dal nostro Creatore. È l’ora di riscoprire la nostra vocazione di figli di Dio, di fratelli tra noi, di custodi del creato. È tempo di pentirsi e convertirsi, di tornare alle radici: siamo le creature predilette di Dio, che nella sua bontà ci chiama ad amare la vita e a viverla in comunione, connessi con il creato.
Perciò invito fortemente i fedeli a dedicarsi alla preghiera in questo tempo, che da un’opportuna iniziativa nata in ambito ecumenico si è configurato come Tempo del creato: un periodo di più intensa orazione e azione a beneficio della casa comune che si apre oggi, 1° settembre, Giornata Mondiale di Preghiera per la cura del creato, e si concluderà il 4 ottobre, nel ricordo di San Francesco d’Assisi. È l’occasione per sentirci ancora più uniti ai fratelli e alle sorelle delle varie confessioni cristiane. Penso, in particolare, ai fedeli ortodossi che già da trent’anni celebrano la Giornata odierna. Sentiamoci anche in profonda sintonia con gli uomini e le donne di buona volontà, insieme chiamati a promuovere, nel contesto della crisi ecologica che riguarda ognuno, la custodia della rete della vita di cui facciamo parte.
È questo il tempo per riabituarci a pregare immersi nella natura, dove nasce spontanea la gratitudine a Dio creatore. San Bonaventura, cantore della sapienza francescana, diceva che il creato è il primo “libro” che Dio ha aperto davanti ai nostri occhi, perché ammirandone la varietà ordinata e bella fossimo ricondotti ad amare e lodare il Creatore (cfr Breviloquium, II,5.11). In questo libro, ogni creatura ci è stata donata come una “parola di Dio” (cfr Commentarius in librum Ecclesiastes, I,2). Nel silenzio e nella preghiera possiamo ascoltare la voce sinfonica del creato, che ci esorta ad uscire dalle nostre chiusure autoreferenziali per riscoprirci avvolti dalla tenerezza del Padre e lieti nel condividere i doni ricevuti. In questo senso possiamo dire che il creato, rete della vita, luogo di incontro col Signore e tra di noi, è «il social di Dio» (Udienza a guide e scout d’Europa, 3 agosto 2019). Esso ci porta a elevare un canto di lode cosmica al Creatore, come insegna la Scrittura: «Benedite, creature tutte che germinate sulla terra, il Signore; lodatelo ed esaltatelo nei secoli» (Dn 3,76).
È questo il tempo per riflettere sui nostri stili di vita e su come le nostre scelte quotidiane in fatto di cibo, consumi, spostamenti, utilizzo dell’acqua, dell’energia e di tanti beni materiali siano spesso sconsiderate e dannose. In troppi stiamo spadroneggiando sul creato. Scegliamo di cambiare, di assumere stili di vita più semplici e rispettosi! È ora di abbandonare la dipendenza dai combustibili fossili e di intraprendere, in modo celere e deciso, transizioni verso forme di energia pulita e di economia sostenibile e circolare. E non dimentichiamo di ascoltare le popolazioni indigene, la cui saggezza secolare può insegnarci a vivere meglio il rapporto con l’ambiente.
È questo il tempo per intraprendere azioni profetiche. Molti giovani stanno alzando la voce in tutto il mondo, invocando scelte coraggiose. Sono delusi da troppe promesse disattese, da impegni presi e trascurati per interessi e convenienze di parte. I giovani ci ricordano che la Terra non è un bene da sciupare, ma un’eredità da trasmettere; che sperare nel domani non è un bel sentimento, ma un compito che richiede azioni concrete oggi. A loro dobbiamo risposte vere, non parole vuote; fatti, non illusioni.
