Monthly Archives: aprile 2019
Ricordando Francesco Cocco, un grande sardo
Venerdì 3 maggio, alle ore 17.00, presso l’Ersu a Cagliari (Teatro Nanni Loy, via Trentino) sarà ricordato Francesco Cocco per iniziativa del Centro di iniziativa democratica. Per chi non l’abbia conosciuto Francesco era una persona di grande dignità, intellettuale e politico impegnato per tutta la vita nella sinistra sarda (anche a lungo consigliere regionale, assessore nella prima giunta Melis, consigliere comunale di Cagliari, docente di materie giuridiche ed economiche nella scuola superiore, collaboratore e fondatore di riviste).
Ovviamente è anche un’occasione per riflettere sulle vicende dell’Autonomia sarda anche in relazione ai processi in atto di “regionalismo differenziato”. Di recente il Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria (CoStat), di cui Francesco fu esponente di spicco, gli ha intitolato la Scuola di Cultura Politica, promossa in collaborazione con l’ANPI di Cagliari e con la Confederazione Sindacale Sarda.
Venerdì santo
“Il perché di tanta devozione popolare? Gesù Cristo è uno di noi”.
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Foto di Renato d’Ascanio Ticca
[Tutto il servizio fotografico su fb]
Roma. La Via Crucis al Colosseo dedicata agli sfruttati. I testi delle meditazioni
venerdì 19 aprile 2019
Alle 21.15 la Via Crucis presieduta da papa Francesco. Le meditazioni sono state affidate a suor Eugenia Bonetti (da Avvenire.it)
Ecco i testi (dal BOLLETTINO VATICANO)
[segue]
Venerdì santo
VENERDI’ SANTO
Appuntamento in parrocchia alle 8 del mattino.
Dopo l’arrivo delle confraternite si parte, con la statua della Madonna, attraverso le vie del paese per la Via Crucis.
Le stazioni vengono raffigurate da una croce, appesa al muro esterno di una casa, adorna di fiori e con un drappo bianco intorno.
Ad ogni stazione ci si ferma, il parroco legge la stazione, si risponde in coro.
Si canta e si prega fino alla stazione successiva, per un totale di 14 stazioni.
Si torna in parrocchia dove si conclude la Via crucis con le preghiere di rito.
I confratelli si riuniscono insieme ad altri invitati per un pranzo magro che è composto da: pane, fave, sardine e vino nero.
(I riti della settimana santa a Gesturi, di Usai e Marcialis, ed. Condaghes, 1997).
Mìserere. Cuncordu de Orosei.
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Francesco Guccini Venerdì Santo
Europa, Europa
L’euro e la necessità di un’”altra Europa”
di Gianfranco Sabattini
“A vent’anni dalla sua creazione l’euro e l’eurozona sono sempre più oggetto di accesi dibattiti e di duri scontri politici”; se si volesse fare un bilancio, il meno che si posa dire, afferma Enrico Grazzini, giornalista economico ed autore dell’articolo “Perché l’euro prima o poi crollerà” (apparso su Micromega n, 2/2019), è che la moneta unica europea, adottata nel 1999 da undici Stati membri dell’Unione, cui si sono aggiunti negli anni successivi altri otto Paesi, “non ha mantenuto le aspettative”: rafforzare il mercato interno europeo, rilanciare il processo di integrazione politica attraverso la costruzione di una struttura istituzionale federalista, far convergere nella crescita e nello sviluppo i sistemi economici e le società dei Paesi aderenti e creare un’area valutaria alternativa a quella del dollaro. Per tutte queste ragioni, è impossibile non riconoscere il “fallimento” della moneta unica, che si è mostrata fragile, dopo alcuni anni dalla sua adozione, con l’inizio della Grande Depressione del 2007/2008.
L’euro, perciò, secondo Grazzini, “sembra essere un chiaro esempio di eterogenesi dei fini con conseguenze ampiamente inaspettate e molto diverse rispetto alle annunciate intenzioni iniziali”, e soprattutto molto diverse dalle finalità indicate da chi, scrivendo il “Manifesto di Ventotene”, indicava la necessita di unire l’Europa per il perseguimento di “un’equità sociale condivisa, non per una moneta unica”.
Grazzini ricorda che molti economisti, fuori e dentro l’Italia, sia di destra che di sinistra, hanno affermato, dopo lo scoppio della crisi globale del 2007/2008, che l’euro “non poteva funzionare nel lungo periodo e in caso di shock”; lo avevano detto a chiare lettere economisti premi Nobel, quali Joseph Stiglitz e Amartya Sen, e in Italia, Luciano Gallino, assieme a molti altri intellettuali ed economisti, come Paolo Savona; questi ultimi, però, pur costituendo una trascurabile minoranza, sono sempre rimasti inascoltati e, come dice Grazzini considerati “blasfemi” dall’establishment dominante.
