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Oggi mercoledì 16 gennaio 2019

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——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Cesare Battisti e la lotta dei lavoratori al terrorismo
16 Gennaio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Dopo l’arresto di Cesare Battisti, si parla molto di terrorismo degli anni ‘70 e spesso si accomuna la sinistra di allora, in particolare quella comunista, a questo fenomeno con molti lati oscuri e dall’evidente carattere delinquenziale. Per di più quel terrorismo era fuori da ogni tradizione storica […]
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Di seguito come fare.

Ci salverà solo l’investimento in cultura e conoscenza. Bisogna crederci e operare di conseguenza

valutazione microIl possibile futuro dell’Italia nelle considerazioni del governatore della Banca d’Italia

di Gianfranco Sabattini

Ignazio Visco, governatore delle Banca d’Italia, ha scritto il libro “Anni difficili. Dalla crisi finanziaria alle nuove sfide per l’economia”, il cui interesse non sta tanto nella narrazione delle vicende cha hanno caratterizzato l’economia mondiale, quella europea e, in particolare, quella italiana a partire dalla Grande Recessione scoppiata nel 2007/2008, quanto nel tipo di politica economica proposta per disincagliare l’economia italiana dalle secche della stagnazione, che da anni l’affligge. Il pensiero di un ”opinion maker” del calibro di chi, ricoprendo una funzione importante (anche se assai più limitata rispetto al passato) nel governo dell’economia, può influenzare, oltre che l’opinione pubblica, anche la società politica, merita d’essere considerato attentamente.
Dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso – afferma ul governatore – “il mondo vive una stagione di grandi cambiamenti, di opportunità, speranze e successi provenienti dall’apertura dei mercati e dalla rapida e straordinaria affermazione di nuove tecnologie”. A questi nuovi cambiamenti, l’Italia non è stata in grado di adeguarsi, se non in modo lento e parziale; ciò ha determinato la sua incapacità di affrontare in maniera adeguata gli esiti delle conseguenze negative della crisi finanziaria globale del 2007/2008.
La base produttiva, secondo Visco, si è trovata fortemente in ritardo a fronte della crisi, oltre che nella dotazione di capitale fisso sociale, nell’utilizzo delle nuove tecnologie produttive e, conseguentemente, nel rispondere alle sfide della concorrenza del mercato internazionale. Tra i motivi della debolezza della base produttiva del Paese, un ruolo particolare hanno svolto le rigidità del mercato del lavoro e l’possibilità di adottare adeguate misure nel governo dell’occupazione, resa sempre più problematico dai nuovi modi di produzione.
Per affrontare i rischi connessi al miglioramento delle tecniche produttive, dovuto alla rivoluzione digitale, alla robotica e all’intelligenza artificiale, sarebbero servite riforme culturali e istituzionali, la cui mancata attuazione non ha consentito di cogliere gli effetti complessivi che i cambiamenti intervenuti nelle tecniche produttive hanno esercitato “sulle opportunità e tipologie dei lavoro” e sulla distribuzione del prodotto sociale. Secondo Visco, sarebbe stato necessario attuare le riforme che i grandi cambiamenti iniziati a partire dagli anni Novanta del secolo scorso suggerivano, considerando quanto la transizione dai vecchi modi di produrre ai nuovi “fosse troppo accidentata e non breve”; transizione, questa, che la crisi finanziaria globale e quella dei debiti sovrani dei Paesi dell’area-euro ha reso ancora più difficile da contrastare nei suoi effetti indesiderati.
Tali effetti non possono però essere superati facendo affidamento solo su interventi di politica economica; da interventi di tale natura non ci si può aspettare – afferma Visco – il “ritorno a tassi di crescita stabile e sostenuta della produttività, dell’occupazione e dell’economia generale”; si deve invece inaugurare una stagione di reali riforme di struttura, idonee a consentire il miglioramento della produttività delle attività di produzione, per affrontare l’aumentata competitività internazionale. Condizioni, queste, che richiedono l’adozione di iniziative innovative sul piano culturale, istituzionale e politico, perché diventi possibile “dare a tutti le migliori opportunità di lavoro in un mondo così cambiato e diverso da quello che abbiamo conosciuto negli anni della ricostruzione postbellica, del miracolo economico, delle crisi petrolifere e dei cambi”.
Il mondo globale nel quale è inserita oggi l’Italia pone nuove sfide che l’economia nazionale non è in grado di affrontare. Di ciò, secondo Visco, si deve essere consapevoli, perché la società civile e quella politica possano comprendere la necessità di assumere le opportune decisioni “per costruire con equilibrio e lungimiranza, un sistema migliore”.
