Monthly Archives: marzo 2019
Elezioni regionali, completate operazioni di scrutinio nelle sezioni. In corso la verifica negli uffici dei tribunali
[Dal SITO WEB della RAS] I dati ufficiali relativi alle elezioni regionali sono ora alla verifica degli uffici centrali circoscrizionali presso i tribunali.
Elezioni regionali 2019
Cagliari, 26 febbraio 2019. I dati ufficiali relativi alle elezioni regionali sono ora alla verifica degli uffici centrali circoscrizionali presso i tribunali.
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Oggi mercoledì 13 marzo 2019 – Gli eventi di domani giovedì segnalati da Aladinews – Verso le manifestazioni di venerdì 15 marzo 2019
- Le pagine fb degli eventi in Sardegna. A Cagliari partenza piazza Garibaldi – A Sassari partenza piazza Castello.
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Una convergenza PD, sinistra, M5S è possibile
13 Marzo 2019
Alfiero Grandi – vice presidente Coordinamento per la democrazia costituzionale. Su Democraziaoggi.
Tanti hanno partecipato alle primarie sperando di aiutare la ricostruzione di una posizione di sinistra, diroccata da Renzi, che ora tenta di ipotecare la vittoria di Zingaretti. Anche le manifestazioni sindacale e antirazzista di Milano sono state partecipate e importanti. Novità incoraggianti ma insufficienti. Ora la discontinuità del […]
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Intorno al ‘68 – recital letterario e musicale.
A Cagliari, domani giovedì 14 marzo ore 19,30.
Studium franciscanum, via Principe Amedeo, 22.
Rita Atzeri e Cristina Maccioni, voci recitanti.
Testimonianza: Cristina Lavinio, ‘il mio sessantotto’.
Partecipa Michela Lippi, studentessa.
Coro dell’ANPI diretto da Roberto Deiana.
Partecipate!
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Europa, Europa
Il dibattito a sinistra sulla crisi del progetto europeo
di Gianfranco Sabattini
Colin Crouch, il teorico della “postdemocrazia”, in “Identità perdute. Globalizzazione e nazionalismo”, afferma che l’impatto negativo della globalizzazione delle economie nazionali sull’identità culturale dei cittadini dei Paesi di più antico sviluppo economico (nonché sulla loro sicurezza) è all’origine di un vasto fronte di opposizione, oltre che alla globalizzazione, anche ad ogni altro disegno sovranazionale, in particolare quello concernente l’unificazione politica dell’Europa.
Su quest’ultimo punto, si assiste ad uno “scontro” tra forze della destra liberale non nazionalista (ispiratrici in generale di ogni progetto orientato a trascendere l’asfittica dimensione nazionale dei problemi del nostro tempo) e forze delle destra illiberale nazionalista; fortemente propense, quest’ultime, a rinvenire nel “vecchio arnese” dello Stato-nazione la tutela delle propria identità e sicurezza materiale. Ciò non significa, osserva Crouch, che sul piano politico i processi di integrazione sopranazionale degli Stati-nazione provochino uno “scontro” solo tra fazioni diverse delle forze di destra; ne è coinvolta anche la sinistra, la quale, anziché cogliere l’occasione per opporsi unitariamente a tutte le posizioni della destra (rilanciando la validità della contrapposizione tra destra e sinistra, la cui funzione non è certo divenuta obsoleta) è altrettanto divisa rispetto alle risposte più appropriate sollecitate dalla gravità dei problemi del mondo contemporaneo.
Infatti, anche a sinistra è presente uno “scontro” tra chi è favorevole ai processi di sovranazionalizzazione degli Stati-nazione e chi è contrario; ma quel che è più grave è il fatto che le fazioni delle sinistra, cosiddette democratiche e riformiste, non mostrano un grado di omogeneità di idee paragonabile a quello proprio delle fazioni liberali non nazionaliste delle forze di destra. Le loro posizioni in difesa della tradizionale vocazione all’internazionalismo non sono, infatti, riconducibili ad un’univocità di pensiero: a volte, esse peccano di velleitarismo, a volte risultano “schiacciate” quasi unicamente sul presente e, a volte ancora, sono difficilmente separabili da quelle proprie delle fazioni delle destra liberale non nazionalista.
