Monthly Archives: luglio 2019
E’ online il manifesto sardo duecentottantasette
Il numero 287
Il sommario
Interazioni (Roberto Loddo), Grazie Tsipras. Da Atene la battaglia continua (Marco Revelli), La casa è in fiamme! (Lorenzo Tecleme e Marzio Chirico), Come vengono trattati i gioielli ambientali delle coste sarde (Stefano Deliperi), Il dramma della generazione dei “senza lavoro” (Amedeo Spagnuolo), Spiagge da aprire alle persone disabili (Claudia Zuncheddu), Turchia e dintorni. La NATO e i missili (Emanuela Locci), Equità distributiva e qualità delle democrazia (Gianfranco Sabattini), La scuola è il banco di prova per l’unità del Paese (Massimo Villone).
Che succede?
SUL PERCHE’ SALVINI RISULTA CONVINCENTE
15 Luglio 2019 by Forcesi | su C3dem
Paolo Gentiloni, “E’ la democrazia illiberale che accomuna la Lega e Putin” (intervista a La Stampa), Angelo Panebianco, “Il potere (non visto) di Putin in Occidente” (Corriere della sera). Marcello Sorgi, “E il capitano diventa vulnerabile” (La Stampa). Carlo Bonini, “Ricordate Mario Chiesa” (Repubblica). Mauro Calise, “La Lega e le prime strade in salita” (Mattino). Dario Di Vico, “Lo strano esperimento dell’economia formato Viminale” (Corriere della sera). Fabrizio Battistelli, “Perché Salvini risulta convincente” (il mulino). Alfio Mastropaolo, “I rigurgiti reazionari che non sappiamo combattere”. Nadia Urbinati, “La finta democrazia dei nuovi despoti” (Corriere della sera). ALTRO: Paola Peduzzi con Tony Blair, “Il populismo di sinistra non batte il populismo di destra” (Foglio). Pino Corrias, “Ho fame, mi dai qualcosa?” (Repubblica).
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DIFENDERE L’EUROPA DA SALVINI
15 Luglio 2019 by Forcesi | su C3dem.
Intervista di Enrico Letta a Repubblica: “Salvini lasci. Danneggia l’Italia con le sue bugie”. Romano Prodi spiega sul Messaggero “Tutti i rischi in agguato nella partita di Bruxelles”. Sergio Fabbrini, sul Sole: “L’Europa e la sindrome dissociativa dei sovranisti”. Enzo Moavero Milanesi intervistato da Fubini sul Corriere: “Migranti, il piano italiano”. Dino Pesole sul Sole: “Contro i luoghi comuni antieuropei”. Gianfranco Pasquino, ancora sul Sole: “L’Ue non democratica? Basta con gli stereotipi” (Corriere della sera-Lettura).
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Oggi martedì 16 luglio 2019
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La Libra, Facebook e il resto
Vincenzo Comito
12 Luglio 2019 | Sezione: gigeconomy, primo piano, su SBILANCIAMOCI.
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RWM. Vinto il primo round al Tar, ma la battaglia è solo agli inizi ed è anzitutto politica
16 Luglio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Nella vicenda giudiziaria al Tar contro RWM e le connivenze del Comune di Iglesias e della Regione la associazioni ambientaliste e pacifiste hanno vinto una battaglia, ma non la guerra. L’obiettivo di Italia nostra, Comitato riconversione Rwm per la pace, Usb, Arci, Assotziu consumadoris, Legambiente e Centro sperimentazione autosviluppo, è […]
La ricerca di un’economia al servizio delle persone e delle comunità
«Tra Stato e mercato salviamo i beni comuni»
intervista a Johnny Dotti, a cura di Lorenzo Fazzini
in “Avvenire” del 14 luglio 2019, ripreso da C3dem.
«Jyrki Katainen, finlandese, vicepresidente della Commissione europea, durante la crisi greca se ne uscì con una proposta che fa bene capire una certa logica: a garanzia del debito pubblico chiese al governo di Atene nientemeno che il Partenone». Questa non è una delle sue tante e vibranti provocazioni: Johnny Dotti, imprenditore sociale, conferenziere e docente alla Cattolica di Milano, la riporta nel suo nuovo libro, scritto insieme ad Andrea Rapaccini, L’Italia di tutti. Per una nuova politica dei beni comuni (Vita e Pensiero, pagine 160, euro 14), in cui analizza questa nuova frontiera dell’azione amministrativa e dell’impegno sociale. Infatti è in corso anche una campagna di firme, curata dal Comitato popolare di difesa dei beni comuni, sociali e sovrani, per una legge di iniziativa popolare sul tema.
Beni comuni, questi sconosciuti, pare di leggere tra le righe del suo libro. Eppure mai come negli ultimi anni questa espressione è risuonata nel dibattito pubblico. Perché se ne è occupato?