In questi ultimi anni, l’economia italiana ha teso stentatamente ad uscire dalle due crisi che l’hanno colpita a breve distanza tra loro, quella del crollo dei mercati finanziari internazionali nel 2007/2008 e quella dei debiti sovrani dell’area euro nel 2011/2012. Sull’intensità degli esiti delle due crisi hanno “certamente contato – afferma Visco – le condizioni di partenza”, dalle quali hanno tratto origine “il crollo dell’occupazione, l’ulteriore arretramento del Mezzogiorno e la crescita della povertà”; queste conseguenze sarebbero state sicuramente più gravi, se fosse mancata una reazione energica della politica monetaria, sorretta soprattutto dalla Banca Centrale Europea. L’azione della politica monetaria non ha però evitato che si verificassero situazioni di insostenibilità per i conti pubblici e i bilanci delle banche.
Tale stato di cose ha spinto verso l’alto il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo del Paese, contribuendo a deteriorare la capacità delle attività produttive a fare fronte ai propri debiti. Alla debolezza di lungo periodo dell’economia italiana ha corrisposto una “deludente dinamica della produttività totale dei fattori”, definibile come la parte residua di produzione che eccede le quantità di lavoro e capitale impiegate per ottenerla. In Italia, questa forma di produttività – sottolinea Visco – ormai da decenni risulta “pressoché costante, in contrasto con l’aumento sostenuto osservato negli altri Paesi europei e con quello registrato in passato nella nostra economia, durante i decenni di ricostruzione e sviluppo successivi alla seconda guerra mondiale”.
L’interruzione dell’aumento della produttività totale dei fattori impiegati nell’economie italiana spiega perché l’uscita dal tunnel delle due crisi è stentata e contenuta. Le crisi hanno “colpito” un contesto economico-sociale già debole di per sé e poco favorevole alla crescita delle imprese; ciò in quanto sono mancate un’efficace azione della classe politica e una crescita culturale del contesto sociale, destinate entrambe (l’azione politica e la crescita culturale) a supportare un cambiamento istituzionale che fosse all’altezza di governare l’impatto sull’organizzazione produttiva del progresso dei processi produttivi.
La mancanza di un’azione efficace da parte della classe politica, e congiuntamente del miglioramento culturale del contesto sociale e del cambiamento istituzionale, non è stata, tra l’altro, accompagnata da una adeguato supporto solidale da parte dei restanti Paesi dell’Unione Europea; al contrario, si sono accentuate le incomprensioni, le diffidenze e le reciproche manifestazioni di sfiducia tra i Paesi dell’Unione Europea. Le due crisi (dei mercati finanziari internazionali e dei debiti sovrani) che hanno colpito l’Italia hanno messo a dura prova l’intera economia dell’area-euro, la quale ha dovuto scontare per alcuni anni gli effetti di una “spirale deflazionistica”, i cui risultati sono stati gravi per l’intera area-euro e, in particolare, per l’Italia, che “ha vissuto – secondo Visco – gli anni peggiori della sua storia in tempo di pace”.
Con il diffondersi delle preoccupazioni per la tenuta delle economie dei Paesi che, come la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e l’Italia, soffrivano di pesanti squilibri nei conti pubblici, nelle bilance commerciali e nei sistemi bancari, si sono avute gravi turbolenze sui mercati finanziari; queste turbolenze hanno dato luogo a condizioni di finanziamento proibitive per gli Stati che, a causa dei deficit dei loro conti pubblici, facevano ricorso al credito internazionale. Ciò ha determinato incrementi eccezionali dei “differenziali di rendimento (gli spread) delle obbligazioni pubbliche rispetto a quelle tedesche”; agli elevati livelli di spread si sono aggiunte le difficoltà delle banche, che sono valse ad amplificare i “timori di reversibilità della moneta unica”.
Il rischio che si avverasse quanto si temeva è stato sventato dalla Banca Centrale Europea, la quale ha avviato interventi di sostegno sui mercati dei titoli in favore dei Paesi in crisi. Nello stesso tempo, per garantire la sostenibilità dei debiti pubblici, tutti i Paesi dell’area-euro hanno adottato politiche di bilancio restrittive; l’assenza di un bilancio comune, però, ha impedito un’azione soprannazionale tale da risultate parzialmente compensatrice degli esiti delle politiche di austerità adottate dai singoli Paesi membri dell’Unione. Tuttavia, sottolinea Visco, se la politica monetaria della Banca Centrale Europea (in aggiunta a quella dei singoli Paesi) “ha contribuito in maniera decisiva a contenere la caduta ciclica dell’attività e ad avviare le ripresa, non può da sola garantire il ritorno a una crescita stabile e sostenuta, essenziale per l’occupazione e per rientrare dalle gravi eredità delle crisi”. I problemi strutturali delle economie nazionali si possono risolvere solo accelerando gli interventi di riforma. In Italia, ciò significa rilanciare la produttività; ma come?
