Monthly Archives: maggio 2019

Un Gramsci mai visto

gramsci-14-mag19Un Gramsci mai visto. Spettacolo teatrale con A. d’Orsi.
Evento pubblico, ingresso gratuito · Organizzato da Associazione Antonio Gramsci – Anpi – Università di Cagliari.
Mercoledì 15 maggio 2019 alle ore 20:30
Studium Franciscanum, Via Principe Amedeo, 22, Cagliari.
- L’evento in fb.

Domenica 12 maggio a La Collina

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Europa, Europa

benito-cerenoEuropa_Bandiera_Europea Agitata e immobile. L’Europa di Melville
di Mario Pianta su Sbilanciamoci.
sbilanciamoci
Sbilanciamoci. 6 Maggio 2019 | Sezione: Editoriale, Europa
Senza vele né rotta, come la nave del comandante-ostaggio Benito Cereno: così appare Bruxelles alla vigilia di queste elezioni europee dove tutto dovrebbe cambiare e dove invece si preferirà l’immobilità, anche se nefasta, per evitare una “rivolta degli schiavi”.

‘Benito Cereno’ è un racconto scritto da Herman Melville nel 1855. Una nave spagnola ha perso le vele, i rifornimenti e la rotta dopo aver doppiato Capo Horn, ha un equipaggio decimato e un carico di schiavi neri irrequieti, sotto il comando di un capitano – Benito Cereno – malconcio e sfortunato, strettamente sorvegliato dal suo servo nero. Quando il capitano di una nave britannica porta cibo e acqua al veliero in difficoltà, in un mare immobile, trova un’apparenza di quiete rassegnata, che nasconde una verità ben più oscura.

Capo Horn è lontano da Bruxelles, ma il racconto di Melville offre qualche lezione all’Europa. L’economia europea è ristagnata per un decennio, ha perduto il vento che ne alimentava la crescita. Nel Sud Europa – Italia compresa – il reddito pro capite è tornato al livello di vent’anni fa; nel ‘Centro’ dell’Europa la metà più povera della popolazione non ha avuto praticamente alcun miglioramento nei redditi reali; la povertà si allarga ovunque.

Anche l’Europa ha perso la rotta. Dopo la crisi finanziaria del 2008, gli alti comandi della politica e dell’economia hanno aperto la strada alla crisi del debito pubblico e alle politiche di austerità che sono costati un un tragico impoverimento alla Grecia e al Sud Europa, e un’irreversibile perdita di legittimità all’Europa. Quando le onde si sono calmate, Bruxelles, Berlino e Francoforte non hanno cambiato direzione, scegliendo l’immobilità politica ed economica. Senza vele e senza rotta, una nuova tempesta finanziaria potrebbe far naufragare il veliero dell’Europa.

E però, un visitatore che sbarchi a Bruxelles potrebbe trovare un’apparenza di calma. Perfino alla vigilia delle elezioni europee non succede quasi nulla, non c’è un dibattito su ciò che è avvenuto, non c’è un piano di riforme economiche e politiche, nessuna intenzione di cambiare rotta. Si potrebbe restare sorpresi nel trovar vuota la cabina del capitano, e il comando esercitato da postazioni diverse, spesso in conflitto.

Angela Merkel guida il Consiglio europeo dove 27 governi indisciplinati si inchinano allo status quo tedesco. Logorata e vicina alla fine del suo potere a Berlino, la Merkel – in linea con la storia politica tedesca – chiede a tutti i paesi di comportarsi come la Germania, riesce a prevalere usando regole di ogni tipo per le politiche nazionali e bracci di ferro bilaterali, ma non ha imparato la differenza tra comando ed egemonia. I progetti per riportare la nave europea nel mare tempestoso del liberismo vengono dall’aspirante vice comandante, il tecnocrate Emmanuel Macron, ma le sue proposte di ‘riforma’ non riescono ad arrivare nemmeno al tavolo del Consiglio europeo. E il suo dinamismo in Francia si è inceppato con la lunga e inaspettata rivolta dei ‘gilet gialli’.

L’altro ruolo di comando in Europa è di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea a Bruxelles, un personaggio affaticato e senza speranza che sembra davvero uscito dal racconto di Melville. La Commissione è il portabandiera dello status quo burocratico dell’Europa, cerca di far rispettare regole economiche che sono per lo più sbagliate e viene regolarmente ignorata da Berlino.

Un quarto uomo, Mario Draghi, nell’avamposto della Banca centrale europea, è stato l’unico a intervenire; il suo Quantitative Easing è stato il solo vento che ha gonfiato le vele economiche europee, ma la rotta che si traccia da Francoforte protegge rigorosamente l’ordine finanziario che è all’origine dei guai dell’Europa.

Intorno a questi attori principali c’è un gran numero di secondi ufficiali che si arrampicano su e giù dall’albero maestro per ottenere visibilità e urlare ordini a cui pochi obbediscono. Tutti insieme hanno portato l’Europa alla paralisi: una rotta sbagliata all’insegna del neoliberismo e della finanza, l’incapacità di agire di fronte alla bufera come alla calma piatta, iniziative contrastanti che alimentano divisioni, il risultato dell’immobilità.

Sotto il ponte di comando europeo, tuttavia, la politica nazionale è diventata inquieta, il tumulto è ovunque. Senza benefici economici da offrire, i governi praticano il divide et impera e si appellano al bisogno d’ordine. Nuovi partiti populisti hanno moltiplicato i consensi denunciando l’élite europea, sventolando la bandiera della sovranità nazionale, alimentando l’odio contro i migranti; in questo modo hanno vinto le elezioni e sono al governo in molte capitali. I partiti di estrema destra hanno ora tra il 10 e il 30% di voti nella maggior parte dei paesi e la retorica populista è diventata dominante. Sull’altro fronte, la sinistra è muta, le richieste di riforme o cambiamenti radicali non sono state ascoltate, i sindacati sono sulla difensiva, le mobilitazioni contro disuguaglianze, violenza sulle donne, razzismo e cambiamenti climatici appaiono deboli voci contro i forti venti della conservazione.

