Monthly Archives: marzo 2019

Cagliari verso il voto

cag-palazzo-bacQuanti saranno gli schieramenti che si presenteranno al responso delle urne il 26 maggio (o a giugno)?
Per ora almeno quattro:
1) Centro sinistra, più o meno allargato.
2) Centro destra (nella formula delle ultime elezioni regionali)
3) Movimento 5 Stelle (con possibile accordo con una o più Liste civiche)
4) Aggregazione alternativa (indipendentisti-identitari-sinistra alternativa)
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Dalla stampa online le ultime novità
Ufficiale, Ghirra alle primarie del centrosinistra: “Tempi maturi per la prima sindaca di Cagliari”
Di Ennio Neri 19 Marzo 2019 su Casteddu online
L’esponente della giunta Zedda su facebook: “Ho deciso di accettare la sfida per la scelta del prossimo candidato sindaco”
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Cagliari, gli alleati Pd forzano i tempi: “Candidato sindaco solo con primarie”
Di Alessandra Carta su SardiniaPost
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elezioniLa proposta di Gianni Loy.
Intervento pubblicato su Aladinews e su SardiniaSoprattutto.
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Elezioni a Cagliari: “I 5 Stelle al bivio, l’apertura alle civiche è una strada per uscire dall’angolo”, di Mario Gottardi su vitobiolchini.it (19/03/2019 alle 18:27).
L’amico e collega Mario Gottardi regala al blog questa interessante riflessione sulle elezioni comunali a Cagliari e sul futuro del Movimento 5 Stelle. Il dibattito è aperto e attende nuovi graditissimi contributi.
[segue]

L’improbabile fascino dell’austerità

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Le presunte virtù dell’austerità