Innanzitutto, va affrontato prioritariamente il problema dell’alto livello del debito pubblico, che tiene basso il potenziale di crescita; un duraturo ritorno alla crescita – sottolinea Visco – presuppone una diminuzione del rapporto tra debito consolidato e prodotto interno lordo, conservatosi ad alti livelli ormai da tanti anni. Non esiste un valore assoluto di tale rapporto, oltre il quale il debito diviene insostenibile; la soglia varia nel tempo e da Paese a Paese, in funzione di diverse variabili di natura economica ed extraeconomica. In ogni caso, occorre tenere presente che un debito particolarmente elevato, qual è ora quello italiano, a parità di altre condizioni, “accresce i costi di finanziamento degli investimenti produttivi del settore privato; induce un più ampio ricorso a forme di tassazione discorsiva, con effetti negativi sulla capacità di produrre reddito, risparmiare e investire; alimenta l’incertezza e anche per questa via scoraggia gli investimenti, riduce i margini disponibili per politiche di stabilizzazione macroeconomica”.
L’ordine nei conti pubblici costituisce, quindi, il presupposto perché il Paese torni a crescere, per mettersi nella condizione di poter affrontare gli esiti dei cambiamenti radicali che sono avvenuti, e stanno ancora avvenendo nel mondo, principalmente a causa del progresso tecnico e della globalizzazione; sia il primo che la seconda hanno portato con sé “formidabili pressioni competitive” che, nel caso dell’Italia, sono state particolarmente intense nelle produzioni tradizionali (quali sono le produzioni dei comparti del tessile e dell’abbigliamento), nelle quali la specializzazione dell’economia nazionale è sempre stata elevata. L’altra ragione per cui l’Italia ha sofferto degli esiti dei mutamenti tecnologici e della globalizzazione, a parere di Visco, è da ricondursi alla qualità del “capitale umano”, la cui formazione si è rivelata inadeguata ad adattarsi ai profondi cambiamenti.
Il ritardo che l’Italia accusa riguardo alla qualità del capitale umano investe due aspetti del suo possibile futuro: il primo è quello relativo alle difficoltà cui può andare incontro la soluzione del problema dell’occupazione; il secondo è quello dell’individuazione delle nuove modalità con cui governare la distribuzione del prodotto sociale. Sul primo aspetto, secondo Visco, la sostituzione del lavoro con le macchine è un fenomeno ancora limitato e, guardando all’esperienza del passato, si può fare affidamento sul fatto che, nel lungo periodo, il progresso tecnologico “ha sempre generato più posti di lavoro di quanti ne abbia distrutti”; ciononostante, occorre interrogarsi, nella proiezione del Paese verso il futuro, se i “costi per l’occupazione non possano essere assai rilevanti”. Sul secondo aspetto (quello delle nuove modalità con cui assicurare la distribuzione del prodotto sociale), va tenuto costantemente presente che il progresso tecnico e la globalizzazione contribuiranno ad approfondire ulteriormente la disuguaglianze distributive, ora già particolarmente elevate.
La risposta ai problemi sollevati dai due aspetti (governo dell’occupazione e distribuzione del prodotto sociale) non può che consistere, secondo Visco, nell’”attrezzarsi per affrontare l’incertezza, gli imprevisti, finanche il caso, puntando soprattutto ad accrescere l’investimento in cultura e conoscenza”. L’investimento in cultura e conoscenza costituisce, per il governatore della Banca d’Italia, “una sfida cruciale per il nostro Paese”: avere “competenze adeguate al XXI secolo sarà un presupposto fondamentale per affrontare l’incertezza su quali saranno i lavori del futuro”. L’investimento in cultura e conoscenza si rivela ancor più necessario per l’Italia, perché – sempre a parere di Visco – produrrà effetti che andranno ben oltre l’economia: esso, infatti, “potrà contribuire a rafforzare il senso civico, il rispetto delle regole, l’affermazione del diritto”. Visco considera essenziali questi fattori, perché serviranno a “rafforzare la capacità dell’economia di innovare e crescere con il progresso della tecnologia”, senza perdere di vista “la necessità di fare in modo che tutti possano parteciparvi e goderne i frutti”.
Si tratta di una lieta conclusione, questa del libro di Visco sull’analisi delle ragioni della stentata capacità dell’economia italiana di uscire dalla crisi; la proposta di puntare sull’investimento in cultura e conoscenza, per meglio affrontare l’incertezza su quali saranno i lavori del futuro, offre una possibile soluzione che, però, è destinata a rimanere solo parziale, se non sarà prefigurata anche la nuova forma che dovrà assumere la distribuzione del prodotto sociale, perché diventi possibile assicurare la necessaria consapevolezza alla forza lavoro, dotata di maggior conoscenza, sul come affrontare l’incertezza dei lavori del futuro.
La mancata individuazione delle nuove regole distributive varrà solo a conservare il Paese nel caos e nel ritardo che politicamente lo caratterizzano, per via del fatto che la classe politica è, in via esclusiva, costantemente “distratta” dall’urgenza di risolvere solo il problema distributivo sulla base delle tradizionali regole welfariste, disgiuntamente dai cambiamenti strutturali che sarebbero necessari per il superamento delle attuali condizioni nelle quali versa il nostro sistema economico-sociale.