Le nostre preghiere e i nostri appelli sono volti soprattutto a sensibilizzare i responsabili politici e civili. Penso in particolare ai Governi che nei prossimi mesi si riuniranno per rinnovare impegni decisivi a orientare il pianeta verso la vita anziché incontro alla morte. Vengono alla mente le parole che Mosè proclamò al popolo come una sorta di testamento spirituale prima dell’ingresso nella Terra promessa: «Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (Dt 30,19). Sono parole profetiche che potremmo adattare a noi e alla situazione della nostra Terra. Scegliamo dunque la vita! Diciamo no all’ingordigia dei consumi e alle pretese di onnipotenza, vie di morte; imbocchiamo percorsi lungimiranti, fatti di rinunce responsabili oggi per garantire prospettive di vita domani. Non cediamo alle logiche perverse dei guadagni facili, pensiamo al futuro di tutti!
In questo senso riveste speciale importanza l’imminente Vertice delle Nazioni Unite per l’azione sul clima, durante il quale i Governi avranno il compito di mostrare la volontà politica di accelerare drasticamente i provvedimenti per raggiungere quanto prima emissioni nette di gas serra pari a zero e di contenere l’aumento medio della temperatura globale a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali, in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Nel prossimo mese di ottobre, poi, l’Amazzonia, la cui integrità è gravemente minacciata, sarà al centro di un’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi. Cogliamo queste opportunità per rispondere al grido dei poveri e della Terra!
Ogni fedele cristiano, ogni membro della famiglia umana può contribuire a tessere, come un filo sottile, ma unico e indispensabile, la rete della vita che tutti abbraccia. Sentiamoci coinvolti e responsabili nel prendere a cuore, con la preghiera e con l’impegno, la cura del creato. Dio, «amante della vita» (Sap 11,26), ci dia il coraggio di operare il bene senza aspettare che siano altri a iniziare, senza aspettare che sia troppo tardi.
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- LAUDATO SI’
Oggi lunedì 9 settembre 2019
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La sedia
di Vanni Tola. Buoni propositi per l’autunno.
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Alleanza M5S/PD: molti rischi, non solo rose e fiori
9 Settembre 2019
Amsicora su Democraziaoggi.
C’è una generale soddisfazione nell’area del centrosinistra e dintorni, dall’alta alla media e bassa intellettualità, malandrini compresi. Siccome non c’è stata sulla questione riflessione preventiva, ma repentino cambio di posizioni, le ragioni dell’intesa sono contingenti e superficiali. Vale dunque la pena fare qualche congettura anche a rischio di cantonate.
Partiamo dai dati reali: il M5S è […]
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La storia della medicina
56. Manuel Garcia e la laringoscopia.
Un contributo alla scienza medica che non venne da un medico fu l’invenzione del laringoscopio.
Manuel Garcia, nato a Madrid il 17 marzo 1805, era un baritono, figlio di un grande baritono con lo stesso nome.
Bravo, ma non bravo quanto il padre, si ritirò e preferì fare il maestro di canto spagnolo. Diversamente dai colleghi maestri di canto, egli si interessò della fisiologia delle corde vocali e nel 1855 inventò lo strumento che consentiva una più precisa visione della laringe.
Il laringoscopio altro non è che un tubo di lunghezza e calibro variabile, con sorgente luminosa e un obiettivo, che consente la visione della cavità faringea fino alle corde vocali.
La laringoscopia è un esame invasivo che richiede anestesia generale o ampia anestesia locale.
Con la sua invenzione Manuel Garcia figlio si guadagnò nel 1862 la laurea honoris causa in medicina dell’Università di Konigsberg e fu considerato il maggiore maestro di canto del secolo. I suoi insegnamenti sono ancor oggi indiscussi.
Morì a Londra il 1 luglio 1906, alla bella età di 101 anni.
Oggi domenica 8 settembre 2019
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La quarta rivoluzione industriale è già qui. Resistenza alla “tecnofobia” e riscatto del lavoro.
Gianfranco Sabattini su Aladinpensiero online.
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Sorge Carbonia, la città costruita in 300 giorni, ‘capitale nazionale del carbone autarchico’
8 Settembre 2019
Gianna Lai su Democraziaoggi.
Continuiamo la pubblicazione sulla nascita di Carbonia, dopo il primo articolo di domenica scorsa.
