Monthly Archives: settembre 2019

Che succede?

c3dem_banner_04E RENZI SE N’È ANDATO…
18 Settembre 2019 su C3dem.
L’intervista di Matteo Renzi al Corriere della sera del 17 settembre: “Perché lascio il Pd”. Nicola Zingaretti, “Ora il Pd guardi al futuro. Renzi non l’ho capito” (intervista a Repubblica). L’editoriale di Ezio Mauro: “L’ossessione del comando” (Repubblica). Stefano Ceccanti, “No alla scissione e sì a una sinistra liberale e riformista” (blog-rassegna 18 sett.) e “Questo non è il partito della sinistra conservatrice” (intervista al Mattino). Paolo Pombeni, “Scisma sismico” (mentepolitica.it) e “Renzi, tribuno senza popolo” (Il Quotidiano). Graziano Delrio, “Matteo sbaglia, ho condiviso le sue battaglie e questo addio mi addolora” (intervista a Repubblica). Paolo Ermini, “Una scissione senza bandiere” (Corriere fiorentino). Enrico Morando, “Grave errore, il Pd è contendibile. Rischio irrilevanza” (intervista all’Avvenire). David Allegranti, “Romanzo scissionista” (Foglio). Stefano Folli, “I primi nodi di Renzi” (Repubblica). Claudio Cerasa, “Le buone notizie dal partito di Renzi” (Foglio). Francesco Verderami, “Conflitto permanente con il M5s. La strategia per prendersi la scena” (Corriere della sera). Gianfranco Pasquino, “Ma sì che se ne vada, ora va recuperata la sinistra sfilacciata” (intervista al Fatto). Walter Verini, “La nuova alleanza in Umbria” (intervista a Il dubbio). Raniero La Valle, “Dare il nome alle cose” (chiesa dei poveri, chiesa di tutti).

Sardegna plastic free. Buoni esempi dai Comuni.

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Revisionismo storico. Il nazismo è il male assoluto in nessun modo equiparabile al comunismo

Il pensatore di Rodindi Antonio Dessì.

La recente risoluzione del Parlamento europeo (votata anche dagli europarlamentari del PD) [La risoluzione del Parlamento Europeo (19 settembre 2019): https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-9-2019-0021_IT.html], che condanna, equiparandoli, nazifascismo e comunismo, va valutata alla luce del contesto in cui è stata approvata.
Benchè i sovranismi abbiano vinto le elezioni europee in alcuni Paesi dell’Unione, complessivamente la velleità di spostare a proprio favore l’assetto rappresentativo e di governo dell’intera UE è fallito.
Ciò non ha evitato tuttavia che la maggioranza politica negli organi europei, in particolare nel Parlamento di Strasburgo, si sia ulteriormente spostata in senso moderato-conservatore.
La cultura politica delle componenti moderate e conservatrici ha antiche radici ideologiche non solo anticomuniste, ma anche antisocialiste e resta, più o meno consapevolmente, tuttora afflitta dalla memoria dei traumi che i movimenti degli anni ‘60 e ‘70 del secolo appena trascorso provocarono a ovest come a est, mettendo in discussione un ordine internazionale fissato dalla “Guerra fredda”.
Quell’ordine che sul piano interno di gran parte dei Paesi aderenti ai due blocchi, sia pure in misura diversa, aveva congelato per più di vent’anni cultura, costumi, valori, rapporti e gerarchie sociali e politici. [segue]

Oggi sabato 21 settembre 2019

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L’Italia che non c’è ovvero la “dissonanza cognitiva” degli italiani sullo stato del Paese
21 Settembre 2019
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Nei sistemi democratici i cittadini sono chiamati a concorrere, con il loro consenso, alla soluzione dei problemi che caratterizzano lo Stato del quale fanno parte. Per svolgere efficacemente questa funzione, è necessaria una corretta conoscenza di tali problemi; l’informazione statistica consente di rilevare le condizioni politiche, sociali ed economiche di un dato Paese, risultando, […]
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Oggi e Domani: un giorno per bene

ab8e30a1-1c1f-4f12-a2b5-1399d1bcaf44Il 21 e 22 settembre sarà “Un giorno per bene”, evento nazionale del Touring Club Italiano per prendersi cura dei beni comuni del Bel Paese (https://www.touringclub.it/news/un-giorno-per-bene-liniziativa-touring-p…).
[segue]