Al riguardo, si ricorderà il rifiuto del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, di nominare Savona Ministro dell’Economia, solo perché, benché non contrario all’Unione europea, era accusato di aver formulato un “Piano B” per il ritorno alla lira nel caso in cui l’euro fosse andato incontro ad una crisi irreversibile. Tutto ciò è accaduto, malgrado fosse noto il fatto che altri Paesi europei si fossero dotati di tutto quanto sarebbe stato necessario per tornare alla loro valuta originaria e che, in Germania, si discutesse apertamente (imperando il severo Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble) della possibilità che l’Italia fosse espulsa dall’area-euro.
In verità, una critica contro l’adozione di una moneta unica nel processo di integrazione europea era stata formulata tanti anni prima della fatidica data del 2007/2008; tra il 1958 e il 1961, all’inizio quindi dell’attuazione del “progetto europeo”, Tibor Scitovsky e Robert Alexander Mundell avevano messo in evidenza le insidie delle quali potevano essere portatori il processo di integrazione economica e il corretto funzionamento dei meccanismi sottostanti il governo dell’area valutaria conseguente al processo di integrazione sopranazionale.
Secondo Tibor Scitovsky, il processo di integrazione economica europea, oltre che vantaggi, poteva creare ostacoli di natura “tecnica” che, se non preventivamente eliminati, avrebbero potuto impedire il successo dell’integrazione. Da questo punto di vista, veniva rilevato il rischio che l’integrazione delle singole economie nazionali potesse generare svantaggi, se le economie avessero presentato, originariamente, strutture produttive completamente differenti. Malauguratamente, questa previsione è prevalsa sull’attesa dei vantaggi, a causa del fatto che il risultato principale della loro distribuzione tra i vari Paesi, conseguente alla liberalizzazione del commercio all’interno dell’area integrata, è stato solo l’incremento della capacità competitiva che l’integrazione, in misura differente tra i vari Paesi, ha determinato nei confronti dell’esterno.
E’ accaduto infatti che l’integrazione economica di strutture produttive differenti non abbia tardato a rivelare le difficoltà cui i singoli Paesi sono andati incontro nella gestione interna del loro sistema produttivo (in particolare, riguardo all’impiego della forza lavoro); difficoltà, queste, che si sarebbero potute rimuovere, solo se fosse stato possibile adottare una politica monetaria e fiscale comune, sorretta dall’integrazione di natura politica, oltre che economica, dei Paesi aderenti al progetto europeo. Non essendo stata realizzata preventivamente la prima, è accaduto che l’aumentata competitività, resa possibile dall’integrazione economica, abbia promosso la propensione di alcuni Paesi, come la Germania, ad orientare la propria struttura produttiva verso le esportazioni, sino a diventare un attore economico globale, e a caratterizzare il proprio sistema economico in termini di avanzo strutturale della propria bilancia commerciale; il che ha dato origine ai mancati benefici economici attesi da parte dei restanti Paesi.
Infatti, la persistenza dell’avanzo commerciale del Paese divenuto dominante all’interno dell’area europea, quindi la sua volontà a non porvi rimedio, hanno impedito che la distribuzione dei vantaggi di natura liberoscambista tra i singoli Paesi dell’Unione Europea fosse realizzata attraverso gli automatismi monetari, secondo quanto era plausibile prevedere in base alla teoria dell’ottimalità delle aree valutarie, esposta nella sua forma più completa nel 1961 da Robert Alexander Mundell.
Secondo questa teoria, l’esperienza storica era valsa a consolidare il fatto che gli squilibri delle bilance commerciali dei Paesi operanti all’interno di un’area di libero scambio sono destinati a tradursi in una crisi del “sistema dei pagamenti internazionali”, se la fissità dei tassi di cambio e la rigidità dei salari e dei prezzi all’interno dei Paesi liberoscambisti impediscono alle ragioni di scambio di svolgere il loro ruolo riequilibratore nei processi di aggiustamento delle bilance commerciali.
Per evitare le difficoltà cui sfortunatamente possono andare incontro i Paesi che decidono di organizzarsi in un’area di libero scambio, attraverso l’adozione di un sistema di valute nazionali collegate tra loro mediante tassi di cambio flessibili, oppure attraverso l’adozione di un’unica valuta, i singoli Stati devono necessariamente rispettare le “regole del gioco” che presiedono al corretto funzionamento dell’area valutaria comune; Nel caso contrario, la crisi dei loro sistemi interstatali di pagamento può trasformarsi in ostacolo, non solo alla stabilità e alla crescita dei Paesi con bilance in deficit, ma anche, più in generale, a quelle dell’intera area di libero scambio. Perché quest’ultima possa configurarsi come ”area valutaria ottimale”, occorre che, all’interno dei singoli Stati, la loro Banca Centrale (nel caso di tassi di cambio flessibili) o la Banca Centrale istituita per l’intera area valutaria (nel caso dell’adozione di un’unica valuta) svolgano la funzione di regolare la quantità di moneta circolante, provvedendo ad allargare o a restringere la circolazione, a seconda della posizione della bilancia commerciale di ogni singolo Stato nei confronti degli altri.