di Gianfranco Sabattini

Le politiche di austerità, attuate in presenza di un’autonomia decisionale “condizionata” dall’Italia per contrastare gli effetti negativi della crisi del 2007/2008, hanno dato luogo a un dibattito acceso e continuo sulla loro efficacia, perché considerate da molti commentatori ed economisti inidonee ad attenuare nell’immediato gli effetti della crisi, ma anche inappropriate a promuovere il rilancio della crescita del Paese, ridimensionandone il principale ostacolo, ovvero il debito pubblico consolidato.
Sul dibattito è calato di recente, con intenti risolutivi, il volume “Austerità: quando funzione e quando no”, di Alberto Alesina, Carlo Favero e Francesco Giavazzi, con una Prefazione di Ferruccio De Bortoli; in essa l’ex direttore del “Corriere della Sera” e del “Sole 24 Ore” ricorda, sia pure criticamente, che già il segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, nel lontano 1974, in un momento in cui i Paesi occidentali ad economia di mercato subivano gli effetti destabilizzati della crisi dei mercati energetici e del disordine dei mercati finanziari, tesseva le lodi delle politiche informate a un maggiore equilibrio nelle finanze pubbliche, affermando però che l’austerità può “essere adoperata o come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali, oppure come occasione per uno sviluppo economico e solidale nuovo, per un rigoroso risanamento dello Stato”.
E’ proprio trascurando questa doppia valenza delle politiche di austerità che diventa possibile stupirsi, come accade agli autori del volume citato, del fatto che il dibattito sull’austerità abbia assunto in Italia “un carattere ideologico”, per cui “di rado” le argomentazioni sono basate su dati e riscontri reali. Da un lato, vi è la tesi di chi afferma che i “moltiplicatori della spesa”, essendo più grandi di quelli delle tasse, i tagli della spesa generano sempre recessioni severe; dall’altro lato, vi sono coloro che sostengono che i Paesi i cui conti pubblici non sono in ordine devono “evitare a tutti i costi di accumulare livelli di deficit anche molto bassi”, essendo “desiderabile in qualunque momento” una riduzione del deficit pubblico consolidato.
Nel loro libro, Alberto Alesina, Carlo Favero e Francesco Giavazzi sostengono che entrambe le posizioni sono fondamentalmente sbagliate, perché basate sul “modello keynesiano standard” sostanzialmente statico, mentre la loro analisi delle politiche di austerità fa riferimento, invece, ad un modello economico più complesso, in quanto integrato dalla considerazione “del ruolo delle aspettative, del lato dell’offerta”, nonché del fatto “che i piani di austerità hanno una natura pluriennale” e che le politiche di attuazione di tali piani sono accompagnate dalle politiche monetarie e da quelle delle riforme strutturali, riguardanti in particolare il mercato del lavoro e la liberalizzazione dei mercati dei beni e dei servizi pubblici.
Nel loro volume gli autori affermano di aver arricchito con quattro contributi la “letteratura sulle politiche fiscali”. Il primo riguarda la raccolta dei dati sulla base dei quali essi hanno condotto la loro analisi, realizzata attraverso l’esame di circa duecento piani di austerità pluriennali, attuati in sedici Paesi aderenti all’OCSE e ricostruiti attraverso la consultazione dei documenti originali riguardanti circa tremilacinquecento singoli provvedimenti fiscali. Il secondo contributo è di natura metodologica, e consiste nell’aver evidenziato il fatto che l’approccio standard allo studio dell’attuazione dei piani di austerità “valuta le politiche fiscali periodo per periodo, studiando le singole variazioni delle tasse o della spesa”, mentre il loro approccio (quello degli autori) include la considerazione delle problematiche di solito trascurate (quali, ad esempio, la natura pluriennale degli aggiustamenti e la considerazione dell’interconnessione esistente tra la decisione concernente il taglio o l’aumento delle tasse e quella riguardante la riduzione di un dato ammontare del debito pubblico).
Il terzo contributo dell’analisi, per esplicita affermazione degli autori, sta nei risultati, dai quali emergerebbe “una netta differenza tra i piani di aggiustamento basati prevalentemente su aumenti delle tasse e i piani basati per lo più su riduzioni della spesa”: i primi – essi affermano – “sono significativamente più recessivi di quelli basati sulla spesa”, e lo sono per tutto il periodo di attuazione del piano di austerità, “in particolare nei due anni seguenti l’inizio di un piano di consolidamento fiscale”. Questo terzo risultato, secondo Alesina, Favero e Giavazzi, vale a dimostrare che non ha senso parlare di austerità “in quanto tale”, realizzabile attraverso politiche i cui effetti “sono nettamente diversi a seconda del modo in cui sono messe in atto”. Infine, il quarto contributo dell’analisi condotta dagli autori consisterebbe nel dimostrare che l’attuazione di una politica di austerità non costituisce una “condanna a morte” per i governi che la attuano, o almeno che non lo è necessariamente.
Nel commentare i risultati della loro ricerca, tenendo conto dei contributi ricordati all’arricchimento della letteratura sulle politiche fiscali, gli autori affermano “di aver riscontrato una differenza molto grande negli effetti che i piani basati sulla spesa (EB: expenditure based) e quelli basati sulle tasse (TB: tax based) producono sul PIL”; la differenza accertata consiste nel fatto che l’austerità basata sulla spesa, pur riuscendo spesso a frenare il tasso di crescita del rapporto debito/PIL, nella maggioranza dei casi considerati i piani di austerità basati sulle tasse “sono stati associati a un aumento” del tasso del debito. Gli autori, tuttavia, pur avvertendo che gli effetti dei piani di austerità dipendono, oltre che dalle tasse, anche da altri fattori, confermano che gli effetti diversi prodotti dai piani EB e da quelli TB sono risultati evidenti in tutti i casi da essi considerati.
Riguardo alle conseguenze elettorali (o, più in generale, politiche) dell’austerità, gli autori rilevano che l’evidenza empirica non consente di sostenere “la popolare ipotesi secondo cui le politiche di riduzione del debito producono sempre conseguenze elettorali negative”; le risultanze della loro ricerca non consentono di affermare che i governi che “adottano politiche aggressive di riduzione del deficit perdano poi alle elezioni”, rendendo plausibile l’ipotesi che alcuni governi possano riuscire a conservarsi al potere senza perdere consensi, pur avendo assunto decisioni volte a ridurre il debito pubblico consolidato.
Sulla scorta delle risultanze della loro ricerca, gli autori si chiedono poi perché in Italia il dibattito sull’austerità sia stato tanto acceso. Secondo loro, una delle ragioni è da ricondursi al fatto che il confronto ha scontato anche altre ragioni, quali il ruolo del governo nella gestione del sistema economico, l’aumento delle disuguaglianze distributive, l’equità dei sistemi fiscali ed altro ancora. Gli autori hanno ritenuto importante “non confondere questioni diverse”, per cui hanno considerato estranea alla loro ricerca ogni questione riguardante la “dimensione ottimale” delle decisioni del settore pubblico riguardo alla gestione del sistema economico; il risultato della loro analisi – essi affermano – esula perciò da questo tipo di problemi, per cui credono di poter correttamente affermare che, “qualora ci fosse la necessità di tagliare un deficit di grande entità, gli aumenti delle tasse porterebbero ad una recessione, mentre i tagli della spesa no (o comunque porterebbero ad una recessione di misura inferiore)”.
Ovviamente, gli autori sono consapevoli che ogni decisione in fatto di tasse e di tagli della spesa non possa essere considerata neutrale rispetto al problema delle disuguaglianze distributive e che la composizione degli aumenti delle prime e dei tagli della seconda possano avere effetti ridistributivi diversi; si tratta, però, di questioni sulle quali gli autori non si esprimono, perché le considerano fuori “dai propositi” della loro ricerca. Essi, tuttavia, a differenza di coloro che sono ossessionati dal debito, non sono pregiudizialmente contrari all’eventualità che il settore pubblico possa indebitarsi; nessun principio economico – essi affermano – sostiene l’idea che il bilancio pubblico “debba essere in pareggio ogni anno: il deficit è uno strumento di politica economica assolutamente legittimo, se utilizzato con la dovuta prudenza”, ovvero tenendo sempre presente che, se “è facile accumulare deficit durante le recessioni o in caso di necessità”, è molto difficile “ridurlo” quando è necessario farlo.
In verità, occorre riconoscere che gli autori, con riferimento ai governi succedutisi in Italia prima della crisi finanziaria iniziata nel 2007/2008, hanno sempre criticato l’accumulo di livelli di indebitamento molto alti, senza che ve ne fosse bisogno; muovendo dall’assunto che, in presenza di un andamento negativo del ciclo economico, possa essere attuata una politica stabilizzatrice fondata su limitati livelli di indebitamento pubblico, gli autori si chiedono se le misure di austerità adottate dagli Stati europei maggiormente colpiti dalla crisi finanziaria seguita alla Grande Recessione del 2007/2008 (tra i quali l’Italia) siano state appropriate rispetto all’obiettivo perseguito.
La loro risposta (fondata sull’analisi dei piani di austerità cui la ricerca ha fatto riferimento) è che “i tagli della spesa” sarebbero “stati molto meno costosi rispetto agli aumenti delle tasse”; ciò consente loro di affermare quanto appaia “singolare che gli oppositori di ogni forma di austerità siano ancora così certi che tutto sarebbe andato per il meglio, se solo spesa e debito fossero stati fatti crescere liberamente”.
Con riferimento all’Italia, hanno ragione gli autori di concludere in questo modo? Le considerazioni che possono essere svolte su alcuni aspetti del sistema-Italia, che essi considerano estranei alla loro ricerca, valgono a giustificare qualche dubbio. Posto che i tagli delle spese siano meno “costosi” dell’aumento delle tasse, se si considera che due degli aspetti più negativi dell’economia italiana sono l’evasione fiscale e la disuguaglianza distributiva del prodotto sociale, non è ragionevole pensare che una più appropriata politica di austerità, fondata, non su un taglio delle spesa e su un aumento delle tasse indisriminato, ma su una politica informata ad una maggiore equità distributiva (fondata, ad esempio, su un aumento delle tasse, tese a colpire i patrimoni e i redditi più alti, e combinato con una più razionale diminuzione della spesa), avrebbe potuto dare maggior credibilità ad una politica restrittiva, attuata attraverso l’impatto sul PIL di una maggiore domanda aggregata, resa possibile dalla più equa distribuzione del prodotto sociale?
Non avendo seguito questa via, la “cura” della severa e indiscriminata politica di austerità si è rivelata, per l’Italia, regressiva, invece che espansiva. Infatti, nonostante la severità della “cura” somministrata (più tasse e meno spesa pubblica), il debito pubblico è aumentato, a causa dell’avvio di un meccanismo perverso che, non contrastato dal sostegno di una maggior domanda, ha causato l’aumento della disoccupazione, la depressione dell’attività economica e la riduzione delle entrate fiscali dovuta al minore reddito prodotto. In conclusione, il tipo di austerità praticato, almeno in Italia, ha aggravato ancora di più la situazione, anziché risolverla.
Non avevano perciò tutti i torti coloro (commentatori ed economisti) che, sin dall’inizio dell’attuazione della politica di austerità, denunciavano che la sua severa applicazione, fondata su un aumento indiscriminato delle tasse e su un’altrettanto indiscriminata diminuzione della spesa, avrebbe “depresso” gli effetti del moltiplicatore connesso ad un aumento della spesa e che il conseguente minor reddito avrebbe impedito ogni possibile riduzione del debito. Sembra proprio che delle due alternative cui, secondo Berlinguer, poteva essere finalizzata l’austerità, a prevalere, dopo la Grande Recessione iniziata nel 2007/2008, sia stata la prima, adoperata “come strumento di depressione economica, di repressione politica, di perpetuazione delle ingiustizie sociali”, e non come strumento di sviluppo economico e solidale e per un risanamento dell’economia nazionale.