Oggi martedì 15 gennaio 2019

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——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Caro Mirasola, Zedda col suo “continuismo” divide la sinistra: parlaci della rottura in Sinistra italiana sarda
15 Gennaio 2019
Su Democraziaoggi.
Roberto Mirasola a domanda risponde.
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Terrorismi ed ex terroristi

[Lettori] Arresto di Cesare Battisti. É decisamente una notizia positiva. Nessuna vicinanza ideologica. Normale che i ministri in carica tentino di intestarsi i meriti dell’operazione di polizia. Mi sorprende, ma neppure tanto, la dichiarazione del ministro Salvini. “Dovrà marcire in galera”. Un uomo, per quanto colpevole di efferati delitti, deve scontare la pena in carcere ma fatti salvi i diritti che attengono il rispetto della dignità umana. Lo dicono le leggi e i principi costituzionali, quella Costituzione che il Ministro dell’Interno non conosce a fondo e tenta di snaturare in ogni occasione. Anche il fatto che due ministri del Governo italiano si rechiamo all’aeroporto per ricevere un criminale non è mica normale. Speriamo non si facciano il selfie con l’ex latitante. (v.t.)
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[Gian Giacomo Pisotti] Ma che paese è questo, in cui il ministro dell’interno si veste da poliziotto e va a farsi fotografare a Ciampino per l’arrivo di un ergastolano, a fini elettorali? Un avvilimento del ruolo di questa portata non si era mai visto in un paese civile. Purtroppo quella brava persona del ministro della giustizia si è fatta coinvolgere come uno scolaretto. Chissà se si rende conto dell’oggettivo omaggio reso alla figura di un criminale.
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[Raffaele Deidda] Cattura di Cesare Battisti, El Pais:
“El 18 de diciembre, Cesar Battisti presentó a la Comisión Nacional de Refugio de Bolivia una solicitud de asilo. “Solicito a ustedes tengan a bien procedimentar mi requerimiento humanitario y se me conceda la calidad de refugiado, garantizando así seguridad, mi libertad y mi vida”, dice el italiano en la carta que presentó con ese propósito.
Esto significa que el Gobierno boliviano sabía de la presencia de Battisti en su territorio y que este no estaba huyendo, sino que esperaba la decisión de las autoridades sobre su caso. La versión de las autoridades italianas que informaron de su detención es que fue localizado gracias a una investigación de Interpol”.
Se è così, tutto il trionfalismo manifestato dal ministro Salvini per la mirabolante cattura dello “assassino comunista” con lo strabiliante lavoro svolto dalle forze di polizia italiane che rispondono al ministro dell’Interno, non è forse eccessivo?
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[Pier Nicola Simeone] Cesare Battisti
e la vendetta di uno “Stato” troppe volte assente o interessato solo alla Parata,
e la stupidità degli incantati dal pifferaio di turno
.
Da nonviolento temo più chi sferruzza davanti al patibolo, che lo stesso boia e, addirittura, degli stessi giudici che magari in modo “easy” hanno comminato giudizi.
Aborro gli omicidi, sempre. Sono stato, e sono, avversario politico di chi era “indulgente” verso la lotta armata; ma mi sconcertano le grida forcaiole di chi, pieno di false certezze vuole il nemico quotidiano in pasto al “popolo” che fa giustizia magari appendendo il nemico prigioniero all’albero più vicino.
Voi come vedete questa vicenda?
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[Tonino Dessì]Due ministri che fanno all’aeroporto da comitato di accoglienza di un latitante arrestato: non ha senso. Nemmeno se mostrano la faccia truce e nello stesso tempo compiaciuta. Credo non si sia mai visto nella storia di nessun Paese.
- Comunque Battisti negli anni di piombo e nella sua attività di terrorista politico combatteva contro di noi che promuovevamo la contestazione e i movimenti di sinistra e agiva materialmente contro gente inerme, non contro lo Stato. Per conto di chi non lo so.
- E allora i latitanti fascisti? Pure loro. (segue)

Appello all’unità – Fortza paris: forza insieme, forza uguali! – Ultima chiamata

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Appello all’unità – Fortza paris: forza insieme, forza uguali! – Ultima chiamata

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Goya il sonno della ragione
Regionali. Vani gli appelli del CoStat: M5S, Centrosinistra e Indipendentisti al lavoro per far vincere Salvini
14 Gennaio 2019