Ciò implica che le Banche Centrali, in entrambi i casi ipotizzati, agiscano in modo tale da consentire ai Paesi in disavanzo di ridurre la propria circolazione, al fine di diminuire il livello generale dei prezzi interni (guadagnando per tale via in competitività), quindi di aumentare le esportazioni; per contro, all’interno dei Paesi con bilancia commerciale in avanzo, le Banche Centrali devono provvedere ad immettere nuova moneta, al fine di aumentare il livello generale dei prezzi interni, promuovendo una diminuzione delle esportazioni. Così, nel tempo, le “regole del gioco” cui devono attenersi nel governo della politica monetaria le Banche Centrali, stimolando l’operatività degli automatismi di mercato, favorirebbero l’aggiustamento delle bilance commerciali di tutti i Paesi integrati all’interno dell’area valutaria comune.
Sino agli anni Settanta del secolo scorso sono del tutto mancate nell’agenda dei Paesi europei, possibili ipotesi di accordo in ambito politico. Queste hanno cominciato ad essere avanzate allorché, a causa della crisi globale dei mercati monetari e di quelli energetici, ha preso forma, nel 1978, la realizzazione del Sistema Monetario Europeo (il cui scopo è stato quello di assicurare una maggiore stabilità monetaria, una riduzione dell’inflazione e tassi di cambio meno variabili, attraverso una maggiore cooperazione tra gli Stati membri); successivamente, con gli anni Ottanta, si è giunti alla decisione di compiere passi in avanti verso l’integrazione, oltre che economica, anche politica dell’Europa, attraverso la creazione di un mercato unico interno.
Solo qualche anno più tardi, ha preso il via il processo di unificazione, con la sottoscrizione dell’”Atto Unico Europeo” (entrato in vigore nel 1987), col quale è stata decisa la realizzazione del mercato unico interno; uno spazio che, mediante l’eliminazione di barriere fisiche, tecniche e fiscali, garantisse la libera circolazione di persone, merci e capitali, in modo da prefigurare l’Europa come un solo Stato.
Per il perseguimento di tale obiettivo si è giunti alla firma, nel 1992, del Trattato di Maastricht, che ha stabilito, da un lato, la nascita di una Banca Centrale Europea (BCE), per la gestione della politica monetaria, e dall’altro lato, le “regole” che avrebbero disciplinato la circolazione della moneta unica (l’euro), da adottarsi entro la fine del millennio.
In presenza degli squilibri nelle bilance commerciali dei singoli Stati, e mancando un accordo comune che ne favorisse il risanamento, il processo di sviluppo dell’integrazione europea e la nascita dell’Unione Economica e Monetaria hanno reso più che mai attuale il dibattito sulla teoria delle aree valutarie ottimali; dibattito che si è protratto sino al sopraggiungere della Grande Recessione del 2007/2008, per continuare negli anni successivi, focalizzando l’attenzione sui motivi per cui non hanno potuto funzionare gli automatismi monetari compensativi.
Sulle ragioni di questa disfunzione, si sono affermate due posizioni contrapposte: da un lato, la crisi della mancata rimozione degli squilibri delle bilance commerciali è stata considerata il risultato delle politiche sociali (in particolare, delle politiche di welfare) di alcuni Stati membri poco “virtuosi”, che avrebbero provocato un effetto negativo a cascata sull’intera area valutaria dell’euro, amplificando le difficoltà determinate dal sopraggiungere della crisi del 2007/2008; dall’altro lato, gli squilibri delle bilance sono stati ricondotti all’ipotesi che alcuni Stati membri fossero vittime, non tanto del loro atteggiamento poco virtuoso e dell’inadempimento degli obblighi comunitari, quanto dei difetti strutturali presenti nelle istituzioni (in particolare, nella BCE) preposte alla gestione dell’eurozona.
Le fasi seguite alla crisi del 2007/2008 hanno polarizzato, fuori e dentro l’Italia, il consenso di molti intellettuali ed economisti (rimasti però inascoltati) sulla seconda posizione, cioè su quella che riconduceva il mancato funzionamento degli automatismi compensativi alla insufficiente azione della Banca Centrale Europea; in particolare, al fatto che tale azione fosse impedita dai Paesi con bilance commerciali in avanzo, i quali, adducendo ragioni ideologiche a difesa dei loro sistemi produttivi, non hanno mai accettato che i rapporti reciproci di debito e credito dei Paesi dell’area-euro potessero essere regolati attraverso l’instabilità dei propri prezzi interni. In altre parole, tali Paesi non hanno voluto che si procedesse sulla via dell’integrazione politica, per cui – come afferma Grazzini – “con Maastricht si è deciso che la creazione e la gestione della moneta – la potestà monetaria – fossero affidate a una banca centrale formalmente e completamente indipendente dai governi e dalla politica (e quindi anche dalle scelte democratiche)”.
