Monthly Archives: aprile 2019
MIGRAZIONI INTERNAZIONALI
CONTRO IL CAOS
di Pietro Greco, su Rocca*
Cinque milioni di italiani sono emigrati all’estero. Cinque milioni di stranieri sono emigrati in Italia. In fatto di migrazioni, l’Italia è un paese di mezzo. Sarebbe, dunque, particolarmente interessato a quel Global Compact sulle migrazioni firmato da 164 paesi, in sede di Nazioni Unite, a Marrakech, in Marocco tra il 10 e l’11 dicembre scorso. Eppure, tra quei 164 paesi firmatari, l’Italia non c’è.
Il governo ha voluto prendere tempo. Ma intanto il Parlamento ha deciso. Lo scorso 27 febbraio è passata a maggioranza una mozione proposta dai Fratelli d’Italia che lo impegna, il governo, sia a «non sottoscrivere il Global Compact» sia «a non contribuire in alcun modo al finanziamento del relativo trust fund». La mozione ha avuto una storia non usuale: è stata approvata con soli 112 voti favorevoli dei gruppi appartenenti a due partiti di opposizione (Forza Italia, oltre che i Fratelli d’Italia), ha ottenuto 102 voti contrari (dei deputati degli altri partiti di opposizione, Pd e Leu), mentre ha visto astenersi ben 262 parlamentari (i membri dei gruppi appartenenti ai partiti di maggioranza, M5S e Lega). Il governo, che pure dovrebbe firmare il Global Compact, non si è pronunciato.
un testo quadro
Ora non entriamo nella vicenda politica. Non è compito nostro. Diciamo solo che il Global Compact di cui stiamo parlando è un testo quadro non vincolante che tende a mettere ordine nel caos delle migrazioni internazionali. A regolarle. A vantaggio sia dei paesi di partenza sia dei paesi di arrivo, oltre che – s’intende – dei migranti stessi.
Non firmare il testo di Marrakech è quanto meno strano. Soprattutto se si è partecipato alla sua elaborazione. Ma tant’è. E sulle scelte politiche non vogliamo entrare.
Dobbiamo, tuttavia, misurarci con il fenomeno delle migrazioni. Che è un fenomeno strutturale, anche ai nostri giorni. Ma non solo ai nostri giorni. D’altra parte Homo sapiens è nato in Africa, oltre 200.000 anni fa è si è diffuso per il pianeta con una serie di migrazioni. Ma non parliamo dei tempi antichi. E non parliamo solo degli africani (alcuni dei quali sono lontani bisavoli delle popolazioni, ora bianche, d’Europa). Prendiamo il caso del nostro paese, dell’Italia. Nel suo primo secolo di unità – tra il 1861 e il 1961 – ha visto migrare all’estero 25 milioni di persone: 700 al giorno, in media, per 36.500 giorni consecutivi. Oggi la situazione non è molto cambiata. Ogni anno – negli ultimi anni – hanno lasciato l’Italia 200.000, soprattutto giovani spesso laureati: 550 al giorno, in media. Non c’è dubbio da oltre 150 anni siamo un popolo di migranti. E stabilire regole internazionali che proteggano questi giovani italiani sarebbe cosa buona e giusta. Naturalmente non si fa una legge interna- zionale per tutelare solo i migranti italia- ni. Se ne fa una per tutelare tutti i migranti, attraverso procedure ordinate che tengano conto tanto dei paesi di partenza quanto di quelli di arrivo.
tre fattori incrociati
Stiamo parlando di migranti in generale, senza distinguere tra migranti per cause di guerre e persecuzioni (chiamati refugees nella giurisprudenza internazionale), per cause ambientali (il deserto e la siccità spinge a migrare più dei conflitti armati) o per cause economiche. I tre fattori, d’altra parte, sono quasi sempre intrecciati. Non a caso la gran parte degli africani che oggi lasciano il continente e tentano di raggiungere l’Europa vengono dalla fascia del Sahel, dove le condizioni ambientali sono in rapido deterioramento a causa dei cambiamenti del clima (il lago Ciad si è quasi essiccato) e nel mare di povertà imperversano gruppi terroristici.
Già, l’Africa. Nel 1950 il continente nero era abitato da 180 milioni di persone. Oggi siamo a 1,2 miliardi e fra trent’anni saranno 2,5 miliardi. È inevitabile che con i cambiamenti del clima e in mancanza di una robusta crescita economica, una parte sterminata di africani sarà costretta a lasciare la casa dove è nato. La quasi totalità cercherà dimora e lavoro all’interno dell’Africa stessa. Ma una parte di quei migranti per necessità cercherà di raggiungere l’Europa.
È inutile cercare di elevare mura. Non solo perché, come dice papa Francesco, a restare intrappolati in quelle mura saremo noi europei. Ma perché la storia ha dimostrato che le mura e le muraglie servono a poco quando la pressione è davvero alta. Né i Romani né i Cinesi, con le loro mura e muraglia, sono riusciti a contenere l’arrivo di quei migranti dall’esterno che entrambi chiamavano «barbari».
il problema demografico
È inutile cercare di elevare mura. Ma neppure conviene. Come rilevano Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna nel loro libro dal titolo Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione dal 1975 in poi in Italia si registra un calo delle nascite. E il fenomeno demografico ora è diventato anche un problema economico: gli italiani nati nell’ultima tratto del secolo scorso sono giunti in età da lavoro. E poiché sono sempre meno, c’è un buco nella popolazione in età da lavoro (20-64 anni: nei prossimi venti anni i potenziali lavoratori passeranno da 36 a 29 milioni. Un calo netto, difficile da sostenere per l’economia (e anche per la società). Ora, dicono Allievi e Dalla Zuanna, per tentare di mantenere costante questa popolazione nella fascia di età da lavoro nel prossimo ventennio dovrebbero entrare in Italia 325.000 stranieri in età da lavoro.
Riassumendo. L’Africa sta andando incontro a un formidabile aumento demografico che in cento anni (dal 1950 al 2050) la porterà da 180 milioni a 2.500 milioni di abitanti. Già oggi gli africani sono più di 1.200 milioni. I cambiamenti climatici stanno rendendo e renderanno vieppiù molte aree nel continente nero inabitabili. La spinta a migrare sarà irresistibile.
Di converso, l’Italia (ma potremmo parlare di buona parte dell’Europa) è in una fase di decrescita demografica accompagnata da un aumento della popolazione anziana. Per mantenere costante la popolazione attiva avremmo bisogno di 7 milioni di lavoratori stranieri nei prossimi venti anni.
un African Compact
A questo punto logica vorrebbe che se l’Africa offre lavoratori e l’Italia domanda lavoratori, l’offerta e la domanda si incontrassero. In maniera ordinata, nel pieno rispetto delle leggi e della dignità. Occorrerebbe, appunto, un African Compact per la migrazione.