Che succede?

c3dem_banner_04PRIMI SEGNALI PER UN NUOVO PD
18 Marzo 2019 by Forcesi | su C3dem
La registrazione dell’Assemblea nazionale del Pd (17 marzo 2019). L’intervento di Nicola Zingaretti all’Assemblea nazionale. Federico Geremicca, “Un nuovo Pd che superi le correnti” (La Stampa). Giovanna Vitale, “Le prime scelte” (Repubblica). “Zingaretti insedia lo staff operativo” (democratica.it). Stefano Folli, “Perché al Pd serve il voto anticipato” (Repubblica). Mauro Calise, “Rete e circoli, la svolta dem dalle parole ai fatti” (Mattino). Un’altra lettura, quella di Claudio Cerasa: “Serve un asse tra Lega e Pd per un’Italia maggioritaria” (Foglio). Valeria Mancinelli, “Il mio modello di Pd” (intervista al sindaco di Ancona, Espresso).
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img_9429[Dalla Rete C3dem] Il 21 marzo esponiamo la bandiera dell’Unione Europea!
18 Marzo 2019
Domenica 17 marzo ci siamo riuniti a Milano per l’incontro dei responsabili delle associazioni che fanno parte della nostra rete c3dem. E’ stato un momento intenso e proficuo, caratterizzato come sempre dallo spirito di amicizia e dalla ricchezza di contributi. Nei prossimi giorni daremo conto dei principali temi e obiettivi di lavoro emersi. Intanto, ci piace pubblicare una foto di gruppo con alle spalle la bandiera dell’Unione Europea, che esprime la nostra adesione all’appello di Romano Prodi per l’esposizione del vessillo il 21 marzo e il nostro sentirci, profondamente e convintamente, cittadini europei.
In vista dell’appuntamento elettivo europeo abbiamo avviato un dibattito sul futuro dell’Europa. Abbiamo cominciato con due testi: “Il sogno dell’Europa e la sua crisi. Le responsabilità dei cristiani”, di Guido Formigoni, e “Il sogno dell’Europa e la sua crisi. Le responsabilità dei cristiani”, la lettera-manifesto rivolta alla comunità ecclesiale da un gruppo di cristiani torinesi che fa riferimento al Centro Studi Bruno Longo, un presidente della Gioc (la Gioventù operaia cristiana) morto prematuramente nel 1984. Si attendono altri contributi e commenti.
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Diciannove marzo san Giuseppe

Da Aladinew del 19 marzo 2018
Giuseppe il falegname ***************** . (Aladinews 19 marzo 2015)
Oggi si ricorda S.Giuseppe. Grande simbolica figura.
Un uomo, falegname, che interpreta e mette in azione i messaggi dei suoi sogni. Prima sposa la fidanzata incinta di un figlio non suo, e la mette così al riparo dal disprezzo e da una pena spietata; poi, pieromarcialis-3-18secondo sogno, emigra in terra straniera per fuggire il dominio di un tiranno, e salva così il futuro del figlio. Infine, dopo averlo cresciuto e avergli dato un mestiere, si accorge che quel figlio, a dodici anni (!) è capace di confrontarsi coi presunti sapienti del paese. E si toglie di scena, perchè il suo compito è finito.
Rappresenta l’umanità più vera: quella che parla poco e fa, che lavora, che rispetta la donna, che si sottrae all’oppressione, che cresce i figli e pensa al loro futuro, che si ritira in disparte senza onori e ricompense. Ricordiamoci di loro, sono i migliori. [segue]

Oggi martedì 19 marzo 2019

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————–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————

peperoncino BdSBanche sarde fagocitate ed impoverimento della nostra regione? Battiamoci il petto: siamo noi i responsabili
19 Marzo 2019
Vittorio Dettori su Democraziaoggi.
Vittorio Dettori, noto economista del nostro Ateneo, risponde alle osservazioni in questo blog di Antonio Sassu sulla sorte del Banco di Sardegna.
E’ ineccepibile l’analisi che Antonio Sassu fa, nel suo articolo sul Blog “Democrazia oggi” del 4 Marzo u.s., circa le condizioni attuali del Banco di Sardegna, “fagocitato” dalla Banca Popolare dell’Emilia Romagna (BPER).[…]

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Eventi di oggi martedì 19 marzo segnalati da Aladinews

- A Quartu, Chiesa Santo Stefano. Salute e Lavoro. Il servizio alla persona.
- A Cagliari, Chiesa Battista. La donna e i suoi spazi di libertà nell’antica Grecia e Roma.
[seguono approfondimenti]

Oggi lunedì 18 marzo 2019

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————–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————

Scintille nel centrosinistra. Comandini a Zedda: “scendi da cavallo e pedala”…frattanto Solinas: “riformo la sanità e la legge elettorale”
18 Marzo 2019
Amsicora su Democraziaoggi.
Avete visto, compagni e compagne? Nel centrosinistra c’è vita! Un giro vorticoso di poltrone! Piero Comandini del PD, rieletto nell’Assemblea regionale, viene dato per probabile candidato sindaco di Cagliari del centrosinistra. Ma sembra a sua insaputa o contro la sua volontà. Il nuovo capo e stratega regionale, Massimino, pare stia decidendo con Uras e Cani. […]
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F35: ecco dove evitare sprechi e recuperare risorse per progetti di sviluppo
18 Marzo 2019
Red su Democraziaoggi.
Per Salvini “prima gli italiani” vale sempre e comunque anche sulla questione F35. E così ecco la sparata del ministro dell’Interno: ha detto che “l’Italia non può restare indietro”, “altrimenti li comprano i francesi e i tedeschi”.
La ministra Elisabetta Trenta, “chiediamo rispetto dei ruoli e meno confusione“.[…]

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Eventi segnalati da Aladinews per domani 19 marzo 2019

- A Quartu, Chiesa Santo Stefano. Salute e Lavoro. Il servizio alla persona.
- A Cagliari, Chiesa Battista. La donna e i suoi spazi di libertà nell’antica Grecia e Roma.
[seguono approfondimenti]

Per Cagliari

cagliari-acq mani sulla cittàCagliari OBCIL CONTESTO
Chiose post e pre-elettorali
di Gianni Loy*