Per rendersi conto di ciò, basta leggere gli scritti contenuti nel numero I/2019 di “Italianieuropei”; dedicati per lo più al tema della crisi dell’Unione Europea: in particolare, il “Manifesto per la democratizzazione dell’Europa”, redatto da un gruppo di economisti, giuristi e politologi riunito intorno a Thomas Piketty, nonché gli articoli “L’Europa che verrà”, della filosofa Donatella Di Cesare, e “Perché c’è ancora bisogno dell’Unione Europea”, del presidente dell’Istituto Affari internazionali, Ferdinando Nelli Feroci.
Chiunque fosse alla ricerca di una riflessione ordinata riguardo alle modalità con cui fare fronte alla crisi che caratterizza nel momento attuale la realizzazione del progetto europeo, non può che risultare sconcertato dalla lettura degli scritti summenzionati, per il velleitarismo del “Manifesto”, il “presentismo” dello scritto della Di Cesare e il totale allineamento della posizione di Nelli Feroci rispetto a quella propria degli establishment dominati europei (convinto com’è, che per ricuperare l’interesse dei popoli alla conservazione dell’Unione siano sufficienti solo “ritocchi” alla governance, cioè alle regole tecniche sinora seguite nel governo delle criticità che hanno investito la capacità di tenuta degli Stati membri dopo lo scoppio della Grande Recessione del 2007/2008).
A dimostrazione dell’eterogeneità, ed anche della contraddittorietà, delle posizioni della sinistra democratica e internazionalista può essere utile una breve esposizione critica di quanto si sostiene negli scritti apparsi nel periodico “Italianieuropei”. Nel “Manifesto”, ad esempio, si rileva che “attualmente il nostro continente è stretto, da un lato, da movimenti politici il cui programma si limita a dare la caccia agli stranieri e ai rifugiati” e, dall’altro lato, “da partiti che si definiscono europeisti, ma che in realtà continuano a ritenere che il liberalismo duro e puro e la concorrenza estesa a tutto [...] siano sufficienti a definire un progetto politico”; dopo questa premessa, però, si passa alla proposta di creare un “Budget” votato da un’Assemblea europea sovrana, in “grado di far fronte immediatamente alle crisi del Continente”.
L’Assemblea dovrebbe disporre del potere di stabilire le modalità di finanziamento del Budget, attraverso l’introduzione di “quattro grandi imposte europee” (da applicarsi agli utili delle grandi imprese, ai redditi più alti, ai patrimoni più consistenti e alle emissioni di anidride carbonica), che dovrebbero garantire una dotazione di risorse pari al 4% del PIL europeo, con cui costruire per i cittadini europei un modello originale democratico di sviluppo sociale equo e duraturo, finanziare l’accoglienza dei migranti e “ridare un margine di manovra ai bilanci degli Stati membri per ridurre l’imposizione fiscale regressiva che grava sui salari e sui consumi”.
Per questa via, secondo il “Manifesto”, non si tratterebbe di creare un’”Europa dei trasferimenti”, realizzando una più equa distribuzione del PIL europeo tra i Paesi virtuosi e quelli che lo sono meno, ma “di ridurre le disuguaglianze all’interno dei diversi Paesi e di investire nel futuro di tutti gli europei [...], senza favorire un Paese piuttosto che un altro”.
Poiché occorre agire rapidamente, anche per riscattare l’Europa dal dominio del potere tecnocratico che sinora l’ha governata, gli estensori del “Manifesto” sottolineano la necessità che si crei subito un’Assemblea sovrana, al fine di votare immediatamente le quattro imposte necessarie per il finanziamento del Budget; tutto ciò dovrebbe avvenire “senza che sia necessario modificare subito l’insieme dei Trattati europei esistenti”.