Si dice: «non possiamo accoglierli tutti». E, infatti, nessuno pensa di trasferire in Europa 2,5 miliardi di africani. Ma sarebbe auspicabile (anche perché sarà pressoché impossibile da evitarlo) che una piccola quota parte di migranti africani trovi un’ordinata accoglienza. Dice: «meglio aiutarli a casa loro». Giusto. Ma quel è il modo migliore di aiutarli a casa loro, oltre a intensificare gli sforzi di prevenzione dei cambiamenti climatici?
Le modalità sono due. E non sono alternative. Il primo è che l’Unione Europea dia seguito a molte intenzioni dichiarate e mai realizzate per proporre un grande «Piano Marshall per l’Africa»: un massiccio piano di investimenti in grado di creare lavoro nel continente nero. Lo sta facendo, per certi versi, la Cina. Anche se il piano europeo dovrebbe essere non solo più generoso, ma anche più rispettoso delle tradizioni e delle libertà dei popoli che abitano il continente nero.
Ma un altro modo, ripetiamo complementare e non alternativo, per «aiutarli a casa loro» è ammettere in Italia (e in Europa) una quantità non elevata, ma nep- pure infinitesima, di lavoratori africani. Sono le rimesse dei migranti che aiuterebbero – che stanno già aiutando – gli africani a casa loro. Sono circa 70 miliardi l’anno le rimesse dei migranti che raggiungono l’Africa. Molto più degli aiuti internazionali, Cina inclusa. E sono soldi, come nota ancora il sociologo Stefano Allievi, nel suo nuovo libro (Immigrazione. Cambiare tutto) che non sono intercettati da politici e burocrati corrotti, ma arrivano direttamente nelle tasche delle famiglie africane. Sono soldi che stanno contribuendo a quella crescita economica che, tra mille contraddizioni e differenze tra gli oltre 50 paesi del continente, sta interessando finalmente l’Africa.
Certo, il Global Compact sulle migrazioni firmato lo scorso mese di dicembre a Marrakech da 164 paesi non è sufficiente a «cambiare tutto». Tuttavia quell’accordo è necessario. È la premessa indispensabile per trasformare le migrazioni da minaccia e occasioni di conflitto in opportunità per tutti.
Pietro Greco
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ROCCA 15 APRILE 2019
Rocca – Cittadella 06081 Assisi
e-mail rocca.abb@cittadella.org
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La nostra città futura
[FONDAZIONE GIANGIACOMO FELTRINELLI] VERSO UNA NUOVA CITTADINANZA
Negli ultimi mesi, la parola “cittadinanza” è tornata attuale in Italia. E non solo per il reddito varato dal governo, ma soprattutto per la “concessione” della cittadinanza a Ramy e Adam, i due 13enni di origini egiziane e marocchine che hanno contribuito a salvare i compagni di classe dal dirottamento del bus a San Donato Milanese. Una “concessione” che, oltre a porre il quesito se la cittadinanza sia un premio o un diritto (Corriere), porta a interrogarci sull’essere cittadini oggi. Perché di là del riconoscimento giuridico della cittadinanza, tra spinte migratorie, crisi economica e disuguaglianze crescenti, ci sono ampi bacini di cittadini che restano ai margini rispetto ai cosiddetti diritti di cittadinanza. Alle disuguaglianze di reddito (Il Sole 24 Ore), si aggiungono quelle che riguardano la salute e la sicurezza sociale, l’accesso all’istruzione e alla formazione, alterando di fatto il pilastro secondo il quale attraverso i servizi si possono garantire a tutti una serie di opportunità di base. Con l’arretramento dell’impegno della spesa pubblica nel welfare, il rischio quindi è quello di muoversi verso una forma di cittadinanza basata sul censo che pensavamo essere ormai un retaggio del passato (Eticaeconomia).
Oggi sabato 13 aprile 2019
Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————
Ignazio Marino: la sua indecorosa rimozione è il simbolo della involuzione democratica del PD e del Paese
13 Aprile 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Che Ignazio Marino fosse una persona per bene lo sapevamo tutti. Chirurgo di fama, non si era messo a far politica per realizzarsi. Era un uomo professionalmente al top. Dunque il suo impegno era solo espressione della sua volontà di mettersi a disposizione della collettività. E’ successo a tanti, piccoli […]
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———————————–Domani alla Comunità di San Rocco – Cagliari
CAMBIAMENTO ?
Riceviamo dal nostro amico e collaboratore Gianni Pisanu e volentieri pubblichiamo.
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IL CAMBIAMENTO
Caro Direttore, spero di non essere giudicato troppo male perché con la nota che segue mi occupo di un argomento che niente aggiunge al prestigio del tuo blog sotto l’aspetto culturale. Mi sembra comunque utile richiamare l’attenzione dei tuoi lettori su aspetti che incidono concretamente sulla vita di tanta parte delle persone che subiranno una riduzione delle già magre risorse in quanto dovranno accollarsi l’onere di misure redistributive che graveranno in gran parte su una fascia di popolazione vicina se non già compresa nella categoria dei poveri, mentre coloro che poveri non sono attendono con trepidazione la flat tax.
Sull’Unione sarda di oggi 12 aprile, in un interessante articolo su quota 100, l’INPS annuncia di aver liquidato, con grande celerità, tutte le pensioni richieste attraverso quota 100, nonché tutte le altre, salvo RECUPERI O CONGUAGLI. Gli stessi patronati lo testimoniano.
Aggiunge sempre l’INPS che tali operazioni non hanno pregiudicato le altre lavorazioni, attribuite alla competenza dell’INPS stesso. Ebbene, nel suo sito lo stesso Istituto si smentisce, in modo clamoroso.
Infatti, in un comunicato stampa del 10 aprile 2019 dal titolo “rivalutazione annuale delle pensioni per l’anno 2019″ si legge: “l’istituto comunicherà, con apposito messaggio, le modalità di recupero delle somme relative al periodo gennaio/marzo 2019. Questo conguaglio non è ancora effettuato in ragione del sovrapporsi di elaborazioni massive relative all’attuazione delle riforme legate al decreto legge 4 del 2019, in particolare alle operazioni legate a pensione “quota 100″ ed al reddito e pensione di cittadinanza“.