Un intero paese – il Regno Unito – ha deciso di saltar giù dalla nave con la Brexit, ma sta scoprendo che le scialuppe di salvataggio della sovranità nazionale non funzionano come previsto, e un’intera classe politica resta appesa a metà tra la nave europea e le onde del Mare del Nord, incapace di decidere dove andare. In effetti, il gruppo di marinai che aveva tentato di scappare dalla nave di Benito Cereno era finito annegato. Forse la lezione principale della Brexit è che è molto difficile scendere dalla nave, anche quando è in avaria.

Questa combinazione di immobilità, vuoto d’azione politica e confuse agitazioni sociali è il paradosso dell’Europa. Così, vista dal ponte di comando di Bruxelles, la calma piatta non è affatto una cattiva opzione. La cooptazione al potere sta funzionando bene per i governi guidati da forze di estrema destra e populiste, dall’Italia all’Austria. Hanno iniziato con un’agenda anti-Europa e anti-euro e si sono rapidamente adattati alle realtà europee; nei programmi per le elezioni del maggio 2019 le richieste di uscita dall’euro sono state dimenticate.

La calma piatta non è una cattiva opzione nemmeno se confrontiamo l’Europa con la nave degli Stati Uniti, il cui comandante Donald Trump smantella pezzi delle istituzioni, licenzia l’equipaggio, infrange le regole del mare, sperando che i venti degli affari e della finanza possano sostenere il paese per sempre. E’ qui che in vista delle elezioni presidenziali del 2020, sembra prepararsi una ‘rivolta degli schiavi’ con richiami al socialismo anche dentro il Partito Democratico.

Sulla nave di Benito Cereno, tuttavia, le cose erano andate molto più in là. Gli schiavi si erano ribellati e avevano preso il comando della nave, anche se non erano in grado di guidarla; alla fine furono sconfitti dai marinai britannici e portati in giudizio; l’ordine sociale della schiavitù venne, per poco ancora, ricostituito.

I cittadini europei hanno molto di cui ribellarsi, ma hanno anche privilegi e diritti da perdere. Moltissimi accusano le élites, molti si sentono minacciati dai più poveri e dai migranti. Le richieste di protezione della società dal lato più oscuro del capitalismo non hanno ancora trovato risposte in un’agenda progressista, non c’è in vista un New Deal per l’Europa. E il ‘Vecchio Deal’ del nazionalismo torna ovunque nelle pericolose fantasie dell’estrema destra. Le elezioni europee del maggio 2019 e le loro conseguenze politiche faranno emergere questo tumulto, riveleranno un continente diviso, indisciplinato ma non in rivolta, giocheranno un’agitazione sociale contro l’altra. Alla fine, l’attuale ordine europeo potrebbe non essere messo seriamente in discussione e l’immobilità potrebbe essere l’opzione vincente per i comandanti, presenti e futuri. Almeno fino a quando una versione europea della ‘rivolta degli schiavi’ non diventerà possibile.
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Cultura in Quartiere. “Good Vibes: la parola ai ragazzi”

efis-loddo-msg19 Parte il cineforum del progetto GoodVibes
[Comunicato stampa] L’Associazione Efys Onlus con F4CR Network (Fight for Children’s Rights) e la cooperativa sociale Il Giardino di Clara / Typos e Radio Onde Corte, presentano la rassegna cinematografica GoodVibes, ideata all’interno del progetto “Good Vibes: la parola ai ragazzi” realizzato con il contributo dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e finalizzato a promuovere e stimolare la cittadinanza attiva, la partecipazione e la libera espressione dei ragazzi.

Mercoledì 8 maggio 2019

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La Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco su Il Risveglio della Sardegna.
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Francesco Cocco visto da un “giovane”
8 Maggio 2019
Roberto Mirasola a domanda di Andrea Pubusa risponde. Su Democraziaoggi.
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Se non fai da bravo ti vendo agli zingari.
di Gianni Loy*
Nei giorni scorsi, migliaia di persone hanno riempito le sale del teatro lirico di Cagliari e del Conservatorio per assistere ad un concerto dell’Orchestra Europea della pace, 30 musicisti che hanno eseguito musiche della tradizione Rom. Il pubblico ha gradito, si è profuso in scroscianti applausi, accompagnando, il travolgente ritmo delle musiche. I più audaci hanno persino tentato qualche passo di danza, accompagnando i rom presenti che, trascinati dal ritmo familiare, hanno incominciato a ballare lungo i corridoi della platea.. Insomma un happening in piena regola, come dicono al mio paese. [segue]

Elezioni: dopo le primarie del centro sinistra, prove di unità? Chissà se la Sinistra riuscirà a sconfiggere il suo maggiore nemico: se stessa!