Sta di fatto che – coninua Grazzini – alla Banca Centrale Europea è stato assegnato “un potere enorme” che ha esercitato unicamente per controllare l’inflazione, senza essere condizionata e influenzata dalla politica dei singoli Paesi aderenti all’area valutaria comune; la conseguenza di tale status istituzionale della BCE è stata il suo impedimento a svolgere una politica monetaria che, da un lato, realizzasse più equilibrati rapporti tra le strutture produttive dei diversi, e dall’altro, promuovesse la crescita dell’intera area e quella dell’occupazione, attraverso un’incisiva politica della domanda aggregata europea. I Paesi, tra i quali l’Italia, che hanno patito maggiormente gli effetti negativi della Grande Recessione, con la politica deflativa imposta dall’Europa, hanno subito le conseguenze di un minor saggio reale di sviluppo e di una maggiore disoccupazione, a causa della mancata possibilità, dopo l’adesione all’eurozona, di coordinare la loro politica monetaria con la politica fiscale, per via del vincolo di subordinare la seconda alla prima. Questa situazione ha creato la paralisi di Paesi con eccesso di debito, aggravata dal “mancato riciclo” sulla domanda dei rilevanti avanzi di bilancia corrente estera da parte di Paesi come l’Olanda e la Germania.
E’ questo il motivo per cui, se non sarà realizzata un’”altra Europa”, fondata su una reale unificazione politica e sull’azione di una Banca Centrale dotata di poteri e risorse per l’attuazione di interventi democraticamente legittimati, attraverso i quali contrastare le divergenze economiche e sociali esistenti, non solo tra gli Stati membri dell’eurozona, ma tra tutti gli Stati membri dell’Unione, diventerà reale la previsione di Grazzini, che vuole che l’euro prima o poi debba crollare.
Venerdì santo
Venerdì santo in duomo
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La croce: forza di un simbolo. Un dibattito senza clamore su Democraziaoggi. – Venerdì santo -.
Oggi venerdì 19 aprile 2019
Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————
Tagliare il numero dei parlamentari: la banalità del male?
19 Aprile 201
Alfiero Grandi, su Democraziaoggi.
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Settimana Santa
Gesù lava i piedi ai discepoli.
Ford Madox Brown, 1851 (Pittore preraffaellita).
Riflessioni: Ci vuole “spirito di servizio” a partire da chi sta più in alto.
Ci vuole “spirito di servizio” a partire da chi sta più in alto.
di Franco Meloni, su Aladinews di giovedì santo del 4 aprile 2012.
Dal Vangelo secondo Giovanni 13, 4-5: 4 si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. 5 Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugatoio di cui si era cinto.
La chiesa cattolica nella liturgia del giovedì santo, nella messa in coena Domini, rivive il gesto della lavanda dei piedi riportato nel testo dell’evangelista Giovanni. L’episodio è significativo di un atteggiamento di umiltà del Maestro nei confronti dei suoi discepoli e possiamo correttamente ricondurlo simbolicamente ad un atteggiamento “di servizio”, come si diceva un tempo. Ma il concetto è purtroppo in disuso, proprio nel momento in cui sarebbe salutare farvi ricorso. Riportando questo quadro nelle organizzazioni, il Maestro può correttamente simboleggiare il “superiore gerarchico” (il presidente, il rettore, il direttore, il dirigente, etc), mentre i discepoli possono rappresentare i suoi collaboratori o i cittadini-utenti tutti (qui però tralasciamo questa possibile ulteriore estensione). Perchè ci piace fare questa trasposizione, evidentemente apprezzando il gesto della lavanda dei piedi e di tutto quanto può rappresentare nel rapporto capo-collaboratori? Perchè crediamo che oggi vi sia necessità di recuperare un concetto fondamentale: chi per nomina, elezione o eredità si trovi ai vertici di un’organizzazione, sia essa un’impresa, una pubblica amministrazione, un partito politico, un’associazione, una famiglia o quant’altro, deve sentirsi e comportarsi non come un padrone al di sopra di tutto e di tutti, ma piuttosto come titolare di una funzione di servizio verso la stessa organizzazione e la società in generale. Al contrario, purtroppo, si verifica troppo spesso che chi si trova in posizioni di comando in un’organizzazione pensa di poterne disporre a suo piacimento, quasi come l’avesse “vinta al lotto” e si comporta nei confronti dei collaboratori adottando lo schema padrone-servo. E invece oggi più che mai abbiamo bisogno di “spirito di servizio”, che si traduce in disponibilità all’ascolto, rispetto e valorizzazione delle persone, coinvolgimento di tutti nel perseguimento delle missioni e degli obbiettivi delle organizzazioni. Nella scala delle responsabilità in tutte le organizzazioni più si è in alto nelle posizioni gerarchiche più si ha il dovere di farsi carico dei problemi o, com’è pertinente dire nella settimana di Passione, di portare la croce.