Perché sotto diversi aspetti – giuridico, accademico, economico – ci siamo infilati in un’alternativa che non lascia molto spazio: o il monopolio dello Stato (che però non è in grado di universalizzare i beni comuni) oppure lo stress economico del mercato. E quindi i beni comuni, stritolati da queste due forze opposte, sono a rischio. Il caso del Partenone di Atene rivendicato dal politico Ue è lampante. Domandiamoci: di chi è il Partenone? Dei greci? Solo dei greci? Nella logica capitalista si tende a massimizzare il profitto di ogni realtà. Oggi, nella crisi dell’Occidente, ci troviamo in una traiettoria di ristrettezza, sia politica che economica: i beni comuni possono diventare una leva che ci può sollevare dalla strettoia Stato/mercato in cui siamo ingabbiati. Possono trasferire all’economia e alla politica nuovi slanci nonché dare nuova linfa alla democrazia, se non si intende questa semplicemente come la legge della maggioranza. Del resto, il pensiero religioso degli ultimi anni – dalla Caritas in veritate di Benedetto XVI alla Laudato si’ di Francesco – ci ha fornito molti spunti su questi temi. I beni comuni sono un elemento politico, economico e spirituale che si ribella sia al freddo statalismo sia al troppo liberismo del mercatismo globalizzato.
I beni comuni come la riproposizione di quella “terza via” che aveva fatto la fortuna di una certa sinistra?
Beh, quella proposta restava prigioniera – anche nel caso di governi socialdemocratici – della proposta binaria che si può riassumere, appunto, nell’alternativa Stato/mercato. Mentre invece la nostra Costituzione (con gli articoli 2, 41, 43, 45, 118, solo per citarne alcuni), attraverso il principio di sussidiarietà, ci parla di ben altro. Già Stefano Rodotà aveva cercato, con la Commissione sui beni comuni, di inserirli nel nostro Codice civile, purtroppo senza successo. Parlare dunque di beni comuni oggi non significa ripresentare qualcosa di vecchio e stantio, bensì riattualizzare qualcosa di antico che ha ancora molto da dire oggi. Esiste un campo di valore che non sta dentro la costruzione binaria tra Stato e mercato – per dirla con Max Weber, dentro il “formale” – e che corrisponde a tutto quello che viene prodotto e vissuto con un significato da parte di una comunità. Anche sull’emergenza ecologica, se ben guardiamo, qualcosa si può fare solo quando si interviene pensando al mondo e in termini di beni comuni. Altrimenti, se affidiamo alla tecnica la domanda di risolvere quei problemi che lei stessa ha causato (vedi il “progresso” tecnologico), restiamo intrappolati in una non soluzione.
Nel suo libro lei fa diversi esempi di pratiche positive dei beni comuni. Prende in analisi il Fai, Fondo per l’ambiente italiano, il referendum sull’acqua bene comune, l’esperienza amministrativa di Barcellona, e altre realtà. Poi però succede che spesso la politica blocca iniziative che in nome dei beni comuni partono dal basso, vedi le scelte politiche sull’acqua in
Italia. Come se ne esce?
In effetti, il libro si chiude con un grande appello alla politica di oggi. C’è bisogno di politica, oggigiorno, non di meno politica. Il principio sussidiarietà, per esempio, è una roba seria, mentre spesso è stato inteso come un semplice “dare i soldi agli amici”. Quello su cui vorrei esser chiaro è che non esiste una società se non esiste una comunità. Servono affezione e partecipazione, non legalismo. I beni comuni richiamano, appunto, una stagione di diritti, di doveri e di responsabilità. Esperienze di questo tipo puntellano l’Italia di oggi: penso alla rinascita di un castello come quello di Padernello, in provincia di Brescia, fatto rivivere proprio come bene comune non incasellabile dentro la dicotomia pubblico/ privato. Nei beni comuni risiede un gran pezzo del futuro che ci è rimasto per il nostro Paese.
I beni comuni vengono spesso intesi come un presidio della democrazia. Ma le tendenze che vogliono far superare il processo democratico non mancano, oggi, anche tra chi ha difeso i beni comuni stessi…
La questione dei beni comuni richiede un passaggio avanti nella democrazia. Quest’ultima si è sempre basata sul triplice valore del voto, della fiscalità e della pubblica amministrazione. Ma ora c’è bisogno di qualcosa in più e di un salto in avanti, perché quelle dimensioni hanno fatto il loro tempo. Seguendo le intuizioni del sociologo Mauro Magatti, penso che si debba uscire dal pensiero binario che vede accoppiati consumatore e produttore, Stato e mercato, governanti e governati. Oggi serve che si partecipi al bene della libertà degli altri. Prendiamo un caso concreto, sollevato da Andrea Rapaccini nel nostro libro. Nei prossimi anni avremo bisogno di 60 miliardi per mantenere operativi i nostri acquedotti. Una cifra impossibile per uno Stato privo di quel denaro. Privatizzare vuol dire relegare in una zona perversa l’uso di un bene comune come l’acqua. A questo punto si capisce che una logica feconda e generativa non è quella che pone in alternativa mercato e Stato, ovvero la logica dell’aut aut, ma quella più giusta è l’et et, che mette insieme le due forze in un campo ulteriore che è, appunto, quello dei beni comuni. Personalmente, non sono una persona che vuole stravolgere il sistema capitalista. Mi basterebbe che venissero autorizzate, ovvero potessero essere messe in campo e lasciate lavorare, delle esperienze – prendiamo il Terzo settore – che, appunto, in nome di un valore condiviso superano l’alternativa pubblico/privato. Si può fare.
Che succede?