E bisogna fare in fretta se è vero che, come dice Pietro Grifone ne Il capitale finanziario in Italia, ‘la congiuntura mondiale nel triennio 1936-39 è completamente dominata dall’incombente fato della guerra’. L’economia dei principali Paesi finalizzata al riarmo integrale, […]
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La storia della medicina
55. Semmelweis, il salvatore delle madri.
Nella battaglia contro la sepsi, Lister ebbe diversi precursori, tutti, e non a caso, nel campo della ginecologia.
Tra essi bisogna ricordare:
Charles White (1728-1813), chirurgo ostetrico di Manchester che prescriveva iniezioni antisettiche, pulizia e buona ventilazione nella stanza della partoriente;
Alexander Gordon (1752-1793), di Aberdeen, prescriveva a infermieri e medici di lavarsi e disinfettare vestiario e strumenti;
Oliver W. Holmes (1809-1894), medico poeta di Boston, denunciò come la sala parto era fonte di infezione e consigliò cambio dei vestiti e lavarsi le mani prima di assistere le partorienti;
Thomas Spencer Wells (1818-1897), chirurgo e ginecologo di Londra, esigeva silenzio e pulizia scrupolosa, riuscì in migliaia di interventi di tumore ovarico con bassissima mortalità.
Il tratto comune a ostetrici e ginecologi fu la ricerca di rimedi alla altissima mortalità per febbre puerperale.
Ignaz F. Semmelweis (1815-1865), medico ungherese, osservò come la mortalità fosse più elevata nelle corsie frequentate dagli studenti di medicina, i quali magari arrivavano dall’aver preso parte a un’autopsia. [segue]
Dalla resistenza alla ricostruzione
Buoni propositi per l’autunno.
Terminata la pausa estiva caratterizzata, tra l’altro da una insolita e “pazza” crisi di governo, si ricomincia. Per noi che trascorriamo parte del nostro tempo utilizzando i social per confrontarci con gli altri, per analizzare e apprendere, si impone una riflessione importante. E’ necessario riprendere e ricostruire un’etica del confronto e del dialogo che alcuni noti personaggi politici e del mondo della comunicazione hanno contribuito a devastare alimentando la pratica dell’odio, del sospetto e dell’insulto, contro chiunque esprima concetti che non coincidano con il proprio modo di pensare. Non intendo rivolgere nessun appello alla esasperata pazienza e tolleranza nei confronti di individui che si collocano al di fuori di un confronto civile, tutt’altro. Occorre fare, ciascuno per se, delle scelte che concorrano a migliorare lo stare nei social. Alcuni punti che offro soltanto come base di partenza della discussione e che invito tutti ad integrare. 1) E del tutto inutile imbarcarsi in sterili polemiche contro chi insulta gli interlocutori, contro chi si sente depositario di certezza incrollabili che spesso utilizza per provocare reazioni, incrementare rancori e odio, generando paure e malcontento. Meglio non rispondere in alcun modo. “Ragli d’asino non salgono in cielo” o se preferite in limba “A paraulas macca oricras surdas”. Lasciate cadere le provocazioni in un eloquente silenzio. 2) Si è appena insediato un nuovo governo. Composizione originale, se volete strana e fuori dai vecchi modelli di riferimento. Per ciascuno di noi non è certamente il meglio, speravamo forse in qualcosa di diverso, in una formazione di governo che meglio rispondesse alla nostra visione di società, ai nostri ideali di riferimento. Bene, ma che si fa? Continuiamo a piangerci addosso e a strapparci le vesti in un dignitoso quanto inutile isolamento o diventiamo più realisti del Re? La seconda, direi. Intanto prendiamo atto del fatto che, nella situazione data, non si poteva fare di meglio e che esisteva un serio pericolo di vedere la destra fascista al potere con Salvini presidente del Consiglio. Diventare realisti significa provare ad individuare possibili sviluppi positivi della vicenda e favorirne il miglioramento e la realizzazione. E’ innegabile, per esempio, che, con l’insediamento del nuovo governo, è nettamente cambiato il rapporto con l’Unione Europea e la possibilità di stabilire con i paesi partner rapporti di dialogo e confronto costruttivi. Si profila un cambiamento della politica dell’immigrazione e dell’accoglienza, la gestione dell’economia e nelle mani di politici competenti. Non è esattamente quello che molti di noi si aspettavano ma è indubbiamente molto meglio di ciò che ci siamo lasciati alle spalle. 