Verso le elezioni comunali di Cagliari
- Le ultime notizie sulle primarie del centrosinistra su SardiniaPost (articolo di Marcello Zasso).
Programmi:
Matteo Lecis Cocco Ortu ci segnala dove rintracciare il suo: http://www.matteoleciscoccoortu.com.
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Francesca Ghirra: la sua pagina fb.
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Attendiamo le/gli altre/i.
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Ghirra, Lecis Cocco Ortu, Cilloccu: sono sicuramente tre buone candidature, alle quali contiamo se ne aggiungano altre in una competizione che auspichiamo che il centrosinistra decida al massimo aperta. Fallito il tentativo di mettere insieme in un’unica “primarie” le formazioni del centro sinistra con il M5S e con l’Aggregazione indipendentista-identitaria, attendiamo le candidature di queste ultime, che speriamo di buon livello. Spazio a tutti e buon lavoro per la città di Cagliari, la sua area metropolitana e la Sardegna intera.
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Oggi giovedì 18 aprile 2019
Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti————————–
La disfatta sarda
18 Aprile 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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LA7.IT
ESCLUSIVO. Corrado Formigli intervista Greta Thunberg
Il conduttore intervista Greta Thunberg, la sedicenne attivista svedese in Italia per incontrare il Papa e la presidente del Senato Alberti Casellati.
Grande Greta. Molto bravo, come sempre, il giornalista Formigli nel condurre questa difficile intervista. Ho temuto che questo importante personaggio potesse essere intervistato da altri, è andata bene così. (V.T.)
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Che cosa ci sta succedendo? Τί εμοί καί σοί, γύναί?
IL MESSIA CHE RIMANE
16 APRILE 2019 / EDITORE / CONVEGNI E ASSEMBLEE / su chiesadituttichiesadeipoveri
La parola ed il grido. Che cosa ci può salvare? L’intera famiglia umana è il soggetto portatore delle promesse e speranze messianiche, non nella astrazione rarefatta del concetto, ma come una vera comunità politica capace di instaurare un nuovo ordine mondiale
di Raniero La Valle
Intervento introduttivo all’Assemblea di Chiesa di Tutti Chiesa dei poveri del 6 aprile 2019.
Ringraziamo quanti sono venuti, in tanti e da tutte le parti, a questa assemblea, e soprattutto diamo il benvenuto ai giovani, che questa volta sono così numerosi, e prenderanno la parola, secondo l’impegno che ci eravamo dati: mai più un’assemblea senza i giovani. E tanto meno questa può essere senza giovani perché non è un’assemblea come tutte le altre. Essa non è su un tema da svolgere con delle belle relazioni e una tranquilla conclusione da trarre, ma è convocata su una domanda. E la domanda è: che cosa ci sta succedendo?
E non è una domanda qualsiasi, è la madre di tutte le domande. Perché a questa domanda è appeso il futuro, il nostro futuro, o se si vuole, il destino.
Che cosa ci sta succedendo? Τί εμοί καί σοί, γύναί? È la domanda che si legge nella Bibbia, al versetto 4 del 2° capitolo di Giovanni, è la domanda che Gesù fa alla madre alle nozze di Cana, che le nostre Bibbie traducono: “Donna, che vuoi da me?”, ma che letteralmente vuol dire: “Che cosa sta succedendo a me e a te, donna?”
È a partire da questa domanda che cambia tutto. Cambia la condizione della Madre, non più solo la fidanzata, sposa e mamma della oleografia mariana, cambia la condizione del Figlio, che esce allo scoperto, è venuta la sua ora; e cambia l’epoca, cambia la storia, perché Dio ci entra dentro, entra nella storia, da quella piccola porta, in Cana di Galilea.
