Monthly Archives: agosto 2019
La storia della medicina
di Piero Marcialis, su fb
32. William Harvey.
Ancora nel XVI e nel XVII secolo circolavano medici le cui arretrate teorie e pratiche furono bersaglio di Shakespeare e soprattutto di Moliere: parrucconi oltremodo fiduciosi nelle purghe e nei salassi; eppure in quello stesso periodo la scienza medica si rifondò completamente arrivando a risultati validi ancora oggi.
Uno degli uomini che portarono a questo progresso fu, senza dubbio, William Harvey.
Nato il 1 aprile 1578, a Folkestone, primogenito di famiglia agiata, padre commerciante e sindaco della città, non volle occuparsi di commercio come il padre e i fratelli, ma preferì studiare, prima a Cambridge e poi a Padova dove, l’abbiamo già ricordato, ebbe come insegnante quel Girolamo Fabrizio di Acquapendente, successore di Vesalio, e dove si laureò brillantemente in medicina nel 1602.
Tornato a Londra esercitò all’ospedale di San Bartolomeo, con l’obbligo di visitare i poveri un giorno alla settimana durante tutto l’anno. Teneva inoltre due lezioni la settimana alla cattedra di anatomia e chirurgia, istituita da Lord Lumley e dal Dr. Caldwell, con l’obbligo una volta l’anno di “sezionare un cadavere per cinque giorni di seguito”. [segue]
Luna e non solo
E ora, quando si torna? Dopo aver celebrato il cinquantesimo anniversario dello sbarco sulla Luna e rivisto, con la medesima emozione di allora, Neil Armostrong effettuare il primo piccolo passo per un uomo ma un grande passo per l’umanità, la domanda viene spontanea: quando rifaremo il viaggio? E di che nazionalità sarà il primo astronauta a tornare sulla Luna? Gli aspiranti sono molti. Hanno progetti che riguardano la Luna il Giappone, Israele, l’Europa con l’Esa, l’India. Quest’ultima il 16 luglio, a cinquant’anni dal lancio di quell’Apollo 11, che consentirà al Lem di toccare il suolo lunare il 20 luglio 1969, stava per lanciare una sonda con l’obiettivo di posare sul satellite naturale della Terra un robot con finalità di ricerca scientifica, ma ha dovuto rimandare la missione per problemi tecnici. A riprova che andare sulla Luna, anche cinquant’anni dopo la storica prima volta, non è una passeggiata. Persino quando la missione non prevede la presenza dell’uomo.
Usa e Cina principali candidati al gran ritorno
I candidati principali al gran ritorno restano tre: la Russia, gli Stati Uniti e la Cina. Ma per tornare sulla Luna occorrono molti soldi. Almeno 150 miliardi di dollari o forse più. E questo vincolo induce a scartare subito la Russia, malgrado la grande tradizione spaziale che ha ereditato dall’Unione Sovietica e che, tutto sommato, è riuscita a rinnovare. I russi sono gli unici, per fare un esempio, che hanno navicelle che regolarmente frequentano la Stazione Spaziale Internazionale e in questo «servizio navetta» ospitano astronauti di tutti gli altri paesi, americani compresi. Mosca avrebbe le possibilità tecniche per raggiungere la Luna in un ragionevole lasso di tempo. Ma non ha i quattrini. E, dunque, scartiamo anche lei.
I candidati possibili restano due. Gli Stati Uniti d’America e la Cina. In uno scenario che, come vedremo, non è troppo diverso da quello che, nel 1961, spinse John Kennedy a lanciare il cuore oltre l’ostacolo e ad affermare, con un certo azzardo: gli americani pianteranno la bandiera a stelle e strisce sulla Luna prima che il decennio finisca.
