Monthly Archives: marzo 2019
Oggi sabato 16 marzo 2019
————-Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti&Thedayafter———————
Che bello! Gli studenti tornano giosamente in piazza
15 Marzo 2019
Red su Democraziaoggi.
La protesta degli studenti per il clima: migliaia in corteo in Sardegna da Cagliari a Sassari.
Anche in Sardegna di nuovo in piazza gioiosamente migliaia di studenti. In corteo a difesa del clima e contro il surriscaldamento globale. Tantissimi in piazza a Cagliari e Sassari hanno accolto l’allarme di Greta, la ragazzina svedese che da sola […]
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Dopo le elezioni regionali, quale progetto strategico della sinistra sarda?
16 Marzo 2019
Alessandro Tedde – Presidente nazionale Sinistra XXI – per l’alternativa di società. Su Democraziaoggi.
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ELEZIONI E LISTE INDIPENDENTISTE.
Bachisio Bandinu su Fondazione Sardinia.
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Dove andiamo?
Verso una primavera elettorale
Yanis Varoufakis su Sbilanciamoci.
15 Marzo 2019 | Sezione: Europa, Materiali, Politica
Un’anticipazione dell’ex ministro dell’Economia greco e fondatore di Diem25 dal numero in edicola dal 15 marzo di Le Monde diplomatique. ilmanifesto.it
Pubblichiamo questo articolo di Yanis Varoufakis, in edicola sul numero di marzo di Le Monde diplomatique/il manifesto in edicola dal 14 a 2 euro più il prezzo del quotidiano.
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La crisi finanziaria globale del 2008 – il 1929 della nostra generazione – ha innescato una reazione a catena in tutta Europa.
All’inizio del 2010, aveva già minato le fondamenta dell’eurozona, portando i membri dell’establishment a rompere le proprie regole per tirar fuori dai guai i loro amici banchieri. Nel 2013, l’ideologia neoliberista che fino ad allora aveva legittimato la tecnocrazia oligarchica dell’Unione europea, dopo aver ridotto in miseria milioni di persone, si è trovata in grave difficoltà. E questo per la mera applicazione delle politiche ufficiali: il socialismo per i finanzieri e un’austerità implacabile per i più. Queste politiche sono state condotte sia dai conservatori che dai socialdemocratici.
Nell’estate del 2015, la capitolazione del governo di Syriza in Grecia ha avuto l’effetto di dividere e demoralizzare la sinistra, annientando l’effimera speranza che dei progressisti emersi dalle strade e dalle piazze potessero modificare i rapporti di forza in Europa.
Da allora la collera, esacerbata dalla disperazione, ha lasciato un vuoto, rapidamente riempito da un’estremità all’altra dell’Europa dalla misantropia organizzata di un’Internazionale nazionalista molto apprezzata dal presidente statunitense Donald Trump.
Appesantita da una classe dirigente che ricorda sempre più la sfortunata repubblica di Weimar e dal razzismo alimentato dalle forze deflazionistiche, l’Unione si sta spaccando.
La cancelliera tedesca sta per terminare il suo mandato e il progetto europeo del presidente francese sembra essere nato morto. Le elezioni del parlamento europeo del prossimo maggio sono l’ultima occasione per i progressisti di pesare a livello paneuropeo.
Dalla sua nascita, nel 2016, il Movimento per la democrazia in Europa 2025 (DiEm25) si è dato l’obiettivo di cogliere questa opportunità (Ndr: l’anno 2025 corrisponde alla scadenza che il movimento si è dato per «dar vita a un’Europa pienamente democratica e funzionale»).
Per prima cosa abbiamo preparato il nostro programma, il «New Deal per l’Europa». Abbiamo poi invitato altri movimenti e partiti ad arricchirlo e a dar vita con noi alla nostra Primavera europea, la prima lista transnazionale di candidati che sostengono un programma comune su scala europea.
Come premessa alla discussione di questo progetto, la sinistra deve affrontare frontalmente due temi brucianti che la dividono e che indeboliscono i progressisti un po’ dappertutto nel continente: il problema delle frontiere e la questione dell’Unione.
Negli ultimi anni è successa una cosa singolare: molti cittadini di sinistra sono stati spinti a pensare che le frontiere aperte siano nocive per la classe operaia. «Non sono mai stato a favore della libertà di stabilimento», ha dichiarato più volte Jean-Luc Mélenchon (La France insoumise). Intervenendo al parlamento europeo nel luglio del 2016 sulla questione dei lavoratori distaccati, ha dichiarato che ogni volta che uno di questi arriva «ruba il pane ai lavoratori che si trovano sul posto». In seguito si è pentito di queste affermazioni, ma la sua analisi degli effetti delle migrazioni sui salari domestici non è cambiata.
Questo dibattito non è nuovo.
Nel 1907, Morris Hillquit, il fondatore del Partito socialista d’America, ha presentato una risoluzione per porre fine all’«importazione deliberata di manodopera straniera a basso costo» sostenendo che «i migranti costitui[vano] senza esserne consapevoli un giacimento di crumiri».
La novità di oggi è che gran parte della sinistra sembra aver dimenticato l’acuta critica di Lenin, formulata nel 1915 in questi termini: «Pensiamo che non si possa essere internazionalisti e allo stesso tempo favorevoli a tali restrizioni… Simili socialisti sono in realtà sciovinisti.»
In un articolo datato 29 ottobre 1913, Lenin aveva fornito il contesto di questo dibattito: «Non c’è dubbio che solo l’estrema povertà costringe gli uomini ad abbandonare la patria e che i capitalisti sfruttano nella maniera più disonesta gli operai immigrati. Ma solo i reazionari possono chiudere gli occhi sul significato progressivo di questa migrazione moderna di popoli. (…) Il capitalismo trascina le masse lavoratrici di tutto il modo (…) distruggendo le barriere e i pregiudizi nazionali, unendo gli operai di tutti i paesi.»
La vita della maggioranza dei cittadini può essere migliorata nel quadro delle regole esistenti
Il movimento DiEm25 riprende l’analisi di Lenin: le barriere che ostacolano la libera circolazione delle persone e delle merci sono una risposta reazionaria al capitalismo. La risposta socialista consiste nell’abbattere i muri, nel permettere al capitalismo di autodistruggersi mentre noi organizziamo la resistenza transnazionale allo sfruttamento.
Non sono i migranti a rubare i posti di lavoro dei lavoratori locali, ma le politiche di austerity dei governi, che si inscrivono in una lotta di classe condotta a beneficio della borghesia nazionale.
Questo è il motivo per cui non permetteremo che una forma di xenofobia «light» contamini il nostro programma.