di Andrea Pubusa*

Mi rivolgo ai lettori per porre un quesito. A me pare che tutte le liste e i raggruppamenti antagonisti al centrodestra, che si accingono a presentarsi alle elezioni in Sardegna, non abbiano compiuto il loro dovere verso gli elettori. E mi spiego. C’è un grande pericolo, costituito dalla possibilità concreta che Salvini, tramite il prestanome Solinas, possa prendersi la Sardegna. Ritengo questa un’evenienza catastrofica nella terra di Gramsci e di Lussu. La ritengo un fatto da scongiurare per gli umori d’intolleranza che il Ministro dell’Interno immette nel circuito, politico e sociale, nazionale. Per questo il Costat – Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria – è andato sviluppando in questi mesi un’iniziativa volta a creare le condizioni per mettere in sicurezza la nostra Isola rispetto all’attacco della Lega. In questa direzione abbiamo avanzato delle proposte, apparentemente irrealizzabili, in realtà possibili se avessimo in Sardegna una classe politica coraggiosa, fantasiosa, protesa verso la creazione di un laboratorio politico regionale e nazionale e preoccupata non a parole della necessità di stoppare Salvini.
Andiamo per ordine.
La legge truffa regionale, coi suoi sbarramenti e gli iperpremi di maggioranza, punisce chi va in ordine sparso. I contratti di governo non si possono fare dopo, a urne aperte, ma devono essere fatti prima. Fondandoci su questo presupposto, abbiamo avanzato al PD e al M5S la proposta di fare un contratto prelettorale per mettere in cassaforte la vittoria, battendo la destra a trazione leghista. Un’intesa di questo genere avrebbe consentito di avere una rappresentanza forte, e, nell’autonomia di ciascuno, avrebbe costituito una novità assoluta sul piano nazionale. La possibilità di contenere Salvini è rimessa ad una riconsiderazione da parte del PD del rapporto col M5S. Solo la possibilità di fare una maggioranza diversa può indurre i pentastellati a rompere il contratto con la Lega. Il PD non può impiccare se stesso e il Paese allo stare renziano, in contemplazione, nel divano con la busta dei pop-corn. Lo ha detto nei giorni scorsi in una intelligente intervista a il Fatto quotidiano anche D’Alema. E il M5S, dal suo canto, cesserebbe di dare alla Lega l’opportunità di divenire il primo partito in Italia. Per la presidenza della nostra Regione le due forze avrebbero ben potuto individuare una candidatura solida, una personalità, autorevole di area democratica.
La proposta non è stata degnata neppure di risposta. Il centrosinistra e il M5S hanno optato per due candidature deboli, a forte rischio sconfitta. Chi arrivi secondo o terzo poco importa, è una consolazione miserabile se a vincere sarà Salvini, al quale così si dà – al di là delle parole (”fascista, fascista”, “razzista, razzista“) – la possibilità di prendersi la Sardegna e consolidarsi sul campo nazionale.
Sempre con questa preoccupazione noi del Costat abbiamo proposto al M5S di fare un contratto preelettorale con una lista da costruire, formata da eccellenze dell’area democratica sarda. Siamo partiti dalla constatazione che i grillini da soli nelle Regioni non vincono. Ancora, la qualità della lista in appoggio avrebbe innalzato il livello di quella pentastellata che, con tutto il rispetto, non è brillante. In terzo luogo, avrebbe consentito di parare il disdoro che i gialli subiscono dal governo nazionale con la Lega. Infine, non sarebbe stata violata neanche la regola del M5S di non fare alleanze preelettorali con partiti, perchè la lista sarebbe stata formata ex novo con personalità della c.d. società civile. Una proposta anche questa capace di gettare un sasso nell’acqua stagnante regionale e di costituire un esperimento di assoluta novità, esportabile nelle altre regioni e in campo nazionale. I pentastellati ci hanno ringraziato per il gentile pensiero, ma ci hanno detto garbatamente no, col risultato e i pericoli, che sono sotto gli occhi di tutti.
Infine, abbiamo lanciato un appello e contattato i dirigenti dell’area c.d. indipendentista, ossia del PDS, di Sardi Liberi e di Autodeterminatzione. Siamo partiti da diverse considerazioni di buon senso. Anzitutto che sono tre liste a rischio quorum, come è accaduto nel 2014 per Pili e Michela Murgia. Ricordate? Nonostante il buon risultato, non hanno mandato in Consiglio regionale neanche un portavoce. Secondariamente, abbiamo fatto presente che al grande pubblico è difficile comprendere le differenze fra queste diverse sigle e che dunque sarebbe molto gradita una semplificazione. Terzo, che si tratterebbe di un fatto di straordinaria novità, destinato a segnare queste elezioni, con potenzialità positive imprevedibili. Pili, Maninchedda e Murgia, da candidati presidenti al nulla o quasi, diverrebbero i protagonisti di un possibile evento storico. Da contabili elettorali sarebbero assurti al ruolo di creatori di una svolta nella politica sarda.
A noi del Costat questa opportunità pare così chiara, da non capacitarci della sordità dei tre partiti indipendentisti-natzionalitari. Come si può mettere in campo la Natzione vagheggiata da Maninchedda senza un movimento robusto? Come si può creare la Sardegna libera, di cui parla Pili, senza un movimento impetuoso? E come si può concretizzare l’Autodeterminatzione auspicata da Murgia senza una mobilitazione credibile e diffusa? Fare una lista insieme non vuol dire mettere la museruola al dibattito, cancellare le differenze di lunga prospettiva. Al contrario, vuol dire sviluppare la riflessione sui temi della liberazione della Sardegna, della sua condizione in rapporto allo Stato, nel corso di una entusiasmante crescita di consensi, di unità di intenti.
Anche su questa proposta non ci sono riscontri positivi, ognuno rimane arroccato sulla sua piccola bandiera anziché levare alta e forte quella sarda.
Il Costat ha profuso questo impegno, avendo come mission lo sviluppo della democrazia costituzionale e statutaria nell’Isola, senza alcun diretto coinvolgimento nelle dinamiche partitiche, senza avanzare candidature o primogeniture, e, con questo spirito, interverremo nel merito della campagna elettorale, con proposte e iniziative, tuttavia, al momento, registriamo un dato fortemente preoccupante. I tre tronconi principali della politica sarda fuori dal centrodestra, e cioè M5S, Centrosinistra e Area indipendentista, non hanno creato le condizioni per arrestare la Lega e l’avanzata di Salvini. Anzi, fanno di tutto per farlo vincere.
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* Su Democraziaoggi
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logo-small-sardignaliberaAppello per l’unità elettorale delle forze identitarie e di ribellione
di Claudia Zuncheddu**

Si è conclusa la fase di presentazione dei simboli delle forze che parteciperanno alle elezioni Regionali.

Ancora una volta i movimenti identitari, indipendentisti, progressisti e della rivolta dei territori si sono presentati purtroppo divisi. Non si può ignorare la Legge elettorale che discrimina le minoranze politiche e identitarie, quella legge che nessuno ha voluto cambiare disattendendo le promesse fatte nella precedente campagna elettorale.