cagliari-verso-il-votodi Gianni Pisanu

Le primarie del centrosinistra hanno dato la risposta. Prevedibile e prevista anche dal sottoscritto. Il maggiore partito, il Pd, le ha perse per strada non essendo stato in grado di indicare tramite un limpido percorso democratico il proprio candidato. La sinistra – tutta disunita – a sinistra del Pd non può intestarsi da sola l’affermazione di Francesca Ghirra. Ma tutto è bene quel che finisce – speriamo – bene. In gioco non è solo l’affermazione di una persona, ma la vita della nostra città per i prossimi cinque anni.
Sulla modalità di scelta dei candidati. Il centrodestra non si preoccupa più di tanto dei gusti del prossimo. In tre ad Arcore si spartiscono le candidature come da bambini facevamo con le figurine dei calciatori e il gioco è fatto, i capibastone sardi ancora incasinati nella formazione della giunta regionale fanno un po’ di manfrina, ma poi tutti a cuccia, intanto il grande Solinas tranquillizza tutti, popolo della destra compreso, risparmiando sugli stipendi per gli assessori. Evviva! Da altre parti nessun segnale, in attesa che riti esoterici, piattaforme o chissà quale entità suprema sciolgano il mistero.
La vita della città non significa solo problemi del traffico, trasporti, parcheggi, piste ciclabili, mercati, raccolta differenziata, Poetto, IMU ecc., pure molto importanti, sui quali il futuro sindaco dovrà essere incalzato. Mi preoccupa l’agibilità democratica e culturale, il pericolo rappresentato dallo sdoganamento del fascismo che viene relegato, con la tolleranza delle autorità, a fenomeno del passato anche quando siamo di fronte a manifestazioni di chiara apologia di fascismo. Sotto questo aspetto decisamente meglio una città con un centrosinistra a guida Francesca Ghirra.
Coloro che hanno scelto a grande maggioranza Francesca Ghirra sono persone libere, in gran parte militanti o ex nelle varie formazioni della sinistra, provenienti dal PCI, fuorusciti dal PD renziano, tuttora alla ricerca di una Sinistra convincente che vedono nel prossimo appuntamento elettorale un momento decisivo, dopo l’affermazione della destra alle regionali, quella destra che ci sta offrendo lo spettacolo indecoroso dell’incapacità di formare una giunta a oltre due mesi dalle elezioni regionali.
Purtroppo fra i candidati alle primarie del centrosinistra non era presente la componente identitaria, con il vasto mondo della cultura e dell’associazionismo fuori dalle formazioni partitiche, che pure conta molte personalità che tanto possono dare. Non è troppo tardi per pensare a una lista così caratterizzata che, in coalizione col centrosinistra, potrebbe ottenere buoni risultati e incidere positivamente.
In attesa di conoscere la composizione della coalizione progressista, auspicando la presenza di candidature valide nelle liste, e confidando nell’unità di intenti dei due competitori Marzia Cillocu e Matteo Lecis per un successo condiviso, a Francesca Ghirra vada un augurio di buon lavoro.
Gianni Pisanu

Che succede nel mondo?

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L’asse del mondo si va spostando in silenzio
di Vincenzo Comito, su Sbilanciamoci.
sbilanciamoci
Su Sbilanciamoci, 7 Maggio 2019 | Sezione: Mondo, primo piano.
L’asse economico, politico, tecnologico, del globo si va spostando verso Oriente: negli ultimi anni sono i paesi emergenti a contribuire per circa i tre quarti alla crescita globale e così per i consumi.

Un cambiamento d’epoca

Viviamo in un’epoca che registra almeno tre grandissime trasformazioni: la prima riguarda la crisi ambientale, che potrebbe portare alla stessa fine dell’umanità, la seconda le grandi conseguenze sulla economia, la società, la politica, la stessa condizione umana, portate dalle innovazioni tecnologiche, in particolare da quella digitale e da quella biologica, nonché dalle loro interazioni, la terza, infine, il quasi repentino spostamento in atto degli equilibri di potere tra le grandi regioni del globo. I tre eventi sono poi in qualche modo anche tra loro, almeno in parte, collegati.

Tra l’altro, vista la portata di tali mutamenti, a nostro parere qualsiasi discorso politico di una qualche ampiezza che non parta oggi dalla presa in carico adeguata di tale realtà è per necessità largamente monco.

Per quanto riguarda l’ultima questione tra le tre sopra citate, bisogna sottolineare che dopo che l’Occidente è stato alla guida della storia mondiale per un paio di secoli e più, ora apparentemente l’asse economico, politico, tecnologico, del globo si va spostando verso Oriente, tornando, per altri versi, alla posizione sostanzialmente “naturale” che esso aveva mantenuto per alcuni millenni.

Ma, a questo punto, siamo di fronte ad un paradosso: chi cercasse informazioni sul grandioso fenomeno in atto oggi nel mondo scoprirebbe come sui media occidentali il silenzio sia a questo proposito quasi totale, interrotto soltanto da qualche casuale e confuso flash. L’ordine è apparentemente quello di tacere il più possibile.

Alcune cifre

Eppure le informazioni sulla questione pubblicate dai centri di analisi più noti non mancano.

Così il Fondo monetario internazionale certifica che, utilizzando almeno il criterio della parità dei poteri di acquisto, nel 2018 il Pil dei Paesi emergenti si colloca intorno al 60% di quello totale, dopo aver superato quello dei Paesi occidentali già da diversi anni; sempre nel 2018, il Pil cinese era pari a 25,3 trilioni di dollari e quello statunitense a 20,4 trilioni (il sorpasso è avvenuto nel 2014). Al terzo posto di questa classifica troviamo ormai l’India, con circa 10,4 trilioni. Le previsioni per il 2019 sono rispettivamente di 27,4, di 21,5 e di 11,4 trilioni.

Intanto i Paesi del cosiddetto G-7, considerati a suo tempo come quelli più ricchi del mondo, già nel 2015 pesavano soltanto per il 31,5% del Pil mondiale, mentre i primi sette Paesi emergenti avevano il 36,3% del totale.

Ricordiamo, infine, come negli ultimi anni gli stessi paesi emergenti contribuiscano ormai per circa i tre quarti alla crescita globale e che, inoltre, dei circa 30 trilioni di dollari di incremento dei consumi previsti per il periodo 2015-2030 un solo trilione dovrebbe venire dai Paesi occidentali (Khanna, 2019; si veda più avanti), anche se tale previsione può forse apparire troppo pessimistica.