Come ha detto Slavoj Žižek, il nazionalismo di sinistra non è una buona risposta al nazionalsocialismo. La nostra posizione sui nuovi immigrati si basa su due punti: ci rifiutiamo di distinguere tra migranti economici e rifugiati e chiediamo all’Europa di lasciarli entrare (#LetThemIn).
I compagni di molti paesi ci considerano degli utopisti. A loro avviso, Bruxelles non è riformabile. Anche se fosse vero, la migliore risposta dei progressisti sarebbe forse lavorare per la «Lexit», organizzando cioè una campagna di sinistra che abbia come obiettivo una disgregazione controllata dell’Unione?
Ho un ricordo commosso dei miei interventi in Germania, in sale piene fino a esplodere, all’indomani della capitolazione di Syriza di fronte ad Angela Merkel e alla «troika». Le persone presenti spiegavano che le decisioni riguardanti la Grecia non erano state prese in loro nome, in nome del popolo tedesco.
Ricordo di quanto fossero stati sollevati nell’apprendere che DiEm25 aveva proposto la creazione di un movimento transnazionale per assumere il controllo delle istituzioni dell’Unione – Banca europea per gli investimenti (Bei) e Banca centrale europea (Bce) – e riorganizzarle nell’interesse di tutti i cittadini.
Ho ancora in mente la gioia dei nostri compagni tedeschi quando è stata sottoposta loro l’idea di presentare alle elezioni europee dei candidati greci in Germania e dei candidati tedeschi in Grecia.
Si trattava di dimostrare che il nostro movimento è transnazionale e che intende appropriarsi qui e ora delle istituzioni dell’ordine neoliberista. Non per distruggerle, ma metterle al servizio della maggioranza dei cittadini a Bruxelles, a Berlino, ad Atene e a Parigi. Ovunque.
Ora immaginate, al contrario, come si sarebbero sentiti se avessi tenuto il seguente discorso: «L’Unione non è riformabile e deve essere sciolta. Noi greci dobbiamo ripiegare sul nostro Stato-nazione e cercare di costruire il socialismo nel nostro paese. Spetta a voi fare lo stesso qui in Germania. Poi, quando avremo vinto, le nostre delegazioni si incontreranno per discutere la collaborazione tra i nostri nuovi Stati sovrani progressisti.» Senza ombra di dubbio, i nostri compagni tedeschi avrebbero perso ogni slancio e sarebbero tornati a casa demoralizzati alla prospettiva di affrontare l’establishment tedesco come tedeschi e non come membri di un movimento transnazionale.
Se la mia analisi è corretta, poco importa che l’Unione sia riformabile o meno. Ciò che conta è presentare proposte concrete su quello che intendiamo fare delle istituzioni europee.
Non proposte stravaganti o utopiche, ma descrizioni dettagliate delle iniziative che attueremo in settimana, il mese successivo e nel corso dell’anno, nel quadro delle normative vigenti e con gli strumenti esistenti.
Per esempio, come ridefiniremo il ruolo del cosiddetto Meccanismo europeo di stabilità (Mes), come riorienteremo la politica di «allentamento quantitativo» (quantitative easing) della Bce, come finanzieremo, immediatamente e senza introdurre nuove tasse, la transizione ecologica o una campagna di lotta alla povertà.
Perché proporre un programma così dettagliato? Per mostrare agli elettori che esistono delle soluzioni, anche all’interno delle regole stabilite per servire gli interessi del 1 % che sta meglio.
Naturalmente, nessuno – men che meno noi – si aspetta che le istituzioni dell’Unione accettino favorevolmente le nostre proposte. Quello che vogliamo è che gli elettori vedano cosa si potrebbe fare al posto di ciò che viene fatto, così che possano smascherare la classe dirigente senza orientarsi verso la destra xenofoba. Questo è l’unico modo, per la sinistra, di superare i suoi limiti attuali e di costruire un’ampia coalizione progressista.
Il «New Deal per l’Europa» ha esattamente questo obiettivo: dimostrare che la vita della maggioranza dei cittadini può essere migliorata a brevissimo termine nel quadro delle regole e delle istituzioni esistenti; delineare i contorni della trasformazione di queste istituzioni, mettendo in atto un processo costituente che, nel lungo periodo, porterà a un’Assemblea europea democratica chiamata a sostituire i trattati esistenti.
Infine, bisognerà far vedere come i meccanismi che metteremmo in atto fin dal primo giorno potrebbero aiutarci a raccogliere i pezzi se, nonostante i nostri sforzi, l’Unione dovesse disintegrarsi.
Sono in molti a parlare dell’importanza della transizione ecologica. Ma nessuno dice da dove verrà il denaro né chi stabilirà come usarlo. La nostra risposta è chiara: tra il 2019 e il 2023, l’Europa ha bisogno di investire 2.000 miliardi di euro in tecnologie verdi, energia verde, ecc. Noi proponiamo che la Bei emetta per quattro anni un volume di bond supplementari pari a 500 miliardi di euro.
Allo stesso tempo, la Bce dovrà annunciare che, se il loro valore crollasse, li riacquisterebbe sul mercato secondario dei titoli obbligazionari. Tenuto conto di questo annuncio e della sovrabbondanza di risparmi in tutto il mondo, la Bce non dovrà sborsare neanche un euro, poiché tutti i suoi titoli saranno immediatamente sottoscritti.
Sul modello dell’Organizzazione per la cooperazione economica europea (Oece) – antenata dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) – creata nel 1948 per distribuire gli stanziamenti del piano Marshall, una nuova Agenzia europea per la transizione ecologica canalizzerà questi fondi verso progetti verdi su tutto il continente.
Va osservato che questa proposta non richiede alcuna nuova tassa, si appoggia su titoli obbligazionari europei già esistente (ad esempio i bond della Bei) ed è del tutto legale in base alle norme vigenti. Lo stesso vale per altre proposte del nostro «New Deal» relative alle misure da attuare immediatamente.
Ad esempio, il nostro fondo anti-povertà. Noi proponiamo che i miliardi di utili del Sistema europeo delle banche centrali (Sebc), in particolare i profitti derivanti dai titoli acquistati nel contesto dell’allentamento quantitativo, siano utilizzati per garantire a ogni cittadino cibo, un tetto e la sicurezza energetica.
Un altro esempio: il nostro piano per ristrutturare il debito pubblico dell’eurozona. La Bce dovrà fare da mediatrice tra i mercati finanziari e gli Stati per ridurre il peso della totalità del loro debito senza stampare denaro e senza che la Germania paghi di tasca sua o sia costretta a garantire il debito pubblico dei paesi più indebitati.