IN SOLDONI, il recupero delle somme non dovute e già accreditate ai pensionati, sarà effettuato in seguito, in quanto la precedenza è data alla quota 100 e al reddito D C.
E’ bene ricordare che il decreto in questione, prevede un sistema di calcolo della rivalutazione delle pensioni, peggiorativo rispetto a quello concordato tra sindacati e Governo precedente, e basato sulla riapplicazione della legge 388/2000.
E’ evidente, quindi, che l’ISTITUTO PREVIDENZIALE ha ricevuto l’input da parte del Governo di liquidare prima le pratiche di quota 100 e RDC, lasciandone in secondo piano altre, altrettanto importanti, per motivi facilmente comprensibili e probabilmente propagandistico-elettoralistici. Nulla di nuovo sotto il sole.
Obiettivo di taluni non è l’efficienza dell’INPS o della pubblica amministrazione, ma darne solo la parvenza, per lucrare voti o consenso.
Gianni Pisanu
Che succede?
L’EUROPA DI PRODI. E DI ALTRI
12 Aprile 2019 by Forcesi | su C3dem
La “Lettura Ermanno Gorrieri 2019” di Romano Prodi su “L’Europa al bivio” a Modena l’8 aprile (video integrale). Su Avvenire p. Antonio Spadaro sj firma un articolo su alcune iniziative de La Civiltà Cattolica e della Cei sul Mediterraneo (“Un cantiere di fratellanza fra cittadini del Mediterraneo”). Francesco Miano, “La pace e il futuro. Vocazioni nella città” (conclusioni del convegno internazionale sul futuro delle città a Matera, Avvenire). Francesco Giavazzi, “Noi e l’Europa, stretti tra Brexit e Macron” (Corriere). Javier Cercas, “Il senso dell’europeismo nella Barcellona ribelle” (Corriere). SULLA BREXIT: Jean Luis Cebrian, “L’addio lascerà una ferita aperta” (La Stampa); Timothy Garton Ash, “La battaglia per l’Europa” (Repubblica); Beda Romano, “Brexit, così il rinvio a ottobre complicherà la vita all’Unione” (Sole 24 ore);). ALTRO: Sul Corriere il presidente della ong Avsi, Gianpaolo Silvestri: “Un piano realistico per (con) l’Africa”. Jeffrey Sachs, “Non curiamo abbastanza l’umanità” (intervista a La Stampa).
Oggi venerdì 12 aprile 2019
Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————
Zone rosse per i centri d’ accoglienza? Scivoliamo lentamente nel razzismo e nel classismo?
12 Aprile 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Vorrei, senza pregiudizi e senza slogan, sollevare una questione spinosa posta dalla realtà amministrativa locale. Finora, la distanza di sicurezza da luoghi sensibili, come scuole, oratori o ospedali, è stato disposto solo per le sale da gioco e slot machine e simili. La misura è stata da tempo invocata dalle forze e dalle associazioni […]
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E intanto a Cagliari…
CAGLIARI DESIGNATA COME CITTA’ PER LA SPERIMENTAZIONE DEL 5G.
[Riceviamo e pubblichiamo da Claudia Zuncheddu, esponente dell’ISDE-Medici] Aderisci al “Comitato NO 5G Sardegna”.
Per dire basta alle sperimentazioni tecnologiche sul nostro ambiente e sulla nostra salute.
Cagliari e la Sardegna non sono il laboratorio dei colossi delle telecomunicazioni dove testare gli effetti della tecnologia di 5° Generazione.
Siamo con ISDE-Medici per l’ambiente che con la scienza libera sostiene in tutto il mondo la pericolosità delle onde elettromagnetiche ad alta frequenza. Esse interferiscono sul DNA producendo effetti biologici incompatibili con la salute.
Siamo con le numerose città che in tutti i continenti si ribellano a questa sperimentazione.
Siamo contro i governi italiani di ieri e di oggi che in nome di una falsa innovazione promuovono la Sardegna a luogo di sperimentazione.
Ci contrapponiamo alla classe politica sarda e l’amministrazione comunale di Cagliari, che ignavi e succubi hanno acconsentito in violazione dei principi di precauzione e del diritto delle collettività ad essere informate. Senza la partecipazione e la condivisione popolare, hanno violato la normativa europea.
Il comitato NO 5G SARDEGNA, aderisce alla petizione lanciata in tutto il mondo dagli scienziati indipendenti contro la sperimentazione della nuova tecnologia 5G e in difesa degli equilibri del pianeta.
https://www.facebook.com/No5GSardegna/
E’ online Rocca: “Intelligenza artificiale e futuro dell’uomo”
E’ online il numero 8 (del 15 aprile 2019) della rivista Rocca, che, come è noto anticipa di alcuni giorni l’edizione cartacea. Su autorizzazione del direttore, che ringraziamo, pubblichiamo due articoli (di Daniele Doglio e di Giannino Piana) che si riferiscono all’argomento centrale dello stesso numero “Intelligenza artificiale e futuro dell’uomo”
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G5 a che serve e in mano a chi?
di Daniele Doglio, su Rocca.
Davvero George sai tutto quello che c’è dentro N? «Potremmo cominciare sostituendo con la sigla G5 (in inglese, 5G in italiano) il caffè promosso dal più amato dalle donne fra i divi di Hollywood, in perenne trasferta pubblicitaria nel nostro spazio televisivo. Oppure citando una rivista secondo cui la tecnologia 5G è pronta a rendere ancora più eccitante la vita dei grandi utenti di telefonia mobile «ma può anche essere sfruttata per spiare e pianificare terribili attacchi digitali».
Per quelli della mia generazione il primo G5 fu Franco&G5, band modenese che avrebbe poi accompagnato Caterina Caselli con il nome più rassicurante di Gli Amici; poi è arrivato l’acronimo del primo Club di potenze economiche del mondo, il Group5, che diventò G7 quando insieme al Canada ci entrammo anche noi «quinta potenza economica mondiale», pensa te! Per gli appassionati di fisica il G misura la velocità di accelerazione gravitazionale e più recentemente esprime in milioni di unità (byte e hertz) la velocità dei sistemi informatici e la larghezza di banda nello spettro elettromagnetico.