E’ plausibile pensare che, nel momento in cui la prospettiva di una nuova recessione grava sulle possibilità di crescita dei Paesi europei, la proposta del “Manifesto” possa essere favorevolmente accolta dagli establishment dominanti? Non è velleitario pensare di poter rilanciare il compimento del progetto europeo attraverso la creazione di ulteriori istituzioni comunitarie, senza riformare da subito l’insieme dei Trattati esistenti? A parte le buone intenzioni, le proposte contenute nel “Manifesto” non sembrano appropriate rispetto alla necessità che siano realmente rimosse le cause delle criticità comunitarie emerse a seguito della grande crisi iniziata nel 2007/2008.
Anche le argomentazioni della De Cesare, fatte salve le premesse sullo stato di crisi attuale dell’Europa e sulle cause che determinano l’impossibilità del suo superamento, l’auspicio della filosofa non sembra rispondere all’urgenza di una prospettiva d’azione politica per un più desiderabile futuro europeo. Sono giuste le sue considerazioni riguardo al fatto che oggi l’Europa “è ridotta a un coacervo di nazioni, un’assemblea scomposta di proprietari che, a colpi di Trattati sempre più effimeri e compromessi vacillanti, si contendono lo spazio per difendere ciascuno la propria pretesa identità”; è andato così smarrito ogni senso del comune e ogni idea di comunità. Tutto ciò – afferma la De Cesare – ha “contribuito a far naufragare ogni progetto di ampio respiro”.
La conseguenza del prevalere degli interessi “particulari” è stata lo smarrimento di ogni forma politica postnazionale, che ha comportato la riproposizione dello Stato-nazione, ritenuto in grado di assicurare, oltre che la difesa dell’identità dei popoli, la loro sicurezza dalle minacce esterne; difesa e sicurezza che l’Europa non è in grado di garantire. Al contrario di quel che credono i sovranisti, osserva la filosofa, “il limite dell’Europa non è stato quello di aver messo in questione la sovranità dei singoli Stati-nazione, bensì di non essere riuscita a scardinare da fondo questo vecchio Moloch spettrale ed esangue, lo Stato-nazione”. Di fronte al prevalere dei sovranisti, presenti sia a destra che a sinistra, la De Cesare si chiede come possa essere ricuperato il disegno di un’Europa unita.
Se l’Europa deve essere difesa, ciò deve avvenire, non nel segno della conservazione, ma in quello della trasformazione, attraverso il rilancio del progetto dell’unificazione politica in nome di una giustizia sociale, di una solidarietà e di un’ospitalità complessive. Il “nuovo ‘patto’ tra i cittadini dei singoli Stati e l’Europa non può prescindere dai migranti e non può perciò non essere inclusivo”. Problema, questo, che solleva la questione del riscatto di quelle forze di sinistra che, schierate sulle posizioni dei sovranisti, dimostrano di aver rinunciato alla propria vocazione internazionalista; il loro ricupero deve avvenire mediante il riconoscimento che l’internazionalizzazione della soluzione dei problemi concernenti l’identità, la giustizia sociale e la sicurezza contro le minacce esterne non può avvenire al riparo dei confini del proprio Stato di appartenenza.
Per rimediare alla brutalizzazione dell’Europa, generata dalla “rabbia” del sovranismo, occorre che le forze democratiche della sinistra, unite dalla loro vocazione internazionalista, si impegnino ad incidere sulle condizioni politiche contingenti, quali sono le due grandi questioni europee oggi esistenti: quella del disagio della democrazia e quella della costituzione di un demos continentale. La democrazia, divenuta sempre più formale, ha fatto crescere il rancore e il distacco del popolo dalla politica, riflettendosi nella crisi della sinistra, il cui superamento dovrebbe essere realizzato attraverso la ricerca di un “nuovo spazio politico internazionale”, all’interno del quale esercitare una leadership europeista; mentre il demos europeo dovrebbe essere individuato in “tutti quei movimenti democratici che vanno ovunque dispiegandosi dal basso”.