Come dimostrano questi esempi, il nostro «New Deal» combina misure che richiedono un’alta competenza tecnica, applicabili nel quadro esistente dell’Unione, e una rottura radicale con l’austerity e con la logica del «salvataggio» imposto dalla funesta «troika».
Inoltre, esso prevede delle istituzioni che preparino il terreno per un futuro europeo postcapitalista. È il caso ad esempio di una proposta di socializzazione parziale del capitale e dei profitti derivanti dall’automazione: il diritto delle grandi imprese di operare nell’Unione sarà subordinato al trasferimento di una percentuale dei loro utili in un nuovo Fondo azionario europeo. I dividendi di queste azioni finanzieranno poi un reddito di base universale versato a tutti, indipendentemente da altre prestazioni sociali, sussidi di disoccupazione, ecc.
L’unità della sinistra è cruciale, ma non si deve ottenere a scapito della coerenza
Un altro esempio della radicalità delle nostre proposte: la riforma dell’euro.
Prima di impantanarci nei cambiamenti da apportare agli statuti della Bce, noi prevediamo di creare una piattaforma di pagamento digitale pubblica garantita da quelle dei servizi fiscali di ciascun paese dell’eurozona. I contribuenti avranno così la possibilità di acquistare dei crediti fiscali digitali utilizzabili per effettuare delle transazioni tra loro o per pagare le imposte godendo di consistenti sgravi fiscali.
Questi crediti saranno denominati in euro e potranno essere trasferiti solo tra i contribuenti di uno stesso paese, cosa che impedirà brusche fughe di capitali.
Allo stesso tempo, i governi potranno creare una quantità limitata di questi euro fiscali per destinarli ai cittadini bisognosi o per finanziare progetti pubblici. Gli euro fiscali permetterebbero ai governi sotto pressione di stimolare la domanda, di diminuire il loro debito, di ridurre l’onnipotenza della Bce e di evitare il costo di un’uscita dall’euro o della sua disintegrazione.
Nel lungo termine, queste piattaforme di pagamento digitali pubbliche potrebbero costituire un sistema regolamentato di euro specifici per ciascun paese, che funzionerebbe come una camera di compensazione internazionale. Sarebbe di fatto una versione modernizzata del sistema di Bretton Woods così come era stato immaginato da John Maynard Keynes nel 1944, sistema che purtroppo non è mai divenuto realtà.
Per riassumere, il nostro «New Deal per l’Europa» è un progetto globale per:
riorganizzare intelligentemente le istituzioni esistenti nell’interesse della maggioranza,
pianificare un futuro postcapitalista, radicale e verde,
essere pronti a raccogliere i pezzi se l’Unione europea dovesse collassare.
La sinistra ha due nemici: la mancanza di unità e l’incoerenza. L’unità è cruciale, ma non si deve ottenere a scapito della coerenza. Prendiamo, ad esempio, lo stato del Partito della sinistra europea. Come possono i suoi membri chiedere il voto degli elettori il prossimo maggio, quando in Grecia è rappresentato da un partito che, al governo, sta attuando il programma di austerity più brutale nella storia del capitalismo e in paesi come la Francia e la Germania molti dei suoi dirigenti sono euroscettici?
Degli amici di sinistra ben intenzionati ci chiedono perché DiEm25 non si allea con La France insoumise di Jean-Luc Mélenchon e, in Germania, con il movimento Aufstehen (In piedi) di Sahra Wagenknecht e di Oskar Lafontaine.
La ragione è semplice: perché il nostro dovere è costruire l’unità sulla base di un umanesimo radicale, razionale e internazionalista. Questo significa un programma radicale comune per tutti gli europei e una politica a favore di un’Europa aperta, che consideri le frontiere come delle cicatrici sul pianeta e dia il benvenuto ai nuovi arrivati. Su questa base minima non si può transigere.
Il nostro appello all’unità si fondava su un’idea semplice: DiEm25 invitava tutti i progressisti a essere coautori del nostro «New Deal per l’Europa».
L’appello è stato ascoltato. Génération·s (Francia), Razem (Insieme, Polonia), Alternativet (Danimarca), Democrazia e autonomia (Italia), MeRa25 (Grecia), Demokratie in Europa (Germania), Der Wandel (Il cambiamento, Austria), Actúa (Spagna), Livre (Libero, Portogallo) si sono uniti a noi.
Altri sono sul punto di farlo. Insieme abbiamo costituito la coalizione della Primavera europea, che presenterà i suoi candidati alle elezioni del prossimo maggio.
Il nostro messaggio all’establishment autoritario europeo è il seguente: vi resisteremo attraverso un programma radicale più sofisticato del vostro sul piano tecnico. Il nostro messaggio agli xenofobi fascistoidi: vi combatteremo dappertutto.
Il nostro messaggio ai compagni dalla sinistra europea, di La France insoumise, ecc.: da noi potete aspettarvi una ferma solidarietà, nella speranza che un giorno le nostre strade convergeranno al servizio di un umanesimo radicale e transnazionale.
* Yanis Varoufakis, economista, è stato ministro delle finanze greco tra il gennaio e il luglio del 2015. Fondatore del Movimento per la democrazia in Europa 2025 (DiEm25)
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Alle presidenziali Usa votereste per i democratici?
Vincenzo Comito su Sbilanciamoci
15 Marzo 2019 | Sezione: Apertura, Mondo, Politica
Bernie Sanders, Alexandra Ocasio-Cortez, Elizabeth Warren, Beto O’Rourke si confrontano per le primarie democratiche. Negli Usa torna a echeggiare la parola “socialismo”. Ma quali sono, in verità, i programmi più a sinistra dei democratici? Vediamo.
La sinistra europea e la politica Usa
Si sa che gli europei, e non solo loro, seguono con moltissima, quasi morbosa, attenzione, almeno dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, le vicende politiche degli Stati Uniti. E questo è comprensibile. Forse gli italiani sono poi tra quelli che vi prestano più attenzione.
Anche nella sinistra del nostro Paese e nelle sue varie correnti l’attenzione alle vicende di quel Paese e a personaggi come Martin Luther King, o Malcom X, ma anche John Kennedy, Bill Clinton e Hillary Clinton, o Barack Obama, è sempre stata estrema. Di tali ed altri simili personaggi si è quasi sempre teso a commentare con positivo fervore anche le più leggere alzate di ciglia.
Ora l’attenzione è concentrata, ancora una volta con fiducia e con speranza, su personaggi nuovi presenti nel panorama della sinistra democratica, a figure come Bernie Sanders, Alexandra Ocasio-Cortez, Elizabeth Warren, Beto O’Rourke, che si dovrebbero presentare, insieme a diversi altri, alle primarie democratiche per la nomina a candidato ufficiale per le presidenziali.