Tra le complicazioni della politica, un posto di rilievo è sicuramente occupato dalle riserve mentali. Ricordo ancora che da ragazzo, quando tale tecnica mi è stata spiegata, ho provato disappunto, un moto di ribellione verso quella raffinata teologia cattolica che le maneggiava sapientemente e, almeno così mi sembrava, le giustificava con eccessiva disinvoltura.
E sia.
Se alcuni recenti segnali, in politica, non fossero condizionati dalla riserva mentale di chi li esprime, ipotesi che rimane da verificare, si potrebbero avanzare alcuni ragionamenti, magari utili anche per l’imminente futuro.
Ragionamenti utili se si concorda sul fatto che l’avvio della legislatura, con la tormentata esperienza di un governo ancora una volta ispirato ad un contratto, ci restituisce l’immagine di una paese allo stato attuale, anche se non irrimediabilmente, diviso in due. Ciò non significa che sia venuta meno quella ricchezza di idee, di differenze, anche se a volte solo ideologiche, che hanno caratterizzato l’esperienza italiana e soprattutto il post-sessantotto. I principali schieramenti politici, del resto, diseredando la prima repubblica, si sono affannati a costruire un meccanismo di governo, a partire dal sistema, o meglio dai sistemi elettorali, improntato al bipartitismo. Un sistema elettorale in continua evoluzione, nella dichiarazione di intenti, finalizzato a garantire la governabilità ma. in realtà, costruito sugli interessi della maggioranza di turno, disposta a modificarlo in corso d’opera, magari anche con un pizzico di trasversalità, persino tenendo conto delle previsioni di voto.
Rapidamente, tuttavia, quando le regole del gioco sembravano definite, son venuti meno i presupposti che le avevano ispirate.
I partiti sino a qualche tempo fa egemoni nei due schieramenti, Forza Italia e l’attuale P.D., hanno rapidamente perduto consensi. Se Forza Italia ne ha già preso atto, e si accontenta, oggi, di tirare la giacca al nuovo vincitore nella speranza di essere riammesso ad un Governo purchessia, il PD, da parte sua, ha stentato a prenderne atto, anche perché, a differenza di quanto avviene in campo avverso, nonostante una significativa perdita di consensi, rimane pure sempre, e di gran lunga, la principale forza dell’area progressista e la sua leadership non è, al momento, insidiata. Semmai, fatica a comprendere che, al momento, non può ambire, con nessun sistema elettorale, a governare in solitario e dovrà farsene una ragione. L’intransigenza verso il dialogo non paga.
In secondo luogo, proprio quando sembrava che la Repubblica potesse finalmente trovare pace in un sistema bipolare di alternanza tra i due schieramenti che, da oltre vent’anni, si sono effettivamente avvicendati al potere, ha fatto irruzione sulla scena un terzo incomodo, il Movimento 5stelle, portando in dote una carica di innovazione e di alternativa al sistema, grazie soprattutto ad originali regole di autogoverno, che nel giro di poco tempo hanno trasformato la rappresentanza politica da bipolare a tripolare. Il sistema elettorale, pensato per altri scenari, è risultato inidoneo e, soprattutto nelle elezioni che prevedono il ballottaggio, persino premiante per l’intruso.
A livello nazionale, nonostante il ritocco dell’ultim’ora, volto ad impedire che il Movimento 5 stelle potesse beneficiare di un premio di maggioranza, la nuova legge elettorale ha prima fatto temere l’assoluta ingovernabilità e poi portato ad una alleanza innaturale, garantita da reciproche ipoteche e, soprattutto, resa possibile da numerose riserve mentali. Per intenderci sia da quelle che la teologia cattolica definisce “proprie”, cioè sostanzialmente bugie, ma soprattutto da quelle definite “improprie”, che non sono peccato perché il senso delle parole, anche se ovvio, “tuttavia è afferrabile se si considerino tutte le circostanze”. Non credo occorrano esempi.
Ebbene, in terzo luogo, questa è la mia ipotesi, proprio la squinternata esperienza di governo dimostra che non siamo affatto entrati in un sistema tripolare, cioè caratterizzato da tre distinte correnti di pensiero che si confrontano. Senza niente togliere alle novità, anche positive, che hanno accompagnato l’irrompere nelle istituzioni del Movimento 5 stelle, mi pare che i contrasti tra i due alleati di governo, in fin dei conti, dimostrino che il riferimento alle categorie tradizionali della politica, pur con tutti i distinguo, le varianti, le possibili trasversalità, ne venga rafforzato.
L’attuale governo non è un affatto un terzo polo, piuttosto la schizofrenica convivenza tra forze politiche che, volta per volta, esprimono opzioni di destra o di sinistra. Per chi insista nel ripudiare tale classificazione, l’antitesi non meno evidente, potrebbe essere rappresentata da altri binomi: diseguaglianza versus uguaglianza, secondo l’insegnamento di Bobbio; solidarietà versus egoismo; liberismo versus socialdemocrazia, e così via. Insomma: tra destra e sinistra.
Possiamo metterci dentro tutte le varianti che si voglia, perché queste due grandi visioni culturali, sia da un lato che dall’altro, non sono affatto omogenee al loro interno, ciascuna sopporta quasi infinite sfumature di colore, gradi di radicalismo. Possiamo considerare altre variabili, come in Sardegna il tema dell’autonomismo, o dell’indipendentismo, che, tuttavia, non alterano lo schema di fondo. Questi movimenti possono tirarsi fuori dal gioco, “correndo da soli” rispetto ai due schieramenti, oppure venire a patti, come fa il PsdAz, ora con l’uno ora con l’altro, risultando determinati una volta per chiudere l’esperienza di Soru, un’altra per garantire al sindaco di Cagliari la riconferma già dal primo turno, un’altra ancora, la più recente, per riportare le destre al governo della regione.
Ma rappresentano, tuttavia, militanti, elettori ed elettrici, che continuano ad appartenere, pur con tutte le sfumature, ad una certa visione di società. Non è un caso che tutte le volte che il Partito Sardo d’Azione sceglie l’opzione dell’alleanza con la destra, una parte dell’organizzazione entra in fibrillazione e talvolta paga qualche prezzo.
Possiamo augurarci che una presidenza sardista garantisca obiettivi di rilancio dell’autonomia, di un obbiettivo comune ad una più ampia platea di sardi. Tuttavia, è evidente che il governo regionale (posto che la domanda politica non è limitata all’opzione autonomista) risponderà ad una cultura e ad interessi che, per semplificare, continuiamo a definire di destra.