SUL CATTOLICESIMO POLITICO E ALTRO
14 Luglio 2019 by Forcesi | su C3dem.
Il Sole 24 ore pubblica la recensione di Giuseppe Vacca ad un saggio di Renato Moro e Leonardo Rapone uscito su Mondo contemporaneo: “Il cattolicesimo politico nella storia dell’Italia contemporanea: le interpretazioni degli storici” (“La lunga stagione del cattolicesimo politico”). Su Avvenire un articolo di Angelo Picariello sull’assemblea di Demos: “Demos, la solidarietà che avanza”. Michel Agier, intervistato da Avvenire: “L’unica speranza per il mondo è liberare i confini”. Igiaba Scego, “La disuguaglianza nel mondo è anche tra i passaporti” (Espresso). Johnny Dotti, esponente del cooperativismo e del terzo settore di ispirazione cattolica, intervistato da Avvenire: “Tra stato e mercato salviamo i beni comuni”. Marina Valensise, “Democrazia diretta, il miraggio dei populisti” (Messaggero). Claudio De Vincenti, “Autonomia differenziata al palo. Spazio al regionalismo responsabile” (Corriere del Mezzogiorno).
Oggi lunedì 15 luglio 2019
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Sui vitalizi c’è in gioco anzitutto la dignità
15 Luglio 2019
Amsicora su Democraziaoggi.
Gente! Lo avrete sentito anche voi, si circola voce che la classe politica è degradata. Quanto era virtuosa quella d’un tempo! Quelli sì che si occupavano del popolo, la DC aveva perfino un giornale (clandestino per mancanza di vendite e di lettori!) che si chiamava “Il popolo“. E i comunisti e i socialisti, ce l’avevano nel DNA […].
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Cattolici e impegno In Politica. Riflessioni sul Convegno di Politica Insieme
Cattolici e impegno in Politica: si moltiplicano le iniziative, ma non c’è bisogno di un “nuovo partito cattolico”.
di Franco Meloni
Perché i cattolici tornino a fare Politica, quella con la P maiuscola che riesca davvero a migliorare la società italiana – come auspicano Papa Francesco e la Cei – non c’è bisogno di creare un “nuovo partito cattolico”. E neppure di inventarsi chissà che. Occorre mettere meglio a sistema le tantissime buone iniziative che già le diverse organizzazioni di ispirazione cristiana (e non solo) fanno nelle pratiche quotidiane, spesso silenziose, in un comune contesto di valori (per noi “cristiani”, per altri solo “laici”) e farle crescere fino a diventare programmi politici, dando pertanto ad esse la forza di coinvolgere maggiormente le Istituzioni, migliorandone la qualità. È quanto in sostanza emerge dal Convegno organizzato dalla rivista online “Politica Insieme” il 3 luglio a Roma. [segue]
Che succede?
LO SPAZIO VUOTO
13 Luglio 2019 by Forcesi | su C3dem.
Giuseppe De Rita, “Quando la nostra politica naviga in uno spazio vuoto” (Corriere della sera). Yasha Mounk sulla sinistra nel mondo:“L’onda rossa sugli scogli” (Repubblica). Franco Venturini sui rapporti con la Russia: “Il dovere dell’Italia di non smarrire la strada”. Maurizio Ambrosini, “I confini davvero a rischio sono quelli dei valori” (Avvenire). TAGLIO DEI PARLAMENTARI: Ettore Colombo, “La riforma dei parlamentari sta per diventare legge” (tiscali.it). Massimo Adinolfi, “Le riforme della Carta nel silenzio dei santoni” (Mattino). Stefano Folli, “Quelle forbici sui parlamentari” (Repubblica). Felice Besostri, “Il taglio dei parlamentari e la sinistra a rischio estinzione” (Manifesto). GOVERNO E IMPRESE: Paolo Balduzzi, “Così la sfida alle grandi imprese blocca il Paese” (Messaggero). Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda: “Le aziende non possono più subire ricatti da chi governa” (intervista al Corriere della sera); Maurizio Landini: “Il governo blocca l’Italia, è ora di reagire” (colloquio con Cerasa sul Foglio).
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AUTONOMIE REGIONALI, SCONTRO POLITICO SENZA DIBATTITO NEL PAESE (E NEL PD)
13 Luglio 2019 by Forcesi | su C3dem.
Alcuni dei molti articoli degli ultimi 15 giorni: Annalisa Chirico, “Ragione e sentimento. Parla il governatore della Lombardia” (Foglio). Attilio Fontana (Lega), “Autonomia o rompiamo, sono stufo di trattare” (intervista a La Stampa). Marco Bussetti (ministro dell’Istruzione Lega), “Scuola, sì all’autonomia regionale” (intervista al Secolo XIX). Luca Zaia, “I 5stelle si rassegnino, per noi è come il reddito” (intervista Repubblica). Luigi Di Maio, “No all’autonomia che divide” (intervista al Mattino). Stefano Bonaccini (Pd), “Sull’autonomia zero fatti. Conte ci convochi” (intervista a Il Sole 24 ore). Il documento dell’Ufficio giuridico della Presidenza del Consiglio (Autonomie differenziate). Massimo Villone, “L’inganno svelato dell’autonomia” e “Questa autonomia non si migliora, va fermata adesso” (Manifesto). Gianfranco Viesti, “Quel dossier esclusivo che smonta l’autonomia”; “L’autonomia regionale e il silenzio del Pd”; “Il senso perduto di un paese che può crescere solo insieme” (Messaggero). Cesare Mirabelli, “Sempre incostituzionale un regionalismo che spacca il paese”e “I referendum sull’autonomia utili solo alla propaganda” (Il quotidiano). Salvatore Settis, “L’autonomia devasta il paesaggio” (il Fatto).