La Nasa, l’agenzia che fu protagonista del progetto vincente cinquant’anni fa, non ne ha in questo momento uno nuovo. Tuttavia il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, cercando di imitare John Kennedy, si è dato e ha dato all’agenzia spaziale del suo paese un obiettivo a brevissimo tempo: un altro americano deve sbarcare sulla Luna entro il 2024. La data non è stata scelta a caso. Se Trump verrà eletto di nuovo alla presidenza Usa, il suo secondo mandato scadrà proprio nel 2024. E lui vuole legare il suo nome alla nuova avventura. Ma se la data proposta riguarda l’immagine del presidente, la motivazione a tornare ha altre concause più profonde. E anche più allarmanti. Ma su questo ritorneremo tra poco. Chiediamoci, per ora, quante possibilità ha Artemis – così si chiama il progetto caldeggiato da Trump – di diventare realtà? I problemi da affrontare sono tre. Uno tecnico, uno economico e infine uno politico.
Da un punto di vista tecnico non c’è dubbio: gli americani hanno la possibilità di ritornare sulla Luna anche in tempi così brevi, pur ripartendo praticamente da zero perché non hanno un progetto operativo in atto. Le cose sarebbero più facili se gli Usa si ponessero alla testa di una collabo- razione internazionale. Ma non sembra essere questa la prospettiva di Donald Trump.
Quello economico è un ostacolo serio. Finanziare la nuova missione lunare non è uno scherzo. Prevederebbe, probabilmente, di decuplicare l’attuale budget della Nasa. Ma con una decisione politica forte, un simile investimento non sarebbe fuori dalla portata degli States.
Eccoci, dunque, allo scoglio politico. Il repubblicano Donald Trump ha poche possibilità che la sua proposta passi. Lo scorso 25 giugno, per esempio, la Camera dei Rappresentanti, dove la maggioranza è democratica, ha approvato una proposta di budget per la Nasa da «tempi normali» e non ha neppure preso in considerazione il progetto di Trump. Al Senato, dove la maggioranza è repubblicana, la discussione (nel momento in cui scriviamo) è ancora in corso, ma non pare che lì in Campidoglio ci sia grande entusiasmo per Artemis.
il programma Cina
Difficilmente, dunque, un americano tornerà entro il 2024 sulla Luna. A meno che…
Che il lettore pazienti. Parleremo fra poco dell’opzione alternativa. Conviene ora riferirsi alla Cina, che ha al momento un programma più lento ma più affidabile. La Cina è stata costretta a lavorare in proprio nello spazio, anche a causa del veto americano a farla entrare nella «casa comune» della Stazione Spaziale Internazionale. Questo ha finito per favorire più che rallentare i progetti di Pechino. La Cina avrà presto una sua stazione spaziale orbitante ed è molto attiva sulla Luna. Lo scorso dicembre ha fatto sbarcare per la prima volta sulla faccia nascosta del satellite naturale della Terra una sonda, la Chang’e-4, dimostrando di aver acquisito capacità tecnologiche molto raffinate. Il prossimo dicembre lancerà la sonda Chang’e-5, cui sono affidati due compiti: raccogliere e mandare a Terra rocce lunari e creare le premesse per una base cinese sulla Luna. Perché quando il primo cinese sbarcherà sulla Luna – non oltre la metà degli anni ’30 – lo farà per restarci. O meglio, per mettere il primo tassello di una vera e propria colonia stabile. Riassumendo: il progetto di Donald Trump è a breve termine, ma non particolarmente solido. Il progetto di Xi Jinping è a medio termine ed è (o almeno, sembra) molto più solido. Quindi possiamo essere relativamente certi che al massimo nel giro di 15 anni un umano (maschio, perché no?, femmina) sbarcherà sulla Luna.
perché tornare sulla Luna?
Ma perché tornarci? Ci sono interessi (scientifici e non) così stringenti da giustificare enormi investimenti per ritornare sulla Luna? Qualcuno sostiene che saranno i privati a battere tutti per interessi economici. Lo scorso mese di dicembre Elon Musk – l’imprenditore che ha fondato e dirige, tra l’altro, la Space Exploration Technologies Corporation – ha persino presentato il primo passeggero, il giapponese Yusaku Maezawa, e la data (entro il 2023), ma non ha indicato il prezzo, comunque elevatissimo, del biglietto. Ma, fino a prova contraria, né Musk né alcun altro privato hanno presentato finora progetti di «ritorno alla Luna» credibili.