A cosa dovrebbero servire il ricupero sostanziale di una democrazia soprannazionale e l’esercizio di una laedership, ugualmente soprannazionale, di un demos movimentista europeo? Dovrebbero servire a realizzare un’Europa unita, intesa come “orizzonte di una comunità dissociata dalla nazione [...], aperta all’ospitalità, capace di dar luogo a forme politiche dove l’immune lascia la precedenza al comune”. Proporre un orizzonte ideale per rilanciare la ripresa di un processo, quale quello che dovrebbe condurre all’unione politica dei Paesi del Vecchio Continente, può certo essere importante; ma individuare il “motore” della ripresa di questo processo di unificazione politica nell’apertura all’ospitalità nei confronti di chi fugge dall’indigenza e dall’insicurezza, senza rimuovere le cause della crisi economica e sociale ancora in atto (emerse in tutta la loro gravità dopo l’inizio della Grande Recessione), può solo valere a trasformare quell’orizzonte in motivo per lasciare le cose così come stanno.
Che dire poi dell’articolo di Nelli Feroci? La tesi sostenuta dal Presidente dell’Istituto Affari Internazionali può esser assunto come paradigma di riferimento della posizione di quella fazione delle forze di sinistra che fa da contraltare alla fazione delle forze della destra liberista non nazionalista; a differenza di quest’ultima, però, la prima, oltre a non essere nazionalista, dovrebbe essere per vocazione interventista, e perciò, propensa a chiedere con fermezza una riforma profonda dell’intelaiatura istituzionale europea, al fine di rimuovere i limiti che la quasi generalità degli economisti vanno da tempo denunciando. Ciò significherebbe evitare che sia solo un Ministro dell’attuale governo italiano, espresso dalla fazione delle forze sovraniste di destra, ad avanzare proposte di modifica delle attuali regole di funzionamento delle istituzioni comunitarie.
A parere di Nelli Feroci, invece, nel contesto politico prevalente all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea, si deve avere ben chiaro che “eventuali iniziative di rifondazione dell’architettura istituzionale dell’Unione, che magari necessitino anche di una revisione dei Trattati, sarebbero destinate a un clamoroso fallimento”; ciò perché la crisi del progetto europeo sarebbe da ricondursi, non tanto ai limiti della logica di funzionamento delle attuali istituzioni, ma ad un ricambio generazionale che ha prodotto l’affievolimento della percezione dell’importanza degli originari obiettivi del progetto europeo, con conseguente calo di fiducia nel loro perseguimento.
Che fare allora, secondo Nelli Feroci, per ricuperare l’interesse delle nuove generazioni per l’Unione Europea? Innanzitutto, occorrerebbe impegnarsi per ottenere una riforma dell’attuale governance dell’area euro, smettendo di “contestare sistematicamente le regole in materia di disciplina di bilancio” e cessando “di lamentarci di essere stati lasciati soli nella gestione dei flussi migratori”; in altre parole, “invece di polemizzare quotidianamente con presunti euroburocrati”, ci si dovrebbe limitare a valutare sul come posizionarsi “in vista del rinnovo delle più alte cariche nelle istituzioni dell’Unione”. Come non rinvenire in siffatte affermazioni le idee e i convincimenti della fazione delle forze di sinistra che, negli anni passati, governando l’Italia, ha mostrato la tendenza a conservarsi prona al rispetto delle direttive più confacenti al conservatorismo degli establishment neoliberisti europei?
Se le varie fazioni delle forze di sinistra dell’Italia non riusciranno a convergere verso un’omogeneità di pensiero, riguardo allo stato attuale dell’Europa e alle riforme necessarie per rendere più funzionali le istituzioni comunitarie al rilancio del processo di unificazione politica dell’Europa, sarà inevitabile, per l’Italia, dover fare i conti con le maggiori difficoltà all’intrapresa di qualsiasi azione politica unilaterale che consenta di superare la difficile situazione economica e sociale che da tempo l’affligge.
Oggi martedì 12 marzo 2019
————-Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti&Thedayafter———————
Zedda per costruire l’opposizione… deve opporsi al centrosinistra!