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La medicina araba
di Piero Marcialis, su fb.
18. La medicina araba.
c) La chirurgia.
La chirurgia era trascurata, considerata di rango inferiore alla medicina in senso ampio. Tuttavia nel califfato d’Occidente, capitale Cordova, idee diverse dall’Oriente erano coltivate e praticate. Cordova araba, tra VIII e X secolo, era città di grande importanza e civiltà: un milione di abitanti, centro commerciale e culturale, cinquanta ospedali, una biblioteca con duecentomila volumi, Università e scuola di medicina.
Nasce qui ALBUCASIS (936-1013), medico che molto fece per qualificare la chirurgia, purtroppo “passata nelle mani di persone ignoranti e volgari”. L’opera principale di Albucasis è il Tasrif, testo completo di chirurgia e medicina, altrimenti detta Collezione, ove la parte dedicata alla chirurgia contiene numerose illustrazioni di strumenti chirurgici e di interventi.
Gli interventi chirurgici, secondo Albucasis, sono di due specie, quelli che giovano al paziente e quelli che, spesso, lo ammazzano. Quindi Albucasis consiglia prudenza.
Il suo testo tratta dell’emofilia, dell’importanza del cauterio, del cancro alla mammella, del parto, delle fratture.
La sua opera fu per secoli molto apprezzata, uno dei grandi maestri della chirurgia medievale, Guy de Chauliac, medico del Papa ad Avignone, lo cita centinaia di volte nella sua opera Chirurgia Magna. [segue]
Oggi domenica 14 luglio 2019 – La presa della Bastiglia.
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Popolo contro democrazia?
14 Luglio 2019
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Nel 2011, con la “caduta” del governo Berlusconi, era diffusa l’idea che il Paese si fosse liberato di uno stile politico, quello populista, col quale per due decenni il Cavaliere di Arcore aveva caratterizzato la vita politica italiana. Durante il ventennio berlusconiano l’opposizione non era riuscita a offrirsi all’opinione pubblica come una valida alternativa […]
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1789-2019: presa della Bastiglia:
https://www.aladinpensiero.it/?p=85027.
Medicina araba
17. La medicina araba.
di Piero Marcialis, su fb.
b) Grandi medici musulmani.
RHAZES (860-932). Abu Bakr Muhammad ibn Zakariyya, noto Rhazes. nacque a Rayy, presso l’odierna Teheran.
Filosofo e musico, inizia a 40 anni lo studio della medicina e diventa in pochi anni un luminare, a capo di importanti ospedali. Esercita prima a Rayy e poi a Baghdad.
Scrisse oltre 150 opere, in parte perdute.
Uno dei suoi libri tratta del vaiolo e del morbillo, due infezioni endemiche ben note agli arabi, distinguendone i sintomi.
L’opera più importante è il Liber Continens, così tradotto in latino, una vera e propria enciclopedia medica.
Rhazes, nel trattare delle malattie e della cura, adotta il tipico metodo arabo: premette le opinioni degli altri medici e poi le discute in base alle sue esperienze e, secondo i casi, le accoglie o le respinge. [segue]
Oggi sabato 13 luglio 2019
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Lettera aperta degli scienziati sul clima
Roberto Buizza
12 Luglio 2019 | Sezione: Ambiente, Apertura, su Sbilanciamoci.
Oltre 270 climatologi, fisici, ricercatori hanno inviato una lettera alle più alte istituzioni italiane per chiedere che anche l’Italia decida di agire sui processi produttivi e di trasporto, trasformando l’economia per raggiungere le zero emissioni nette di gas serra entro il 2050.
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RWM: il Tar vuol capire cosa si fa lì dentro
13 Luglio 2019
Red su Democraziaoggi
Annullare il via libera al raddoppio del Comune di Iglesias
(I legali delle associazioni contro RWM)
La battaglia in tribunale contro l’ampliamento della fabbrica di ordigni bellici Rwm di Domusnovas è a un punto di svolta, dopo il ricorso al Tar delle associazioni pacifiste contro il Comune di Iglesias che ha dato il via libera [...]
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Dove è nata e dove muore la Costituzione
13 Luglio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Sapere dov’è nata la nostra Costituzione è facile. Ce lo ha svelato Piero Calamandrei con parole indimenticabili. “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati”. Così rispondeva Piero Calamandrei ai giovani […]
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Oltre il capitalismo
Ripensare la politica al tempo del neoliberismo
di Chiara Giorgi
12 Luglio 2019 | Sezione: Apertura, Materiali, Recensioni. Su Sbilanciamoci.
Il destino della democrazia: un volume appena pubblicato da ETS, a cura di Emanuele Profumi e Alfonso M. Iacono, raccoglie interventi di filosofi, sociologi e antropologi che si interrogano su come re-immaginare la politica per ricreare la società di fronte alle macerie del neoliberismo.
