Monthly Archives: maggio 2019
Sardigna no est Italia
SARDIGNA NO EST ITALIA
di Francesco Casula
Sardigna no est Italia – oggi adoperato come slogan da parte dell’area indipendentista – esprime una verità storica difficilmente contestabile.
A coniare tale espressione e a usarla per prima è stata Marianna Bussalai, oranese, femina de gabale (sardista ante litteram, antifascista amica di Lussu, femminista e deliziosa poetessa bilingue).
Così scriverà: “II mio sardismo data da prima che il Partito sardo sorgesse, cioè da quando, sui banchi delle scuole elementari, mi chiedevo umiliata perché nella storia d’Italia non si parlasse mai della Sardegna. Giunsi alla conclusione che la Sardegna non era Italia e doveva avere una storia a parte”.
Bussalai aveva proprio ragione: la Sardegna ha avuto una etno-storia non solo diversa e peculiare ma dissonante rispetto alla coeva storia italiana e persino europea: basti pensare ai regni giudicali.
La Sardegna, storicamente, è entrata nell’orbita italiana – a parte la parentesi pisana e genovese nei secoli XI-XIII – solo agli inizi del 1700 quando viene ceduta al Piemonte, per un baratto di guerra.
I tiranni sabaudi continueranno, accentuandola, l’opera di dessardizzazione, peraltro iniziata dai Catalano-Aragonesi e dagli Spagnoli: specie per quanto attiene alla lingua sarda.
Questa infatti dopo essere stata lingua curiale e cancelleresca nei secoli XI e XIV, lingua dei Condaghi e della Carta De Logu, con la perdita dell’indipendenza giudicale, si tenta di ridurla al rango di dialetto paesano, frammentata ed emarginata, cui si sovrapporranno prima i linguaggi italici di Pisa e Genova e poi il catalano e il castigliano e infine di nuovo l’italiano con i Savoia prima e l’Italia unita poi.
Nel 1720, quando i Savoia prendono possesso della Sardegna, la situazione linguistica isolana è caratterizzata da un bilinguismo imperfetto: la lingua ufficiale – della cultura, del Governo, dell’insegnamento nella scuola religiosa riservata ai ceti privilegiati – è il castigliano, mentre la lingua del popolo, in comunicazione subalterna con quella ufficiale è il Sardo.
Ai Piemontesi questa situazione appare inaccettabile e da modificare quanto prima, nonostante il Patto di cessione dell’Isola del 1718 imponga il rispetto delle leggi e delle consuetudini del vecchio Regnum Sardiniae. Per i Piemontesi e i Savoia occorre rendere ufficiale la lingua italiana: loro che parlavano francese! Tanto che quando nel 1861, il 17 marzo, Vittorio Emanuele II diventa re d’Italia, nella proclamazione che ne farà Cavour in Parlamento, diventerà, in francese, roi d’Italie!
Come prima cosa pensano alla Scuola per poi passare agli atti pubblici. Ma evidentemente le loro preoccupazioni non sono di tipo glottologico. Attraverso l’imposizione della lingua italiana vogliono sradicare la Spagna dall’Isola, rafforzare il proprio dominio, combattere il “Partito spagnolo” sempre forte nell’aristocrazia ma non solo. Questo il vero motivo: non quello “ideologico” della civilizzazione, accampato da Carlo Baudi di Vesme che nell’opera Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna, scritta, su incarico del re Carlo Alberto tra l’ottobre e il novembre 1847 ma completata nel febbraio 1848, scrive che “Una innovazione in materia di incivilimento della Sardegna e d’istruzione pubblica, che sotto vari aspetti sarebbe importantissima, si è quella di proibire severamente in ogni atto pubblico civile non meno che nelle funzioni ecclesiastiche, tranne le prediche, l’uso dei dialetti sardi, prescrivendo l’esclusivo impiego della lingua italiana… E’ necessario inoltre scemare l’uso del dialetto sardo ed introdurre quello della lingua italiana anche per altri non men forti motivi; ossia per incivilire alquanto quella nazione, sì affinché vi siano più universalmente comprese le istruzioni e gli ordini del Governo…”.
Pensano allora di elaborare “Il progetto di introdurre la Lingua italiana nella scuola“ affidandone lo studio e la gestione ai Gesuiti. Nella prima fase il progetto coinvolgerà comunque pochi giovani: appartenenti ai ceti privilegiati. Il problema diventa molto più ampio ai primi dell’Ottocento, quando il Governo inizia a interessarsi dell’Istruzione del popolo. I bambini poverelli ricevono gratuitamente due libri in lingua italiana: Il Catechismo del cardinal Roberto Bellarmino e il Catechismo agrario, giacché l’agricoltura è precipuo sostegno di ogni stato e in particolare della Sardegna.