Oggi venerdì 20 settembre 2019

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fff-20-9-19fff-cagliariFridays For Future – Cagliari
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RWM. La produzione di bombe è vietata: è saggio insistere?
20 Settembre 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Gli operai di Domusnovas chiedono giustamente rassicurazioni sul futuro dopo la sospensione delle licenze alle esportazioni di armi. Ma è nel loro interesse insistere in una produzione vietata dalla legge italiana, da trattati e dalle risoluzioni internazionali?
La Rwm di Domusnovas
Dire come stanno le cose è così difficile? Possibile che […]
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Sciopero globale del clima 20-27 settembre

20-27-sett-19Sciopero globale del clima 20-27 settembre:
4685 eventi in 142 paesi in tutti i continenti. Compreso l’Antartide.
E contando…
Tutti sono i benvenuti.
Tutti sono necessari.
Trova il tuo sciopero più vicino o registrati il tuo su https://www.fridaysforfuture.org
Diffondete la voce!

#FridaysForFuture #ClimateStrike #schoolstrike4climate School Strike For Climate

Sostenibilità

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Muoversi nella città del futuro
Rete della Conoscenza, su Sbilanciamoci
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18 Settembre 2019 | Sezione: Ambiente, primo piano. Su Sbilanciamoci.

L’obiettivo dell’UE al 2030 consiste nella riduzione del 40% di emissioni climalteranti. Per raggiungerlo i governo, Italia compresa, dovrebbero adottare piani per la transizione alla mobilità sostenibile, privilegiando il trasporto pubblico locale.

Gli ultimi due rapporti dell’IPCC dell’ONU e la mobilitazione di Fridays for Future hanno rilanciato l’allarme sulla catastrofe climatica a cui andiamo incontro, ma le scelte delle classi politiche mondiali sono tutt’altro che adeguate a salvare il nostro futuro. L’obiettivo dell’UE al 2030 consiste nella riduzione del 40% di emissioni climalteranti – obiettivo insufficiente – tramite l’approvazione da parte di ogni Stato membro di un Piano nazionale Energia e Clima che programmi dettagliatamente una serie di misure settoriali per la riduzione delle emissioni. Tra i settori interessati, quello dei trasporti è uno dei più importanti, poiché circa un quinto delle emissioni di gas serra europee deriva dal trasporto su strada. Il pericolo del cambiamento climatico deve essere l’occasione per immaginare un nuovo modello di città, caratterizzata da zero emissioni climalteranti e da maggiore benessere per i cittadini. La mobilità in una società interconnessa, oggi ma ancor più in futuro, è un diritto fondamentale per accedere alla cultura, al lavoro, determina le possibilità di autodeterminazione. Potersi muovere nel territorio e fuori dal proprio territorio, senza necessariamente abbandonare la propria terra, è un diritto che può essere garantito con l’utilizzo del progresso tecnico al servizio di tutte e tutti. Nella città del futuro che vogliamo, ciascuno può avere accesso libero e gratuito ad un trasporto pubblico ecologico e capace di connettere le aree urbane e i territori, eliminando i confini tra aree interne e metropoli, tra centri e periferie.

L’Italia è immobile, diamo una spinta alla storia.