Certo, non bastano i dati economici per certificare un cambiamento d’epoca, ma da una parte essi ne sono una parte fondamentale, dall’altra i segni percepibili anche su altri fronti, come quello tecnologico, appaiono coerenti.

La Cina sta, in particolare, colmando rapidamente il suo ritardo tecnologico con l’Occidente e in un numero crescente di settori si sta ponendo anche all’avanguardia. Il numero dei laureati ed in particolare di quelli scientifici prodotti ogni anno dalle università cinesi è ormai largamente superiore a quello statunitense e così per quanto riguarda il numero degli articoli scientifici pubblicati nelle riviste qualificate e per quello della domanda di brevetti depositati negli appositi uffici internazionali.

Un mutamento profondo si sta certamente svolgendo sotto i nostri occhi distratti, anche se non va peraltro mai dimenticato che la Storia ha a volte delle giravolte improvvise.

Per altro verso, bisogna ricordare che tale processo non è esente da problemi e contraddizioni, ma questo sarebbe un altro discorso.

Il dibattito sulle tendenze in atto

- premessa

Si è aperto da qualche tempo un dibattito abbastanza ampio tra gli studiosi sulle prospettive geopolitiche del mondo alla luce delle nuove tendenze sopra ricordate.

Esso aveva avuto in qualche modo dei precursori nei decenni scorsi, con gli studi di alcuni autori peraltro relativamente isolati. Ricordiamo da questo punto di vista, ad esempio, Paul Kennedy con il suo testo The rise and fall of the great powers, la cui prima edizione è del 1987 e di cui conosciamo un’edizione italiana del 1999; si tratta peraltro di un testo di analisi di tipo generale, che sottolinea come ad un certo punto i Paesi egemoni per qualche ragione entrano in crisi e lasciano il posto a qualcun altro. Più in specifico, in relazione a quanto sta ora avvenendo, si può poi fare riferimento ad un volume “profetico” di Martin Jacques, China rules the world, la cui prima edizione è del 2009 e che prefigura la tendenziale preminenza economica della Cina sugli altri Paesi.

Ma negli ultimi anni i testi sui mutamenti in atto si vanno moltiplicando ed essi possono essere classificati, con alcune forzature, in due categorie, quelli che partono da una presa d’atto della situazione e quelli che in qualche modo tentano di esorcizzarla.

- la prima categoria

Alla prima categoria fanno riferimento soprattutto studiosi di origine dei Paesi orientali, anche se vivono e lavorano in Occidente, nonché anche studiosi occidentali che hanno però fatto dei soggiorni piuttosto prolungati in Oriente.

Si potrebbero citare, a questo proposito, tra gli altri, quattro volumi, di diverse dimensioni e consistenza scientifica: 1) Gideon Rachman, Easternisation: war and peace in the asian century, Bodley Head, Londra, 2016; 2) Parag Khanna, The future is asian, Simon & Schuster, New York, 2019; 3) Bruno Macaes, The Dawn of Eurasia, Allen Lane, Londra, 2018; 4) Kishore Mahbubani, Has the West lost it?, Allen Lane, Londra, 2018.

Questi libri, come altri che non citiamo, considerano sostanzialmente scontata la grande e progressiva perdita di potere e di influenza da parte dell’area occidentale del mondo; essi si interrogano dunque, in particolare, non tanto se nel complesso il mondo emergente supererà sul piano, economico, politico, militare, quello occidentale, ma come si configurerà in concreto il mondo nuovo, con degli inediti padroni, nei prossimi decenni.

C’è chi, a questo proposito, ipotizza una generica prevalenza dell’Oriente, chi in specifico pensa ad un dominio dell’Asia, chi, pur in tale quadro di preminenza asiatica, introduce la variante di un’Europa incorporata nella sostanza nell’altro più vasto continente, chi scommette invece soprattutto, infine, su di un’egemonia cinese.

Chi scrive è convinto che la Cina acquisirà e di gran lunga lo stato di prima potenza economica e anche il primato tecnologico del globo, ma che su un piano politico più generale si arriverà in realtà ad una forte prevalenza del mondo asiatico nel suo complesso sul resto del mondo (già oggi il continente ospita circa 5 miliardi di abitanti), mentre la Cina non aspirerà al tipo di egemonia della quale sino a ieri e per qualche decennio avevano goduto gli Stati Uniti e che comunque le altre potenze asiatiche sarebbero in ogni caso probabilmente restie a concederle.

Per quanto riguarda l’Europa, ci sembra che le tendenze in atto vadano in direzione di una sua sostanziale progressiva irrilevanza.

- La seconda categoria e la trappola di Tucidide

Per la verità, negli ultimi anni si va anche configurando una qualche analisi di tipo differente da quella sopra descritta, da parte in particolare di molti saggisti di origine e di cultura soprattutto anglosassone. Le loro analisi ci sembrano peccare in generale, almeno a nostro parere, di una fede eccessiva nella capacità del mondo occidentale di pesare ancora molto ampiamente nelle vicende future; questo sia pure attraverso la messa in opera di una serie di accorte politiche, che andrebbero da un’azione coordinata tra Usa ed Europa, alla messa in contrasto di alcuni Paesi asiatici contro altri ed altre mosse sulle quali non insistiamo.

Alcuni arrivano a pensare che si possa intravedere un mondo pluricentrico, in cui Stati Uniti e Europa abbiano comunque ancora un ruolo fondamentale, se non determinante, da giocare, cosa di cui si può anche peraltro dubitare, in particolare per quanto riguarda l’Europa.