Gran parte dei punti programmatici al di fuori della collocazione delle singole forze sono simili e sovrapponibili, per cui è ancora possibile che su un programma di fatto condiviso si aggreghino tutte queste minoranze politiche e identitarie che hanno a cuore il destino della Sardegna.

Bisogna superare gli “egoismi” individuali delle singole sigle per restituire la centralità agli interessi e alle aspettative del popolo sardo.

Benché i tempi siano stretti, è ancora possibile entro qualche giorno, confrontarci pubblicamente nell’ottica di unire tutte le forze. Non possiamo privare il popolo di cui facciamo parte, di una rappresentanza autorevole e compatta all’interno del Consiglio Regionale.

E’ la nostra storia che ci dice che gli interessi dei sardi non possono coincidere con quelli di chi li opprime, da qui la necessità che i tre blocchi italiani di centro destra, di centro sinistra e del M5S, vengano anche elettoralmente contrastati e possibilmente battuti.

** Claudia Zuncheddu – Sardigna Libera.

All’ultimo minuto?

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Regionali. Vani gli appelli del CoStat: M5S, Centrosinistra e Indipendentisti al lavoro per far vincere Salvini
14 Gennaio 2019

di Andrea Pubusa*

Mi rivolgo ai lettori per porre un quesito. A me pare che tutte le liste e i raggruppamenti antagonisti al centrodestra, che si accingono a presentarsi alle elezioni in Sardegna, non abbiano compiuto il loro dovere verso gli elettori. E mi spiego. C’è un grande pericolo, costituito dalla possibilità concreta che Salvini, tramite il prestanome Solinas, possa prendersi la Sardegna. Ritengo questa un’evenienza catastrofica nella terra di Gramsci e di Lussu. La ritengo un fatto da scongiurare per gli umori d’intolleranza che il Ministro dell’Interno immette nel circuito, politico e sociale, nazionale. Per questo il Costat – Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria – è andato sviluppando in questi mesi un’iniziativa volta a creare le condizioni per mettere in sicurezza la nostra Isola rispetto all’attacco della Lega. In questa direzione abbiamo avanzato delle proposte, apparentemente irrealizzabili, in realtà possibili se avessimo in Sardegna una classe politica coraggiosa, fantasiosa, protesa verso la creazione di un laboratorio politico regionale e nazionale e preoccupata non a parole della necessità di stoppare Salvini.
Andiamo per ordine.
La legge truffa regionale, coi suoi sbarramenti e gli iperpremi di maggioranza, punisce chi va in ordine sparso. I contratti di governo non si possono fare dopo, a urne aperte, ma devono essere fatti prima. Fondandoci su questo presupposto, abbiamo avanzato al PD e al M5S la proposta di fare un contratto prelettorale per mettere in cassaforte la vittoria, battendo la destra a trazione leghista. Un’intesa di questo genere avrebbe consentito di avere una rappresentanza forte, e, nell’autonomia di ciascuno, avrebbe costituito una novità assoluta sul piano nazionale. La possibilità di contenere Salvini è rimessa ad una riconsiderazione da parte del PD del rapporto col M5S. Solo la possibilità di fare una maggioranza diversa può indurre i pentastellati a rompere il contratto con la Lega. Il PD non può impiccare se stesso e il Paese allo stare renziano, in contemplazione, nel divano con la busta dei pop-corn. Lo ha detto nei giorni scorsi in una intelligente intervista a il Fatto quotidiano anche D’Alema. E il M5S, dal suo canto, cesserebbe di dare alla Lega l’opportunità di divenire il primo partito in Italia. Per la presidenza della nostra Regione le due forze avrebbero ben potuto individuare una candidatura solida, una personalità, autorevole di area democratica.
La proposta non è stata degnata neppure di risposta. Il centrosinistra e il M5S hanno optato per due candidature deboli, a forte rischio sconfitta. Chi arrivi secondo o terzo poco importa, è una consolazione miserabile se a vincere sarà Salvini, al quale così si dà – al di là delle parole (”fascista, fascista”, “razzista, razzista“) – la possibilità di prendersi la Sardegna e consolidarsi sul campo nazionale.
Sempre con questa preoccupazione noi del Costat abbiamo proposto al M5S di fare un contratto preelettorale con una lista da costruire, formata da eccellenze dell’area democratica sarda. Siamo partiti dalla constatazione che i grillini da soli nelle Regioni non vincono. Ancora, la qualità della lista in appoggio avrebbe innalzato il livello di quella pentastellata che, con tutto il rispetto, non è brillante. In terzo luogo, avrebbe consentito di parare il disdoro che i gialli subiscono dal governo nazionale con la Lega. Infine, non sarebbe stata violata neanche la regola del M5S di non fare alleanze preelettorali con partiti, perchè la lista sarebbe stata formata ex novo con personalità della c.d. società civile. Una proposta anche questa capace di gettare un sasso nell’acqua stagnante regionale e di costituire un esperimento di assoluta novità, esportabile nelle altre regioni e in campo nazionale. I pentastellati ci hanno ringraziato per il gentile pensiero, ma ci hanno detto garbatamente no, col risultato e i pericoli, che sono sotto gli occhi di tutti.
Infine, abbiamo lanciato un appello e contattato i dirigenti dell’area c.d. indipendentista, ossia del PDS, di Sardi Liberi e di Autodeterminatzione. Siamo partiti da diverse considerazioni di buon senso. Anzitutto che sono tre liste a rischio quorum, come è accaduto nel 2014 per Pili e Michela Murgia. Ricordate? Nonostante il buon risultato, non hanno mandato in Consiglio regionale neanche un portavoce. Secondariamente, abbiamo fatto presente che al grande pubblico è difficile comprendere le differenze fra queste diverse sigle e che dunque sarebbe molto gradita una semplificazione. Terzo, che si tratterebbe di un fatto di straordinaria novità, destinato a segnare queste elezioni, con potenzialità positive imprevedibili. Pili, Maninchedda e Murgia, da candidati presidenti al nulla o quasi, diverrebbero i protagonisti di un possibile evento storico. Da contabili elettorali sarebbero assurti al ruolo di creatori di una svolta nella politica sarda.
A noi del Costat questa opportunità pare così chiara, da non capacitarci della sordità dei tre partiti indipendentisti-natzionalitari. Come si può mettere in campo la Natzione vagheggiata da Maninchedda senza un movimento robusto? Come si può creare la Sardegna libera, di cui parla Pili, senza un movimento impetuoso? E come si può concretizzare l’Autodeterminatzione auspicata da Murgia senza una mobilitazione credibile e diffusa? Fare una lista insieme non vuol dire mettere la museruola al dibattito, cancellare le differenze di lunga prospettiva. Al contrario, vuol dire sviluppare la riflessione sui temi della liberazione della Sardegna, della sua condizione in rapporto allo Stato, nel corso di una entusiasmante crescita di consensi, di unità di intenti.
Anche su questa proposta non ci sono riscontri positivi, ognuno rimane arroccato sulla sua piccola bandiera anziché levare alta e forte quella sarda.
Il Costat ha profuso questo impegno, avendo come mission lo sviluppo della democrazia costituzionale e statutaria nell’Isola, senza alcun diretto coinvolgimento nelle dinamiche partitiche, senza avanzare candidature o primogeniture, e, con questo spirito, interverremo nel merito della campagna elettorale, con proposte e iniziative, tuttavia, al momento, registriamo un dato fortemente preoccupante. I tre tronconi principali della politica sarda fuori dal centrodestra, e cioè M5S, Centrosinistra e Area indipendentista, non hanno creato le condizioni per arrestare la Lega e l’avanzata di Salvini. Anzi, fanno di tutto per farlo vincere.
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* Su Democraziaoggi
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logo-small-sardignaliberaAppello per l’unità elettorale delle forze identitarie e di ribellione
di Claudia Zuncheddu**