Ci sono altri interessi, magari indiretti ma più solidi. Quelli militari e geopolitici. C’è una competizione in atto tra gli Stati Uniti e la Cina che somiglia abbastanza a quella degli anni ’60 tra Usa e Urss. Washington e Pechino si confrontano non tanto sul piano ideologico, ma su quello economico, tecnologico e sempre più militare. E in questo confronto lo spazio sta acquisendo, a torto o a ragione, un valore strategico. Tanto che Donald Trump ha deciso di creare una nuova forza armata – dopo Esercito, Marina e Aviazione – che dovrà presidiare lo spazio. Le ragioni sono molte e quelle strettamente militari esulano dagli scopi di questo articolo. Difficilmente questa scelta resterà senza risposta da parte di Pechino. Stiamo andando, dunque, verso una nuova corsa alla militarizzazione dello spazio. Non è una bella notizia. Anzi, è una pessima notizia.
Ma, proprio come successe negli anni ’60 del secolo scorso, questa pessima notizia può avere effetti tangibili sul rilancio dell’esplorazione dello spazio, compreso il ritorno dell’uomo sulla Luna. Se, infatti, lo spazio assume un valore strategico, allora la possibilità di trovare risorse per affermare la propria supremazia militare e/o la propria immagine muscolare diventerà estremamente concreta.
La Luna potrebbe rientrare nel gioco di questo scontro, speriamo freddo. Ritorneremo, dunque, a un passato, anche spaziale, già visto? E assisteremo a un’autentica guerra dei due mondi?
Oggi venerdì 2 agosto 2019
Estate 2019. La nostra news non va in ferie. Tuttavia vi accompagnerà fino a metà settembre con ritmi più lenti, senza obblighi di scadenze quotidiane. Godetevi e godiamoci un periodo di rallentamento, di tempi lenti, per quanto ci è possibile. Buona estate a tutti noi e non perdiamoci di vista!
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Dopo lo “scommiato” cresce il movimento antifeudale fino ai moti angioyani
2 Agosto 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Subito dopo la cacciata dei piemontesi, nel luglio 1794 il re designa alle maggiori cariche del regno quattro alti funzionari sardi, fedeli ai Savoia: Gavino Cocco (reggente la Reale Cancelleria), Girolamo Pitzolo (intendente generale), Antioco Santuccio (governatore di Sassari), Gavino Paliaccio, (generale delle armi). Il 6 settembre 1794 giunge a Cagliari il nuovo viceré, Filippo […]
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Gioco d’azzardo e bombe vietate… del tutto o poco poco?
2 Agosto 2019
Amsicora su Democraziaggi.
Amici miei, forse sono presuntuoso, avete notato che scrivo sempre meno? Volete sapere il perché? Non ci sono dietro ragioni complesse, c’è solo un calo d’ispirazione. Lo scenario non è per nulla divertente, non si presta a osservazioni argute. Notizie horror che giornali e tv lanciano con dovizia di particolari orripilanti. Pugnalate, sangue a zampilli, […]
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Save the date – Punta de billets – Prendi nota
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Salvare la Terra e quanti la abitano – Incontro dibattito lunedì 16 settembre 2019
Berta Isabel Cáceres Flores
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Le ragioni scientifiche di Greta.
di Pietro Greco su Rocca.
Lasciamo perdere i costi, che ammonteranno ad (appena) lo 0,15% del Prodotto interno lordo dell’Unione europea. Ma gli obiettivi vincolanti di riconversione energetica per contrastare i cambiamenti del clima che, nero su bianco, si sono dati i 27+1 paesi del Vecchio Continente che si riconoscono nella Commissione di Bruxelles sono piuttosto ambiziosi. Anzi, [segue] ***La pagina fb dell’evento di lunedì 16 settembre 2019***
La storia della medicina
di Piero Marcialis, su fb.