Su di un altro piano, segnaliamo infine che uno studioso come Graham Allison, nel suo testo Destined to war: can America and China escape the Thucidide’s trap?, pubblicato nel 2017 (esiste una traduzione italiana del 2018), partendo dalla considerazione che poche volte nella storia i Paesi già egemoni hanno ceduto pacificamente il governo del mondo alle potenze incombenti, suscita la possibilità di un conflitto militare tra Usa e Cina per il dominio del mondo.

Le ipotesi di Allison, per quanto suggestive, sono state peraltro criticate da molti su vari piani. Comunque, certamente il futuro del mondo dipende oggi e sempre più dipenderà nel prossimo futuro dalla configurazione della relazione tra queste due potenze; in questo ha, almeno in parte, ragione Allison. Siamo in particolare, a questo proposito, di fronte alla scarsissima voglia della potenza sino a ieri dominante di accettare il fatto che ci sia un altro paese in grado di raggiungere e magari superare presto i suoi livelli tecnologici ed economici.

Appendice

Alcune date

Nel quadro delle trasformazioni in atto ci è sembrato opportuno ricordare alcune delle principali date che hanno nel tempo configurato l’evoluzione del rapporto Oriente-Occidente ed in particolare quello Asia-Europa.

Premettiamo che, nell’ambito dei rivolgimenti a cui stiamo assistendo, cominciano a fiorire i libri di storia che ritracciano sotto qualche angolo visuale tali rapporti. Prova ne sia, ad esempio, il successo che ha arriso al testo di Peter Frankopan, The silk roads: a new history of the world, nonostante la sua mole (500 pagine nell’edizione inglese, che è del 2015; c’è anche una traduzione italiana). Per lo storico la via della seta è stata nella storia praticamente la spina dorsale del mondo.

Cominciamo con il ricordare, sulla base dei dati di Angus Maddison, come la Cina e l’India, insieme, rappresentassero, già al principio della nostra era (nell’anno 1 della nostra era), circa il 60% del Pil mondiale (ma esse erano certamente le due economie di gran lunga prevalenti anche prima) e, facendo un salto temporale rilevante, come alla fine del 1700 tale cifra si aggirasse ancora intorno al 50% del totale.

Un cambiamento nella dinamica delle cose sopra descritte può essere segnalato alla lontana da due avvenimenti.

Il primo fa riferimento alla morte di Tamerlano nel 1405; tramonta così la speranza di ricreare quell’ impero mongolo che era stato, come dimensione geografica e quantità di popolazione, il più grande della storia, mentre le truppe mongole erano anche giunte alla porte di Vienna nel 1271. Esso copriva in particolare gran parte dell’Asia e teneva aperti e sicuri, attraverso la via della seta, i canali di trasmissione di merci, idee, tecniche, religioni, tra Oriente ed Occidente e anche tra le varie aree asiatiche. La morte del capo mongolo segna anche idealmente l’abbandono della dinamica mondializzatrice dell’Oriente a favore della sua periferia occidentale (si veda in proposito di Vincent Capdepuy, 50 histoires de mondialisations, Alma, Parigi, 2018).

Il secondo si collega, un po’ più tardi, nel 1492, alla scoperta dell’America e poi ai primi viaggi verso l’Asia, eventi con i quali si apre un processo di lenta, ma progressiva, avanzata occidentale, che porterà al trionfo dell’Europa, con “le vele e i cannoni” (Carlo M. Cipolla), nonché con la rivoluzione industriale e la conquista imperialista del mondo.

Facciamo a questo punto un salto di qualche secolo. Nel 1905 va registrato un evento che segna una pietra miliare nell’avvio sostanziale del processo di decolonizzazione del mondo orientale: la flotta giapponese sconfigge quella russa a Tsushima.

Questo fatto suscita una grande ondata di emozione nei paesi “coloniali”, perché esso dimostra per la prima volta che i bianchi possono essere sconfitti. Persone come Ghandi e Tagore in India, Ho Chi Min in Vietnam, Ataturk in Turchia ed altri futuri grandi leader asiatici festeggiano l’avvenimento con grande entusiasmo. Mao, ancora troppo giovane all’epoca, qualche anno dopo imparerà a memoria, a ricordo dell’evento, delle poesie giapponesi. Si rafforzano da allora in poi i movimenti politici antimperialisti di vario colore e sfumatura, compresi quelli musulmani estremisti.

Alla fine della seconda guerra mondiale prende poi l’avvio concreto il processo di decolonizzazione del mondo: l’indipendenza indiana è già del 1947, mentre i comunisti conquistano il potere in Cina nel 1949.

Si pongono le basi politiche di una nuova partenza dei paesi orientali.

Nel 1978 Teng Tsiao Ping pronuncia il ben noto discorso che darà l’avvio al Grande balzo in avanti dell’economia cinese, salto che è ancora in corso. Una tappa fondamentale in tale percorso è, nel 2001, l’accessione del paese al WTO, adesione che farà esplodere le esportazioni del Paese.

La crisi del 2008 poi segna una grande perdita di credibilità in tutto il mondo emergente rispetto alla capacità dei paesi occidentali di gestire l’economia, sino ad allora data quasi per scontata. Si tratta, in un certo senso, dell’equivalente economico della battaglia di Tsushima.

Negli ultimi anni abbiamo poi assistito alla acquisizione del primato commerciale della Cina, poi a quello del suo pil, mentre si attende per i prossimi anni il sorpasso tecnologico.

Nel maggio del 2017, infine, 68 paesi, che rappresentavano i due terzi della popolazione mondiale, si sono riuniti per la prima volta a Pechino per il primo summit della “Belt and Road Initiative”, il più grande progetto infrastrutturale della storia. Ci sarà poi un altro summit nell’aprile del 2019. Ma la storia non finisce a questo punto.