In questo contesto, che non è affatto manicheo, rappresenta solo uno scenario generale, è evidente che ciascuno dei due schieramenti sopporta, al proprio interno differenze di non poco conto. Al suo interno si confrontano visioni più o meno radicali. Un unico partito, proprio per tali differenze, non è in grado di canalizzare tutte le aspettative. Ed anche all’interno del principale partito della sinistra, o del centro-sinistra, del resto, le differenze sono così marcate da far temere il rischio di nuove scissioni.
Tuttavia, se alcuni recenti segnali non sono frutto di riserva mentale, si possono leggere indizi di come le tante sfumature politiche potrebbero trovare una sintesi, magari anche a partire dall’ormai imminente rinnovo del Consiglio comunale di Cagliari.
Ad esempio: Luigi Di Maio che dichiara che l’isolazionismo del Movimento 5 stelle può essere rimesso in discussione. E’ una novità di non poco conto. Ad esempio: Massimo Zedda, futuro capo dell’opposizione in Consiglio regionale, che apre al dialogo con lo stesso Movimento 5 stelle. Apertura opportuna ed apprezzabile. Ad esempio: la straordinaria partecipazione alle primarie del Partito democratico, con un esito inconfutabile, che lascia ben sperare per un superamento delle tensioni interne e dei recenti arroccamenti. Ad esempio: il risultato, purtroppo negativo, delle aggregazioni nazionalitarie che si sono presentate alle ultime elezioni regionali conferma, ancora una volta, che le attuali regole elettorali, ma anche i fenomeni di polarizzazione, non consentono la rappresentanza democratica nelle istituzioni di organizzazioni che non siano non fortemente strutturate. L’analoga esperienza consumatasi nelle ultime elezioni comunali lo conferma.
Al di là dei distinguo tra diversi soggetti politici, ciò che è in gioco oggi è il mantenimento di un governo della città ispirato ai valori dell’uguaglianza, della solidarietà, della giustizia sociale, attento ai bisogni sociali, rispettoso della persona e dell’ambiente, e contrario a quelli di un liberismo sfrenato, della speculazione, della devastazione del territorio.
Credo che il momento fondamentale debba essere quello della scelta della persona capace di rappresentare quei valori ed allo stesso tempo capace di aggregare consenso. E credo che, allo stesso tempo, tale esigenza non debba paralizzare l’azione di chi intende legittimamente rimarcare le proprie peculiarità e le proprie differenze. Ciò, tuttavia, andrà fatto non con la presentazione di una pluralità di improbabili candidati sindaci, bensì proprio rinunciando a tale velleità, affidandosi a liste che, proprio grazie a tale rinuncia, potrebbero persino veder crescere la possibilità di portare loro rappresentanti in consiglio comunale.
Occorre quindi distinguere, concettualmente, il momento della scelta di un candidato sindaco che aspiri a rappresentare un’istanza generale da quello della legittima aspettativa delle aggregazioni che puntano a portare nel governo della città proprie istanze e rappresentanze. Presentare proprie liste, da parte di chiunque intenda presentare una proposta politica e programmatica per la città, non implica automaticamente anche la presentazione di un candidato sindaco.
La procedura di scelta del candidato sindaco, nell’attuale contesto, dovrebbe avere una sua autonomia, che è quella di verificare, nel confronto con il corpo elettorale, il gradimento del candidato in una fase che precede il momento elettorale, ma che già fa parte del processo elettorale.
Non alchimia, quindi, ma accettazione di un modello che stenta ad affermarsi, per motivi legati non tanto ai meccanismi elettorali, quanto alla permanenza della cultura della politica propria della passata esperienza politica.
Ciò che si chiede, in definitiva, è l’apertura di un processo politico di scelta del candidato sindaco, concordato tra tutti gli schieramenti che appartengono ad una sinistra genericamente intesa, dai più radicali ai più moderati, agli indipendentisti, che coinvolga ed appassioni gli elettori, concedendo a tutti, con limitati e ragionevoli filtri di sbarramento, di presentare un’idea ed un programma. Una consultazione aperta, quindi, espressione di una logica fondata sul superamento dei particolarismi e fondata sulla presenza di valori comuni e fondanti che, di volta in volta, potrebbero portare alla scelta di un candidato o di una candidata espressione di una delle tante differenze che compongono l’unità di quanti ci sentiamo partecipi dell’ansia di far prevalere valori comuni.
Di quest’area, a mio avviso, potrebbe far parte anche il Movimento 5 stelle, senza neppure tradire i suoi programmi, visto che la partecipazione a tale, ampio, processo di consultazione non farebbe venir meno il principio da essi sempre affermato (e peraltro in via di superamento) di non stringere alleanze. Il movimento potrebbe continuare a presentare proprie liste ed un proprio programma, dopo aver partecipato, anche con propri candidati, alla consultazione pubblica per la designazione del candidato sindaco. Del resto, forse che a livello di governo i 5 stelle non stringono già alleanze con una forza politica, peraltro portatrice di valori (per noi di disvalori) in gran parte incompatibili con quelli proclamati dal Movimento stesso? E non è forse vero che la Lega è solidamente alleata, in tutti i momenti elettorali e di governo (come in Sardegna) con il variopinto mondo delle destre, sociali o liberiste che siano? E se applicassimo la proprietà transitiva?
Insomma, si tratta di ritrovare un’unità di intenti che non soffochi la libertà di nessuno: tutti insieme, e ciascuno per suo conto, rappresentati da un unico candidato o candidata, per partecipare ad un esercizio di democrazia (quasi) diretta che potrebbe esaltare la sovranità popolare e facilitare l’affermazione di un variegato patrimonio di organizzazioni (strutturate o meno), accomunate da valori condivisi, quali l’uguaglianza, la soddisfazione dei bisogni sociali, il lavoro, la difesa dell’ambiente, la solidarietà, l‘autonomia.
Pur sapendo che, invece, sono già incominciate le manovre per il procedimento inverso: quello di concordare, in altri luoghi, non sempre chiaramente individuabili, l’indicazione di un nome da imporre ai futuri elettori, o per inventarsi improbabili candidati di sparute pattuglie destinate a durare neppure lo spazio di un mattino.
Eppure sarebbe bello che, senza alcuna riserva mentale, in un contesto persino favorevole, si vada tutti assieme ad una consultazione preliminare che, del resto, tutte le volte che è stata realizzata con trasparenza e senza riserve mentali, ha talora sovvertito pronostici dati per scontati e, in definitiva, portato buoni frutti.
Gianni Loy
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* Pubblicato anche su SardegnaSoprattutto.
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Oltre il capitalismo