Tale fiducia nei politici elencati è rafforzata da noi, tra l’altro, dall’analisi dei loro programmi per il Paese, programmi nei quali compare persino, qua e là, anche se essa non incontra il favore di tutti i politici citati, persino la parola “socialismo”.
Va peraltro incidentalmente ricordato che tale parola viene usata in tale caso in maniera piuttosto impropria (Ganesh, 2019). Ma non è certo la prima volta che questo succede, in America ed altrove.
Si spera così che alle prossime elezioni sia in ogni caso un candidato democratico e comunque possibilmente di sinistra che riesca a prevalere sul cattivo Trump.
I programmi per l’interno
Certo, a leggere i programmi di tali uomini politici si può per certi versi restare molto favorevolmente impressionati dalle riforme annunciate per il Paese.
Analizziamo con qualche attenzione quello di Elizabeth Warren, la senatrice del Massachusetts che per alcuni versi appare il personaggio che forse presenta le proposte più radicali tra tutti i candidati.
Warren prevede, tra l’altro, l’università e l’assistenza sanitaria gratuite per tutti, controlli molto più stretti su Wall Street, sui monopoli e comunque sulle grandi imprese, l’aumento dei salari e la riduzione delle tasse per le classi medie e popolari, una profonda riforma del sistema immigratorio, un forte aumento delle spese per infrastrutture.
Particolarmente significative, le sue dichiarazioni a proposito delle grandi imprese digitali. Oggi esse, afferma Warren, hanno troppo potere sulla nostra economia, la nostra società, la nostra democrazia. Esse hanno demolito la concorrenza, usato le nostre informazioni private per farci dei profitti, hanno danneggiato la piccola impresa a frenato l’innovazione. Perciò, tra l’altro, bisogna rompere i monopoli e promuovere mercati competitivi; ridurremo a dimensioni più ragionevoli, dichiara la senatrice (Stacey, 2019), imprese come Amazon, Facebook, Google e controlleremo i loro comportamenti.
Tutte intenzioni lodevoli; se poi le confrontassimo con i programmi e le pratiche degli scorsi anni di personaggi della cosiddetta sinistra europea, come Blair, Hollande, Renzi, Schoeder ed altre simili figure, lo scarto in positivo apparirebbe certamente evidente.
Così, molti da noi sono pronti a scrivere poemi in lode della donna politica statunitense.
E quelli per l’estero
Per quanto riguarda i rapporti con l’estero, i programmi dei candidati della sinistra democratica sono al momento piuttosto esigui, tranne che per quanto riguarda Warren e, in parte, per Sanders.
Ma se esaminiamo le idee della senatrice su tale fronte, il quadro cambia drasticamente.
Anche su tale piano, Warren appare a prima vista molto radicale. Essa afferma che gli Stati Uniti devono cessare con i loro interventi militari, oltre al fatto che bisogna rovesciare la tendenza ad una deregulation globale.
Ma appare opportuno a questo punto ricordare che la senatrice ha votato nel 2017 l’aumento delle spese militari di 80 miliardi di dollari, contribuendo a portarle all’astronomica cifra di 700 miliardi, più di quanto avesse chiesto lo stesso Trump, che pure non sembra scherzare come spirito bellico.
Warren, come del resto Sanders (Bessner, Greenberg, 2019), si dichiara poi d’accordo sul fatto che i Paesi che mettono insieme un regime autoritario e un capitalismo corrotto (l’allusione è qui a Putin, Bolsonaro, Orban e altri) siano una minaccia diretta per gli Stati Uniti, perché possono indebolire le basi delle istituzioni democratiche statunitensi. Quindi gli Stati Uniti devono combattere tale movimento verso l’autoritarismo e l’oligarchia.
Per quanto riguarda poi la Cina, la senatrice si è sempre mostrata molto ostile verso il Paese asiatico, con dichiarazioni molto aspre; essa ha chiesto, tra l’altro, di introdurre una legislazione per punire la Cina per i suoi abusi in tema di diritti umani. Ha inoltre denunciato l’influenza di tale Paese sui media e sulle istituzioni accademiche statunitensi (Wikipedia, 2019), scatenando quasi un clima da caccia alle streghe.
conclusioni
Anche se mancano i dettagli operativi di che cosa possano significare in termini concreti le minacce contro i Paesi ritenuti ostili, c’è comunque da spaventarsi. Si tratta di posizioni molto pericolose, che riecheggiano i toni della guerra fredda e tendono a dividere di nuovo il mondo in due blocchi, esattamente come una volta. Si prepara una nuova crociata.
Il disagio aumenta quando si registra che le classi dirigenti “liberal” del Paese sembrano essere d’accordo con tale linea. Si veda ad esempio, in proposito, le bellicose e recenti analisi di un autorevole personaggio come Thomas L. Friedmann (Friedmann, 2019).
Questo, quando il mondo dovrebbe cercare di combattere unito i cambiamenti climatici, di governare le nuove tecnologie, di almeno cercare di alleviare le profonde diseguaglianze in essere.
Anche i giornalisti di The Nation (Bedssner, Greenberg, 2019), influente organo vicino alla sinistra del partito democratico statunitense, si sono di recente scandalizzati per tali prese di posizione della senatrice, con un testo accorato.
Non osiamo a questo punto pensare a quali possano essere le linee guida in politica estera degli altri candidati democratici alla presidenza, quelli cosiddetti moderati.
Tutto questo, alla fine, fa molto comodo al complesso militare industriale del Paese, vera guida non tanto occulta della politica estera statunitense ed in parte anche di quella interna. Vediamo già sullo sfondo profilarsi altri aumenti delle spese militari, sanzioni economiche e finanziarie contro tanti Paesi, grandi operazioni occulte, con l’approvazione entusiastica di Warren, oltre che forse dell’intero partito democratico e degli intellettuali “liberal”.
Indubbiamente una bella prospettiva.
Testi citati nell’articolo
-Bessner D., Greenberg U., Foreign policy beyond good and evil, www.thenation.com, 11 marzo 2019
-Friedmann T. L., Who to elect for a 3 a.m. global crisis?, The New York Times, International edition, 14 marzo 2019
-Ganesh J., Ardent US capitalists should embrace ‘socialism’, www.ft.com, 13 marzo 2019
-Stacey K., Elizabeth Warren vows to break up Amazon, Google and Facebook, www.ft.com, 8 marzo 2019
–Wikipedia, Elizabeth Warren, 12 marzo 2019
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Sassari con Greta
Forse sembrerà una affermazione retorica. Oggi venerdì 15 marzo 2019 abbiamo vissuto un appuntamento con la Storia. La possibilità di partecipare al primo sciopero mondiale dei giovani per la difesa dell’ambiente. Potremo dire con orgoglio a figli e nipoti: “Io c’ero”.