Martedì 7 maggio 2019

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cag-palazzo-bacCagliari: alle primarie PD vince il gruppo Uras-Zedda, e noi elettori non intruppati che facciamo?
7 Maggio 2019
Red su Democraziaoggi.
Francesca Ghirra ha vinto le Primarie PD di Cagliari: è lei la candidata sindaca del centrosinistra. Assessora uscente all’Urbanistica, classe ’78, funzionaria della Regione in aspettativa, la Ghirra ha battuto Marzia Cilloccu e Matteo Lecis Cocco Ortu.
Con la vittoria alle Primarie la Ghirra diventa la prima sfidante ufficiale di Paolo Truzzu, […]

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Elezioni: dopo le primarie del centro sinistra, prove di unità? Chissà se la Sinistra riuscirà a sconfiggere il suo maggiore nemico: se stessa!
Gianni Pisanu su Aladinpensiero online.
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Centrosinistra, primo tavolo per Ghirra: l’allargamento della coalizione e le liste. Su SardiniaPost.
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Dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

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Pur tra tante difficoltà il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale continua la sua azione di resistenza contro le perduranti azioni di attacco ai principi costituzionali.
- Il 22 marzo 2019 si è tenuta, presso la Sala Federazione Nazionale Stampa Italiana, una discussione su “La Costituzione e i tentativi in atto di stravolgerla”.
(per il video vai al linK: La Costituzione e i tentativi in atto di stravolgerla” – YouTube)
- Il 12 marzo abbiamo promosso un incontro per sostenere le ragioni del “No all’autonomia che divide”
(per il video vai al link: No all’autonomia che divide)
Quello dell’Autonomia differenziata è un tema di grandissima importanza per le ripercussioni che avrà sulla unità del Paese, sulla tenuta delle Istituzioni nazionali e sul mantenimento di fondamentali diritti per tutti i Cittadini.
Il 14 maggio si terrà un’altra importante iniziativa (vedi informativa in pdf) per discutere dell’Autonomia differenziata, in particolare sulle sue pericolosissime ricadute sul versante del sistema scolastico pubblico.
Cogliamo l’occasione per allegare anche alcuni articoli/documenti utili
- Primo Maggio 2019 tra attacco neoliberista al lavoro e alla Costituzione.pdf – Riferimento: http://www.jobsnews.it
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- Mostri, e maestri di sventura D. Gallo.pdf
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- Scuola, gli effetti dell’autonomia differenziata.pdf

Che succede?

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5 Maggio 2019 by Forcesi | su C3dem
Caute e fragili le risposte di Enzo Moavero Milanesi a un’intervista riportata dal Corriere della sera: “Sovranisti e popolari uniti in Europa, è possibile”. Maurizio Ferrera, sul Corriere, mostra realismo e saggezza: “Conversioni sovraniste”. Attenta l’analisi di Sergio Fabbrini; “Limiti dei sovranisti e debolezze dell’Europa” (Sole 24 ore). Dai senatori a vita Cattaneo, Monti, Segre,Piano, Rubbia un appello: “Un nuovo impegno per la nostra Europa”, e così pure G.Napolitano: “Un’Unione più assertiva” (Corriere). Romano Prodi: “Il populismo presto si esaurirà. Il Pd si apra e potrà approfittarne” (intervista a La Stampa). Maria Teresa Pontara Pederiva, “Voto europeo e priorità dei cattolici” (Settimana news). Alessandro Rosina, su Avvenire: “I volti (e i voti) dei giovani”. Bernard Guetta, “Uniti o scomparsi” (Espresso), e una recensione a un suo libro di Maurizio Molinari su La Stampa: “Sono figli dell’Austria-Ungheria i nuovi sovranismi europei”. Tonia Mastrobuoni, “Austria e Germania dicono addio al fronte sovranista” (Repubblica). Paolo Pombeni, “La locomotiva d’Europa sta cambiando identità” (Sole 24 ore). Roberto Sommella, “La lingua italiana e l’identità dell’Europa” (Corriere). Sull’Avvenire l’Appello per l’Europa lanciato dalle università cattoliche di tutta la Ue, e l’articolo “La Fuci a lezione di buona Europa”. Giorni fa su la Stampa l’intervista a Victor Orban: “Patto con Salvini per una nuova Europa”, e l’editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere: “Le radici dell’Europa riscoperte (tardi)”.

Oggi lunedì 6 maggio 2019

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Solinas & C. bloccano la regione e nessuno s’indigna
6 Maggio 2019
Amsicora su Democraziaoggi.
Alla faccia della governabilità. La legge truffa FI/PD della fine del 2013, ancora imperante, dà ora all’uno ora all’altro un iperpremio di maggioranza, 36 consiglieri su 60 con meno del 50% dei voti validi e meno del 25% del corpo elettorale sardo, ma di governo non se ne vede l’ombra. A distanza di oltre […]
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Che succede in Regione? Su Aladinpensiero online: https://www.aladinpensiero.it/?p=96533

Francesca Ghirra riparte da tre

Francesca Ghirra ha vinto le primarie del centrosinistra per la candidatura a Sindaco di Cagliari, staccando nettamente i concorrenti Matteo Lecis Cocco-Ortu e Marzia Cilloccu.
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lampada aladin micromicroIl vento che attualmente spira (immeritatamente ed incredibilmente) a favore della destra cambierà direzione? La sta già cambiando, ma occorrono brave/i nocchiere/i per governarlo. Una bella responsabilità per Francesca Ghirra a cui vanno complimenti, apprezzamento, incoraggiamento e i migliori auguri di buon lavoro.
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Bravi Matteo con il suo convincente Programma e Marzia per il tratto cordiale che l’ha contraddistinta. E buon lavoro per la nuova fase che oggi comincia!