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Giulio Sapelli. Un neo-socialismo comunitario per contrastare la globalizzazione neoliberista

di Gianfranco Sabattini, su il manifesto sardo.

Giulio Sapelli, già docente di Storia economica presso l’Università di Milano, in “Oltre il capitalismo. Macchine, lavoro, proprietà”, adottando un approccio interdisciplinare, svolge una riflessione critica sulla globalizzazione e sul capitalismo finanziario; si tratta di una critica che, per ammissione dello stesso autore, è formulata affrancata dal “pensiero unico” che, a partire dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, è valso ad allontanare il mondo dalla “conoscenza della società e delle sue relazioni economiche”.

Ciò che spinge Sapelli ad estraniarsi dal pensiero unico riguardo alla valutazione della globalizzazione e del capitalismo finanziario, è il fatto che esso si sarebbe formato in “una prospettiva analitica metodologica individualistico-comportamentista”, che lo avrebbe condotto ad una “ipostatizzazione antropologica materialistico-acquisitiva dei componenti i sistemi sociali”, unicamente orientati ad agire secondo una “razionalità illimitata […] massimizzante le utilità pecuniarie”.

L’ipotesi che supporta tutto il pensiero critico di Sapelli è invece che “l’economia sia una parte e non il tutto della società e che dalla società e quindi dalle relazioni interpersonali e dai comportamenti personali essa sia determinata”; tutto il contrario delle ipotesi standard, sia di quelle propriamente marxiane, che di quelle della teoria economica neoclassica, “ideologicamente neoliberiste”. Questa posizione metodologica personale spinge Sapelli a dichiarare che, con il nuovo libro, intende porre le basi per una ricerca scientifica sui fenomeni della globalizzazione e del capitalismo finanziario che vada oltre le “riduzioni” della loro complessità analitica, assumendo che la loro conoscenza non sia mai un “processo lineare”, ma un percorso “frastagliato e tortuoso” che concorre a formare “delle culture in senso pienamente antropologico”.

Aver ignorato la storia nella spiegazione di fenomeni sociali, quali sono quelli della globalizzazione delle economie nazionali e la finanziarizzzione dei mercati, ha causato una “deprivazione” della comprensione della loro natura, in quanto si è cercato di presentarli, fuori da ogni prospettiva storica, come fenomeni assoluti e non già transeunti. Se la storia fosse stata tenuta presente – afferma Sapelli – sarebbe stato possibile capire che la globalizzazione e la sua finanziarizzazione non erano altro che il “ciclico riproporsi di eventi” già conosciuti.

Il fatto che, a partire dagli anni Novanta, la globalizzazione (finanziaria e non) si sia riproposta dopo la fine della Guerra Fredda e il crollo del Muro di Berlino non è che la dimostrazione che essa è “più un fenomeno dalle radici storico-culturali che economiche”; in quanto tale, perciò, la globalizzazione (finanziaria e non) non può essere ridotta soltanto ai grafici che ne misurano gli effetti, senza la considerazione delle cause storiche che concorrono a determinarli.

E’ la rappresentazione riduttiva della complessità del fenomeno della globalizzazione che motiva Sapelli, nel formulare il suo pensiero critico del capitalismo neoliberista, a dichiarare di preferire di rimanere fedele “all’impostazione classica”, in luogo di quella neoclassica nella sua coniugazione neoliberista. Ciò perché, la prima è quella che, a suo parere, consente di considerare l’economia per “ciò che essa realmente è” e non, come gli establishment dominanti vorrebbero, come un insieme di “teorie separate dalla morale, perché separate dall’umano, in cui la persona è assente”.

Per Sapelli, l’economia è, al contrario, la “concretizzazione di una filosofia morale che si fonda su un’immagine antropologica dell’uomo”. Da ciò discende che essa (l’economia), in teoria e nella prassi, deve essere “un’economia non per il profitto, ma per la persona”, mentre il mercato “non può che essere “un evento probabilistico […], dominato spesso dall’imperfezione dilagante e soprattutto soggetto della ciclicità della crescita come della depressione e della crisi”.

Fedele all’impostazione economica classica, Sapelli afferma che la globalizzazione delle economie nazionali, ripropostasi dopo la fine della Guerra Fredda, era da ricondursi al fatto che i gruppi dominanti nella gestione dell’economia globale si sono convinti che “la lotta all’inflazione e in primis al debito pubblico” era diventata il fattore fondamentali della crescita mondiale. Oggi, però, proprio per effetto della Grande Recessione iniziata nel 2007/2008, la globalizzazione (finanziaria e non) si è trasformata, poché nel corso del lungo ciclo economico-politico durante il quale essa si è espansa, la crescita è diminuita, mentre il reddito si è “spostato dal lavoro al capitale”, con conseguente crollo della domanda aggregata.

Ciò ha fatto sì che le risorse finanziarie abbandonassero le forme tradizionali del loro impiego nell’economia reale, “generando stagnazione occupazionale, che la produzione dei neo-servizi dell’economia finanziaria non è riuscita a compensare”. La fine del lungo ciclo economico-politico della globalizzazione ha determinato che il mercato internazionale, tradizionale luogo regolatore degli scambi e dei meccanismi della crescita, divenisse prevalente sul “consenso elettorale”, e perciò sull’attività politica, annunciando – afferma Sapelli – “l’inizio del totalitarismo liberistico”, che ha dato origine alla decadenza in cui il mondo capitalistico è precipitato, governato da forze politiche totalmente prone ai diktat dei gruppi economici dominanti.

Sapelli, col suo libro, propone una “fuoriuscita dalla crisi del mondo attuale”, attraverso la “riattualizzazione di un socialismo neo-comunitario non statualistico”, diverso da quello perseguibile con la “riproposizione di un’economia pianificata, regolata grazie alle eccezionali potenzialità tecnologiche” di cui oggi si dispone. Sapelli ritiene impossibile una riforma del capitalismo neoliberista fondata su queste potenzialità, sostenendo che la disoccupazione di massa strutturale e l’aumento della povertà siano fenomeni che possano essere meglio contrastati ancora con “la lotta politica e la realizzazione di segmenti economici alternativi alla logica dominate”.

Se tali “segmenti” si volessero praticare nella prospettiva di un’economia pianificata, allora, secondo Sapelli, ciò può avvenire solo “nel contesto di un socialismo comunitario fondato su forme di allocazione dei diritti di proprietà non capitalistiche democraticamente e non tecnocraticamente gestite”. In altre parole, deve trattarsi essenzialmente di un “neo-socialismo con un mercato sempre più ben temperato dalla crescita”, supportato dalla “creazione di nuove forme di allocazione dei diritti di proprietà” e da un nuovo ruolo dello Stato imprenditore, dal rilancio dei corpi intermedi e delle organizzazioni dei lavoratori. Si tratta di una forma di socialismo che Sapelli dichiara di mutuare dal pensiero di Adriano Olivetti, le cui linee fondamentali sono quelle contenute in due sue opere: “L’ordine politico delle Comunità” (1945) e “Stato federale delle comunità” (1942-1945).

Il riferimento al socialismo dell’imprenditore di Ivrea vuole essere per Sapelli “una testimonianza di fedeltà intellettuale”, che ha profondamente influenzato – egli dice – tutta la sua vita. L’attuazione del socialismo olivettiano, per quanto possa implicare un percorso lungo e impervio, conclude lo stesso Sapelli, merita di essere sperimentata, “a dispetto di ogni offensiva reazionaria, quale quella che ogni giorno si dispiega contro coloro che non si piegano alla regressione imposta dal pensiero unico dominante”.

Ma quali sono i tratti essenziali del neo-socialismo che Adriano Olivetti ha elaborato nei primi anni Quaranta del secolo scorso? E’ lo stesso Sapelli a descriverli nell’ultima parte del suo libro, intitolata “Olivetti ritrovato, ossia grammatica della speranza”. I tratti essenziali del socialismo olivettiano prefiguravano una “terza via”, compresa tra il socialismo realizzato di stampo sovietico e il liberalismo identificato nel funzionamento del mercato senza controlli.