Oggi è un altro palindromo G5/5G a rappresentare l’ultima (per il momento) frontiera della innovazione tecnologica. Ma forse anche il segnale di un attacco alla privacy. O addirittura una minaccia geo-politica, strumento di penetrazione che porterà il diabolico complotto «globalista» dentro le linee di difesa nazionali tramite accordi commerciali (vedi Memorandum d’intesa Belts&Roads o Nuova Via della Seta firmato a metà marzo dal duo Conte-Di Maio con la Cina), come pensano Trump e Salvini, e come lascerebbe temere l’arresto del direttore finanziario (nonché figlia del proprietario) della cinese Huawei, avvenuto qualche mese fa in Canada su mandato Usa.
innovazione collegamenti mobili internet
Tanta roba per una lettera e un numero. E allora di che si tratta? Risparmiando i dettagli tecnici più complessi (che poi ne sono la vera essenza), trattasi di un insieme di micro-innovazioni, protocolli e «standard» tecnologici che costituisce la prossima Generazione (la 5a, appunto) dei collegamenti mobili internet. Tutto comincia nel 2012 quando l’International Telecommunication Union, organo delle Nazioni Unite con sede a Ginevra che governa l’utilizzo sovranazionale dello spettro elettromagnetico e lo sfruttamento delle onde radio per finalità di servizio pubblico e commerciale, definisce i fattori che dovranno caratterizzare l’offerta di reti e servizi a partire dal 2020. Grazie ai continui miglioramenti nell’uso dello spettro radio-elettrico prevede che molti più «dispositivi» (fino a 1 milione per Km quadrato) potranno accedere contemporaneamente a Internet da mobile con velocità di caricamento-dati 20 volte superiori alle attuali, una copertura di rete molto ampia, collegamenti più stabili. E soprattutto una «latenza» (il tempo che ci mettono i dispositivi senza fili a comunicare fra loro) drasticamente ridotta rispetto a quanto accade oggi sulle reti più avanzate, ovvero quelle contrassegnate dalla sigla 4G LTE, che sta per Long Term Evolution, espressione assai ottimistica essendo ancora in via di introduzione in molti paesi mentre c’è già il 5G ad alitargli sul collo. Lanciato quest’anno in Qatar (per via dei discussi Mondiali di Calcio del 2022) con tecnologia cinese, 5G dovrebbe partire a fine anno in Corea del Sud, mentre è in avanzata sperimentazione in Cina, Stati Uniti, Giappone. Entro il 2021-2022 arriverà anche in Gran Bretagna, Germania, Francia, forse in Italia, anche se alcune compagnie telefoniche stanno già facendo i loro test. E qualcuna non è ancora del tutto convinta causa costi di sviluppo e di implementazione molto elevati. La velocità raggiungibile effettiva dipende infatti da quanto investi in tralicci e trasmettitori e da quale banda dello spettro l’operatore decide di scegliere. Lo standard 5G può utilizzarle tutte e tre (bassa, media, alta) ma di solito lo si associa a quelle ad altissima frequenza (da 3.5 a 26 GHz e oltre) che hanno grande capacità di trasporto ma lunghezze d’onda molto corte che coprono distanze infe- riori ai segnali di oggi e vengono facilmente bloccate dagli oggetti fisici come gli edifici. Aspettiamoci quindi di vedere nelle città raggruppamenti di antenne telefoniche più piccole, posizionate vicine al suolo, che trasmettono onde cosiddette «millimetriche» fra un gran numero di trasmettitori e ricevitori con densità di utilizzazione molto maggiore di quella attuale. Non solo per i cellulari, ma per sensori di movimento, video-camere di sorveglianza, sistemi di illuminazione stradale intelligente. Ma abbiamo davvero bisogno di tutto ciò?
E per fare cosa? Domande pleonastiche ovviamente, perché la innovazione tecnologica ha una tendenza autistica a crescere su se stessa, talvolta intercettando una domanda latente nella società, talvolta prescindendone del tutto, più spesso generando domanda attraverso l’offerta. Ora è vero che il mondo è diventato sempre più «mobile», ogni anno consumiamo sempre più dati, soprattutto adesso che buona parte dell’intrattenimento audio e video arriva in streaming dalla rete, e le bande dello spettro radioelettrico tendono a congestionarsi. Come nel traffico urbano all’ora di punta, se un numero crescente di persone cerca di accedere contemporaneamente in una determinata area agli stessi servizi questi tendono a collassare, provocando rallentamenti sempre più frequenti, soprattutto nelle aree metropolitane di molte città. Problema non da poco che le nuove infrastrutture di rete e i nuovi dispositivi dovrebbero rendere obsoleto in pochi anni perché il 5G aggiunge grandi quantità di spettro in bande non utilizzate finora per il traffico commerciale.
meglio e più velocemente
Preparatevi quindi a sostituire per l’ennesima volta i vostri smartphone. Potrete fare tutto quello che fate adesso, ma meglio e più velocemente. Guardare istantaneamente i video, scaricare in meno di un minuto un film in alta definizione, video-chiamare senza disturbi di fondo. Magari a voi importa poco, ma per centinaia di milioni di appassionati di videogame che passano ore a giocare con lo smartphone un minor ritardo (latenza) fra premere un bottone e vederne l’effetto sullo schermo fa differenza eccome. E non solo, quel che eccita i partigiani del 5G sono tutti i nuovi servizi che potremo costruire e di cui non abbiamo ancora idea. Perché cambierà il modo di interagire quotidianamente con la tecnologia, e man mano che le reti 5G entreranno in funzione vedremo sempre più veicoli autonomi comunicare con altri veicoli leggendo mappe e fornendo informazioni alle altre auto sulle condizioni del traffico o ai proprietari e alle case automobilistiche sulla propria efficienza. Se un’auto frena all’improvviso la vostra lo saprà in tempo per evitare tamponamenti. Salvando molte vite. Così come faranno gli stormi di droni in contatto fra loro per missioni di ricerca e salvataggio, per valutare estensione e velocità di propagazione degli incendi, per monitorare il traffico. Migliorerà l’efficienza delle infrastrutture urbane perché chi gestisce servizi (acqua, gas, elettricità ecc.) potrà controllarne i consumi da lontano, e dall’ufficio tramite sensori potrà vedere eventuali rotture che richiedono interventi manuali, mentre i Comuni potranno installare telecamere di sorveglianza a costi molto bassi, dotate di riconoscimento facciale utile anche alle forze dell’ordine.
Grazie alla ridottissima latenza sarà possibile controllare a distanza macchinari pesanti (utile per la sicurezza degli operatori che lavorano in ambienti a rischio) e consentire a tecnici specializzati di controllarli in qualsiasi parte del mondo si trovino. Anche i servizi per la salute potrebbero trarne giovamento. Grandi miglioramenti si attendono in tele-medicina, terapie fisiche da remoto grazie all’impiego di Realtà Aumentata, riabilitazioni e interventi chirurgici a distanza. Grazie alle reti di sensori e a dispositivi indossabili gli ospedali potranno monitorare a distanza i pazienti intervenendo in casi di emergenza, i medici controllare gli effetti delle terapie, e le società assicurative accertarsi che gli assistiti stiano seguendo i trattamenti concordati dalle loro polizze.