Da Sa die 2019 verso Sa die 2020

Sa die de sa Sardigna. La traversata del deserto. b9234bbb-2741-42e0-a494-84dd2b844707
2613821c-b5f2-4c8c-baf3-19529f2f4fd028 Aprile 2019,
di Gianni Loy, su Aladinews.
SA DIE 2019. Breve illustrazione del significato dell’inno “Procurade ’e moderare”, di Luciano Carta, su Fondazione Sardinia.
Dall’invasione francese alla congiura di Palabanda. Storia, valori, aspirazioni.
Nicola Gabriele, su Fondazione Sardinia.
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L’Europa si rigenera sul diritto al Lavoro per tutti.

Il Lavoro fondamento dell’Europa
lavoro
Il mito infranto della flexsecurity
Roberta Carlini, su Rocca

Nella regione di Praga il tasso di disoccupazione è il più basso d’Europa, all’1,7%. All’estremo opposto c’è una regione greca, Dykiti Macedonia, con il 29,1%. In un arcipelago del mar Baltico, Aland, lavorano 88,2 persone su 100; mentre in Sicilia sono occupate solo 44 adulti su 100. A guardare la mappa della disoccupazione e dell’occupazione evidenziando i dati regionali, l’Europa appare ancora più differenziata di quanto le medie nazionali facciano vedere. Geograficamente, le criticità sono concentrate soprattutto nell’Europa meridionale, e Italia, Grecia e Spagna presentano il maggior numero di aree a rischio.
Politicamente, questa cartina, rintracciabile nelle statistiche dell’Eurostat, solleva interrogativi cruciali, non solo sulla tenuta dell’Europa come unione politica ed economica, ma anche sulla stessa esistenza di un «modello europeo del lavoro»: di quale Europa parliamo? Quale modello? Si stenta a riconoscere, nella divarica- zione dei diversi sistemi e dei risultati regionali, l’eredità del Novecento, il secolo nel quale i maggiori movimenti operai e le loro espressioni politiche hanno plasmato la via europea, all’ombra della cortina di ferro: il compromesso sociale che, senza ricorrere alla pianificazione e alla proprietà statale dei mezzi di produzione del comunismo, si distanziava nettamente dalle fratture sociali del modello americano, garantendo sicurezza sociale e cercando la via della piena occupazione.

il progressismo europeo
L’eredità storica, i diversi sistemi economici, le influenze culturali, sociali e anche religiose hanno il loro peso. Ma per anni, decenni, il progressismo europeo ha provato a ridurre le distanze, e con successo: le zone nelle quali ancora adesso si registra la minore occupazione e si evidenziano i più alti rischi sociali sono le stesse che a metà del secolo scorso erano in estrema povertà, spesso sono uscite dalla fame e dall’analfabetismo, hanno fatto enormi progressi di benessere.
Ma quelle distanze che si erano progressivamente ridotte nel trentennio seguente alla seconda guerra mondiale, dalla fine del Novecento in poi si sono riaperte. Non tutto è riconducibile alla contrapposizione Nord/Sud: se si guarda alla disoccupazione di lunga durata, compaiono nelle zone a rischio della mappa anche ex-regioni industriali del centro Europa e della Gran Bretagna. E molte differenze corrono di più nella contrapposizione tra zone metropolitane e provincia che in quella tra Nord e Sud. Le diseguaglianze nel reddito, nella ricchezza, nella salute, nelle opportunità di istruzione, tra le generazioni, hanno riaperto gap sociali anche tra gli stessi lavoratori: spesso il lavoro non basta, di per sé, a uscire dalla povertà o garantire la sicurezza.

Vecchi problemi che tornano, nuovi che si affacciano. In anni, decenni nei quali
il sistema economico europeo, che completava la sua unificazione introducendo al suo interno la moneta comune, ha subìto l’urto di forze potenti: la globalizzazione, l’innovazione tecnologica, le migrazioni. E anche i cambiamenti demografici e sociali: la riduzione delle nascite, l’emancipazione femminile con l’ingresso definitivo delle donne nella forza lavoro. Si poteva pensare che la vecchia Europa, con il suo sistema di solidarietà sociale e politica costruito dopo l’urto sanguinoso delle due guerre mondiali, fosse più attrezzata di altri sistemi a reggere la tempesta. Invece così non è stato. Cosa è successo?

la flexsecurity
Sul finire del secolo scorso, di fronte ai grandi cambiamenti in corso e in arrivo, si è ritenuto necessario cambiare il modello del lavoro europeo, basato sulla centralità della tutela dei lavoratori e sui pilastri della sicurezza sociale (pensioni e sanità pubbliche in primo luogo). Alla rigidità delle istituzioni che facevano ruotare la sicurezza sociale attorno alla garanzia e alla tenuta del posto di lavoro, si è man mano sostituito – o tentato di sostituire, come nel caso italiano – un altro modello, quello della «flexsecurity», flessibilità + sicurezza: rinunciamo all’antica garanzia del «posto a vita», per avere insieme flessibilità sul mercato del lavoro e una rete di protezione pubblica, a condizione di un’attivazione personale, ossia disponibilità a formarsi, ricollocarsi, aggiornarsi.
Da noi la flexsecurity è rimasta uno slogan: la flessibilità è stata introdotta in dosi massicce per i nuovi entranti (i giovani soprattutto) mentre la sicurezza è diminuita per tutti. Tutto l’apparato istituzionale necessario per garantire quella transizione è mancato. Ma anche in Paesi nei quali la flexsecurity è nata ed è stata realizzata, con forti investimenti e massicci cambiamenti, la frattura sociale ha continuato ad allargarsi.