In Italia ci sono più di 37,2 milioni di automobili private in circolazione (Pendolaria 2018) e il 58,6% dei trasporti totali avviene in automobile, ma gli ultimi Governi non hanno adottato un piano per la transizione alla mobilità sostenibile. La rivendicazione di una politica industriale sulla produzione e diffusione dell’auto elettrica viene troppo spesso utilizzata per nascondere il problema centrale del nostro stile di vita: siamo troppo dipendenti dai veicoli privati. L’Italia dovrebbe stabilire per legge la messa al bando dei veicoli diesel entro il 2025, ma pensare di sostituire tutto lo stock attuale con automobili elettriche avrebbe un impatto dannoso sull’ambiente, per via del consumo di risorse necessarie alla produzione e carica elettrica. Seppure riteniamo importante lo sviluppo della mobilità privata elettrica, per tutelare i lavoratori del settore dell’automotive e rilanciare la riconversione delle industrie inquinanti, pensiamo che lo Stato debba concentrarsi soprattutto sull’investimento nella mobilità elettrica pubblica. Dovremmo affrontare un cambio di paradigma sul diritto alla mobilità, investendo sul trasporto pubblico, rendendolo capace di soddisfare i bisogni di ogni cittadino con risparmio di risorse e tutelando l’ambiente. Tuttavia nel nostro Paese persino la mobilità su ferro continua ad essere arretrata, sia rispetto all’efficienza del servizio che all’impatto ambientale del trasporto ferroviario. Solo il 68,7% della rete ferroviaria italiana nel 2017 era elettrificata, con casi di grave arretratezza come in Molise, dove 205km su 265km totali di ferrovia funzionano ancora con motori diesel. Serve un piano industriale che risponda alle rivendicazioni dei lavoratori, con investimenti sulla produzione di veicoli ecosostenibili per il trasporto pubblico, come nel caso di Industria Italiana Autobus.

Il costo dei carburanti sempre più elevato, in un Paese attraversato da sempre maggiori disuguaglianze, ha portato ad un aumento dei pendolari. I cittadini che usufruiscono quotidianamente del trasporto ferroviario regionale sono 2,8 milioni nel 2017, segnando un aumento di passeggeri del 6,8% rispetto al 2010, a fronte di un aumento dell’offerta del 0,2% nello stesso periodo. I passeggeri che ogni giorno utilizzano la metropolitana – presente in sole 7 città italiane – sono 2,7 milioni, ma più della metà (1,7 milioni) riguardano la sola metro di Milano. Eppure il 42% della popolazione italiana vive nelle città metropolitane e gli studi demografici sono unanimi nel prevedere in futuro una ulteriore concentrazione della popolazione nelle città. La dimensione dei collegamenti metropolitani, tramviari e ferroviari suburbani dell’Italia è nettamente inferiore a quella di Paesi come Francia e Germania. Nei territori in cui sono stati fatti investimenti sulla qualità del servizio su rotaia – treno, tram e metro – i passeggeri sono aumentati notevolmente (ex: triplicati in Alto Adige tra 2011 e 2017). Questi dati dimostrano che i cittadini sarebbero disposti a cambiare abitudini, ma non ci viene garantito un servizio di qualità per unire maggiore benessere ad un modello più ecologico di mobilità.

L’età media dei treni in tutta Italia è di 16,8 anni, mentre al Sud è di oltre 19 anni contro i 12 anni del Nord. Al Sud gli investimenti in nuovi treni non sono sufficienti a rinnovare una flotta sempre più antiquata. I dati annuali tra 2009 e 2017 sul numero di passeggeri che utilizza il treno dimostrano come in alcune Regioni, prevalentemente al Nord, i passeggeri siano quasi raddoppiati (in Emilia-Romagna da 106.500 a 205.000) mentre in altre Regioni, soprattutto al Sud, siano drasticamente diminuiti (in Sicilia da 50.300 a 37.600). Nella sola Lombardia ci sono più corse ferroviarie giornaliere che in tutte le Regioni del Sud Italia.

Anche nei territori in cui gli investimenti sul trasporto ferroviario sono stati relativamente maggiori, la qualità del servizio non è comunque adeguata alla domanda: è il caso della Lombardia, in cui i pendolari lamentano sempre maggiori disagi e disservizi, come nel caso della frequentatissima tratta Milano-Bergamo via Treviglio.

Redistribuire la ricchezza per il diritto alla mobilità sostenibile

La spesa media delle Regioni per il servizio di trasporto ferroviario è dello 0,45% del bilancio annuale. In seguito ai tagli dello Stato centrale sui finanziamenti alle Regioni per il trasporto pubblico locale, alcune Regioni hanno compensato con maggiori fondi regionali, mentre altre hanno permesso la riduzione delle risorse destinate al servizio.

Tra il 2009 e il 2014 le risorse dello Stato centrale per il trasporto ferroviario sono calate del 20,4% mostrando il totale disinteresse della nostra classe politica per un piano di transizione ecologica della mobilità. Il Governo Conte con la Legge di Stabilità 2019 ha tagliato di 56 milioni il finanziamento statale per il trasporto pubblico regionale: una scelta inaccettabile che sacrifica sull’altare dell’austerità il progresso del trasporto pubblico italiano e la riduzione delle emissioni climalteranti.