3) Quale comunicazione nei social? E’ inevitabile che la destra di Salvini e Meloni, da sempre in campagna elettorale, scateneranno una campagna mediatica contro il governo come non ne abbiamo viste mai. I primi segnali sono già evidenti, da “governo venuto da Bruxelles” ai commenti sull’aspetto fisico e il basso titolo di studio della ministra dell’agricoltura. Proviamo a non rispondere, a lasciare cadere nel vuoto tutte le sciocchezze e le provocazioni che gli staff propagandistici confezioneranno e diffonderanno con impegno. Aiutiamo gli italiani a “dimenticare Salvini” evitando di nominarlo continuamente nei nostri post. Sfidiamo i beceri che scrivono insulsaggini sul piano della logica, della correttezza di analisi, degli obiettivi da realizzare. Diffondiamo le esperienze di partecipazione dal basso alla realizzazione di pratiche di accoglienza e integrazione dei migranti e quant’altro rappresenti un momento di crescita della società contro il disfattismo dei diffusori di odio, paura e malcontento. E’ una delle poche armi in possesso di chi, attraverso i social, vuole dare il proprio modesto contributo per la crescita sociale del Paese.
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L’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) promuove le linee programmatiche del nuovo governo, coerenti rispetto agli obbiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu.
Il programma del Conte due e l’Agenda 2030: l’analisi dell’ASviS
Giuseppe Conte ha presentato un documento in 29 punti che enuncia le linee programmatiche del nuovo governo. Ecco i riferimenti più evidenti all’Agenda 2030 dell’Onu e agli Obiettivi di sviluppo sostenibile. 5/9/2019
“Il Presidente del Consiglio incaricato ha predisposto, sulla base degli indirizzi condivisi dal Movimento 5 Stelle, dal Partito Democratico e da Liberi e Uguali, le seguenti linee programmatiche, che andranno a costituire la politica generale del Governo della Repubblica per il prosieguo della XVIII legislatura”. Con queste parole si apre il documento che Giuseppe Conte ha reso pubblico mercoledì 4, dopo aver comunicato al Presidente della Repubblica lo scioglimento della riserva e la lista dei ministri. Il testo, articolato in 29 punti, fa ampio riferimento all’Agenda 2030 e ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, SDGs nell’acronimo inglese.
[segue]
Oggi sabato 7 settembre 2019
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Roncaglia: l’età della disgregazione
7 Settembre 2019
di Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Alessandro Roncaglia ha pubblicato di recente un ponderoso volume sulla storia del pensiero economico contemporaneo (“L’età della disgregazione”, Laterza, 2019): “di fronte alla frammentazione che caratterizza oggi la ricerca in campo economico”, egli ne ricostruisce le linee di sviluppo, evidenziando i nessi che le legano e le filosofie sottostanti, e spiegando le contrapposizioni e le diverse interpretazioni “di cui è ricca la ricerca teorica in campo economico, nonostante la pretesa tante volte richiamata di obiettività scientifica”.[...]
La quarta rivoluzione industriale è già qui
Resistenza alla “tecnofobia” e riscatto del lavoro
di Gianfranco Sabattini
Marco Bentivogli, segretario nazionale della Federazione Italiana dei Metalmeccanici della CISL, nel libro “Contrordine compagni. Manuale di resistenza alla tecnofobia per la riscossa del lavoro e dell’Italia”, passa in rassegna le grandi tendenze dell’innovazione (quella già in atto e quelle che si prospettano nel medio-lungo periodo). Egli si propone, da un lato, di diffondere una maggior conoscenza circa i contenuti della quarta rivoluzione industriale (della quale dovrebbe essere portatore il progetto “Industria 4.0”) e delle tecnologie che la renderebbero possibile; dall’altro lato, intende però dimostrare quanto sia necessario vincere la ritrosia della politica e del sindacato ad accettare l’inevitabilità dell’innovazione nell’ambito del mondo del lavoro.