Alla base della terza via sta la concezione di una società socialista (fondata sulla democrazia politica e la libertà individuale), orientata a consentire all’uomo di vivere in una “Comunità concreta”, costituente un corpo intermedio definito dai rapporti economici e da quelli culturali e sociali che si dispiegano tra i componenti la “Comunità”. La dimensione di questa deve essere a misura dell’uomo e riferita alle possibilità organizzative degli enti locali (comune o gruppo di comuni) che la comprendono, in quanto strumenti di autoregolazione dal basso degli organismi economici che agiscono cooperando all’interno della Comunità. Inoltre, quest’ultima deve essere la “cellula” dell’organizzazione su basi federalistiche dello Stato, formato da tutte le Comunità in quanto circoscrizioni politico-economiche. All’interno dello Stato federale, la società socialista è edificata attraverso la socializzazione dal basso della base economica di ogni Comunità, resa possibile dal trasferimento della maggioranza della proprietà all’ente politico (comune o gruppo di comuni) che governa la Comunità. In sostanza, la società socialista olivettiana si riduce ad essere la municipalizzazione della maggior parte delle strutture economie di tutte le Comunità.

Giudicando la configurazione succintamente descritta della società socialista, secondo la visione di Adriano Olivetti, non sfugge il fatto che il suo impianto ricalca, quasi per intero, la configurazione della società socialista (libera e democratica) ipotizzata da Giuseppe Mazzini. Le sole differenze sono riconducibili al fatto che, contrariamente al socialismo olivettiano, quello mazziniano non trasfigura la natura cooperativa dei rapporti economici nella municipalizzazione dei mezzi di produzione, né prevede un’organizzazione dello Stato su basi federalistiche.

L’”avversione” di Mazzini per lo Stato federale (certo, non per il decentramento amministrativo a livello regionale o locale dello Stato unitario) era dettata dal convincimento (non infondato) che la soluzione del problema dell’Unità nazionale su basi federalistiche potesse porre seri ostacoli alla liberazione dal dominio dello straniero di quella “espressione geografica”, l’Italia, intesa da Mazzini come Patria di tutti i suoi cittadini; a ciò andava aggiunto il pericolo che potesse essere compromessa anche la possibilità di realizzare, su basi solidaristiche e non conflittuali, un’equità distributiva nella ripartizione tra le comunità degli ex Stati preunitari delle opportunità economiche ed extraeconomiche nascenti dalla raggiunta costituzione del nuovo Stato italiano indipendente.

Tuttavia, la realizzazione di una società socialista, sia essa quella di Olivetti o quella di Mazzini, richiede, come osserva in generale Sapelli, che risulti conforme ai problemi posti della globalizzazione; entrambi, Olivetti e Mazzini, nel formulare la loro proposta di società socialista, avevano come punto di riferimento “un mondo in cui il mercato non era ancora globale” e l’attività economica, ora per lo più finanziarizzata, non era ancora caratterizzata da una capacità espansiva del prodotto sociale sorretta dal continuo miglioramento dei processi produttivi; causa, questi ultimi, del fenomeno (inimmaginabile per Olivetti, e ancor più per Mazzini) della disoccupazione strutturale irreversibile della forza lavoro e dalla diffusione della povertà.

Tenuto conto di ciò, quando si ipotizza di porre rimedio ai problemi del mondo contemporaneo, adottando una determinata forma di organizzazione politico-economica della società, occorre verificare se la forma organizzativa della società che si propone di sostituire a quella esistente risulta conforme alla soluzione dei problemi contemporanei. Una riforma politico-economica dell’organizzazione sociale esistente, per essere desiderabile e realizzabile, deve poter consentire di risolvere, non solo i problemi periferici, ma anche quelli a livello unitario che, per loro natura, com’è noto, possono essere risolti solo in modo alternativo al mercato.

L’ordinamento politico, cioè l’organizzazione dello Stato, costituisce un contesto alternativo a qualsiasi ordinamento economico autodiretto per la soluzione di tutti i problemi che quest’ultimo non può risolvere, quali la produzione e la distribuzione dei beni e dei servizi pubblici, la ridistribuzione del prodotto sociale complessivo e la stabilizzazione dell’attività produttiva. Queste tre grandi classi di problemi richiedono infatti, pur in presenza della municipalizzazione dei mezzi di produzione o della conduzione su basi cooperativistiche dell’attività economica, un ruolo attivo ed insostituibile dell’organizzazione complessiva dell’ordinamento politico; richiedono, cioè, un ruolo attivo e complementare dello Stato rispetto all’autogoverno dell’attività economica da parte dei cittadini.

La municipalizzazione dei mezzi di produzione e la conduzione su basi cooperativistiche dell’attività economica, così come ipotizzate, rispettivamente, da Olivetti e da Mazzini, presentano anche un limite restrittivo riconducibile all’assunzione dell’ipotesi che sia possibile il pieno impiego della forza lavoro, o quanto meno che il fenomeno della disoccupazione sia solo temporaneo e congiunturale. La realtà attuale concernente il funzionamento dell’ordinamento economico complessivo è ben diversa, nel senso che la disoccupazione si manifesta non più in termini congiunturali, ma in termini strutturali e irreversibili.

Ciò comporta che, a livello dell’ordinamento politico, il problema distributivo debba essere risolto in modo da tener conto anche dei fenomeni della disoccupazione e della povertà, nonché della necessità di garantire all’ordinamento economico una stabilità di funzionamento, idonea a garantire un reddito anche a chi non riesca a conservare la qualità di membro attivo del mondo municipalizzato dello Stato federale (Olivetti), o la qualità di membro attivo del mondo cooperativistico dello Stato unitario (Mazzini).

Riguardo alla soluzione del problema della disoccupazione strutturale all’interno di un’organizzazione sociale fondata su “segmenti economici alternativi alla logica dominante” dei quali parla Sapelli, il contributo delineato da James Edward Meade in “Agathotopia”, appare essere quello più efficace ed efficiente. Egli individua e descrive una forma di organizzazione sociale che, secondo le espressioni linguistiche da lui utilizzate, consente di realizzare, in sostituzione di un “luogo perfetto in cui vivere” (Utopia), un “buon posto in cui vivere” (Agathotopia); così, Meade delinea le modalità organizzative dell’ordinamento politico e di quello economico, fondate sull’erogazione (decisa su basi democratiche) ad ogni cittadino, indipendentemente dal proprio status occupazionale, di un reddito di cittadinanza incondizionato, sufficiente a garantirgli la possibilità di realizzare nella libertà il proprio progetto di vita.