Tale concezione, da ricondurre a un progetto di omogeneizzazione culturale, – che per l’Isola significherà dessardizzazione – la ritroviamo pari pari nelle Leggi sull’istruzione elementare obbligatoria nell’Italia pre e post unitaria: del Ministro Gabrio Casati (1859), Cesare Correnti (1867) e Michele Coppino (1877).
I programmi scolastici, impostati secondo una logica rigidamente nazional-statale e italocentrica, sono finalizzati a creare una coscienza “unitaria“, uno spirito “nazionale“, capace di superare i limiti – così si pensava – di una realtà politico-sociale estremamente composita sul piano storico, linguistico e culturale.
Questo paradigma fu enfatizzato nel periodo fascista, con l’operazione della “italianizzazione” dell’intera storia italiana e della snazionalizzazione della Sardegna e dei Sardi.
Tale perverso tentativo di azzerare e annientare l’Identità dei sardi, è riuscito solo in parte: nonostante la TV, la Scuola, l’Università, i Media: tutti ferocemente antisardi.
Sarà un caso che una brava e bella attrice sarda, Caterina Murino, intervistata da una TV, (il 30 agosto 2015) alla domanda della conduttrice: ”È vero che tu non ti consideri Italiana?” risponde: ”assolutamente, non sono Italiana sono Sarda”?
In realtà l’affermazione della Murino può sorprendere solo chi si attarda a confondere Stato con Nazione. Noi infatti siamo cittadini italiani – sia pure obtorto collo e senza avere mai scelto di esserlo – ma di nazionalità sarda.
Oltretutto il “sentimento” della Murino è largamente presente fra i sardi: alla faccia di chi ha sempre tentato la snazionalizzazione e l’assimilazione forzata, privandoci della nostra Identità. Come Sardi intendo.
Ricordo che nel 2012, in un sondaggio (curato dall’Università di Cagliari e da quella di Edimburgo e finanziato dalla Regione sarda, circa l’atteggiamento dei Sardi nei confronti della propria identità) era emerso che il 27% si sente sardo e non italiano; il 38% più sardo che italiano; il 31% tanto l’uno che l’altro e solo il 3% più italiano che sardo e l’1% esclusivamente italiano.
Ma si tratta solo di un “sentimento”, di un “umore”? O, meglio, di un risentimento e di un malumore nei confronti dello Stato italiano, storicamente ostile nei confronti dell’Isola? O sta maturando una nuova consapevolezza e coscienza della propria “diversità” e “specificità” e persino dell’essere “Nazione”? Io credo di sì. E viene da lontano.
Verso le elezioni amministrative del 16 giugno 2019
Cagliari, le primarie del centrosinistra (domenica 5 maggio 2019).
- Francesca Ghirra: “Ecco perché mi candido alle Primarie e alla carica di sindaco di Cagliari”. Su Il risveglio di Sardegna.
- Matteo Lecis Cocco Ortu (Pd): “Ecco perché mi candido”. Su Il risveglio di Sardegna.
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Intanto si muovono gli “alternativi”. Iniziativa domenica 5 maggio, dalle ore 10:00 alle 18:00, presso ex Liceo Artistico, Piazza Giovanni Maria Dettori, 9 – Cagliari.
[Informazioni dettagliate sulla pagina fb dell’evento] – segue –
Oggi giovedì 2 maggio 2019
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La “Scuola di cultura politica” mette la prima pietra: acquistata la sede
2 Maggio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
E poi si dice che la tenacia e le idee giuste non pagano. Il Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria, seguendo l’esortazione di Gramsci all’istruzione, alla mobilitazione e all’organizzazione, ha deciso di costituire una Scuola di Cultura Politica. E non a caso l’abbiamo intitolata a Francesco Cocco, eminente figura della democrazia sarda, gramsciano, scomparso […]
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E’ online il manifesto sardo duecentottantatre
Il numero 283
Il sommario
Il filo che unisce il 25 Aprile al Primo Maggio (Alfonso Gianni), Qualche misura concreta contro la plastica (Stefano Deliperi), Liberare il lavoro in Sardegna (Marco Contu), L’Asia nuovo “pivot” di un ordine globale policentrico (Gianfranco Sabattini), Turchia e dintorni. Il lungo cammino dei diritti umani (Emanuela Locci), In ricordo di Francesco Pranteddu, antifascista (Marco Sini), Francesco Pranteddu, un anno dopo (Gianna Lai), Sul non detto. La conformazione dell’Unione Europea secondo Juncker (Marinella Lőrinczi), Viva il 1 Maggio (Fausto Bertinotti), Domenico Lucano, l’Italia, la giustizia (Livio Pepino), Sa die de sa Sardigna. La traversata del deserto (Gianni Loy), Una legge ingiusta da cancellare (Lucia Chessa), 25 aprile. Quando siamo ridiventati uomini (Marco Revelli), Questo 25 Aprile (Marco Sini), Energia, democrazia e diritti umani (Antonio Muscas), 25 aprile, una ricorrenza da praticare ogni giorno (Marco Noris), Emergenza climatica. Che cos’è? (Guido Viale).
Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco
Il Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria, in collaborazione con la Confederazione Sindacale Sarda e con l’Anpi di Cagliari, ha costituito una Scuola di Cultura Politica, intitolata a Francesco Cocco, morto di recente, che dello stesso Comitato è stato un illustre esponente.
[segue]
Terzo Settore
Movimenti del terzo settore sotto attacco
Giulio Marcon
30 Aprile 2019 |Sbilanciamoci. Sezione: Alter, Editoriale, Politica
Sabato scorso l’Avvenire ha opportunamente dedicato due pagine all’attacco che il terzo settore (e i diritti sociali che rappresenta) sta subendo da questo governo. Non solo il terzo settore, ma tutti i corpi intermedi e con essi i movimenti, il sindacato, le associazioni, la società civile – quella indipendente – che si organizza.
L’editoriale di Marco Tarquinio, l’intervista a Stefano Zamagni e l’elenco di dieci “capi d’accusa” al governo illustrano bene il punto in cui siamo. E il punto di partenza è il rifiuto del dialogo, dell’interlocuzione vera, dell’ascolto delle organizzazioni sociali e dei corpi intermedi.
Ad essere onesti, non si tratta solo del vizio del governo giallo-verde, ma anche del governo Renzi che iniziò nel 2014 a praticare la cosiddetta “disintermediazione”, preferendo il rapporto diretto con il “popolo”, senza alcun riconoscimento alla funzione di rappresentanza degli interessi generali, sociali, di categoria delle organizzazioni.
Il governo giallo-verde porta alle estreme conseguenze questo atteggiamento – tipico di tutte le formazioni e coalizioni populiste – mescolando l’autoritarismo della Lega e la “disintermediazione” democraticista dei 5 stelle a base di like e piattaforme digitali.
L’autonomia del terzo settore è stata da tempo (non è questione degli ultimi mesi) intaccata, e dopo essersi indebolito politicamente e nella sua capacità di conflitto e di resistenza, il terzo settore è ora costretto a subire senza capacità di reazione un’aggressione molto concreta. Ad esserne espressione non sono solo i provvedimenti sull’IRES e la mancata emanazione dei decreti sulla legge delega del terzo settore e sulla finanza etica, ma anche la messa al bando delle ONG che difendono i migranti, la riduzione dei fondi alla cooperazione allo sviluppo, l’irrisione ai pacifisti che chiedono la riduzione delle spese militari e la stabilizzazione dei corpi civili di pace, la criminalizzazione delle organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti civili, dell’introduzione dello ius soli, eccetera.
Il governo sta riducendo risorse e strumenti per un welfare universalistico e dei diritti. La buona idea e le tante risorse per il reddito di cittadinanza (male pensato, male costruito, male organizzato, ma speriamo non fallisca) non può significare la desertificazione di tutte le altre misure di politica sociale: dalla non-autosufficienza all’inclusione dei migranti, dagli interventi per i senza fissa dimora ai minori. Magari costringendo il terzo settore (e la società civile) al guinzaglio, cooptato e inerme, al servizio di un welfare compassionevole e residuale.
Non c’è da aspettarsi molto – su questo terreno – dall’attuale governo. Speriamo di essere smentiti. Ma il terzo settore rialzi la testa, si faccia sentire e riacquisti la sua dimensione e capacità politica, di denuncia e di conflitto: per riportare l’interesse generale e il bene comune al centro di una democrazia partecipata, fondata sui diritti sociali e di cittadinanza che la nostra Costituzione riconosce e promuove.
Oggi mercoledì primo maggio 2019
Oi sa bissira de Efis.
I servizi fotografici per la 363a Sagra di Sant’Efisio saranno curati per la nostra News da Renato d’Ascanio Ticca. La gran parte degli scatti fotografici saranno ospitati nella sua pagina fb.
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Primo maggio, giorno del riscatto del lavoro
1 Maggio 2019
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
Di seguito un articolo di Grandi sul I° Maggio e sul valore del lavoro, di cui in questo blog, grazie anche alla spinta del Costat e dell’ANPI, ci siamo occupati con continuità, tanto da fare un importante Convegno e produrre un libro (ora in libreria), su cui si veda la recensione di Gianna Lai. Sul tema cogliamo l’occasione per linkare un bell’articolo di Tonino Dessì.
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Cagliari verso il voto: i candidati alle primarie del centrosinistra intervistati da l’Unione Sarda
- Chiusura campagna primarie di Matteo Lecis Cocco-Ortu: venerdì 3 maggio alle ore 18, piazza Seui, Is Mirrionis.[Il Programma].
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- Francesca Ghirra, su fb.[Punti programmatici]
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- Marzia Cilloccu, su fb. Manifestazione elettorale giovedì alle ore 18:30, Hotel Regina Margherita, Viale Regina Margherita, 38, Cagliari. [Punti programmatici]