Quella domanda è di nuovo cruciale: che cosa sta succedendo a me e a voi, oggi? Che cosa ci succede, quando ci sembra di non riconoscere più il mondo in cui abbiamo vissuto, quando la bontà, detta buonismo, viene punita come reato, e allora, come dice Alberto Melloni, tutta la Conferenza episcopale dovrebbe costituirsi? Che cosa ci sta succedendo quando i figli non ci capiscono, non si battezzano, e nemmeno più ci conoscono, anche nelle scelte che sono state dirimenti nella nostra vita? Che cosa ci sta succedendo quando il naufrago finalmente avvista la terra, ma la terra lo respinge, gli dice: “hai voluto prendere il mare, affogaci”? E proprio ieri all’oltraggio si è unita la beffa, si è aggiunto il dileggio: “Andate a Berlino! Sbarcate a Berlino!” Che cosa ci succede quando una donna non può partorire perché sul barcone non c’è spazio per allargare le gambe? O quando gli evasi dai campi di tortura vi vengono riportati a forza per un accordo tra governi? Che cosa ci sta succedendo quando il mondo è finalmente unito, globale, basta un clic per entrare nella Borsa di Tokio, le due Americhe hanno le stesse scuole di polizia, le stesse centrali dove si organizzano colpi di Stato e governi, si riapre la via della seta e merci e commerci fioriranno, quando insomma tutto si unisce nel mondo globale, ma mai i popoli sono stati più frantumati e divisi, carne spezzata per il sacrificio ma senza alcun miraggio di una comunione? Che cosa ci sta succedendo quando si costruiscono muri perfino a separare le corsie, per arabi ed ebrei, sulle autostrade in Palestina? Che succede se si alzano muri sui confini, e li si concepiscono più alti della torre di Babele, ma con la stessa ottusa arroganza? Che ci succede quando un ricco ha metà di tutte le ricchezze della terra e i poveri, come ai tempi di Amos profeta, sono venduti per un paio di sandali, anzi di infradito? E quando per un euro di salario che prende un operaio, il suo capo azienda ne prende 400? Che ci succede quando invece di fermare le catastrofi del clima, come orma ci chiedono perfino i ragazzini, si investe denaro per conviverci, per competere ed aumentare il PIL con le catastrofi? Che cosa ci sta succedendo quando creiamo un’intelligenza artificiale che non sente, non ama, non piange, non ride, non si cura di essere uomo o donna, però è un’intelligenza sterminata, non ha il nostro limite, e perciò le permettiamo tutto, la deleghiamo a tutto, le chiediamo di fare tutto?
Che cosa sta succedendo. Quello che sta accadendo è un cambio d’epoca. Cambia lo scenario, come quando si scoprì la lente convessa, e col telescopio scoprimmo l’infinitamente grande, e col microscopio l’infinitamente piccolo, ed ora col digitale scopriamo l’infinitamente complesso; però questo complesso non lo possiamo dominare; abbiamo sì la scienza dell’infinitamente calcolabile, però le resta estraneo il calcolo della vita, della libertà, della grazia, del dono.
Noi siamo sulla porta da cui passa questo cambiamento. Ne vediamo i pericoli, ma che cosa possiamo fare? Non abbiamo partiti, né leader, né dottrine politiche, né economie alternative; abbiamo invece al governo, sparsi nel mondo, degli apprendisti stregoni, e qualche dottor Stranamore.
Che cosa allora ci può salvare? Non siamo i primi a chiedercelo.
Quando già si profilava la crisi di questo passaggio d’epoca, a tre quarti del 900, un grande filosofo tedesco affermò, non in una lezione universitaria ma in un’intervista destinata al grande pubblico, sullo Spiegel, che ormai solo un Dio ci poteva salvare. “Ormai”. Ormai voleva dire per lui che l’uomo era sotto scacco da parte della tecnica, la quale “nella sua essenza è qualcosa che l’uomo di per sé non è in grado di dominare”, e che non può stare nelle regole di alcun sistema politico. La tecnocrazia è diventata così potente che nessun sistema politico conosciuto le può rispondere, le può dare una regola, la può ricondurre a una norma. E di fronte a un mondo e a una società determinati dalla strapotenza planetaria della tecnica, disse, né la filosofia né alcun altra mera impresa umana potrà produrre alcuna modificazione dello stato attuale del mondo, ma lo potrà fare solo l’eccedenza della poesia, dell’inedito, del non ancora pensato; e perciò concludeva, l’unica possibilità era di predisporsi all’apparizione oppure alla “contumacia” di Dio.
Più tardi, quando si profilava la fine del comunismo e il mondo sprofondava sempre più in un sistema di dominio e di guerra, un grande intellettuale nostro, Claudio Napoleoni, percepiva che un’uscita per via puramente politica dalla crisi era impossibile, e poneva la domanda se non fosse valida quella sentenza di Heidegger, che ormai solo un Dio ci può salvare.
Questa domanda, nel senso in cui egli la poneva, non voleva dire volgersi all’attesa di un miracolo, ma significava che per rovesciare tutto un corso storico giunto a questi esiti distruttivi, occorrevano “degli atti, delle operazioni di apertura verso la divinità, di eccezionale fervore nei confronti degli altri, degli atti, insomma, che non sono degli atti politici normali, sono degli straordinari atti di amore e di sacrificio, all’infuori dei quali da questa situazione storica non si viene fuori”.