12 Marzo 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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CAGLIARI. Il 26 maggio (o a giugno) si vota per Sindaco e Consiglio Comunale
Ora è ufficiale: Cagliari torna alle urne. Zedda: “Ho protocollato le dimissioni”
Marcello Zasso su SardiniaPost
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Zedda porta Cagliari subito al voto! Un azzardo che il centrosinistra rischia di pagare a caro prezzo: ecco perché
Vito Biolchini su biolchini.it
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Venerdì 15 marzo in piazza!
Che succede?
COME SI RICOSTRUISCE IL PD. GOVERNO GIALLOVERDE. MONDO
11 Marzo 2019 by sammarco | su C3dem
Concetto Vecchio, “Zingaretti: via dal Nazareno, nuovo partito e nuova sede” (Repubblica). Paolo Gentiloni, “Il governo è esaurito, Il Pd ora può ripartire” (intervista a Il Mattino). Antonio Floridia, “Come si ricostruisce il Pd. Quello che le primarie non dicono” (Manifesto). Ilvo Diamanti, “Il richiamo delle primarie” (il mulino). Goffredo Bettini, “Zingaretti come un gatto, ma troppo prudente” (intervista a La Verità). Carlo Petrini, “Sta per arrivare un altro 68 e il Pd non è all’altezza” (intervista a Il Fatto). Mauro Calise, “La sfida di Zingaretti parte dal Mezzogiorno” (Mattino). Adolfo Scotto Di Luzio, “Le primarie Pd e il partito prigioniero di una scissione” (Mattino). LA TAV: Graziano Delrio, “Uscire dalle reti europee compromette il futuro” (Corriere). Michele Ainis, “Sulla Tav referendum impossibile” (Repubblica). Dario Di Vico, “Il malessere delle imprese” (Corriere). GOVERNO GIALLOVERDE: Giovanni Orsina, “Il Movimento in trappola” (La Stampa). Alessandro Campi, “Come galleggiare fino alle elezioni europee senza decidere” (Messaggero). Paolo Mieli, “Il dilemma del voto anticipato” (Corriere). MONDO: Sul Sole 24 ore Paolo Bricco conversa con suor Alessandra Smerilli: “L’economia ripensi se stessa per ritrovare la sua vera anima”. Romano Prodi, “Due condizioni per evitare il declino Ue” (Messaggero). Guy Verhofstadt, “Macron è il leader della nuova Europa” (intervista a Repubblica); e qui Emmanuel Macron: “Manifesto per un Rinascimento europeo“. Sergio Fabbrini, “Senza risorse proprie l’Europa non si fa” (Sole 24 ore). Maurizio Molinari, “Al centro di una sfida globale” (La Stampa).
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Presentazione del romanzo “Il costo della verità” di Ottavio Olita. Prefazione di Don Luigi Ciotti.
Oggi lunedì 11 marzo 2019
————-Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti&Thedayafter———————
Sardegna dopo le elezioni. Un difficile “che fare?”
11 Marzo 2019
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
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Zedda lascia il Comune col botto: “Se Cagliari vota subito, intesa coi grillini”
Su L’Unione Sarda online.
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Che succede? “Voci e pensieri per una nuova sinistra”
DAL “DE GASPERI” DI BOLOGNA PENSIERI PER UNA NUOVA SINISTRA
6 Febbraio 2019 by Forcesi | su C3dem
Domenico Cella, uno dei responsabili dell’Istituto De Gasperi di Bologna, è intervenuto lo scorso 1 febbraio al convegno cittadino di Articolo 1 Mpd / Liberi e Uguali “Voci e pensieri per una nuova sinistra”. Nel suo intervento (“Ragioni della sinistra e consenso: ripensando ‘dai piedi’”) Cella ha avanzato una proposta: aprire nel paese una grande consultazione popolare per approvare una nuova legge complessiva sul lavoro in Italia.
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Dalla Scuola segnali (e molto di più) di Speranza
SCUOLA, laboratorio di futuro
di Fiorella Farinelli, su Rocca.