E poi c’è il cosiddetto IoT (Internet delle cose), che sempre grazie a velocità e ridotta latenza del 5G farà comunicare con noi e fra loro gli elettrodomestici e tutti gli altri strumenti elettronici che abbiamo in casa o in ufficio, senza reti fisse e senza consumare troppa capacità di banda come ora.
protagonisti industriali
Per far funzionare il 5G c’è bisogno di enormi investimenti. Sia per produrre dispositivi e infrastrutture di rete, sia per le frequenze che gli attuali operatori di telefonia utilizzano per i nuovi servizi. Nel primo caso le manifatture digitali con la capacità di innovazione necessaria si contano sulle dita di una mano, un pugno di aziende che lavorano su mercati interni molto avanzati e affamati di innovazione. Come l’americana Qualcomm (possiede 15 brevetti indispensabili per il 5G) o le cinesi Huawei (22 licenze commerciali 5G in tutto il mondo nonostante lo stop in Usa, Australia e i dubbi della Germania) e Zte, o la coreana Samsung. In questo gruppo l’Europa è ben posizionata con la finlandese Nokia che sta già costruendo reti 5G in Gran Bretagna, Germania e ha vinto l’appalto per la città di Tokio in vista delle Olimpiadi 2020, e la svedese Ericsson che lavora con Volvo (proprietà cinese) nel campo dei veicoli senza pilota. Aziende che talvolta collaborano (come Qualcomm e Samsung), talvolta si scontrano sui mercati e nei tribunali dei brevetti (Qualcomm ha appena vinto una causa da 30 milioni contro Apple per i chip dell’IPhone). Nel secondo caso i governi hanno cominciato a mettere all’asta nuove porzioni di spettro. Una idea degli investimenti? Anche in funzione 5G Vodafone, Tim, Iliad, WindTre, Fastweb, Open Fiber e Linkem si sono appena impegnate a pagare oltre 6 miliardi allo Stato italiano per le nuove frequenze. Sono 4 miliardi in più della cifra minima fissata in Legge di Bilancio.
rischi privacy e salute
E i rischi per la privacy? Come quelli di adesso. Vedi recentissimo scandalo italiano, migliaia di cittadini spiati elettronicamente per l’errore (?) di un hacker di Stato nell’uso di software che le Procure usano per sorvegliare i criminali. Solo un po’ peggio, perché difendersi da un’orda di strumenti è più difficile che tenere sotto con- trollo uno smartphone. Se sentite un brivido di sorveglianza alla Grande Fratello e non siete contenti, ricordatevi di non abboccare a tutte le offerte che arrivano dalla rete e siate meno generosi con i vostri dati, che sono la moneta di scambio di quello che chiamano ormai capitalismo della sorveglianza.
E i rischi per la salute? Come quelli di adesso, solo un po’ peggio per la concentrazione delle onde elettromagnetiche sempre più alta e l’inquinamento sempre più forte. Anche se ci saranno nuove regole e sistemi a protezione.
colonizzazione geo-politica?
E i rischi di colonizzazione geo-politica? Beh la posta in gioco per realizzare la nuova frontiera scatena il conflitto fra i colossi industriali del chip e delle reti, e non stupisce l’uso della pressione politica nazionale e internazionale. Considerando l’approccio cinese al mercato, la tendenza a installarsi in modo coloniale nei mercati dove riesce a imporsi, è abbastanza ragionevole valutare con prudenza le loro offerte. D’altra parte Lady Huawei è ancora ai domiciliari in Canada, ma intanto la sua azienda ha sfondato i dollari 100 miliardi di fatturato, come finora solo Google, Microsoft e Apple. Non è pensabile che ogni paese possa cavarsela da solo. L’Europa con Nokia e Ericsson è ben posizionata, pensiamo anche a questo prima di votare alle Europee di maggio.
E allora George? Da quel che si capisce nello spot Clooney non sa nulla del suo caffè preferito. Ma ha senso porsi il problema?, non basta forse fidarsi del marchio?
Daniele Doglio
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Roboetica
L’intelligenza artificiale e il futuro dell’uomo
di Giannino Piana, su Rocca.
Tra le innovazioni in atto nell’ambito della odierna ricerca tecnologica una vera rivoluzione è oggi costituita dall’intelligenza artificiale, che ha fatto negli ultimi decenni enormi progressi e la cui
ricerca è stata (ed è) fatta oggetto di grandi finanziamenti, anche a scapito – secondo alcuni – dell’intervento in altri importanti settori della vita sociale. Numerosi e di grande rilevanza sono i campi di applicazione di questa conquista tecnologica. Si va infatti dal potenziamento dell’umano – basti pensare alla possibilità di manipolare il corpo umano per superare limiti fisici o mentali considerati tuttora invalicabili, mediante la sostituzione di parti di esso con organi elettronici e meccanici – alla produzione e all’uso di armi completamente autonome, che agiscono cioè indipendentemente dall’intervento dell’uomo, fino alla analisi di dati strettamente personali (e delicati) di un individuo (abitudini, preferenze, idee politiche e religiose, ecc.) allo scopo di predirne o condizionarne il comportamento.
Gli scenari nuovi che si aprono chiamano dunque in causa l’uomo e il suo destino, e sollevano inevitabili interrogativi di carattere etico. Accanto agli indubbi effetti positivi, che è possibile si registrino in vari ambiti della vita, esistono – come risulta evidente da quanto accennato – possibili ricadute negative di grave entità, che esigono pertanto l’esercizio di una preventiva vigilanza e di un costante controllo. Sono state proprio queste potenziali ricadute negative
a sollecitare la nascita di un nuovo filone della riflessione etica, la cosiddetta roboetica, che si propone, da un lato, di inserire le conquiste che in questo ambito sono avvenute (e avvengono) entro un orizzonte umanistico e di fornire, dall’altro, una serie di regole che consentano il loro utilizzo in direzione di un’autentica umanizzazione.
l’esigenza di una nuova alleanza tra umanesimo e tecnica
Alla fine dello scorso febbraio l’Assemblea plenaria della Pontificia Accademia per la vita svoltasi a Roma ha dedicato i propri lavori a questa nuova disciplina. Intervenendo a tale summit, Mons. Vincenzo Paglia, responsabile del dicastero vaticano organiz- zatore dell’incontro, ha messo l’accento sull’ambivalenza della situazione attuale, osservando che «se da una parte si lavora al progetto di potenziare il soggetto umano grazie alle tecnologie, dall’altra si concretizza il rischio di esonerare l’umano dalla cabina di regia della potenza della tecnica», e sottolineando, di conseguenza, la necessità «perché la tecnica sia umana, di rimanere umani e di mantenere la signoria dell’intelligenza umana sull’umano» (Avvenire, 26 febbraio 2019, p. 15).