Bentivogli è certo che la conoscenza anticipata delle implicazioni dell’innovazione possa costituire, se ben governata, uno straordinario mezzo per la soluzione dei principali problemi economici attuali e per il miglioramento della condizione umana. Il “Manuale” ha infatti l’obiettivo di spiegare, nel modo più chiaro possibile, che “il futuro è un formidabile terreno di sfida in cui nulla è predeterminato”, per cui è importante “cogliere alcune tendenze già in atto, e soprattutto decidere cosa e come fare perché la persona resti il fine di ogni progetto umano, che sia economico, industriale, tecnologico o sociale”.
Dalla prima grande rivoluzione nella storia dell’umanità, quella neolitica, sono stati necessari diversi millenni – afferma Bentivogli – “per fare il successivo passo in avanti di portata paragonabile: l’introduzione di tecnologie industriali mai sperimentate precedentemente, alle quali è dato convenzionalmente il nome di Rivoluzione Industriale”. La rivoluzione neolitica, nel X millennio A.C., attuatasi in periodi diversi in varie aree del mondo, ha portato alla transizione da una economia di sussistenza (basata su caccia e raccolta) all’addomesticamento di animali e alla coltivazione di piante. Essa ha avuto profonde conseguenze, non solo sul piano strettamente esistenziale, ma anche sulla struttura sociale delle comunità preistoriche; mentre la pratica dell’attività della vita nomade giustificava l’esistenza di piccole comunità di limitate dimensioni e poco strutturate da un punto di vista sociale, l’”invenzione” dell’agricoltura stanziale ha dato inizio alla formazione di comunità sedentarie di sempre maggiori dimensioni e complessità.
L’incremento della popolazione verificatosi con il consolidarsi della sedentarietà delle comunità ha dato luogo, a sua volta, ad una strutturazione della società fondata sulla divisione del lavoro, nonché allo sviluppo degli scambi e del commercio. Inoltre, con la rivoluzione agricola, l’uomo ha iniziato lo sfruttamento dell’ambiente naturale, reso possibile da un continuo miglioramento degli strumenti di lavoro, inaugurando in tal modo un’attitudine che ne ha caratterizzato, nel bene e nel male, la sua successiva storia come essere sociale.
Oggi, col termine “Industria 4.0” viene indicata la moderna tendenza all’automazione nell’attività industriale, con l’adozione di nuove tecnologie produttive fondate sull’”Intelligenza Artificiale”, che consentono di migliorare anche le condizioni di lavoro. In termini tecnici, l’intelligenza artificiale è un ramo dell’informatica che permette la programmazione e la progettazione di tecnologie in grado di dotare le macchine di determinate caratteristiche considerate proprie dell’uomo. Un sistema intelligente è infatti realizzato cercando di ricreare una o più di queste caratteristiche che, sebbene siano definite umane, in realtà sono il risultato di particolari comportamenti riproducibili meccanicamente.
Sull’impatto dell’introduzione dell’intelligenza artificiale nell’organizzazione della produzione non vi è accordo tra gli esperti, sia riguardo alla conservazione dei livelli occupazionali, sia riguardo alle condizioni alle quali sono costretti ad attenersi i lavoratori nell’espletamento delle proprie mansioni. Per alcuni, il miglioramento dei livelli occupazionali e delle condizioni del lavoratore sarebbero solo promesse, simili a quelle che ogni trasformazione tecno-organizzativa sinora verificatasi ha di solito portato con sé; per altri, invece, la complessa riorganizzazione del mondo della produzione, realizzata con gli investimenti in infrastrutture, scuole, sistemi energetici, enti di ricerca ed altro ancora, oltre che aumentare i livelli produttivi, consentirebbe di migliorare anche le condizioni del lavoratore.