A smuovere in questi giorni le coscienze di migliaia di studenti in tutto il mondo sui temi dell’ambiente, è una sedicenne svedese con le trecce. Si chiama Greta Thumberg, ha parlato a Davos contro il riscaldamento globale denunciando dal palco «il quasi nulla di fatto» dei grandi della terra. E le colpevoli rimozioni di un mondo degli adulti accecato da interessi economici e convenienze politiche. Ha inventato «i venerdì per la rivoluzione ambientale adesso» – da sola, in piedi, una settimana dopo l’altra, davanti ai palazzi delle istituzioni.
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Lavoro
Gli effetti del decreto dignità
Nella divisione dei compiti che si sono dati i due partiti di governo, il tema del lavoro è terreno prevalente del Movimento Cinque Stelle. Non solo perché il ministro del lavoro Luigi Di Maio è il capo di quel partito, ma anche perché sono legate al lavoro le due misure-bandiera sulle quali il più giovane e primo partito italiano ha puntato nella prima esperienza di governo nazionale: prima, il cosiddetto «decreto dignità», che nel luglio scorso ha cambiato le regole del mercato del lavoro disincentivando i contratti a tempo determinato; poi, il cosiddetto «reddito di cittadinanza» introdotto con la legge di stabilità e che in questi giorni vede la sua luce. La seconda misura in realtà ha a che fare più con l’assistenza ai poveri che con il lavoro; ma poiché vincola il mantenimento del reddito alla disponibilità a lavorare – per quelli che possono farlo –, sarà interessante vedere anche i suoi effetti sull’occupazione: c’è chi enfatizza i possibili impatti positivi, confidando nelle politiche attive del lavoro affidate ai sottodimensionati Centri per l’impiego e ai loro nuovi «navigator»; chi teme gli effetti negativi di disincentivo al lavoro da parte di coloro che, potendo godere di qualche centinaio di euro al mese, se ne resterebbero a casa «sul divano». Servirà un po’ di tempo per vedere in pratica l’effetto del reddito di cittadinanza – non certo solo l’impatto del primo mese, che per i 5 Stelle è invece cruciale ai fini del consenso, visto che i primi soldi arriveranno alla vigilia del voto per le Europee. Mentre già ora, grazie ai dati che sono arrivati sia dall’Istat che dall’Inps e dagli uffici del Lavoro, possiamo tracciare un bilancio degli effetti del «decreto dignità».
effetto Di Maio
Quando a fine febbraio l’Osservatorio dell’Inps sul precariato, che diffonde periodicamente i dati sui contratti, ha reso noti i dati del mese di dicembre 2018, il ministro del lavoro ha cantato vittoria. Anche se il suo decreto era stato approvato a luglio, per motivi tecnici gli effetti non si potevano vedere se non qualche mese dopo. E infatti così è stato. Nell’ultima parte dell’anno sono cresciuti i contratti a tempo permanente e sono crollati quelli a tempo determinato. Nel bilancio 2018, questa inversione di rotta ha portato a un aumento complessivo delle assunzioni (più 5,1%), e al loro interno sia di quelle a tempo indeterminato (più 7,9%) che quelle a tempo determinato (più 4,5%). Ma soprattutto si è assistito a un boom delle «trasformazioni», ossia dei contratti a termine trasformati in permanenti: più 76,2%. Tutto bene, quindi?