Il messaggio che è venuto da quell’autorevole assise di esperti si può condensare nell’offerta di una duplice sollecitazione: apertura nei confronti di tecniche che possono senz’altro rappresentare utili strumenti per la promozione umana ed esigenza di vigilare affinché non abbia il sopravvento la tentazione della ybris prometeica con gravi conseguenze per la vita dei singoli e della collettività. Si tratta, in altri termini, di dare vita a una nuova alleanza tra umanesimo e tecnica o – come qualcuno ha suggerito con una formula suggestiva – di sviluppare una forma di «nuova intelligenza», capace di interpretare e di affrontare correttamente le nuove prospettive emergenti.
l’importanza di criteri adeguati di valutazione
I grandi indirizzi orientativi, ispirati a una istanza umanistica, per quanto necessari, tuttavia non bastano. Si rende necessaria anche l’individuazione di precise normative, che rendano efficaci gli obiettivi perseguiti. A tale riguardo, l’Unione europea ha elaborato lo scorso anno una proposta per definire l’approccio all’intelligenza artificiale e alla robotica avanzata. La proposta, che mette al centro la promozione dei valori umani, fornisce una serie di linee-guida, con l’indicazione di criteri di valutazione dei processi indotti dall’innovazione in corso; criteri che hanno come base la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione. L’approccio etico, che persegue l’affidabilità tecnica dei prodotti e che si preoccupa che le persone sentano di potersi fidare, si propone di creare le condizioni perché – come si legge nel documento – «lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale non debbano essere percepiti come fine in sé, ma con lo scopo di aumentare il benessere dei cittadini». Partendo da tali presupposti il testo europeo fissa cinque principi fondamentali – quattro dei quali non sono altro che la ripresa dei principi della bioetica formulati in origine da T. L. Beauchamp e J. F. Childress (Principles of Biomedical Ethics, New York 1983) e divenuti successivamente classici – i quali vanno applicati alle diverse sperimentazioni sulla e alle diverse utilizzazioni della intelligenza artificiale.
I primi due principi sono il principio di «beneficenza» (Beneficiency) e di «non maleficenza» (Non-malefiency); essi implicano che gli sviluppi della ricerca e l’applicazione dei suoi risultati avvengano nel segno della promozione del benessere degli individui e della società, favorendo crescita economica, equità sociale e tutela ambientale; e che – in questo consiste la non-maleficenza – ci si preoccupi di evitare manipolazioni alterative dell’identità dell’umano, non solo a livello individuale ma anche a riguardo della specie e delle generazioni future, e che si ponga un robusto argine nei confronti di ogni forma di discriminazione.
Entro questo quadro, che segna, da un lato, il limite e definisce, dall’altro, le finalità secondo le quali l’intera attività che ruota attorno all’intelligenza artificiale va attuata, si inseriscono il principio di «autonomia» (Autonomy) e quello di «giustizia» (Justice). Scopo del primo è la salvaguardia di un bene fondamentale che rischia di essere gravemente minacciato, quello della libertà della persona, la garanzia cioè della possibilità di essere protetta dalla subordinazione e dalla coercizione di un sistema che ha un forte potere di condizionamento; mentre il secondo – la giustizia – ha come obiettivo l’attenzione a fare i conti con la corretta distribuzione dei costi e dei benefici; a verificare, in una parola, che essi vengano equamente ripartiti tra i cittadini, senza privilegi per nessuno e per nessuna categoria sociale. Accanto a questi importanti indicatori che – come si è ricordato – sono desunti direttamente dalla bioetica, sia pure con una riformulazione adeguata alle caratteristiche proprie dell’intelligenza artificiale, un posto particolare (e qualificante) va riservato al principio (l’ultimo) di «comprensibilità» (Explicability), che riguarda tanto la possibilità di fruire di una piena comprensibilità dei procedimenti usati dal sistema quanto l’esigenza di trasparenza e di controllo del business soggiacente. L’importanza di tale principio è strettamente connessa alla sempre maggiore complessità del sistema informatico e alla difficoltà di comprendere i processi ad esso connessi e le ricadute positive e negative della loro concreta applicazione. Di qui la necessità di una costante interfaccia tra scienza e opinione pubblica, in modo di giungere, attraverso un vero dialogo, a una conoscenza sempre maggiore degli effetti dei vari interventi, e di rendere perciò possibile l’esercizio effettivo del controllo.
L’insieme dei principi ricordati, che vanno evidentemente bilanciati tra loro per trovare, di volta in volta, il giusto equilibrio tra i valori della libertà, del bene personale e della giustizia esigono, da un lato, la messa in atto di un sistema di conoscenze indispensabili per potersi accostare con consapevolezza alle innovazioni in corso – sistema che comporta, per avere effetti positivi, il coinvolgimento delle diverse agenzie educative, della scuola in particolare –; e, dall’altro, la creazione di appositi comitati etici, che intervengano nei processi in atto con la produzione di norme adeguate a tutelare la libertà degli individui e a definire i limiti invalicabili della sperimentazione e dell’uso dell’intelligenza artificiale nell’interesse generale dell’intera umanità.
un atteggiamento corretto di approccio
Al di là dei giudizi sulle singole operazioni, è tuttavia importante assumere un atteggiamento corretto nei confronti dell’approccio alla questione. Le ambivalenze ricordate impongono infatti la capacità di un discernimento della situazione e l’esercizio di una precisa responsabilità da parte di tutti. La tensione è oggi tra gli entusiasti, che mettono in
evidenza gli effetti positivi di tale innovazione, cioè i cambiamenti radicali da essa indotti in grado di allungare la vita, di ridimensionare il lavoro e di formare esseri umani migliori; e i pessimisti, che mettono l’accento, talora con toni apocalittici, sulla possibilità che si produca la crisi della organizzazione sociale, con il rischio che si determini la fine della attuale civiltà.