Politica, possibile, alterità. Tre termini che possono guidarci oggi nel ripensare l’alternativa, nella riformulazione di un progetto politico capace di proiettare il presente nel tempo aperto del futuro, del possibile-divenire. Tutti i contributi ospitati nel volume riescono infatti a tenere insieme l’analisi del tempo presente e la prefigurazione di un ordine alternativo rispetto a quello neoliberista, offrendo materiali preziosi per sottrarci a ciò che più costituisce la cifra del nostro vivere: un imperante presentismo in cui il tempo del neoliberalismo ci continua a schiacciare, sancendo l’impossibilità della dimensione progettuale[1].
Le tre domande dalle quali parte l’introduzione di uno dei curatori – Emanuele Profumi – sono allora: quale società desideriamo, come possiamo cambiare quella che abbiamo ereditato? E da qui, come ripensare la politica, strumento necessario del cambiamento comune, consapevole e possibile? Come riarticolare il nesso tra «la politica e la (ri)creazione della società», tra politica e democrazia?
Per far ciò è innanzitutto necessario porsi due altrettanto basilari interrogativi: a che punto siamo arrivati, in quale stato di malessere ci troviamo e dove vogliamo andare, che cambiamenti immaginiamo e progettiamo?
Rispetto alla prima questione, molti contributi offrono spunti di rilievo per ricordarci, sulla scorta di una letteratura sempre più corposa in tema, le caratteristiche fondamentali del presente. Vale la pena ripercorrere alcune di queste caratteristiche, nella consapevolezza che è proprio questa disamina a rendere possibile un ripensamento della politica, a fronte del suo svuotamento, del suo impoverimento e neutralizzazione, a fronte di una politica ridotta a mezzo fine a se stesso.
Molti saggi (Iacono, Profumi, Fadini, Galanti, Sintomer, Santoro, Pla) ci consentono di fotografare la situazione attuale, la crisi della democrazia, della rappresentanza politica, del costituzionalismo, della mediazione dei grandi soggetti collettivi, degli stessi fondamenti delle costituzioni del Novecento. Ci consentono altresì di cogliere le trasformazioni attraversate dal capitalismo negli ultimi quaranta anni rispetto alla fase precedente (ai Trenta gloriosi), sintetizzando i più noti elementi qualificanti il passaggio dal modello del cosiddetto capitalismo storico all’attuale neoliberalismo, o «capitalismo assoluto post-coloniale e post-socialista»[2].
Tra gli aspetti strutturali di queste trasformazioni, vanno ricordate le analisi intente a leggere il neoliberalismo come un modo di ottimizzazione politica, capace di riconfigurare il rapporto tra governati e governanti, tra sapere e potere, tra sovranità e territorio[3]. Studi che hanno consentito di individuare alcuni tratti fondamentali di questa nuova tecnica di governo, permettendo di osservare le inedite combinazioni emergenti. Combinazioni «di forme diverse di potere sovrano, disciplinare e di biopotere in formazioni determinate e situate». Combinazioni che consentono di cogliere la disaggregazione di poteri prima incardinati nello Stato-nazione, ora riconfigurati in assemblaggi specializzati. A partire da questi studi e proseguendo con altri dedicati alla logistica emerge la centralità di una riorganizzazione del territorio la cui funzione è di servire efficacemente le catene globali del valore. La globalizzazione è stata così indagata nelle sue tensioni, nei suoi molteplici attori, nelle sue diverse scale, nei diversi spazi latitudinali, nei quali il rapporto tra sovranità e capitale è continuamente rimodellato in forme nuove[4]. È stata, tra gli altri, Sassen ad aver illustrato le conseguenze politiche della globalizzazione, evidenziando come gli Stati lungi dallo scomparire hanno avuto un ruolo dirimente nei processi globali. Lo Stato è coinvolto all’interno di dinamiche di negoziazione del proprio potere con altri attori e fonti del diritto, mentre aumentano processi di deregolamentazione e di privatizzazione della produzione del diritto. Si dispiega così una governamentalità imprenditoriale, in cui i «mercati globali contribuiscono tanto» a rafforzare quanto a indebolire lo Stato e le sue attività, modellando «la sua capacità di fare i conti con le agenzie globali»[5], il FMI in primis. D’altra parte, la frammentazione dello spazio nazionale si combina sempre più con la regolazione differenziale di popolazioni e di flussi di capitale, nonché con il dispositivo dell’inclusione differenziale[6].
Questi approcci analitici consentono di far luce su quanto avviene in contesti specifici nella loro interazione con la dimensione globale e al contempo permettono di focalizzare l’attenzione su quanto avviene a livello soggettivo, su cui non meno si soffermano vari saggi ospitati nel volume. Nelle profonde trasformazioni che hanno investito il rapporto tra cittadinanza e sovranità, è la stessa figura del cittadino classico a essere messa in discussione, così come quella del soggetto nel suo rapporto con i molteplici ambiti dell’esistenza. La logica neoliberale prevede infatti un individuo capace di auto-amministrarsi, di farsi imprenditore di se stesso in varie sfere della vita quotidiana. Come da tempo osservato da Brown, la modalità governamentale propria del neoliberismo comprende l’insieme delle tecniche di governo che oltrepassano l’azione statale in senso stretto e organizzano il modo di gestire se stessi degli individui (è contemporaneamente il governo del sé e degli altri). Su ciò non ci si dilungherà essendo stato questo ambito l’oggetto di una vasta letteratura, riassumibile nella formula thatcheriana: The object is to change the soul (è il disciplinamento e la cattura dell’anima di un individuo messo a valore in ogni aspetto del suo essere, costretto a essere imprenditore di sé, esperto di se stesso, conforme all’etica dell’impresa, della concorrenza, della valutazione, della performance, della prestazione, dell’autovalorizzazione). In sintesi si tratta della presa esercitata dal sistema su corpi, psiche, emozioni messi al lavoro; dell’estrazione di valore dalla vita[7], di un’origine del valore situata nell’esperienza umana, che diviene quindi oggetto dei processi produttivi e al contempo di una sofisticata sorveglianza interna funzionale al controllo esterno (Fadini). Si tratta non meno dello sviluppo di un processo nel quale la valorizzazione ha catturato un ambito dopo l’altro della vita e delle attività umane e, in particolare dopo la produzione, l’ambito della riproduzione.