31. Girolamo Fracastoro.
Un morbo nuovo e terribile si manifestò nel 1495 a Napoli durante l’assedio condotto da Carlo VIII di Francia.
Dicevano che il morbo fosse portato dai marinai che andarono con Colombo nelle Indie, che contagiarono gli spagnoli e che questi poi contagiarono i francesi.
I francesi chiamavano la malattia “la napoletana”, gli spagnoli invece “il mal francese”, infine un medico nel 1521 scrisse un poema e la chiamò “sifilide”: quel medico era Girolamo Fracastoro.
Nato a Verona nel 1483, da nobile famiglia, studiò a Padova e, oltre che alla medicina, da uomo rinascimentale, si dedicò anche a matematica, geologia, astronomia, musica e poesia.
Nel poema “Syphilis, sive morbus Gallicus” immagina che il pastore Syphilus fosse punito dagli dei con una malattia ripugnante e contagiosa, che descrive accuratamente nei sintomi e nella cura.
Merito straordinario di Fracastoro, che ne fa il fondatore della epidemiologia moderna, è l’aver immaginato l’esistenza di particelle invisibili, seminaria, che diffondono l’infezione per contatto diretto, per “fomiti” (attraverso capi di vestiario), per via aerea a distanza, quando la microbiologia era una scienza sconosciuta.
Fracastoro è anche il primo a riconoscere il tifo petecchiale.
Pubblica l’opera De Contagione nel 1546.
Fracastoro muore ad Affi, presso Verona, il 6 agosto 1553.
L’epoca del Rinascimento con lui, e altri di cui abbiamo già parlato, si rivela straordinaria non solo per ciò che riguarda l’arte, di cui molto di più si parla, ma anche per quanto riguarda il meraviglioso progresso della medicina.
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Su aladinpensiero online.
Che succede?
Non chiamatela politica.
di Carla Maria Casula*
Tutto sembra ruotare intorno a un ritmo binario, oscuro, contrastante, che oppone l’alfa e l’omega, la carnalità e l’effimerità, il rumore assordante e il silenzio più inquietante, il dinamismo e l’inerzia, la bontà suprema e la malvagità espressa all’ennesima potenza. Ognuno crede fermamente di essere assiso sul trono della giustizia, additando l’avversario storico come il prototipo del vizio. Conservatori contro sovversivi, censuratori contro permissivisti, punitivi contro buonisti. Due fazioni antitetiche nell’ideologia, ma convergenti nella bieca pretesa di incarnare la verità assoluta. Due squadre rivali, agguerrite, chiuse dentro il proprio ottundimento che vieta un lucido ragionamento, che nega un civile confronto, che ammanetta la logica del buonsenso e del rispetto. Le parole d’ordine sono “Manipolare”, “Strumentalizzare”, “Distorcere”, “Piegare la realtà dei fatti ai propri torbidi interessi”. Questo è il panorama biasimevole della politica attuale. Un’amministrazione della “cosa pubblica” che, se da una parte ha perduto il senso più genuino del prodigarsi per il bene della collettività e che mira, invece, al conseguimento dell’utile personale, dall’altra ha immolato la sacrosanta individualità dell’essere umano sull’altare della categorizzazione di partito, che uniforma e soffoca i moti di pensiero del singolo. Un’arte del governare che, oramai, si è trasformata in condotta che si nutre di desiderio di prevaricazione, avidità, negligenza e sfrutta gli eventi dolorosi per alimentare il proprio consenso. La politica è sfociata in consorteria della specie più abietta. Il diktat di partito viene imposto ai membri interni, senza possibilità di replica (pena l’ostracismo), ai simpatizzanti, agli elettori, sui quali si estendono gli inquietanti tentacoli del dispotismo. Insulti reciproci, linguaggio da bettole puzzolenti di microcriminalità, posizioni ideologiche estreme, che ledono gravemente la dignità umana, sia delle vittime, sia dei presunti colpevoli (è d’obbligo ricordare che prima di “vittime” e “colpevoli” si è esseri umani) sono il pane quotidiano. Si oscilla in un pernicioso moto che alterna intimidazioni persecutorie e rassicurazioni lassiste, invocazioni della pena capitale e assoluzioni paterne, minacce di drastiche repressioni e clemenza distribuita a profusione. Ci si sfida su Facebook a colpi di post, pregni di notizie palesemente manipolate e di osservazioni imperniate su inesattezze storiche, geografiche ed economiche, espresse con forme grammaticali devianti rispetto alle norme codificate, che farebbero inorridire linguisti e filologi di tutti i tempi.