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Sassari, piazza d’Italia, conclusione di una bellissima, coloratissima e determinata manifestazione contro i cambiamenti climatici. Grande impegno e fantasia dei giovani, entusiastica partecipazione dei ragazzi delle elementari e medie con i loro insegnanti. (V.T.)
- https://www.facebook.com/groups/LettVT/permalink/2140745972671453/
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Fotocronaca della manifestazione per la difesa dai cambiamenti climatici. Un avvenimento unico, sciopero mondiale dei giovani di oltre cento paesi. (V.T.)
- https://www.facebook.com/VanniTola/videos/2309321095980892/?badge_type=ADMIN
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Cagliari con Greta
[foto marco - franco]
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- Il servizio fotografico di Dietrich Steinmetz (su fb): https://www.facebook.com/dietrich.steinmetz/posts/10220945770733519
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Che succede?
SONDAGGI ELETTORALI E NOTE SUL PD
15 Marzo 2019 by Forcesi | su C3dem.
Ilvo Diamanti, “Dopo le primarie sale il Pd, Lega al 34%, cala il M5S” (Repubblica). Nicola Piepoli, “L’effetto Zingaretti risolleva il Pd, ma il Centrodestra sfiora il 50%” (la Stampa). Stefano Folli, “E’ la destra la calamita del populismo” (Repubblica). Quanto al Pd, su Il Fatto una serie di articoli: giorni fa Massimo Cacciari, “Il Pd si cambia con meno Tav, più welfare e senza gli 80 euro”. Poi Antonio Padellaro e Peter Gomez, “Dove va il nuovo Pd”. Oggi Franco Monaco, “Zingaretti, ascolta Cacciari e fai l’opposto di Renzi” e il direttore Marco Travaglio, “Democrazia proprietaria”. A Travaglio appare ridicola la proposta di Zanda per il finanziamento pubblico ai partiti, ma Davide Allegranti sul Foglio riferisce: “Sposetti spiega perché senza partiti e soldi vince solo la Casaleggio” (Foglio). Su Il Dubbio Rocco Vanzana scrive: “Dopo Pisapia, Lucano. Ecco come Zingaretti allarga il campo”. Nicola Zingaretti, “Odio e paura non generano sviluppo” (intervista a Famiglia cristiana). David Allegranti, “Le cinquanta sfumature della sinistra alle europee di maggio” (Foglio).
Verso le Elezioni del Sindaco e del Consiglio comunale di Cagliari
Aladinews si impegna per la massima diffusione di un DIBATTITO indispensabile per la città capoluogo e per la Sardegna.
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Zedda continua nella sua ricostruzione della sinistra, consegnando le chiavi di Cagliari …al centrodestra
15 Marzo 2019
A.P. su Democraziaoggi.
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Lecis Cocco Ortu: “Per il dopo-Zedda, subito le Primarie del centrosinistra”.
Su Il Risveglio della Sardegna (13 marzo 2019).
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Che succede?
L’APPELLO DI GRETA THUNBERG
15 Marzo 2019 by Forcesi | su C3dem.
Greta Thunberg, “Ora tocca agli adulti muoversi” (La Stampa). Carlo Petrini, “Generazione che crede nel domani” e Christian Rocca, “Un sogno che può realizzarsi” (la Stampa). La filosofa francese Catherine Larrère: “Si diffonde un’etica ambientale” (intervista all’Avvenire). Franco Arminio, “Vivere con onestà e lasciare una traccia” (Corriere). Ugo Magri, “Mattarella con Greta: rischiamo la crisi globale” (la Stampa). Giuseppe Onufrio, “Dal capo dello Stato una lezione al governo e al Pd” (Manifesto). Piero Bevilacqua, “I ragazzi disubbidienti lasceranno il segno” (Manifesto). Franco Prodi, “Il pianeta è malato ma non si può dire quando morirà” (Mattino). Mario Tozzi, “Diciamo basta ai permessi per estrarre petrolio” (Manifesto).
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CHENABURA PRO SU TEMPUS BENIDORE – FRIDAY FOR FUTURE – LA SARDEGNA NELLO SCIOPERO MONDIALE DEL 15 MARZO di Federico Francioni su Fondazione Sardinia.
Una data che passerà alla storia – La sfida – Una grande speranza per tutti noi – Unicità e insostituibilità dei luoghi – Il possibile ritorno della peste – La “sarda intemperie” è stata definitivamente sconfitta? – Altre minacce incombenti – Abbiamo bisogno di un New Deal globale partecipato e di uno che sia espressione diretta della società sarda.
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Con i giovani: salviamo il Pianeta!
Con i giovani, con gli studenti di tutto il mondo, in sciopero per il clima e per l’ambiente, manomesso e devastato da uno “sviluppo” dissennato e criminale.
di Francesco Casula
Il filosofo Eraclito di Efeso, gran teorico del πάντα ῥεῖ (tutto scorre), ovvero dell’incessante fluire e divenire delle cose, nella sua concezione relativistica, salvava un unico valore, considerato assoluto, stabile e perenne: l’ambiente.
A più di 2.500 anni di distanza, l’intuizione del filosofo greco non pare abbia il consenso, in Sardegna come nell’intero Pianeta.
Non capendo, fra l’altro, che modificando il clima, devastando la natura, dissestando e consumando il territorio, con un tipo di sviluppo dissennato, si producono danni profondi agli ecosistemi e alla salute della popolazione.
Un tipo di sviluppo tutto giocato sullo sfruttamento spietato della natura, del territorio, delle materie prime e delle risorse naturali, teso esclusivamente a produrre merci finalizzate alla realizzazione di un profitto e di un consumo immediato.
Occorre essere consapevoli che l’ambiente è una risorsa, limitata e irriproducibile. Di qui la necessità di difenderlo con le unghie e con i denti e di conservarlo, valorizzandolo e non semplicemente sfruttandolo e divorandolo.
Esso è l’habitat la cui qualità non è un lusso ma la necessità stessa per sopravvivere. Ed il territorio deve essere certo utilizzato anche come supporto di attività turistiche, economiche e produttive ma nel rigoroso rispetto e della salvaguardia del nostro complesso sistema di identità ambientali, paesaggistiche, geografiche, etno-storiche, culturali e linguistiche.
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Sciopero mondiale per il futuro.