Ogni anno circa 1,7 miliardi vengono stanziati nella Legge di Bilancio dello Stato per finanziare sussidi per l’autotrasporto, sottraendo importanti risorse che permetterebbero un balzo in avanti nello sviluppo della mobilità sostenibile in Italia. Lo Stato centrale dovrebbe aumentare gli stanziamenti innanzitutto tramite maggiori tasse su multinazionali e la minoranza ricca della popolazione che non ha pagato la crisi economica dell’ultimo decennio. Coloro che si sono arricchiti su questo modello di sviluppo insostenibile devono adesso contribuire più di tutti ai costi della transizione ecologica. Allo stesso tempo l’Unione Europea, oggi dominata dalla retorica della Presidente della Commissione Von Der Leyen sull’ecologia, deve abolire i vincoli di bilancio che impediscono agli Stati di tutelare i diritti dei cittadini insieme agli investimenti necessari per la transizione.

Muoversi liberamente nella città del futuro

Il trasporto in automobile oggi è ben più costoso per un cittadino rispetto al trasporto pubblico, ma la qualità scadente o l’assenza del servizio impedisce a tanti di utilizzare i mezzi pubblici. Tuttavia non possiamo ignorare che il diritto alla mobilità è un diritto fondamentale dei cittadini, che permette l’accesso ad opportunità occupazionali, formative, culturali e di autodeterminazione personale. Perciò il trasporto pubblico locale è un servizio pubblico essenziale per la cittadinanza e in quanto tale deve essere gratuito per tutti i cittadini, finanziato attraverso la fiscalità generale in proporzione alla ricchezza e ai profitti di tutta la popolazione. L’amministrazione municipale di Berlino, dove il servizio di trasporto pubblico urbano è ben più efficiente di quasi tutte le città italiane, ha deciso di abbassare ad un euro al giorno il costo dell’abbonamento annuale, più che dimezzando il costo per tutti i cittadini e puntando a raggiungere in futuro la gratuità del trasporto pubblico per tutti. In Italia si può garantire la gratuità del trasporto pubblico locale con circa 3,5 miliardi di euro, pari alle entrate commerciali dei sistemi di trasporto pubblico locale nel 2014 (Osservatorio Conti Pubblici Italiani 2018). Per quanto riguarda il servizio ferroviario, si può garantire la gratuità con circa 3,2 miliardi. Con questi finanziamenti si potrebbe abbattere il costo delle tariffe, raggiungendo la gratuità del servizio come in Sardegna – dove è però limitata ai soli studenti residenti. Il 27 settembre per il terzo sciopero globale di Fridays for Future rivendicheremo in piazza la mobilità pubblica gratuita ed ecosostenibile, perché sui trasporti si gioca un’importante sfida per il nostro futuro.
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Oggi giovedì 19 settembre 2019

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———————Opinioni,Commenti e Riflessioni———————————
RWM. Lavorare uniti per una soluzione duratura
19 Settembre 2019
Giacomo Meloni su Democraziaoggi
CSS loghettoIn un incontro alla regione si è discusso ieri della RWM a seguito del divieto di esportazioni all’Arabia Saudita in esecuzione della legge italiana e dei trattati e delle risoluzioni internazionali.
Sulla fabbrica di Domusnovas la CSS avanza una proposta unitaria per una soluzione duratura che salvi i posti di lavoro.
La Confederazione Sindacale Sarda- CSS […]

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Scuola. Un’annosa questione: la didattica delle competenze
19 Settembre 2019
Lucio Garofalo su Democraziaoggi
La presunta “didattica delle competenze”, che oggi è il nuovo verbo e l’imperativo categorico della “scuola-azienda”, non tiene affatto conto di una considerazione logica elementare e di carattere generale, che è addirittura di “buon senso”, traducubile in un’organica ed efficace sintesi dialettica tra la teoria e la prassi. È la soluzione più corretta rispetto […]
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E’ online il manifesto sardo duecentonovanta