Da un punto di vista storico vi sono senza dubbio caratteristiche comuni all’attuale forma di capitalismo. Tra esse la più rilevante è quella della finanziarizzazione, senza dimenticare – come Arrighi ha insegnato – che l’espansione finanziaria è stata da sempre uno dei tratti tipici dei cicli storici di accumulazione, alternata all’espansione produttiva. Tuttavia, come si è messo in luce, «l’economia finanziaria è oggi pervasiva, si spalma cioè lungo tutto il ciclo economico, lo accompagna dall’inizio alla fine». I nuovi dispositivi di estrazione del valore creano una quantità enorme di plusvalore e si basano sulla «riduzione del lavoro socialmente necessario con sistemi aziendali flessibili e reticolari (precarizzazione, occupazione intermittente)», nonché «sulla intensificazione del lavoro cognitivo», sulla «creazione di un bacino sempre più vasto di lavoro gratuito», sulla «compressione del salario diretto e indiretto»[8].
Come noto, rispetto alle trasformazioni che hanno investito il modo di produzione capitalistico, centrale è la crisi degli anni Settanta. Da quel momento il precedente patto sociale ha iniziato a sfaldarsi, a fronte di un acceso conflitto sociale, di un eccessivo “peso” della forza lavoro organizzata, del pericolo di un’alternativa non capitalistica alla stessa riorganizzazione produttiva, a fronte al contempo di una grave crisi di accumulazione di capitale, ma anche a fronte del fallimento dei tentativi di integrare all’interno del tradizionale compromesso tra capitale e lavoro le nuove istanze delle “eccedenti” soggettività politiche emergenti. A questo punto la formula del capitalismo addomesticato in senso keynesiano, nata dalle ceneri della seconda guerra mondiale e della grande depressione degli anni Trenta, comincia a entrare in crisi, a partire dalla stessa necessità per il capitale di ricreare le condizioni ottimali di una efficace accumulazione.
In questa ottica la neoliberalizzione – nata come controffensiva a quanto agito da soggetti e movimenti in grado di agire sul terreno dell’alternativa – appare come un vero e proprio progetto politico teso a ristabilire le condizioni necessarie all’accumulazione di capitale; un progetto mirante alla restaurazione del potere di classe.
È chiaro che come razionalità di governo non solo economica ma anche politica, il neoliberalismo ha richiesto la costruzione di un consenso volto a presentare come naturale una chiara costruzione sociale, politica ed economica (Harvey, 2007), fondata sul presentismo, sulla distopia, sulla profonda rassegnazione politica, sull’azzeramento delle alternative (riassumibile nell’efficace acronimo thatcheriano TINA). Fondata altresì su un mix di organicismo e individualismo, sul rovesciamento del senso dell’autonomia e della libertà, nonché fondata sullo svuotamento della democrazia, sullo stesso ricorso al discorso populista e sovranista, su una sostanziale spoliticizzzazione.
Negli ultimi anni molti dei citati studi volti ad analizzare il funzionamento del motore economico e politico del capitalismo globale, hanno sottolineato la centralità di processi di valorizzazione e accumulazione del capitale fondati sulla logica e i dispositivi dello spossessamento, dell’esproprio/espropriazione e dello sfruttamento in un loro mix. Processi di accumulazione che sono segnati da alcune caratteristiche quali la già ricordata finanziarizzazione, privatizzazione e mercificazione; ruolo ridistributivo dello Stato al contrario (dal basso verso l’alto), diseguaglianze abnormi.
La odierna finanziarizzazione dilagante e onnivora ha così comportato crescenti processi di distruzione, spoliazione, «espulsione». Il prevalere di una logica estrattiva in ambiti prima sconosciuti e in aree più estese per farlo cambiano sempre più il paesaggio umano e naturale. Attraverso la leva del regime debitorio lo stesso modello sociale europeo è entrato in una grave crisi: tagliati i salari, ridotte le prestazioni dello Stato sociale, privatizzate le public utilities e i beni comuni, la realtà è quella di tassi di povertà dilagante, di deperimento delle democrazie nate nel secondo dopoguerra, di trasformazione dei paesi del Sud in protettorati e “zone economiche speciali”, privi di diritti politici e sociali[9].