Non proprio. I numeri finora elencati – sui quali si è soffermata e fermata l’attenzione politica – raccontano una parte della storia. E fanno capire che molte imprese, non potendo rinnovare tutti i contratti a tempo determinato man mano che scadevano, visto che la legge glielo impediva, hanno optato per la trasformazione. Persone che prima lavoravano con un contratto a termine, hanno ottenuto un contratto stabile: ed è una buona notizia. Nello stesso periodo però si sono ridotte le «attivazioni», ossia l’avvio di nuovi rapporti di lavoro; ed è negativo anche il saldo tra attivazioni e cessazioni: infatti per valutare i numeri dell’Osservatorio non bisogna guardare solo a quanti contratti nascono, ma anche a quanti muoiono. Dunque, pare che di fronte al nuovo quadro normativo le imprese hanno scelto di stabilizzare una parte di quelli che avevano già dentro, a scapito dei nuovi. Un piccolo aggiustamento nei flussi della forza lavoro, dato che il numero complessivo di «posti» più o meno è quello, e non si aumenta per decreto. In un’analisi dei dati dell’Osservatorio, il sito reforming.it mette in guardia contro «fattori di persistente debolezza», notando che se si allunga lo sguardo agli ultimi anni le attivazioni nette a tempo indeterminato (ossia la differenza tra contratti nuovi e contratti chiusi) presentano un trend negativo, dopo la fiammata che si era avuta ai tempi del jobs act e delle decontribuzioni per le assunzioni, volute dal governo Renzi.
il lungo periodo
Per capire perché, e individuare i limiti di quello che la legge può fare, dobbiamo andare a un altro testo, il Rapporto sul mercato del lavoro dell’Istat, che mette insieme i dati amministrativi, ossia quelli sui contratti registrati nei dipartimenti del lavoro, e quelli statistici dell’Istituto. È importante vedere questi dati, poiché i contratti non sono «persone»: per capirsi, una stessa persona può avere quattro contratti in un anno, questo non vuol dire che l’occupazione è cresciuta di 4 unità, è sempre la stessa persona occupata. Il Rapporto mette in evidenza il fatto che da dieci trimestri – ossia più di due anni – sale il tempo determinato, che nel 2018 ha raggiunto il suo massimo storico. L’ultimo trimestre è stabile, ma nel complesso siamo arrivati a 3,1 milioni di contratti a termine, il massimo storico in Italia. E questo perché, oltre al diritto, dobbiamo prendere in considerazione l’economia. La struttura produttiva si è spostata sempre più verso i servizi, caratterizzati da lavoro più flessibile e precario: per es. nel commercio e nel turismo. Quindi la struttura dell’occupazione riflette anche quella dell’economia, e incentivi e disincentivi, come le decontribuzioni di Renzi e il decreto dignità di Di Maio, possono avere effetti transitori che poi svaniscono, oppure sono superati da nuovi aggiustamenti resi possibili da altre forme contrattuali.
Allora, guardiamo cosa è successo all’occupazione nel lungo periodo. Nel 2018 la crisi economica ha «compiuto» dieci anni. Rispetto al 2008, siamo tornati più o meno allo stesso livello di occupazione, come numero di persone al lavoro: 23,3 milioni. Il tasso di occupazione è al 58,8%, in salita. Ma è aumentato anche il tasso di disoccupazione, di quasi 4 punti percentuali rispetto al 2008 – perché più persone vogliono lavorare. Non solo. Questa nuova occupazione è, per usare le parole dell’Istat, «a bassa intensità lavorativa»: con meno ore. L’uso dei contratti a termine e di quelli part time fa sì che ci siano «buchi» nella vita lavorativa delle persone, nel corso della settimana, del mese o dell’anno. Rispetto al 2008, abbiamo perso quasi 1 milione e 800mila ore di lavoro. Se l’occupazione è a bassa intensità, lo sono anche gli stipendi: il che spiega perché non si sente traccia, nell’umore delle persone e nella tenuta sociale, di quel benessere che il «boom» dei contratti dovrebbe aver portato.
La fragilità del lavoro deriva dalla fragilità dell’economia, che non si inverte per decreto, ma con un insieme di politiche – economiche, industriali, infrastrutturali – che diano stimolo a una crescita orientata all’occupazione. Si può misurare con la distanza dell’Italia dall’Europa: la tendenza alla diffusione dei lavori brevi, a termine, part time caratterizza tutta l’Unione, ma noi partiamo da un tasso di occupazione storicamente più basso. Se avessimo lo stesso tasso di occupazione della media europea, calcola l’Istat, sarebbero al lavoro quasi 4 milioni di persone in più.
Roberta Carlini