Questo rovello che la cultura ha piantato nel cuore del corso storico alla vigilia del III millennio, in cui siamo entrati, precipita qui ora nella nostra assemblea, e legittima la questione che in essa viene posta, se non debba darsi una lettura messianica della crisi. Perché i beni che abbiamo perduto o che non riusciamo a conseguire sono così importanti per noi che fin dalle profondità della storia furono considerati beni messianici – la pace, la giustizia, l’unità umana – e furono oggetto di promesse messianiche. Oggi però sono finiti i messianismi ideologici e politici del Novecento, e questo nuovo messianismo del capitalismo realizzato sta spiantando la terra. E non ci sono da aspettarsi altri Messia.
Che fare dunque? Se davvero scopriamo le carte, noi possiamo dire che c’è un messia che rimane. Non è vero che non c’è. È l’intera famiglia umana questo soggetto messianico, ma non nella astrazione rarefatta del concetto, bensì nella sua concretezza come una vera comunità politica; l’unità umana come un ordinamento; non è il populismo, è il sovrano popolo di Dio che nello stesso tempo è anche una comunità ministeriale e profetica, come il cristianesimo l’ha svelato, l’ha annunziato.
Tuttavia, come il vero Messia, noi, l’umanità istituita, siamo un messia disarmato. Però una risorsa l’abbiamo. Abbiamo la parola.
La parola è coeva al mondo, è nata con lui, stava in principio, l’ha tenuto in vita, l’ha raccontato nella sua evoluzione. Con la parola abbiamo dato nome alle cose, cioè le abbiamo fatte esistere per noi. Con la parola ci siamo promessi fedeltà, come sposi, ma anche come popoli che si sono dati un patto, hanno scritto Costituzioni e leggi.
La parola è potente, governa, ci può perdere con i suoi editti, ma anche salvare.
Voglio farvi una confidenza, soprattutto ai più giovani. Io mi sono chiesto più volte che cosa ha salvato la mia vita, che cosa l’ha resa così lunga e benedetta. Fino a ieri io rispondevo: sono state le due vestali, le due forze della mia vita: il lavoro e l’amore. Dall’inizio e fino ad ora. Ma ora mi sono accorto che è stata la parola. Ho lottato perché non mi fosse tolta la parola. Ho vissuto per ascoltare, per dire, per scrivere la parola. Ho capito che quello che salva, che crea, che mantiene in vita, è la parola. È perché si abbia la parola che la vita è data, è quando si toglie la parola che la vita è tolta. Don Milani aveva capito che doveva dare la parola a quelli che non l’avevano, perché fossero uomini, fossero cittadini; e quando noi neghiamo la parola alle donne nella chiesa, o non gliela facciamo scrivere, sull’ “Osservatore Romano”, noi neghiamo il loro esserci per sé, e pretendiamo che esse siano solo per noi, per servire, “ratione servitutis”, come fu la motivazione della loro esclusione dai ministeri.
La parola si è fatta mettere in croce pur di non tacere, non solo quel giorno sul Golgota, ma fino ad oggi. La parola è quella che non solo descrive le cose, ma le decifra, e se le decifra, le salva.
È questo che facciamo oggi, mettiamo in campo la parola. perché non si perda la speranza.
Eppure sentiamo quanto la nostra parola sia debole, quanto sia inascoltata.
Però questa parola non resta sola. La parola si incontra col grido. Col grido dei popoli, col grido dei poveri, col grido della terra, col grido dell’immagine di Dio che si scolora sul volto della donna e dell’uomo, col grido delle vittime di tutte le armi, di tutte le guerre, il grido di tutte le madri che, come cantava Quasimodo, vanno ”incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo”.
Ebbene, noi sappiamo che questo grido è efficace. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta», come dice il Salmo (34,7), ripreso dal papa nel suo messaggio per la “giornata mondiale dei poveri”. Se fu la parola creatrice a far nascere i mondi, a separare la luce dalle tenebre, a porre dei luminari nel cielo e a mettere il chiavistello al mare, perché fino a quel punto giungesse e li infrangesse per sempre l’orgoglio delle sue onde (come dice il libro di Giobbe, 38, 10) è stato invece il grido dei poveri, il grido degli oppressi che ha avuto il potere di tirare giù Dio dal cielo, di fargli dire chi fosse, di far manifestare al mondo il Sé di Dio, e con il Sé di Dio il “Me” di ogni umana creatura,
Infatti, come racconta il libro dell’Esodo, all’udire il grido del suo popolo prigioniero in Egitto, Dio non solo mandò Mosè, il balbuziente, a liberarlo, ma fece ben di più, rivelò se stesso agli uomini. Perché gli uomini fossero liberati Dio si chiamò per nome, disse l’ “Io sono”, e così farà Gesù nel Vangelo di Giovanni, fondando, come dicono i filosofi[1], “l’Ipseità assoluta del soggetto”, cioè l’insuperabilità di ogni persona umana, irriducibile al mondo, ma ciascuno cercando il volto dell’Altro, dimorando l’uno nell’altro, amando e vivendo nell’altro.