In questo quadro complessivo, si situa lo svuotamento della democrazia (motivo presente nell’insieme dei saggi del volume), ossia quell’oramai noto processo di regressione oligarchica della democrazia, di de-democratizzazione. Proprio il disagio per la cosiddetta deriva post democratica è uno dei motivi ispiratori del volume in questione, a partire dall’analisi delle trasformazioni radicali che hanno investito il sistema della rappresentanza politica e i suoi tradizionali soggetti di riferimento (eletti/partiti/elettori). In particolare, alcuni saggi si soffermano tanto sui nuovi meccanismi di formazione del consenso politico, denunciandone forme sempre più aggregate, dirette e polarizzate (Santoro); quanto sull’involuzione dei partiti, sempre più omologati, privi di una visione del mondo alternativa (Galanti), incapaci di porsi a capo dei processi storici, garantendo al diviso corpo sociale di partecipare per il loro tramite alla determinazione delle scelte politiche generali. La perdita della legittimazione sociale dei partiti si colloca nella crisi complessiva dei corpi intermedi, nella crisi della rappresentanza politica e democratica, in quella delle istituzioni pubbliche, nello iato tra governati e governanti in cui il populismo contemporaneo trova il proprio consenso in modalità plebiscitarie, polarizzate, proprie del discorso antipolitico (Pla).
Se questo è il quadro, il volume non si ferma certo qui. Esso infatti è capace di fornirci strumenti preziosi per ripensare la politica nella sua alterità ed eccedenza, per rifoggiare un immaginario del possibile (Profumi). In tal senso i saggi condividono un orizzonte comune di critica e profonde istanze di superamento dell’esistente. Il richiamo è allora sia ad alcuni principi e “concetti” che possono rifondare l’esistente; sia al protagonismo di quelle soggettività politiche capaci di muoversi sulla scia di una logica socializzante dello sviluppo delle forze produttive (per dirla con Marx e Luxemburg); sia ad alcune esperienze (di movimento) del passato più lontano e più vicino; sia in termini più complessivi ad una “concreta utopia” capace di riarticolare i nessi tra passato, presente e futuro e di fornire materiali di appiglio per la progettazione di un mondo altro.
Prendere posizione, pensare e agire in una dimensione prospettica, essere consapevoli della complessità dei problemi attuali, è la sfida di molti degli scritti presenti nel volume, nell’orizzonte di una responsabilità condivisa, quale principio fondamentale rispetto ai dilemmi posti dall’età globale e alle difficili sfide di un nuovo patto politico che non può non essere cosmopolitico (Petrucciani). Il richiamo è anche alla forza di un principio (che è anche una pratica) come quello dell’uguaglianza, riconnesso tuttavia alla valorizzazione della differenza/e (Iacono). Così come lo è al concetto dell’autonomia (solidale), dinnanzi ad un assetto di potere autoreferenziale e gerarchico come quello attuale (Profumi).
Lavorare sulle crepe, sulle fratture presenti nel panorama odierno diventa allora indispensabile: saper vedere la forza del capitalismo e al contempo cogliere sia i punti di crisi della sua egemonia, sia le istanze emergenti dalle molteplici soggettività, dai nuovi bisogni, dalle nuove potenzialità produttive a livello sociale, dalle stesse forme sociali della cooperazione (Fadini, Iacono).
Più saggi si richiamano alle esperienze sperimentate dai movimenti – in specie degli anni Settanta, ma anche degli inizi del XXI secolo – facendo riferimento a principi e pratiche innovativi, democratici, autonomi, espressisi nelle lotte di coloro che esigono essere direttamente artefici delle proprie vite. Fondamentali il percorso e le istanze di quei movimenti del post ’68, in specie del movimento femminista (Galanti), nel loro essere una pratica politica di rottura con l’esistente e di trasformazione complessiva, capaci di investire le costruzioni dicotomiche storicamente date e socialmente costruite, di riportare ad unità dialettica la scissione tra sfera pubblica e sfera privata, tra ambito personale e ambito politico, di “colpire” al cuore dei rapporti di potere, di fare della/e relazione/i il centro dell’agire politico. Le stesse pratiche che si delineano nei movimenti a noi più vicini nel tempo, hanno molto a che vedere con un ripensamento tanto delle forme della partecipazione ai processi costitutivi della cittadinanza stessa; quanto di quella “antropologia politica” implicita nel moderno discorso della cittadinanza. A essere indagati sono il movimento altermondialista del 2001 e quello più vicino, cosiddetto delle piazze, dei quali si rintraccia l’implicita eredità dei movimenti precedenti, in specie rispetto ai processi di «sostituzione delle istituzioni e dell’immaginario» e alle pratiche di cooperazione, democrazia diretta, reale e partecipativa (Profumi, Klimis).
A nuove istituzioni democratiche innervate da questi principi e forme della politica, espressione dell’autogoverno del corpo sociale, così come a una nuova rivoluzione democratica si richiamano più saggi, nella consapevolezza che lavorare in questa prospettiva, capire come potrebbero essere i nuovi modelli democratici, sia l’impegno più importante per ciascuno, da cittadino/a e studioso/a.
Contro le retoriche vuote del populismo/i e i loro assunti naturalistici, fusionali, corporativi e organicisti, ciò che dovremmo allora riprenderci in carico è quanto attiene al rapporto tra governati e governanti (come Santoro sottolinea criticando duramente il “populismo digitale”), di fronte a una politica ridotta a dar voce alle pulsioni degli individui, specchio piatto della società e dei suoi umori, incapace di esprimere un progetto di vita comune.