pintor il manifesto sardoIl numero 290
Il sommario
Ricostruire la politica contro odio, paure, indifferenza (Ottavio Olita), Il marchio del bandito di Annino Mele. Una storia da riconsiderare (Claudia Zuncheddu), La Sardegna non ha il metano (Antonio Muscas), Abusi edilizi in quel gioiello naturalistico di Tavolara? (Stefano Deliperi), Sul taglio di 160 posti di lavoro alla RWM (Arnaldo Scarpa e Giulia Guaita), Accademia di Belle Arti a Cagliari: forse ci siamo (Paolo Carta), Il ruolo della questione sociale nell’attuazione del disegno europeo (Gianfranco Sabattini), Turchia e dintorni. I 17 anni del potere di Erdoğan (Emanuela Locci), Come superare il malessere della Sardegna (Sandro Roggio), Proporzionale sì, ma senza sbarramento (Alfonso Gianni), Nasce l’Anonima Metano (red), LIBE.R.U propone una nuova legge elettorale per le regionali (Francesco Casula), Dalla marginalità alla centralità. Cosa facciamo da grandi? (Cristiano Sabino), Riforme istituzionali: quali priorità? (Massimo Villone), Perché non pensare ad una Cittadella della salute? (Massimo Dadea).
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Oggi mercoledì 18 settembre 2019

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———————Opinioni,Commenti e Riflessioni———————————
narciso-di-caravaggiodemocraziaoggi-loghettoRenzi spinge verso la balcanizzazione contro M5S e PD
18 Settembre 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Come al solito Tonino Dessì coglie al volo le dinamiche politiche, che anzi spesso anticipa. Nel caso della scissione di Renzi parla di ristrutturazione del sistema politico italiano, ma forse è più appropriato parlare di balcanizzazione. Nella ristrutturazione è insita l’idea di un ordine nuovo, diverso e talora più razionale rispetto a quello precedente, […]
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COMMENTI de il manifesto
La scissione del piccolo monarca
di Norma Rangeri
(…) Il cambiamento che vediamo potrebbe portare novità anche nell’area dispersa e ondivaga della sinistra, per giocare un ruolo importante, come ha fatto e sta facendo per esempio sul terreno delle migrazioni, del clima, del modello di sviluppo, del diritto ad avere diritti.
Ma ad una condizione: facendo esattamente l’opposto rispetto a Renzi. E quindi puntando sull’unità, non sulla divisione. Puntando sulle donne e sugli uomini, sul collettivo, più che sul potere individuale: di questi capipopolo pronti a rompere tutto se gli togli il giocattolo, il paese non ha bisogno.

[segue]

Oggi mercoledì 18 settembre a Cagliari

img-20190912-wa0001 Presentazione del libro di Francesco Occhetta dal titolo “Ricostruiamo la politica” – orientarsi nel tempo dei populismi.
Il primo incontro sarà oggi mercoledì 18 alle ore 18:15 a Cagliari nella sala conferenze Fondazione di Sardegna in via San Salvatore da Horta 2.

Newsletter

logo76Newsletter n. 162 del 17 settembre 2019

DARE IL NOME ALLE COSE

Care Amiche ed Amici, [segue]

Che succede?

Narciso di Caravaggio
di Tonino Dessì, su fb, ripreso da Aladinpensiero online.
La scissione di Renzi apre una fase di ristrutturazione del sistema politico italiano.
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Economia Civile

Terenzio mercatino pop Is Mirrionis
La responsabilità dei mercati nei confronti della
società civile