L’uno e l’altro di questi atteggiamenti va superato. È importante fare proprio un atteggiamento di disponibilità e di vigilanza, di apertura alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, ma anche di costante attenzione ai risvolti negativi che possono derivare dal loro uso incontrollato e della necessità di non farsi soverchie illusioni sulla loro illimitata applicazione o sulla capacità di sostituire totalmente l’intelligenza umana. Lo mette bene in luce Marc Mézard, direttore della prestigiosa Ecole Normal Supérieure di Parigi, il quale scrive: «L’intelligenza artificiale rappresenta certamente una sfida tecnologica importantissima. Nuove macchine saranno capaci di prendere decisioni e di aiutarci a farlo. E saranno necessarie una serie di nuove regole per controllarne la funzione. La loro esistenza influenzerà la nostra vita nel bene e nel male. Ma – e questo mi pare essenziale – sarà difficile che possano essere considerate ‘intelligenti’» (La lettura, 27 gennaio 2019, p. 13). Quest’ultima osservazione ci mette realisticamente di fronte alla consapevolezza che, al di là delle importanti prestazioni che può offrire, l’intelligenza artificiale non è in grado di sviluppare comportamenti veramente «intelligenti»; ciò che essa può fornire è infatti una risposta a funzioni caratterizzate da una semplificazione della realtà all’interno di un quadro definito. Il che rende indispensabile (e lo renderà anche in futuro) il ricorso all’intervento umano, al quale, in definitiva, occorrerà fare sempre riferimento, sia per definire gli obiettivi da perseguire nello sviluppo dei processi tecnologici, sia per controllare concretamente l’uso degli strumenti a disposizione, sia per provvedere laddove occorre, agli eventuali correttivi. Anche questa nuova conquista del progresso tecnologico non può essere perciò lasciata a se stessa, ma ha bisogno – come si è detto – se si vogliono evitare le pesanti ricadute negative accennate, di essere sottoposta al vaglio del giudizio etico. Un giudizio che non può (e non deve) limitarsi a mettere in guardia dalle gravi conseguenze che possono aver luogo. Deve soprattutto indirizzare l’agire umano verso il perseguimento di obiettivi che accrescano il benessere degli individui e della comunità umana, e che rendano possibile la conquista della felicità.
Giannino Piana
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Rocca – Cittadella 06081 Assisi
e-mail rocca.abb@cittadella.org
Oggi giovedì 11 aprile 2019
Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————
Regione. Che legislatura sarà? Se il buon giorno si vede dal mattino…
11 Aprile 2019
Amsicora su Democraziaoggi.
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“Scuola di formazione politica Francesco Cocco”. Avviata la campagna iscrizioni
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Il Comitato di direzione della Scuola, riunito oggi in forma allargata, tra le altre determinazioni ha stabilito di avviare la campagna iscrizioni, fissando la relativa quota in 50 euro per i soci ordinari, ridotta a 10 euro per i giovani (entro i 25 anni) e i disoccupati. Seguono ulteriori informazioni
Online “politicainsieme.com”
Salutiamo con simpatia una nuova iniziativa editoriale di cattolici italiani in politica: è online da pochi giorni la testata “Politica insieme” [www.politicainsieme.com], che si propone come uno strumento delle persone al fine di “rispondere alle esigenze di partecipazione attiva e organizzata alla vita dell’Italia e dell’Europa”. L’editoriale dell’esordio – che di seguito riproduciamo integralmente – ci fornisce concetti che condividiamo, che per quanto ci riguarda lasciano intravedere possibili sinergici percorsi di collaborazione.
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NASCE POLITICA INSIEME. LA VOGLIA DI PARTECIPARE
Apr 3, 2019
“Politica Insieme” nasce per rispondere ad una esigenza di partecipazione attiva ed organizzata alla vita dell’Italia e dell’Europa. Un progetto che richiama ad un’assunzione di responsabilità personale e collettiva.
Ci riferiamo ai problemi del Paese, ma anche alle sue potenzialità. Della politica e delle istituzioni vediamo tutti i ritardi, le carenze e le contraddizioni. Al tempo stesso, siamo consapevoli che è possibile fare molto per cambiare le cose, per ridurre i divari e gli squilibri, operare per sostenere l’occupazione e l’impresa, aprirci alle innovazioni, salvaguardare l’ambiente.
Tra tutti coloro che guardano alle cose della vita sulla base di una ispirazione cristiana emergono libere ed autonome dinamiche, è crescente l’intenzione di essere presenti per rimediare ad una situazione di grave degrado politico e sociale in cui siamo precipitati.
Non basta, però, l’impegno solo di parti della società italiana e, certamente, non c’è alcuna intenzione di operare in un’ottica integralista o clericale.
Anzi, vogliamo riallacciare rapporti e relazioni attorno alle aree vitali e critiche che ci riguardano con tutti coloro intenzionati a segnare una novità nel riscoprire il gusto dell’impegno pubblico e solidale. Sappiamo che una gran parte degli italiani, anche quelli con adesione ad altri filoni di pensiero, vive le nostre stesse speranze e preoccupazioni.
Il nostro coinvolgimento politico intende richiamare all’attenzione verso il bene comune tutti gli uomini di buona volontà, indipendentemente dal loro credo religioso e dai riferimenti culturali e politici. Intendiamo, infatti, superare un recinto delimitato perché abbiamo delle proposte concrete da suggerire per la soluzione dei problemi degli italiani e degli europei, uscendo dalle dinamiche di una politica che guarda ai luoghi comuni, ai facili slogan e che continua a mobilitarsi sulla base di schieramenti precostituiti, come hanno confermato le recenti, accese discussioni attorno al Congresso mondiale sulla famiglia, organizzato a Verona.
L’ispirazione cristiana che ci sorregge guarda, insieme, alla difesa e completa applicazione della Costituzione e al Pensiero sociale della Chiesa con l’obiettivo di mettere al centro di ogni analisi e scelta politica, sociale, economica, culturale e scientifica la dignità della Persona, la Giustizia sociale, lo spirito della Solidarietà e quello della Sussidiarietà.
E’ la situazione complessiva dell’Italia a scuotere le coscienze e a far emergere l’ineluttabilità di un’assunzione di responsabilità.
Sempre più diffuso è il convincimento che devono essere avviate, anche velocemente, nuove efficaci e più originali politiche in grado di rispondere alle spinte disgregative e ai tanti “egoismi” che si diffondono e definire in maniera diversa la spesa pubblica con il fine di reperire, così, le risorse da destinare agli investimenti necessari ad una effettiva ricrescita del Paese.