Il portato di alcuni tratti e istanze provenienti da più movimenti politici e sociali del passato e del presente possono dunque offrirci spunti rispetto ai problemi che affliggono la democrazia, rispetto a una risignificazione della politica democratica.
Nella congiuntura attuale a imporsi sempre più è l’urgenza di riproporre un carattere insorgente della democrazia, il suo contenuto processuale, la sua dimensione sostanziale. Come ci suggerisce questo libro, le possibilità di trasformare il mondo in cui viviamo provengono da questa capacità di espandere la democrazia, di re-immaginare e riarticolare il nesso tra libertà/uguaglianza, tra universalismo e differenza; provengono dalle potenzialità del conflitto, dall’agire stesso dei soggetti immersi in una logica dinamica del cambiamento, all’insegna di un futuro che è già presente.
Emanuele Profumi, Alfonso M. Iacono (a cura di), Ripensare la politica. Immagini del possibile e dell’alterità, Edizioni ETS, Pisa 2019, pp. 262, €25,00
[1] Traverso, Malinconia di sinistra. Una tradizione nascosta, Milano, 2016.
[2] Balibar, Con Marx dopo il marxismo: la questione del capitalismo assoluto, in C. Giorgi (a cura di), Rileggere il Capitale, Roma, 2018.
[3] Ong, Neoliberalismo come eccezione, cittadinanza e sovranità in mutazione, a cura di M. Spanò, Firenze-Lucca, 2013.
[4] Mezzadra e Neilson, Confini e frontiere. La moltiplicazione del lavoro nel mondo globale, Bologna, 2014, p. 248.
[5] Ong, cit., p. 109.
[6] Mezzadra, Neilson, cit., pp. 201 ss.
[7] Fumagalli-Morini, La vita messa al lavoro: verso una teoria del valore-vita. Il caso del valore affetto, in «Sociologia del lavoro», 115, 2009.
[8] Marazzi, La violenza del capitalismo finanziario, in Fumagalli e Mezzadra (a cura di), Crisi dell’economia globale. Mercati finanziari, lotte sociali e nuovi scenari politici, Verona, 2009, pp. 17-50.
[9] Sassen, Espulsioni. Brutalità e complessità nell’economia globale, Bologna, 2015.
Restiamo umani e resistiamo!
(Foto di https://www.facebook.com/Mediterranearescue/?epa=SEARCH_BOX)
Decreto sicurezza bis, in piazza gridiamo vita!
11.07.2019 – Alex Zanotelli
E’ come missionario che lancio questo appello contro il Decreto Sicurezza bis. Sono vissuto per dodici anni dentro la baraccopoli di Korogocho (Nairobi) e ho sperimentato nel mio corpo l’immensa sofferenza dei baraccati (oggi sono duecento milioni i baraccati nella sola Africa!). Siamo passati dall’apartheid politica a quella economica:l’1% della popolazione mondiale ha tanto quanto il 99% . E’ questa una delle ragioni fondamentali per le migrazioni, insieme alle guerre e ai cambiamenti climatici. Per questo, come missionario, denuncio il cinismo con cui il governo giallo-verde respinge i “naufraghi dello sviluppo”. Non avrei mai pensato che un governo italiano avrebbe potuto regalarci un boccone avvelenato come il Decreto Sicurezza bis, che il 15 luglio verrà presentato in Parlamento per essere trasformato in legge. Un Decreto le cui clausole violano i principi fondamentali della nostra Costituzione, del diritto e dell’etica. E’ proprio l’etica ad essere colpita a morte perché questo Decreto dichiara reato salvare vite umane in mare. Ne abbiamo subito visti i vergognosi risultati con la Sea Watch 3 con la capitana Carola Rackete e con il veliero Alex di Mediterranea! E in commissione Affari costituzionali e Giustizia, la Lega e i cinque Stelle hanno ulteriormente peggiorato quel testo con nuovi giri di vite contro i migranti.
[segue]
Oggi venerdì 12 luglio 2019
Vitalizi. Poco onorevoli pronti alle bariccate!
12 Luglio 2019, su Democraziaoggi.
Pubblichiamo la nota stampa di Andrea Pubusa, ex consigliere regionale comunista
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La legge del capitano leghista
12 Luglio 2019
Carlo Dore jr., su Democraziaoggi.
La scena domina ormai da giorni le pagine social dei principali quotidiani europei: Matteo Salvini in maniche di camicia che, livido in volto, declina la sua legge a beneficio di like e tweet. Carola Rackete, la temeraria comandante della Sea Watch 3, è una criminale: e pazienza se l’ordinanza del GIP non […]
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Rwm, Italia verso blocco armi a sauditi
12 Luglio 2019
Red su Democraziaoggi.
Dopo la Germania, la Danimarca, la Finlandia, la Norvegia e i Paesi Bassi, anche l’Italia decide di bloccare le esportazioni di alcuni tipi di armi verso l’Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti, finché non ci sarà una svolta concreta nel processo di pace con lo Yemen. Lo ha detto il premier […]
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Regionalizzazione della scuola, qualcuno mente
10 Luglio 2019
[Massimo Villone]. Articolo pubblicato su il manifesto sardo.
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