di Gianfranco Sabattini

In “Responsabili. Come civilizzare il mercato”, Stefano Zamagni intende mostrare come nella prospettiva dell’economia civile (intesa come teoria economica di mercato alternativa al capitalismo e fondata sui principi solidaristici di reciprocità e fraternità) sia possibile avanzare un concetto di responsabilità dell’agire in grado di integrare sia l’etica della responsabilità che quella delle conseguenze. In una stagione come quella attuale – egli afferma – “nella quale le forze del mercato controllano ormai il pianeta, è urgente muovere passi decisivi verso l’elaborazione di un concetto di responsabilità che vada oltre la familiare imputabilità”; ciò, al fine di tener conto delle conseguenze dell’azione economica, non solo sul soggetto che l’ha posta in essere, ma anche sull’intera collettività (non necessariamente racchiusa all’interno di un determinato Stato-nazione).
L’urgenza di elaborare un concetto di responsabilità più comprensivo rispetto a quello implicito nella logica del comportamenti economico è resa palese dalla considerazione che, “se pensare l’atto senza ascriverlo a chi lo compie” significa cadere in un inaccettabile oggettivismo (come se l’azione potesse esistere indipendentemente da chi agisce), del pari inaccoglibile è “la posizione del soggettivismo, secondo cui basterebbe l’intenzione buona a rendere tale l’azione”.
Tradizionalmente, il concetto di responsabilità, per l’agente che deve rendere ragione del suo agire, veniva inteso – secondi Zamagni – nel senso di una chiamata dell’agente a rispondere solo delle conseguenze delle proprie azioni; tale concetto aveva a suo supporto l’autorità della filosofia del libero arbitrio, secondo la quale ogni agente è dotato della capacità di essere causa dei propri atti e, di conseguenza di essere responsabile degli esiti negativi che da essi (gli atti) possono derivare. Da un cinquantennio a questa parte – continua Zamagni – ha preso forma un’accezione di responsabilità che è valsa a collocarla “al di là del principio del libero arbitrio e della sola sfera della soggettività, per porla in funzione della vita”; una collocazione che ha comportato un obbligo morale vincolante l’agente ne confronti del mondo.
In questo contesto, il focus della responsabilità è divenuto la vulnerabilità “degli esseri investiti dagli effetti di azioni, individuali e collettive”. Mentre nel passato il problema della responsabilità si poneva nei confronti di agenti nettamente individuabili, oggi, “di fronte alla portata cosmica del mercato e della nuova tecno-scienza”, le azioni individuali e collettive “possono turbare le stesse prospettive di sopravvivenza nonché le stesse basi biologiche della vita”. In queste condizioni – sottolinea Zamagni – il non danneggiare gli altri (che per l’etica liberale tradizionale è l’unico limite alla libertà d’agire a livello personale) non è più sufficiente, in quanto occorre fuoriuscire dall’indeterminatezza e stabilire chi siano “quelli” che non devono essere danneggiati.
Zamagni ritiene che, per uscire dall’incertezza si debba adottare la prospettiva di analisi della responsabilità fondata sull’”etica del futuro”, formulata dal filosofo tedesco Hans Jonas, in “Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica”. L’interpretazione del concetto di responsabilità offerta dal filosofo tedesco presuppone la liberazione dell’uomo dai problemi posti dal “dominio sconfinato della tecnoscienza” e della possibilità che le azioni ad essa informate “possano trasformare o alterare le strutture originarie della vita umana”. A tal fine, secondo Jonas, occorre che la responsabilità sia definita sulla base di un “imperativo non eludibile”, ovvero sulla base di un dovere, per l’essere umano, di non danneggiare se stesso con le proprie azioni e di difendere la specie umana, per garantirne la sopravvivenza. Da ciò consegue che l’uomo contemporaneo debba sempre comportarsi senza mai fare dell’esistenza una “posta in gioco nelle scommesse dell’agire”.
Secondo Jonas, le possibilità aperte dal potere conferito dai progressi della tecnoscienza hanno messo in crisi i presupposti impliciti all’etica della responsabilità tradizionale; in particolare è stato messo in crisi quello secondo cui l’azione dell’uomo non sarebbe mai stata in grado di violare la natura. Proprio per questo, in passato, la riflessione sulla responsabilità non aveva bisogno di porsi il problema della sopravvivenza della specie umana.