La disparità di questo può essere compresa solo considerando in una prospettiva storica intesa solo giudicando i continui miglioramenti tecnologici verificatisi dopo l’”invenzione” dell’agricoltura stanziale, rilevandone le diverse fasi che si sono succedute nel tempo; ciò rende possibile valutarne l’impatto sul mondo del lavoro in relazione alle condizioni esistenziali prevalenti in ognuna della fasi considerate.
Dalla rivoluzione neolitica sino alla fine del XVIII secolo, il progresso tecnologico ha proceduto molto lentamente, tanto da caratterizzare l’intero intervallo temporale come l’era della “scarsità” e di un’esistenza dell’umanità caratterizzata da condizioni di prevalente povertà. Alla fine del XVIII secolo, sulla scorta delle idee dell’Illuminismo e del progresso scientifico e tecnologico verificatosi con la Rivoluzione Industriale ha avuto inizio il riscatto dell’umanità dalla povertà.
Questa “Rivoluzione” ha avuto cadenze temporali diverse: una prima fase ha interessato i settori produttivi che hanno potuto avvalersi dell’introduzione della macchina a vapore. Una secondo stadio, sviluppatosi intorno agli anni Ottanta dell’Ottocento, è stato contrassegnato dall’introduzione dell’energia elettrica nei processi produttivi e dall’aumento della rete commerciale internazionale, reso possibile dalla diminuzione del costo del trasporto. Una terza fase, il cui inizio è collocato convenzionalmente nella seconda metà del secolo scorso, ha determinato una stretta connessione dell’informatica coi processi produttivi; con questa connessione viene anche identificato l’insieme dei processi di trasformazione della struttura produttiva, caratterizzati da una forte propensione all’innovazione tecnologica e dal conseguente sviluppo economico dei sistemi sociali, resi sempre più integrati tra loro dal processo di globalizzazione delle economie nazionali.
Infine, un’ulteriore rivoluzione industriale, tutt’ora in corso, è destinata a caratterizzare il futuro delle moderne economie industriali; il sup obiettivo è quello di introdurre il tele-lavoro, le cui caratteristiche sono espresse dal progetto “Industria 4.0”. Con il lento materializzarsi degli esiti di questa nuova rivoluzione industriale, saranno i sistemi produttivi strettamente connessi con i sistemi informatici a determinare le trasformazioni del mondo del lavoro. Queste ultime provocheranno il decentramento dei processi produttivi, che si svolgeranno, non più all’interno dei ristretti confini degli Stati-nazionali, ma all’interno del mercato globale nato dalla integrazione delle economie nazionali.
E’ diffusa l’opinione di molti esperti secondo i quali l’avvento della quarta rivoluzione industriale influenzerà profondamente l’evoluzione delle modalità produttive e lavorative; esso avrà l’effetto di creare molti milioni di nuovi posti di lavoro, ma contemporaneamente anche quello di distruggerne molti di più. Oltre ai benefici, soprattutto in termini di efficienza, la realizzazione del progetto ”Industria 4.0” provocherà un radicale cambiamento delle relazioni tra il mondo della produzione e lo svolgimento delle attività lavorative; ciò perché diventerà possibile organizzare il “lavoro in remoto”, dando luogo ad una generalizzata sostituzione dell’uomo nella gestione della produzione.
Alcuni centri di ricerca prevedono che entro il 2025 circa un quarto dei lavori che oggi si conoscono saranno sostituiti da robot intelligenti. La nuova rivoluzione industriale è sicuramente ancora all’inizio, ma è certo che con l’avvento del tele-lavoro non sarà più possibile, come avveniva nel passato, avvalersi delle tradizionali politiche attive del lavoro per assicurare un ruolo lavorativo a quanti saranno coinvolti nella crescente disoccupazione strutturale irreversibile.