Si è conclusa la fase di presentazione dei simboli delle forze che parteciperanno alle elezioni Regionali.

Ancora una volta i movimenti identitari, indipendentisti, progressisti e della rivolta dei territori si sono presentati purtroppo divisi. Non si può ignorare la Legge elettorale che discrimina le minoranze politiche e identitarie, quella legge che nessuno ha voluto cambiare disattendendo le promesse fatte nella precedente campagna elettorale.

Gran parte dei punti programmatici al di fuori della collocazione delle singole forze sono simili e sovrapponibili, per cui è ancora possibile che su un programma di fatto condiviso si aggreghino tutte queste minoranze politiche e identitarie che hanno a cuore il destino della Sardegna.

Bisogna superare gli “egoismi” individuali delle singole sigle per restituire la centralità agli interessi e alle aspettative del popolo sardo.

Benché i tempi siano stretti, è ancora possibile entro qualche giorno, confrontarci pubblicamente nell’ottica di unire tutte le forze. Non possiamo privare il popolo di cui facciamo parte, di una rappresentanza autorevole e compatta all’interno del Consiglio Regionale.

E’ la nostra storia che ci dice che gli interessi dei sardi non possono coincidere con quelli di chi li opprime, da qui la necessità che i tre blocchi italiani di centro destra, di centro sinistra e del M5S, vengano anche elettoralmente contrastati e possibilmente battuti.

** Claudia Zuncheddu – Sardigna Libera.

Oggi lunedì 14 gennaio 2019

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x15014137bd10200-1683-4e2a-96e2-ac8d1f0c4010filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativa
——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Regionali. Vani gli appelli del CoStat: M5S, Centrosinistra e Indipendentisti al lavoro per far vincere Salvini
3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b014 Gennaio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Mi rivolgo ai lettori per porre un quesito. A me pare che tutte le liste e i raggruppamenti antagonisti al centrodestra, che si accingono a presentarsi alle elezioni in Sardegna, non abbiano compiuto il loro dovere verso gli elettori. E mi spiego. C’è un grande pericolo, costituito dalla possibilità concreta che Salvini, tramite […]
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logo-small-sardignaliberaAppello per l’unità elettorale delle forze identitarie e di ribellione
Appello di Claudia Zuncheddu.
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Elezioni

3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b0Regionali. Sinistra italiana sarda non appoggia Zedda in contrasto con la segreteria nazionale
13 Gennaio 2019
Su Democraziaoggi.
Antonello Licheri – Segretario Regionale Sardegna S.I., con gran parte del gruppo dirigente sardo, non segue l’imposizione romana di sostegno al “continuismo” di Zedda. Ecco la dichiarazione di disobbedienza. [segue]

Sostenibilità: cioè?