Tuttavia, secondo Zamagni, la prospettiva di analisi del concetto di responsabilità di Jonas presenta il limite di ridurre il fine “dell’uomo alla pura sopravvivenza, intesa in senso basicamente biologico”. Per l’economia civile, invece, il fine dell’uomo, e della società alla quale egli appartiene, non è il semplice sopravvivere, ma il “vivere bene”; ciò, per rendere possibile la “piena realizzazione di tutte le capacitazioni [nel senso di Amartya Sen] della persona”. Sul piano del vivere insieme, ciò implica – sostiene Zamagni – “una disponibilità da parte della politica alla trasformazione dell’assetto istituzionale esistente, non tanto alla sua conservazione con interventi meramente riformisti”, quanto al suo continuo adattamento alle aspirazioni dell’uomo alla realizzazione piena del proprio progetto di vita.
Dopo la lunga premessa sull’evoluzione del concetto di responsabilità e sulla più comprensiva definizione dello stesso formulata all’interno della prospettiva di analisi di Jonas, Zamagni si chiede: “Se il fondamento di un comportamento responsabile non può essere il solo calcolo economico, né il rispetto formale della norma legale, né la libertà di fare ciò che si vuole, dove lo si può cercare? [...] Se il fine ultimo è il compimento della persona [...], come un tale fine può essere perseguito in un ambito come quello economico”, dove la massimizzazione del risultato dell’azione individuale è “considerata condizione di successo nel mondo degli affari?”. Se è impossibile vivere senza un’economia di mercato – risponde Zamagni -, non è detto che questa sia l’unica via del progresso. Se il mercato è necessario, in esso possono essere oggetto di scambio solo le cose, non anche le persone e l’insieme delle loro reciproche relazioni, che stanno a fondamento del loro “vivere bene”. Esistono valori, asserisce Zamagni, che possono essere realizzati attraverso il mercato, solo se, secondo la prospettiva dell’economia civile, lo si considera come luogo in cui sia possibile perseguire la “virtù” e non solo la ricerca di “rendite”.
E’ noto come il mercato sia stato originariamente definito come il luogo all’interno del quale l’uomo è capace di dare vita, con le proprie azioni, a conseguenze buone o cattive a seconda delle circostanze, del tutto imprevedibili e non intenzionali; quindi del tutto indipendenti da ogni considerazione sulla moralità dell’agente. Con l’inizio della modernità e la progressiva affermazione del mercato, si è dovuto affrontare il problema di trovare il modo di “assicurare un ordine sociale senza ricorrere al principio d’autorità o a presupposti teologici”; se, con l’istituzionalizzazione del mercato, non si poteva prescindere che in esso potesse prevalere il “vizio” della ricerca di rendite da parte di agenti egoisti, occorreva trovare le particolari condizioni che in qualche modo valessero a “giustificare” il loro comportamento. La soluzione della “mano invisibile” di Adam Smith è servita allo scopo; secondo il filosofo-economista morale scozzese non era necessario assumere la moralità delle azioni degli agenti di mercato, a condizione che fossero stati “predisposti (e fatti correttamente funzionare) ben definiti meccanismi di mercato”. La genialità della metafora di Smith, a parere gi Zamagni, è consistita proprio nel fatto d’aver consentito di dimostrare che “gli individui servono l’interesse collettivo proprio quando sono guidati nelle loro azioni dall’interesse proprio”.
Nel mercato guidato dalla mano invisibile smithiana, gli esiti finali del processo economico “non conseguono dalla volontà di un qualche ente sovrastante [...], ma dalla libera interazione di una pluralità di soggetti, ognuno dei quali persegue razionalmente il proprio obiettivo, sotto un ben definito insieme di regole”. Per Zamagni, l’elegante dimostrazione di Smith, che il libero mercato, quando razionalmente governato, produce risultati ottimali, sia per gli agenti che in esso operano che per l’intera collettività, nasconde in realtà “elementi di fragilità”. Ciò perché, il ragionamento alla base del convincimento che il mercato possa consentire con libere scelte individuali, il perseguimento di risultati ottimali per tutti, “non è quasi mai vero”; sarebbe vero “se il soggetto che sceglie avesse preso parte alla definizione del menù di scelta”.
Infatti, la scelta sarebbe libera solo se gli agenti avessero preso parte alla definizione dell’insieme delle alternative tra le quali essi possono scegliere; se l’insieme delle alternative è gia dato, perché fissato da altri, la condizione di libertà di scelta non è soddisfatta. Si deve allora concludere – sottolinea Zamagni – “che l’inganno e la manipolazione delle preferenze degli agenti, essendo endemici al meccanismo di mercato”, determinino il venir meno della responsabilità degli agenti. Così stando le cose, accettare il libero mercato alla base dell’ordine sociale non implica necessariamente una sua organizzazione deresponsabilizzante; ciò perché esso (il mercato) può essere organizzato in maniera tale da fare sempre risaltare la responsabilità delle azioni degli agenti che in esso operano.