scoglio della crisi economica
I motivi possono essere tanti, ma ce n’è uno sopra tutti, lo scoglio contro il quale il mito si è infranto: la grande crisi economica iniziata nel 2008. Senza crescita economica, la flessibilità non basta per trovare lavoro e la sicurezza non può essere garantita. Ma di fronte alla crisi, che prosciugava non solo le risorse private ma anche la tenuta dei conti pubblici, la risposta europea è stata in prima istanza quella dell’intervento per tamponare le perdite (sia interventi automatici, derivanti dai vecchi istituti dello stato sociale europeo come i trattamenti di disoccupazione; che spese straordinarie e discrezionali, come quelle per salvaguardare la tenuta del sistema bancario).
Di fronte a questi aumenti necessari di spesa pubblica, c’è stato poi un contraccolpo: spaventati dalla slavina dei debiti pubblici che iniziava a formarsi, i governanti europei hanno prontamente richiuso i cordoni della borsa e imposto il ritorno alla linea del rigore nei conti pubblici. Le differenze regionali, invece che un gap da colmare, sono diventate fonte di colpa e di sospetto; gli egoismi nazionali, che sempre si rafforzano in tempi di crisi, hanno impedito di vedere la superiore razionalità di una risposta cooperativa; le zone ricche d’Europa, quelle che si sono inserite tra i «vincenti» della globalizzazione, hanno sperato di poter continuare a prosperare e hanno temuto la zavorra dei poveri invece di fare dell’unione la leva della propria forza. Unica soluzione cooperativa è stata, paradossalmente, quella nata in ambito monetario con la conduzione della politica della Bce da parte di Mario Draghi orientata a tener la stabilità, contrastare la speculazione sui debiti sovrani e immettere liquidità nel sistema.

la frattura politica
Il risultato politico è nella frammentazione dell’Europa, nella apertura di una frattura politica che ha seguìto quelle sociali ed economiche, nel ritorno di spettri del passato. Quello economico è ancora più paradossale e rischioso, con un’Europa incapace di andare avanti nella costruzione di un nuovo modello e un’unione di bilancio più stretta ma anche bloccata nella sua testa, la locomotiva tedesca che adesso è entrata in difficoltà. Di fronte ai rischi presenti e futuri, al pericolo del baratro, da più parti si auspica uno scatto in avanti, un ritorno di necessità non ai modelli del passato (impossibile ripristinarli uguali in un mondo cambiato) ma alla loro ispirazione di progresso sociale. Il pensiero pragmatico, non quello utopico, dovrebbe spingere in quella direzione. Quel che manca, più che la necessità, è la loro base sociale, una forza composita e unita capace di attraversare le frontiere fisiche e quelle ideologiche.
Roberta Carlini
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EUROPA
ROCCA 15 MAGGIO 2019
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Che succede?

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SUL CASO SIRI. SULLA CRESCITA. SUL TERZO SETTORE. SULL’AUTONOMIA REGIONALE
4 Maggio 2019 by Forcesi | su C3 dem.
Sul caso del sottosegretario Siri un editoriale di Marco Olivetti su Avvenire che fa chiarezza su molti aspetti: “A un bivio inesorabile”. Su Il Dubbio un’intervista a Cesare Mirabelli: “Il sottosegretario vittima della politica che anticipa i pm”. Paolo Gentiloni, intervistato da Repubblica su vari temi: “Ue, Italia a rischio”. Giovanni Tria, intervistato da Il Fatto: “E’ ora di dare fiducia all’Italia”. Una sorta di replica a Tria è in Paolo Balduzzi sul Messaggero: “Le cicale e l’illusione dell’estate che non c’è”. Su Avvenire un intervento di Giuliano Pisapia contro il governo sulla questione del Terzo settore: “Un civil compact per Europa e Italia”. Ancora Giuliano Pisapia sul tema dell’autonomia regionale: “L’autonomia richiesta dalle regioni può creare due Italie” (intervista al Secolo XIX). Opposta la linea di Luca Zaia: “Senza l’autonomia salta in contratto” (intervista al Corriere).
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PD E 5STELLE: TEMPO DI GARA O DI PATTI?
4 Maggio 2019 by Forcesi | su C3dem
Dopo che “Di Maio riposiziona il M5S a sinistra” (F. Capursi, La Stampa), “Quell’amo lanciato a sinistra” (M. Sorgi, La Stampa), e dopo che Graziano Delrio dice a La Stampa: “Pronti a discutere con i grillini su salario e conflitti di interesse”, Carlo Bertini annota: “5stelle-Pd, Di Maio frena, ma la base dei grillini è pronta alle convergenze” (La Stampa) e Lina Palmerini commenta sul Sole 24 ore: “Tra Zingaretti e Di Maio ora è tempo di gara non di patti”. Il parere di Stefano Folli, “Il Pd, i 5 stelle e i due scenari del dopo voto” (Repubblica). Torna sul tema Franco Monaco: “Fratelli coltelli al governo” (Settimana news). L’opinione di Lorenzo Guerini: “Perché il Pd deve guardare all’elettorato moderato” (intervista al Foglio). Elisabetta Gualmini, “L’identità del Pd” (Foglio). Tommaso Montanari, “C’è un turbamento che unisce Lega e Pd” (il Fatto). Franco Monaco commenta sull’Huffington Post (“Disputa Cacciari-Calenda: quale PD?”) le interviste a Repubblica di Massimo Cacciari, “La sinistra vive. Le forze dell’antipolitica non sanno governare” e di Carlo Calenda, “Cacciari sbaglia bersaglio” dopo il voto in Spagna. INOLTRE: Guido Crainz, “Le parole che vogliamo dalla sinistra” (Repubblica) e Paolo Franchi, “La sinistra tra i sogni persi e una felicità più lontana” (Corriere).