Le società del futuro avranno a loro disposizione minori strumenti con cui opporsi alle conseguenze delle innovazioni tecnologiche, in quanto la rivoluzione digitale sarà caratterizzata da dinamiche diverse da quelle proprie delle precedenti rivoluzioni. Ai tempi della meccanizzazione dei processi produttivi, i mutamenti originavano sconvolgimenti nelle combinazioni produttive solo in settori specifici dell’economia, mentre gli esiti della rivoluzione digitale avranno carattere generale e investiranno indistintamente tutti i settori produttivi. La domanda alla quale occorre allora dare una risposta è: sino a che punto il sistema sociale potrà sopportare la formazione al suo interno di una crescente massa di disoccupati strutturali, senza correre il rischio di collassare?
Il vero problema della condivisione della quarta rivoluzione industriale è la mancata previsione delle procedure da attuare per tutelare chi non potrà più disporre di un reddito attraverso la partecipazione al lavoro. Coloro che condividono con entusiasmo acritico l’attuazione del progetto “Industria 4.0” solitamente non indicano il rimedio a questo problema, limitandosi ad osservare che la riorganizzazione del mondo della produzione comporterà la necessità di una nuova politica sociale. Il silenzio su questa carenza viene meno solo per iniziativa di chi è propenso ad esaltare la digitalizzazione dell’economia senza una razionale valutazione del come risolvere i problemi sociali conseguenti, qualificando le proposte volte a garantire in ogni caso un reddito a chi suo malgrado resta senza lavoro dotate di un “fascino sinistro”; ciò perché, a parere di chi è acriticamente affascinato dalla progetto “Industria 4.0”, queste proposte varrebbero solo a “’spezzare’ il legame tra sforzo e ricompensa”. Conseguenza, questa, considerata negativa ai fini della crescita e del progresso dell’umanità, perché avrebbe l’effetto di impedire alla forza lavoro disoccupata involontariamente (ma senza la possibilità di un reinserimento in un nuovo rapporto di lavoro) di essere valorizzata.
Ma come può essere valorizzata la forza lavoro espulsa involontariamente dalla stabilità occupazionale e destinata solo ad aumentare l’”esercito della disoccupazione strutturale ed irreversibile”? Su questo punto Bentivogli non ha dubbi: occorre accompagnare la nuova rivoluzione industriale con una rivoluzione culturale. E’ questa una condizione che non ha alternative, perché per le società, tra le quali l’Italia, i cui componenti si sono trovati soli di fronte agli esiti negativi della crisi del 2007-2008, non “esistono scorciatoie”; per le società in crisi non esistono, “né le facili ricette della ‘rottamazione’ [...], né la spinta verso il sogno perpetuo [...] di un cambiamento radicale”. A parere del sindacalista Bentivogli, entrambi gli approcci sfocerebbero “nella fragile personalizzazione della politica e nel populismo”.
Che fare allora? Nel breve periodo, occorrerebbe dare “contenuto e forma alla rabbia e alla disperazione delle persone”, assolvendo a quella che da sempre è la tipica funzione dei sindacati; per cui questi ultimi dovrebbero abbandonare il ruolo di presidio degli insostenibili livelli occupazionali. In particolare, i sindacati, secondo Bentivogli, farebbero meglio a “ridurre” il dibattito sugli aspetti tecnologici ed economici della fase attuale di ristrutturazione del mondo della produzione e del lavoro, spostando il focus della discussione circa gli effetti della rivoluzione digitale in atto “su un terreno culturale, etico e di senso”. I sindacati, infine, dovrebbero soprattutto tenere conto che, per “effetto delle rivoluzione digitale, la cultura si deterritorializza”, in quanto la “condivisione di credenze, valori, esperienze, tradizioni, non avviene più all’interno del ghetto della comunità organica chiusa, ma si apre all’influenza e alla contaminazione dello spazio aperto dalla comunicazione globale”.
Per quanto possa sembrare condivisibile, l’approccio di Bentivogli ai problemi attuali delle moderne società industriali, è privo però della messa a punto di una pre-condizione ineludibile, espressa dalla necessità di indicare preventivamente come rendere possibile lo spostamento della discussione circa gli effetti della rivoluzione digitale “su un terreno culturale, etico e di senso”, risolvendo senza pregiudizi il problema della riforma delle modalità di distribuzione del prodotto sociale e prescindendo dal legame, sinora considerato insopprimibile, tra “sforzo e ricompensa”.