Il 15 marzo in tutto il mondo si svolgeranno manifestazioni per esigere dai governanti azioni concrete e immediate per impedire la fine della vita sul pianeta minacciata dai cambiamenti climatici. In prima linea ci sono i ragazzi e le ragazze del movimento FridaysForFuture, ispirato dalla quindicenne Greta Thunberg [foto] che la scorsa estate si è seduta davanti al parlamento svedese in protesta per tre settimane. Dal settembre ogni venerdì un numero crescente di persone, non solo giovani, si sono unite allo sciopero. (i.b.)
Il mondo salvato dai ragazzini?
di Guido Viale
Il blog di Guido Viale, 1 marzo 2019. Da quello che riusciremo a fare nei confronti dei cambiamenti climatici dipenderà il nostro futuro. I giovani di tutto il mondo esigono risposte concrete, ma i politici intenti alla spartizione del potere fanno orecchie da mercante. (a.b.)
Venerdì 15 marzo milioni e milioni di studenti e studentesse, in decine di migliaia di scuole di tutto il mondo, faranno sciopero e riempiranno le strade di cortei. Ad essi si uniranno anche molte altre cittadine e cittadini che ne condividono rabbia e obiettivi. La rabbia è di chi si vede rubato il futuro dall’inerzia e dalla complicità delle classi dirigenti di tutti i paesi del mondo, e soprattutto dai “signori della Terra”: quelli che gestiscono economia e finanza a spese del nostro pianeta e di chi lo abita. L’obiettivo è quello di far mettere la lotta contro i cambiamenti climatici al centro dell’agenda di tutti i centri di potere, dai governi nazionali alle istituzioni internazionali, dalle municipalità alle associazioni imprenditoriali, dai sindacati alle cosiddette “forze politiche”.
E’ questo obiettivo quello che, per ora, nel giro di pochi mesi, ha spinto migliaia di giovani a disertare le lezioni per rispondere all’appello lanciato da Greta Thunberg, la studentessa svedese che, decidendo di andare in piazza invece che a scuola ogni venerdì, per gettare l’allarme, ha cominciato a smuovere molte coscienze: per spingerle a salvaguardare condizioni di esistenza e convivenza decenti non più solo, come si ripete nelle giaculatorie ufficiali, per “le future generazioni”. No. Già per la generazione che si affaccia alla vita ora e che ha capito che con la nostra insipienza e la nostra inerzia le stiamo preparando un vero inferno. Da cui molti sono già stati inghiottiti: non si spiegherebbero altrimenti origini e dimensioni delle migrazioni in corso, che è ormai l’unico problema che preoccupa governi e forze politiche di mezzo mondo, se non si capisce che si tratta di un effetto, non di una causa. Mai uno scontro generazionale si è prospettato più radicale. Se questo movimento di giovani continuerà a crescere in dimensioni, radicalità e capacità di articolarsi in programmi e iniziative, come è giusto e probabile che sia, sarà esso, e non le forze politiche “di opposizione”, che continuano a rimestare sigle, personaggi e programmi, a invertire e rovesciare le tendenze in atto, apparentemente irresistibili, che stanno precipitando il mondo in un abisso di nazionalismi, razzismi, cinismo, ignoranza e rassegnazione. Una deriva che non può essere contrastata solo a livello nazionale, e nemmeno solo a livello europeo ma che ha bisogno del mondo intero come palcoscenico: quello che il movimento messo in moto da Greta Thunberg sta conquistando. Per ora questa “insorgenza” non ha ancora un programma che non sia la mera denuncia. Denuncia che ha riscontri precisi in coloro, soprattutto scienziati, ma anche “militanti” ambientalisti (non tutti; e nemmeno la maggioranza) che si adoperano da decenni per far capire la gravità del problema a Governi, media, imprenditori, manager e, soprattutto, a una parte di “opinione pubblica”, quella raggiungibile attraverso canali associativi, perché la maggioranza dei cittadini, grazie a un vero e proprio tradimento degli addetti all’informazione, è stata spinta a ignorarla, sottovalutarla, dimenticarla. Ma se cause e dinamiche dei cambiamenti climatici sono chiare e accessibili a chiunque se ne voglia informare, le risposte da dare sono ancora avvolte nella nebbia. Perché non c’è solo da abbandonare il più presto possibile tutti i combustibili fossili e passare alle fonti rinnovabili. Quel cambio di rotta – lo ha spiegato Naomi Klein nel suo libro Una rivoluzione ci salverà – richiede una dislocazione radicale del potere dai centri di comando attuali alle comunità, in tutti i principali settori della produzione e della gestione del territorio. Forme di autogoverno ancora in gran parte da costruire o ricostituire, una democratizzazione di tutte le istituzioni, non solo pubbliche, ma anche private: imprese, corporations, finanza; per lo meno quelle al di sopra di una certa soglia dimensionale. Per questo è inutile aspettare la green economy e prospettare la conversione ecologica come un business. Se lo fosse, o lo potesse essere, sarebbe già avvenuta.
Il problema è il “come?”. Come tradurre in programmi, progetti, realizzazioni e gestioni democratiche le indicazioni che derivano dalla dimostrata insostenibilità del modo attuale di condurre gli affari sia economici che di governo? Qui, con la lodevole eccezione di pochi tecnici che vi si cimentano e di moltissime associazioni e comitati che hanno sviluppato esperienze esemplari, soprattutto in campo agricolo e alimentare, gran pare del lavoro è ancora tutto da fare. Ma da oggi si può cercare di farlo, in modo concreto, qui e ora, in un confronto serrato con le giovani generazioni che hanno compreso l’importanza del problema. Questo dà la misura della distanza della “politica”, sia di governo che di opposizione, dai problemi che la nascita di questo movimento mette all’ordine del giorno. Che cosa ha a che fare questa insorgenza con lo schieramento compatto di partiti, giornalisti, industriali, sindacati, ministri e portaborse che invece che di Greta Thunberg si sono messi al seguito delle sette madamine di Torino per spiegarci che dal tunnel del Tav Torino-Lione (che forse entrerà in funzione tra quindici anni, o forse mai) dipende il futuro della nazione, dello “sviluppo”, dell’ambiente, del benessere? C’è forse qualcosa che possa mostrare meglio di questa caduta in un delirio collettivo la distanza che separa l’agenda delle nuove generazioni, e la sua impellenza, dall’ottusità di quelle vecchie? Quelle che stanno trascinando tutti e tutto verso il baratro ambientale, facendolo comunque precedere o accompagnare da un baratro non meno devastante di identitarismo e di razzismo, anche se malamente mascherato?