La casta politica sembra impegnata in una spasmodica campagna al fine di catalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica attraverso espressioni da “fiera della banalità” o da “trionfo della contraddizione” e l’onere dà i sui frutti: un numero di accoliti a sei zeri, irretiti dal carisma che proviene dalla totale incompetenza nel governare e, evidentemente, inabili nel comprendere la gravità di espressioni che violano la “pietas” verso i defunti.
Ma dov’è finita quella politica – nell’accezione più nobile del termine – al servizio dei cittadini, del bene pubblico, attenta alle complesse esigenze dell’individuo, pervasa da un forte senso di giustizia, sensibile alle difficoltà delle fasce più deboli? Dov’è finita quella politica che non condanna a priori, ma analizza la realtà con apertura mentale, che non si esprime con sentenze manichee, che non cede al turpiloquio e all’insulsaggine delle “frasi fatte”, volte a far leva sulla dabbenaggine degli elettori? Dov’è finita quella politica che fa della rettitudine morale la propria bandiera, che alle dichiarazioni di onestà accompagna una condotta consona, che non interferisce inopportunamente nello svolgimento del compito degli altri organi dello Stato? Dov’è finita quella politica della quale ogni cittadino, di qualsiasi orientamento, dovrebbe sentirsi orgoglioso? Forse non è mai esistita o, forse, è relegata in un passato (non certo privo di zone scure che, fin dalla gloriosa nascita delle πόλεις (póleis), hanno sempre e comunque caratterizzato ogni periodo storico), nascosto sotto la polvere dei decenni che si accumulano, in cui i nobili rappresentanti si sentivano servitori e non dominatori e non millantavano competenze specifiche mediocri o inesistenti, con l’alterigia del più tronfio tacchino dell’allevamento.
Della politica resta solo il nome, “imago sine re”, oltraggiato nella sua etimologia dal cieco individualismo e dalla vergognosa bramosia di potere.
Non chiamatela politica.
*giornalista pubblicista.
Oggi giovedì 1° agosto 2019
Estate 2019. La nostra news non va in ferie. Tuttavia vi accompagnerà fino a metà settembre con ritmi più lenti, senza obblighi di scadenze quotidiane. Godetevi e godiamoci un periodo di rallentamento, di tempi lenti, per quanto ci è possibile. Buona estate a tutti noi e non perdiamoci di vista!
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[Democraziaoggi] Buone ferie e invito alle letture sulla “Sarda Rivoluzione”
1 Agosto 2019
Come ogni anno, ad agosto abbandoniamo l’attualità per pubblicare testi d’interesse culturale generale, salve le incursioni in materia economica di Gianfranco Sabattini e le noterelle di costume, se c’è ispirazione e materia, di Amsicora. Quest’anno parleremo della storia sarda, in particolare del c.d. “ventennio ricoluzionario“, che va dal respingimento dei francesi nel 1793 allo “scommiato” […]
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1793. Nobili e clero sardi organizzano la difesa contro i francesi della Grande Rivoluzione e presentano il conto ai Savoia
1 Agosto 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Dal respingimento dei francesi allo “scommiato” dei piemontesi
Nel gennaio 1793 la Francia rivoluzionaria tenta di conquistare la Sardegna. I francesi occupano l’isola di S. Pietro (8 gennaio), Filippo Buonarroti proclama la Repubblica, dà una Costituzione e viene piantato l’albero della libertà in un clima di festosa accoglienza. Poi la flotta francese, comandata dal contrammiraglio […]
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