Vogliamo partecipare ad una politica concreta per reagire alla crisi dell’occupazione, affrontare adeguatamente le trasformazioni in atto nel mondo produttivo e del lavoro, delineare un nuovo modello di sviluppo per rispondere alla sfida lanciata dalla ricerca scientifica e dalle nuove applicazioni tecnologiche. Sulla base del riferimento alla “Laudato si’”, e in convinta adesione allo spirito ed alla sostanza dell’Agenda 2030, si può contrastare il degrado ambientale, lottare contro le povertà in modo più moderno ed efficace.
Il futuro delle nuove generazioni spaventa e le spaventa. Dobbiamo cominciare a “risarcire” i giovani per quanto è loro già sottratto in termini economici, di occupazione, di mancato ascolto, di disinteresse verso la loro educazione, di depauperamento del patrimonio naturale.
Temiamo per quanto si sta trasformando in negativo nelle relazioni internazionali. Continui sono i limiti posti alla volontà e alla capacità di negoziare ed il conseguente, inevitabile ritorno alle contrapposizioni economiche e alla corsa verso gli armamenti nucleari, chimici, biologici e convenzionali. Eppure, a tutto ciò si può rispondere positivamente, con fiducia.
Sempre più difficile appare giungere ad una distinzione tra l’oggettivo stato di difficoltà afferente la sfera pubblica e quella più intima, esistenziale, etica di ciascuno di noi che richiama la salvaguardia dell’essere umano, il rispetto della sua dignità materiale e spirituale e di quelle libertà destinate a dispiegarsi pienamente sin dal momento del concepimento, indipendentemente dalla sua religione, dal colore della pelle, dalle tradizioni e culture di riferimento.
L’ispirazione cristiana porta inevitabilmente ad impegnarci “per” e non “contro” qualcuno o qualcosa. Anche se ben chiari abbiamo i responsabili dei pericoli portati alle libertà, agli assetti democratici, agli equilibri tra le istituzioni, ad una piena ed effettiva partecipazione.
Siamo di fronte a sfide con una forte carica innovativa e di potenziale arricchimento spirituale, scientifico e materiale e si deve, pertanto, contrastare ogni tendenza al mero disfattismo o abbandonarsi solo a sentimenti di impotenza o di rabbia. Il “nuovo” che avanza può, infatti, rafforzare i processi democratici, ridurre gli squilibri, portarci ad uno sviluppo sostenibile e, dunque, creare un mondo migliore.
I liberali, i popolari e cattolici democratici, i socialisti hanno ricostruito il Paese, nel rispetto delle libertà, hanno allargato la sua base partecipativa, concepito un sistema di equilibri tra poteri, istituzionali e non, ridotto il divario economico e sociale con le realtà internazionali più avanzate, concorso al dispiegarsi del percorso europeo consentendo al Paese di raggiungere condizioni di vita altrimenti impensabili.
Queste storiche forze ideali, in un momento delicato e particolare, devono ritrovare la forza ed il coraggio di rimettersi all’opera puntando nuovamente sulla ricostruzione e sulla ricomposizione, le quali non possono che trovare un fondamento su di un rinnovato spirito di collaborazione, di confronto e di dialogo.
Siamo consapevoli che la nostra, anche se i suoi sbocchi non sempre ci piacciono, è divenuta una democrazia compiuta. Nel senso che la gestione del bene pubblico non è più interpretata in relazione a contrapposte visioni ideologiche o in conseguenza di pregresse, vincolanti vicende storiche.
Siamo pure consapevoli che il populismo si sviluppa sulla base di istanze inattese; trova giustificazione nel divario tra classi dirigenti e la gente fatta di carne ed ossa e nel perpetuarsi di politiche ispirate più dagli interessi di chi opera per la “cattiva finanziarizzazione dell’economia”, piuttosto che da chi ricerca il bene comune; trova linfa in un modello educativo non basato sulla centralità degli esseri umani cui è diretto ed anche in una comunicazione preoccupata più di condizionare i processi decisionali piuttosto che in essi far confluire indipendenti motivi di riflessione, analisi obiettiva, valutazione ragionevole della sostenibilità di proposte e di progetti.
Per noi il popolarismo significa oggi contribuire ad una soluzione dei problemi partendo dall’essere umano, dalla famiglia, dai gruppi sociali intermedi, dall’insieme delle autonomie amministrative che dovrebbero ridurre le distanze da uno Stato vissuto come “avversario” piuttosto che come strumento per operare a favore del bene comune.
E’ quindi doveroso puntare alla ricomposizione sociale ed alla collaborazione tra generazioni, tra istituzioni, tra le persone per ritrovarsi attorno a quegli interessi condivisi che fanno evolvere una società sempre più in una comunità capace di suscitare volontà di partecipazione e richiamare nuove energie.
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“Mai più un’arma in tasca”
Una iniziativa che condividiamo promossa dai nostri amici Vanni Tola e Tonino Budruni
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“Mai più un’arma in tasca”
Perché il gruppo “Mai più un’arma in tasca”? I recenti, e sempre più frequenti, fatti di cronaca ci spingono a reagire. Reagire come possiamo: con l’esempio,con la parola, creando alleanze tra di noi. Mai più un’arma in tasca, è l’obiettivo intorno al quale vorremmo creare un gruppo su facebook per inviare un segnale forte a tutti, in primo luogo ai ragazzi, ma anche ai genitori, agli educatori, ai “politici” e a tutti quelli che influenzano le scelte quotidiane delle giovani generazioni. Mai più un’arma in tasca, per indicare un modo di essere, di ritrovarsi. Per non correre rischi e non farne correre agli altri. Mai più un’arma in tasca, perché la civiltà può e deve farne a meno. Mai più un’arma in tasca, perché è possibile, sempre, agire diversamente. La parola, l’esempio, la comprensione, la solidarietà, il senso di umanità, sono caratteristiche che ci contraddistinguono. Usiamole: con generosità.
Link: https://www.facebook.com/groups/266930177592924/?hc_location=group_dialog
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Oggi mercoledì 10 aprile 2019
Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————
Partiti di sinistra: le ragioni della crisi
10 Aprile 2019
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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Documentazione. Reddito di cittadinanza e pensioni in Gazzetta Ufficiale
Legge n. 26/2019, la conversione del DL 4/2019 in materia di reddito di cittadinanza e pensioni, il testo in Gazzetta Ufficiale.
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Testo del decreto-legge 28 gennaio 2019, n.4 (in Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 23 del 28 gennaio 2019), coordinato con la legge di conversione 28 marzo 2019, n.26 (nella stessa Gazzetta Ufficiale – alla pag. 1), recante: «Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni.».
Il testo coordinato del Decreto Legge 28 gennaio 2019 n.4 con la legge di conversione 28 marzo 2019, n.26