Articolo tratto dalla pagina qui raggiungibile.
Qui la pagina web e quella facebook di Fridays for Future.
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- Le pagine fb degli eventi in Sardegna. A Cagliari partenza piazza Garibaldi – A Sassari partenza piazza Castello.
Oggi venerdì 15 marzo 2019 – Sciopero mondiale per la salvezza del Pianeta
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————-Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti&Thedayafter———————
Sul clima il movimento del futuro
15 Marzo 2019, su Democraziaoggi.
Oggi sciopero degli studenti con manifestazioni in tutta Italia: «Difendiamo la Terra dai Grandi che la distruggono» In piazza anche prof e genitori-
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Verso le Elezioni del Sindaco e del Consiglio comunale di Cagliari
Aladinews si impegna per la massima diffusione di un DIBATTITO indispensabile per la città capoluogo e per la Sardegna.
Riprendiamo dal suo sito un intervento di Vito Biolchini che propone dieci domande su cui raccogliere le riflessioni di chiunque abbia qualcosa da dire sia per fare un bilancio dell’amministrazione uscente sia per prospettare un possibile futuro per la gestione della città.
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2011-2019, Zedda sindaco di Cagliari: dieci domande per fare un bilancio e aprire il dibattito
di Vito Biolchini
14/03/2019 alle 20:55 su vitobiolchini.it
A Cagliari l’era Zedda è finita. Sindaco per otto anni, dal 2011 al 2019. Il primo di sinistra a guida di una amministrazione di centrosinistra: un caso mai avvenuto, praticamente la prima volta dal secondo dopoguerra.
Un’elezione giustamente ritenuta storica, dunque. Ma lo è altrettanto l’eredità di questa non breve stagione di governo? E’ confrontabile ad esempio con quella lasciata da due memorabili sindaci cagliaritani Ottone Bacaredda e Luigi Crespellani? Pure quest’ultimo lasciò il Comune per la Regione, diventandone Presidente.
La sinistra non brilla da tempo per capacità di analisi, tanto meno in Sardegna (dove ancora stiamo aspettando una lettura, una qualunque, della sconfitta di Renato Soru nel 2009).
Stavolta dovrebbe essere diverso e, se vogliamo, più facile. Perché non c’è nessuna sconfitta da elaborare (Zedda si è dimesso e sceglie di andare in Consiglio regionale come consigliere di minoranza) e perché l’ormai ex sindaco di Cagliari è circondato da una generale e benevola considerazione, da una stampa locale e nazionale mai critica, benché ciò non gli abbia evitato la brutale sconfitta delle ultime elezioni regionali (110 mila voti di distanza dal vincitore Solinas; cinque anni fa Pigliaru prevalse su Cappellacci per 17mila voti, dieci anni fa Cappellacci batté Soru per 87 mila voti, quindici anni fa Soru batté Pili per 93 mila voti).
Ora comunque nessuno deve fare più i conti con il consenso, ogni considerazione è scevra da strumentalità politica. Una fase si è chiusa ed è consegnata alla storia di questa città. Facciamo dunque uno sforzo di astrazione e proviamo ad aiutare chi, fra qualche decennio, proverà a capire in che modo una amministrazione di sinistra ha cambiato Cagliari tra il 2011 e il 2018.
La questione è semplice: la città che Zedda lascia è migliore di quella che ha trovato nel 2011? E se sì, perché?
Domanda suggestiva ma, se posta in questi termini, profondamente fuorviante. Bisognerebbe infatti che il giudizio fosse ancorato a degli elementi oggettivi, o quanto meno articolato per ambiti, e soprattutto riferito al criterio di continuità-discontinuità rispetto a quanto fatto in precedenza dalla destra.
E allora cerchiamo di individuare dieci questioni cruciali sulle quali era atteso un significativo cambio di rotta dopo i 17 anni di amministrazione Delogu–Floris. La mia è chiaramente una articolazione soggettiva di temi, ognuno può fare altre scelte. Ma io penso che sia necessario condividere il metodo.
[segue]
“CATTEDRALI DI SARDEGNA. L’ADEGUAMENTO LITURGICO DELLE CHIESE MADRI NELLA REGIONE ECCLESIASTICA SARDA”
CONFERENZA EPISCOPALE SARDA
PRESENTAZIONE DEL VOLUME “CATTEDRALI DI SARDEGNA. L’ADEGUAMENTO LITURGICO DELLE CHIESE MADRI NELLA REGIONE ECCLESIASTICA SARDA”
A Cagliari sabato 16 marzo, h. 10,30, nella Sala Convegni de L’Unione Sarda, P.zza dell’Unione Sarda.
Interverranno S.E. Monsignor Arrigo Miglio, Arcivescovo di Cagliari e Presidente della Conferenza Episcopale Sarda, S.E. Monsignor Sebastiano Sanguinetti, vescovo delegato Patrimonio Ecclesiastico, don Valerio Pennasso, Direttore Ufficio Nazionale BCE ed EDC e il dott. Fabio Ardau, curatore dell’Opera.
Gli interventi saranno moderati dal giornalista Paolo Matta. [segue]
Oggi giovedì 14 marzo 2019
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A che ora (ri)passa il 68?
1968-69 Vogliamo tutto: Gli studenti, gli operai e …gli astronauti. Giovanni de Luna al Teatro Massimo parla del ‘68.
14 Marzo 2019. Gianna Lai su Democraziaoggi.
Il 10 febbraio, Giovanni de Luna al Teatro Massimo ha tenuto una lezione sul ‘68. Ecco una sintesi di Gianna Lai in occasione del recital letterario-musicale ”Intorno al ‘68″, organizzato oggi dall’ANPI in collaborazione con il CoStat, alle ore 19,30 presso lo Studium franciscanum via Principe Amedeo 22, Cagliari.
Il mestiere dello storico […].
Sciopero mondiale per il futuro
Il 15 marzo in tutto il mondo si svolgeranno manifestazioni per esigere dai governanti azioni concrete e immediate per impedire la fine della vita sul pianeta minacciata dai cambiamenti climatici. In prima linea ci sono i ragazzi e le ragazze del movimento FridaysForFuture, ispirato dalla quindicenne Greta Thunberg [foto] che la scorsa estate si è seduta davanti al parlamento svedese in protesta per tre settimane. Dal settembre ogni venerdì un numero crescente di persone, non solo giovani, si sono unite allo sciopero. (i.b.)
Il mondo salvato dai ragazzini?
di Guido Viale
Il blog di Guido Viale, 1 marzo 2019. Da quello che riusciremo a fare nei confronti dei cambiamenti climatici dipenderà il nostro futuro. I giovani di tutto il mondo esigono risposte concrete, ma i politici intenti alla spartizione del potere fanno orecchie da mercante. (a.b.)