Quanto ciò sia necessario è reso evidente dal fatto che nella produzione di beni e servizi nelle condizioni storiche attuali (caratterizzate dalla presenza del fenomeno della globalizzazione), è “l’anonimato” dei suoi protagonisti (in particolare delle organizzazioni d’impresa) e gli effetti di lunga gittata delle loro operazioni che “tendono a scoraggiare o addirittura a dispensare gli individui dal sentirsi responsabili di quel che fanno”.
Negli ultimi due secoli, la scienza economica è stata in grado di far valere il senso di superiorità che le derivava dal fatto d’essere considerata la più scientifica delle scienze sociali; una presunzione fondata sul nucleo duro espresso “dal celebrato modello della scelta razionale”, posto a fondamento dell’agire dell’homo oeconomicus. Da qualche tempo – sostiene Zamagni – si è affermato “un interesse crescente degli economisti nei confronti del problema riguardante i presupposti antropologici del discorso economico”, ancora dominato da una concezione limitata del benessere personale e dall’incapacità di riconoscere la rilevanza dell’esistenza nell’uomo di “disposizioni che vanno oltre il calcolo dell’interesse personale”.
Tali insufficienze del discorso economico hanno motivato molti economisti a interiorizzare la necessità di un cambiamento del “raggio d’azione della ricerca economica”. Da questo allargamento è emerso con chiarezza – secondo Zamagni – “il segnale del disagio di continuare a muoversi entro una camicia di Nesso che impone di credere alla presunta neutralità del discorso economico”. I limiti del discorso economico tradizionale sono emersi con “conseguenze devastanti” in ambiti specifici della teoria economica, quali ad esempio quello della giustizia distributiva e quello della qualità dell’impatto sull’ambiente naturale delle moderne attività industriali.
I limiti che la teoria economica tradizionale ha sempre presentato riguardo al problema della giustizia distributiva sono riconducibili, a parere di Zamagni, innanzitutto al permanere del convincimento tra gli economisti della validità dei dogmi dell’ingiustizia, considerata l’esito di “una sorta di legge ferrea cui il genere umano mai si sarebbe potuto sottrarre”; oppure, l’esito della credenza che l’”elitarismo” dovesse essere sempre incoraggiato, nel convincimento che il “benessere dei più” potesse crescere “maggiormente con la promozione delle abilità dei pochi”. Riguardo al problema ecologico, l’insufficienza della teoria economica tradizionale è invece riconducibile alla persistenza di un altro dogma, quello secondo il quale il sistema economico, “attraverso i suoi stessi meccanismi”, sarebbe sempre riuscito a superare, con un continuo flusso di innovazioni tecnologiche, qualsiasi impatto negativo del processo produttivo sull’ambiate. Si tratta di un dogma smentito dalle modalità di funzionamento delle attuali economie industriali, i cui effetti esterni sull’ambiente, se nel passato potevano essere considerati trascurabili, oggi causano invece danni irreversibili sulle risorse naturali indispensabili per la vita dell’uomo.
Gli effetti delle ineguaglianze distributive e dei danni ambientali irreversibili sulla stabilità dell’attività produttiva e della tenuta della coesione sociale impongono oggi, conclude Zamagni, non solo una completa ristrutturazione degli attuali metodi produttivi, ma anche e soprattutto “nuove categorie di pensiero per una disciplina – l’economia appunto –troppo a lungo rimasta estranea” alle problematiche che agitano il mondo contemporaneo e all’urgenza di una più puntuale definizione di bene comune.
Non si può che condividere l’analisi critica che Stefano Zamagni formula nei confronti delle categorie proprie della teoria economica tradizionale; ugualmente va condiviso il suo convincimento che la ristrutturazione degli attuali metodi produttivi e l’introduzione, nel corpus teorico della teoria economica, di nuove categorie di pensiero dipendano dalla necessità che gli economisti, nello svolgimento della loro professione (per stabilire quali “regole e quali strumenti” rispondono a una più comprensiva definizione dei bene comune), si aprano più alla ragione sapienziale che a quella strumentale; il problema di fondo, però, sta nel fatto che, nell’esercizio della loro professione, la maggior parte degli economisti tende, oggi come ieri, ad aprirsi molto più alla ragione strumentale che a quella sapienziale.