Tale è la potenza del grido. Ascoltando questo grido, assumendolo nella potenza della parola, perfino delle nostre parole, forse oggi possiamo dire che la salvezza è più vicina di quanto mai possiamo pensare. I dominatori di questo mondo hanno la Tecnica, hanno il Denaro. Noi abbiamo la parola. La parola muove le montagne. Nella lunga notte, come nella lotta di Giacobbe con l’Angelo, è la Parola che vince. La speranza è vicina. L’oggetto di questa speranza può sembrare iperbolico; eppure è il nucleo stesso del messaggio cristiano. È la soluzione messianica della crisi. È il papa in Campidoglio, non i voltagabbana vestiti da guerrieri.
Raniero La Valle
[1] François Jullien, Risorse del cristianesimo, Ponte alle Grazie 2019.
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E’ online il manifesto sardo duecentottantadue
Il numero 282
Il sommario
Salvini e il 25 aprile (Marco Ligas), Solitudini (Amedeo Spagnuolo), I limiti del Sistema Sanitario Nazionale e la necessità di una sua riforma (Gianfranco Sabattini), Turchia e dintorni: “Chi vince Istanbul vince la Turchia, chi vince Istanbul vince tutto” (Emanuela Locci), Al via la “Scuola di cultura politica Francesco Cocco” (Franco Meloni), La metafisica del bianco e nero (Ottavio Olita), Ancora fridays for future (Guido Viale), Salviamo la storica Stazione ferroviaria di Palau Marina (Stefano Deliperi), L’identità sarda (Francesco Casula), Inizia la repressione contro i pastori sardi (red), La prima volta che ho visto il mare (Franco Meloni), Violenza sessuale e articol/lage: i documenti parlano chiaro (Marinella Lőrinczi), Sangue e manette (Roberto Loddo), Castellina: Una sinistra forte per cambiare l’Europa (Argiris Panagopoulos).
Oggi mercoledì 17 aprile 2019
Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————
La nostra Libia dimenticata
17 Aprile 2019
Tomaso Di Francesco il manifesto del 14.4.2019 (ripreso da Democraziaoggi)
Per favorire la riflessione sulla guerra libica, ecco questo intervento certamente stimolante.
Mediterraneo. Se il vento bellicoso torna a spirare è perché in Libia ci sono gli interessi petroliferi italiani e soprattutto l’affare criminale, fermare […]
———————————————verso il 25 aprile—————
Elezioni comunali di Cagliari
Verso le primarie del centro sinistra (speriamo allargato). Per ora candidati Francesca Ghirra, Matteo Lecis Cocco Ortu, Marzia Cilloccu. Oggi Matteo presenta la sua candidatura e la proposta programmatica aperta. Aladinews darà spazio a tutti, favorendo il confronto e la partecipazione al dibattito.
Che succede?
NOTRE DAME. LIBIA. L’EUROPA E GLI SPIRITI ANIMALI
16 Aprile 2019 by Forcesi | su C3dem.
NOTRE DAME. Il vaticanista di Le Figaro, Jean-Marie Guenois: “Il momento per riflettere sull’identità, e per i cattolici l’ora del risveglio” (Avvenire). LIBIA E MIGRANTI. Luigi Di Maio, “Chiudere i porti misura occasionale” (intervista al Corriere). Carlotta Sami, “C’è una crisi umanitaria che riguarda libici e migranti” (intervista al Manifesto). Paolo Lambruschi, “Morcone (Cir): l’Italia cambi atteggiamento. I diritti degli invisibili vengono prima” (Avvenire). Laura Cattaneo, “Scopro i segreti dei morti perché sono utili ai vivi” (insolita e bella intervista al Corriere). Mauro Calise, “La scossa migranti sul governo” (Mattino). EUROPA-DEMOCRAZIA. Sergio Romano, “L’Occidente tramonta” (Corriere). Beda Romano, “Stati Uniti-Europa, un negoziato pieno di ostacoli” (Sole 24 ore). Luigi Offeddu, “Finlandia, i sovranisti sfiorano la vittoria. La sinistra prima” (Corriere). Giorgio Ferrari, “Il paese più felice tentato dal sovranismo. Perché?” (Avvenire). Sabino Cassese, “Con la loro rete sovranazionale i sovranisti negano il sovranismo” (Foglio). Ilvo Diamanti, “I giovani credono ancora nella Ue” (Repubblica). Giovanni Sabbatucci, “Noi il paese che odia lo straniero” (La Stampa). Guido Rampoldi, “Come uscire dagli spiriti animali e restare umani” (Manifesto).