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Che succede?
COME CHE SIA, USCITI DA UN INCUBO. E FORSE UN PERCORSO RIGENERANTE
6 Settembre 2019 by Forcesi | su C3dem.
Il programma di governo.”Quanto durerà?“. secondo cinque politologi (Corriere della sera). I pareri di Antonio Polito sul Corriere della sera (“Forza e debolezza di un’alleanza”), Marcello Sorgi su La Stampa (“I populisti nella rete della Dc”), Stefano Cappellini su Repubblica (“Un esperimento al buio”), Marco Tarquinio sull’Avvenire (“Non sia tempo supplementare”), Marco Revelli intervistato dal Fatto (“Un governo di salute costituzionale”), Marco Travaglio (“Alla prova del Fatto”), Raniero La Valle sul suo blog (“Il miracolo dell’antifascismo”).
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La storia della medicina
di Piero Marcialis
54. Joseph Lister, vittoria sull’infezione.
Abbiamo visto come a metà ‘800 l’avvento della anestesia abbia risolto il problema del dolore negli interventi operatori.
Un altro grave problema andava però affrontato e risolto: la grande mortalità causata dall’infezione post-operatoria.
Joseph Lister nasce il 5 aprile 1827 a Upton, un piccolo villaggio rurale, famiglia agiata ma, quel che più conta, padre appassionato del microscopio. Pur essendo mercante di vino Joseph Jackson Lister apporta miglioramenti alla tecnica microscopica, tali da misurare il diametro dei globuli rossi.
Figlio di tanto padre, Joseph si laurea in medicina a Londra e diviene assistente a Edimburgo di James Syme, primo chirurgo d’Europa. Sposerà la figlia di Syme, Agnes, che diverrà la sua più preziosa collaboratrice.
Partito da studi sul tessuto contrattile dell’iride, sugli elementi muscolari della cute, primi passi verso la chirurgia, studia gli stadi dell’infiammazione e la coagulazione del sangue. Intuisce che diverse dai miasmi sono le cause dell’infiammazione, dell’infezione, della suppurazione, ed è lo studio di Pasteur che gli rivela come causa i microrganismi.
Come combatterli? La scelta cade sull’acido fenico. [segue]
Oggi venerdì 6 settembre 2019
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Il risveglio della ragione
6 Settembre 2019
Luigi Ferrajoli su Democraziaoggi e Aladinpensiero.
Le ragioni di Luigi Ferrajoli favorevole alla nascita del nuovo Governo.
C’era bisogno di un governo di esplicita e dichiarata difesa della Costituzione che ristabilisse i fondamenti elementari della nostra democrazia costituzionale e fosse alieno dall’accanimento contro i più deboli e indifesi.
C’è una ragione di fondo che impone la formazione di un […]
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E’ nato
[Il Fatto quotidiano] E’ nato il governo Conte 2: i ministri hanno giurato. Primo atto: l’ex premier Gentiloni commissario Ue. Spunta l’ipotesi di delega all’Economia a Bruxelles.
La storia della medicina
di Piero Marcialis
53. Wells e Morton, le tristi storie dei due pionieri dell’anestesiologia.
Eliminare o almeno alleviare il dolore, tanto più in fase di cura, è sempre stata la preoccupazione principale della medicina, fin dai tempi degli Assiri o degli Incas.
Si fece ricorso per secoli ai sistemi più diversi, dalla suggestione magico-religiosa all’ipnosi, dalla farmacologia all’agopuntura: mandragora, oppio, hascisc, foglie di coca, alcol, misture varie come il laudano, furono utilizzate.
È finalmente nel secolo XIX che si trova la moderna risposta al problema.
Padre fondatore del metodo dell’anestesia è stato un dentista statunitense, Horace Wells. [segue]