Un siffatto ordinamento, inglobando le originarie intuizioni di Mazzini e di Olivetti, delinea un’organizzazione socialista della società, idonea a consentire la rimozione dei disagi del mondo globalizzato attuale. D’altra parte, la municipalizzazione dei mezzi di produzione, ipotizzata da Olivetti, e la conduzione su basi cooperativistiche dell’attività economica, ipotizzata da Mazzini, implicando per tutti i cittadini una partnership paritaria, sia alla proprietà, che alla gestione dei mezzi di produzione, legittima lo Stato, democraticamente espresso, ad effettuare una ridistribuzione del prodotto sociale complessivo, attraverso l’erogazione a tutti i cittadini di un reddito di cittadinanza incondizionato che, in quanto finanziato dalla partnership paritaria alla proprietà e alla gestione dei mezzi di produzione, ha la natura di un “dividendo sociale”, il cui scopo è appunto quello di porre rimedio a tutte le disfunzioni del mercato globale delle quali parla Sapelli.

Elezioni comunali a Cagliari. Paolo Matta si ripropone come Sindaco?

Cagliari oggi 8 mar 16la-quintaa-loghettolaquintaa-foto
[la quintaA paolo matta sindaco, pagina fb] Dove eravamo rimasti? A questa bella foto, scattata alla vigilia delle ultime elezioni comunali. Un piccolo gruppo di “incoscienti” riuscito però a ottenere un insperato risultato, sfiorando per una manciata di voti il “colpo” di piazzare un consigliere comunale.
Le dimissioni del sindaco Zedda aprono nuovi, interessanti, persino intriganti scenari.
Butto il classico sasso nello stagno?
Cosa ne pensate? Qual è oggi la vostra visione del Comune di Cagliari? Pensate che il lavoro svolto possa/debba avere una continuazione?
Per il momento, un caro saluto in amicizia
paolo
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lampada aladin micromicroUn commento del direttore.
Caro Paolo e amici della Quinta A. L’esperienza della Lista, al netto degli errori compiuti (peraltro previsti), non va affatto buttata a mare. A mio parere può essere ripercorsa e riproposta a certe condizioni: 1) non presentarsi in solitario, ma in una coalizione che ne accetti il programma (senza necessariamente condividerlo in toto); 2) il candidato Sindaco deve partecipare alle “primarie della coalizione”, di una coalizione possibilmente aperta a tutto lo schieramento progressista (auspicabilmente senza eccezioni), se vince è il candidato Sindaco di tutta la coalizione, se perde è il candidato capolista della Lista.
A questo punto occorre approfondire, verificando le disponibilità di tutti. I tempi sono stretti. Mi sembra che comunque il dibattito sia aperto. Saluti a tutti e a presto su questa e altre pagine fb, sui blog amici (il mio è Aladinews https://www.aladinpensiero.it) e, ovviamente, di persona. Al riguardo segnalo un’interessante iniziativa “I cattolici e l’impegno in Politica”, che si terrà lunedì primo aprile alle ore 17 presso lo Studium Francescano, a Cagliari in via Principe Amedeo 20.
—————Dibattito—————————————————
Cagliari oggi 8 mar 16Basta ”Ora tocca a noi”: ora tocca a tutti. Cagliari ha bisogno di un civismo vero: chi riuscirà a interpretarlo?
di Vito Biolchini
17/03/2019 alle 16:45 su vitobiolchini.it
[segue]

Che succede?

c3dem_banner_04IL VIRUS DELL’UOMO BIANCO
16 Marzo 2019 by Forcesi | su C3dem.
Stefano Stefanini, “Il virus dell’uomo bianco” (La Stampa). Gianluca Di Feo, “L’avanguardia armata sovranista” (Repubblica). Antonio Polito, “Quei limiti invalicabili” (Corriere). Franco Cardini, “Quella follia che nasce dall’ignoranza” (Mattino). Luigi Manconi, “I frutti avvelenati della propaganda sull’invasione” (Manifesto). L’esperto Usa Lorenzo Vidino, “Il mondo deve rendersi conto che il suprematismo dilaga” (intervista all’Avvenire). Olivier Roy, “Una guerra neonazista più razziale che religiosa” (intervista al Corriere).

Oggi domenica 17 marzo 2019

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————–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti—————

img_9429La “trappola” del funzionamento delle istituzioni europee
17 Marzo 2019
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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E’ online il manifesto sardo duecentottanta

pintor il manifesto sardoIl numero 280
Il sommario
Giulio Sapelli. Un neo-socialismo comunitario per contrastare la globalizzazione neoliberista (Gianfranco Sabattini), Ancora pessima edilizia nel centro storico di Cagliari (Stefano Deliperi), Forse non hanno capito (Guido Viale), Un dialogo con l’attivista messicana Ana Valadez Ortega (Alessia Etzi), Crisi economica, salario minimo, dimissioni volontarie per maternità e bonus maternità (Maria Tiziana Putzolu), Quando muore una lingua si spegne una stella nel firmamento (Francesco Casula), Legge Merlin, prostituzione e dignità umana (Gianfranca Fois), La scuola al tempo dell’Autonomia Regionale Differenziata (Amedeo Spagnuolo), Turchia e dintorni. Nuovo giro, nuova corsa (Emanuela Locci), Femminismo e lotta di classe. Un’inchiesta sul lavoro femminile in Sardegna (Isabella Russu, Marta Meletti), “Il costo della verità” di Ottavio Olita (Don Luigi Ciotti), Tialla arrubia. Tradizione e qualunquismo gastronomico (Piero Careddu), Paolo Fadda e l’overdose di improperi contro l’ambientalismo (Sandro Roggio).
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Che succede?

c3dem_banner_04drago-cinaITALIA-CINA, IL PATTO È LIMPIDO?

15 Marzo 2019 by Forcesi | su C3dem.
Carmelo Lopapa, “No alla Cina, ultimatum di Salvini” (Repubblica). Gerardo Pelosi, “Italia-Cina, cabina di regia per difendere interessi nazionali e alleanze” (Sole 24 ore). Lucio Caracciolo, “L’Italia sul ring tra Usa e Cina” (Repubblica). Marco Bresolin, “Bruxelles lancia un richiamo ai paesi Ue: Sì agli affari con la Cina, ma è un rivale” (La Stampa). Marzio Breda, “Nessun allarme su Pechino, le rassicurazioni di Mattarella” (Corriere). L’esperto IAI Nicola Casarini, “Non diamo per scontata un’intesa vera” (intervista all’Avvenire). Romano Prodi non ha letto le carte e non si espone: “Quel conflitto Pechino-Usa che l’Europa unita deve evitare” (Messaggero) e “Una bandiera europea per salvare l’Italia” (intervista al Sole). L’opinione di Giulio Tremonti, “Pechino da noi cerca la porta per arrivare al cuore d’Europa” (intervista al Corriere). L’intervista al Corriere del premier Giuseppe Conte: “Noi e la Cina patto limpido”. L’editoriale di Franco Venturini: “Che cosa serve davvero nel rapporto con Pechino” (Corriere).