Venerdì 15 marzo milioni e milioni di studenti e studentesse, in decine di migliaia di scuole di tutto il mondo, faranno sciopero e riempiranno le strade di cortei. Ad essi si uniranno anche molte altre cittadine e cittadini che ne condividono rabbia e obiettivi. La rabbia è di chi si vede rubato il futuro dall’inerzia e dalla complicità delle classi dirigenti di tutti i paesi del mondo, e soprattutto dai “signori della Terra”: quelli che gestiscono economia e finanza a spese del nostro pianeta e di chi lo abita. L’obiettivo è quello di far mettere la lotta contro i cambiamenti climatici al centro dell’agenda di tutti i centri di potere, dai governi nazionali alle istituzioni internazionali, dalle municipalità alle associazioni imprenditoriali, dai sindacati alle cosiddette “forze politiche”.
E’ questo obiettivo quello che, per ora, nel giro di pochi mesi, ha spinto migliaia di giovani a disertare le lezioni per rispondere all’appello lanciato da Greta Thunberg, la studentessa svedese che, decidendo di andare in piazza invece che a scuola ogni venerdì, per gettare l’allarme, ha cominciato a smuovere molte coscienze: per spingerle a salvaguardare condizioni di esistenza e convivenza decenti non più solo, come si ripete nelle giaculatorie ufficiali, per “le future generazioni”. No. Già per la generazione che si affaccia alla vita ora e che ha capito che con la nostra insipienza e la nostra inerzia le stiamo preparando un vero inferno. Da cui molti sono già stati inghiottiti: non si spiegherebbero altrimenti origini e dimensioni delle migrazioni in corso, che è ormai l’unico problema che preoccupa governi e forze politiche di mezzo mondo, se non si capisce che si tratta di un effetto, non di una causa. Mai uno scontro generazionale si è prospettato più radicale. Se questo movimento di giovani continuerà a crescere in dimensioni, radicalità e capacità di articolarsi in programmi e iniziative, come è giusto e probabile che sia, sarà esso, e non le forze politiche “di opposizione”, che continuano a rimestare sigle, personaggi e programmi, a invertire e rovesciare le tendenze in atto, apparentemente irresistibili, che stanno precipitando il mondo in un abisso di nazionalismi, razzismi, cinismo, ignoranza e rassegnazione. Una deriva che non può essere contrastata solo a livello nazionale, e nemmeno solo a livello europeo ma che ha bisogno del mondo intero come palcoscenico: quello che il movimento messo in moto da Greta Thunberg sta conquistando. Per ora questa “insorgenza” non ha ancora un programma che non sia la mera denuncia. Denuncia che ha riscontri precisi in coloro, soprattutto scienziati, ma anche “militanti” ambientalisti (non tutti; e nemmeno la maggioranza) che si adoperano da decenni per far capire la gravità del problema a Governi, media, imprenditori, manager e, soprattutto, a una parte di “opinione pubblica”, quella raggiungibile attraverso canali associativi, perché la maggioranza dei cittadini, grazie a un vero e proprio tradimento degli addetti all’informazione, è stata spinta a ignorarla, sottovalutarla, dimenticarla. Ma se cause e dinamiche dei cambiamenti climatici sono chiare e accessibili a chiunque se ne voglia informare, le risposte da dare sono ancora avvolte nella nebbia. Perché non c’è solo da abbandonare il più presto possibile tutti i combustibili fossili e passare alle fonti rinnovabili. Quel cambio di rotta – lo ha spiegato Naomi Klein nel suo libro Una rivoluzione ci salverà – richiede una dislocazione radicale del potere dai centri di comando attuali alle comunità, in tutti i principali settori della produzione e della gestione del territorio. Forme di autogoverno ancora in gran parte da costruire o ricostituire, una democratizzazione di tutte le istituzioni, non solo pubbliche, ma anche private: imprese, corporations, finanza; per lo meno quelle al di sopra di una certa soglia dimensionale. Per questo è inutile aspettare la green economy e prospettare la conversione ecologica come un business. Se lo fosse, o lo potesse essere, sarebbe già avvenuta.
Il problema è il “come?”. Come tradurre in programmi, progetti, realizzazioni e gestioni democratiche le indicazioni che derivano dalla dimostrata insostenibilità del modo attuale di condurre gli affari sia economici che di governo? Qui, con la lodevole eccezione di pochi tecnici che vi si cimentano e di moltissime associazioni e comitati che hanno sviluppato esperienze esemplari, soprattutto in campo agricolo e alimentare, gran pare del lavoro è ancora tutto da fare. Ma da oggi si può cercare di farlo, in modo concreto, qui e ora, in un confronto serrato con le giovani generazioni che hanno compreso l’importanza del problema. Questo dà la misura della distanza della “politica”, sia di governo che di opposizione, dai problemi che la nascita di questo movimento mette all’ordine del giorno. Che cosa ha a che fare questa insorgenza con lo schieramento compatto di partiti, giornalisti, industriali, sindacati, ministri e portaborse che invece che di Greta Thunberg si sono messi al seguito delle sette madamine di Torino per spiegarci che dal tunnel del Tav Torino-Lione (che forse entrerà in funzione tra quindici anni, o forse mai) dipende il futuro della nazione, dello “sviluppo”, dell’ambiente, del benessere? C’è forse qualcosa che possa mostrare meglio di questa caduta in un delirio collettivo la distanza che separa l’agenda delle nuove generazioni, e la sua impellenza, dall’ottusità di quelle vecchie? Quelle che stanno trascinando tutti e tutto verso il baratro ambientale, facendolo comunque precedere o accompagnare da un baratro non meno devastante di identitarismo e di razzismo, anche se malamente mascherato?
Articolo tratto dalla pagina qui raggiungibile.
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Gli Editoriali di Aladinews
EUROPA, EUROPA
Il dibattito a sinistra sulla crisi del progetto europeo
Gianfranco Sabattini su AladinewsEditoriali.
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LAVORO LAVORO
Gli effetti del decreto dignità
Roberta Carlini, su Rocca, ripubblicato da Aladinews.
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CATTOLICI e POLITICA DA RIGENERARE
Inclusione e relazioni per rigenerare la politica
Luigi Franco Pizzolato, su AladinewsEditoriali.
Riprendendolo da C3dem [15 Febbraio 2019 by Forcesi], pubblichiamo l’editoriale del n. 6/2018 di “Appunti di cultura e politica”, rivista promossa dall’Associazione “Città dell’uomo”.
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