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Tra nostalgia e trappole del greenwashing

Una pennellata di verde a prodotti e servizi: una strategia di marketing di successo, che però non affronta i veri problemi dello sviluppo sostenibile. Il futuro è fatto di scelte complesse: non possiamo sfuggire rimpiangendo il passato.

di Donato Speroni su ASviS (10/1/2019).

“Nostalgia” è la parola chiave dell’editoriale di fine anno dell’Economist. Che però ha un significato diverso nelle diverse zone del mondo. Per la Cina e l’India, per esempio, rappresenta l’aspirazione baldanzosa a ritornare a un passato glorioso, quando questi grandi Paesi erano fari di civiltà.

Al contrario, nel mondo più sviluppato, la nostalgia deriva solitamente da quello che Sophia Gaston, della Henry Jackson Society, definisce ‘un onnipresente e minaccioso sentimento di declino’. Quasi due terzi dei britannici pensano che si stava meglio in passato. Una analoga percentuale di francesi non si sente a suo agio nel presente. Il World happiness report di quest’anno riferisce che gli americani sono più scontenti. Ampie minoranze nei Paesi ricchi e in quelli in via di sviluppo sono convinte che i robot e l’automazione aumenteranno le diseguaglianze e incideranno sull’occupazione. Un sondaggio su 28 Paesi, fatto nel 2017, ha indicato che più della metà dei rispondenti si aspetta una stagnazione o un peggioramento delle proprie condizioni di vita. Solo il 15% dei giapponesi pensa che i figli staranno meglio di loro.

zygmunt-2-a-ca-3-giu2016-ft1-210x300La nostalgia porta alla retrotopia, per usare la definizione di Zygmunt Bauman: l’illusione di ritornare al passato, annullando le sfide del presente. La scommessa dello sviluppo sostenibile è agli antipodi di questa visione: bisogna costruire consenso e fiducia su un futuro certamente diverso dal mondo di oggi, con una transizione certamente difficile, ma assicurando il benessere collettivo per tutti e prospettive positive per le future generazioni. In questo contesto, il 2019 è un anno di grandi sfide e il dossier tematico che abbiamo diffuso il 3 gennaio ne delinea le caratteristiche, con l’editoriale di Pierluigi Stefanini e l’intervista a Enrico Giovannini, rispettivamente presidente e portavoce dell’ASviS, sulle prospettive generali, e una serie di articoli sulla situazione italiana in ciascun asse che raggruppa gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

In questi anni abbiamo assistito a un fenomeno positivo, ma anche preoccupante: la crescita dell’attenzione alla sostenibilità e a tutto quanto viene genericamente definito “verde”, con un crescente rischio di greenwashing cioè dell’idea che una pennellata verde su prodotti e servizi li renda più accettabili ai consumatori. Il fenomeno è particolarmente significativo nel mondo della finanza. Su Plus24, il settimanale del Sole24 Ore, Vitaliano D’Angerio ha scritto:

La parola sostenibilità è come il tocco di re Mida: ogni prodotto finanziario che contiene questa parola (o sinonimo) nel 2019 si trasformerà in oro. È proprio così? Nel mondo della finanza responsabile anglosassone c’è un’altra parola che indica i casi in cui il risparmiatore/investitore viene ingannato. Da Wikipedia: ‘greenwashing indica la strategia di comunicazione di certe imprese, organizzazioni o istituzioni politiche finalizzate a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva sotto il profilo dell’impatto ambientale’.

L’articolista fa il caso dei Millennials, che più di altri dovrebbero preoccuparsi che i propri fondi pensionistici non investano, per esempio, in miniere di carbone pur proclamandosi “verdi” e contribuendo invece a farli vivere in un mondo futuro funestato da maggiori cambiamenti climatici; auspica che Commissione e Parlamento europeo, unitamente al Consiglio d’Europa, riescano ad emanare prima delle elezioni un provvedimento che definisca con precisione che cosa è la finanza sostenibile, “altrimenti ci sarà sempre qualcuno più furbamente verde degli altri”.

Analogamente Flavia Micilotta, executive director di Eurosif, l’organizzazione che si occupa di responsible investing, segnala il rischio di useless lip service, inutile bla bla su questo tema. Cita in particolare un esempio tratto da un articolo di Joseph Mariathasan: la campagna della società Iceland che produce alimenti congelati, per annunciare l’eliminazione dell’olio di palma dai suoi prodotti, “per salvare i 25 orangutan che ogni giorno perdiamo a causa dell’estendersi delle coltivazioni intensive”. Ha avuto un grande successo, con 65 milioni di visualizzazioni sui social è stata tra le iniziative di comunicazione più viste nel periodo prenatalizio. In realtà, spiega Mariathasan citando le Ong Global Canopy e Greenpeace, anche l’olio di palma può essere prodotto senza distruggere le foreste tropicali; anzi, la produzione di altri tipi di olio alimentare può richiedere estensioni di terreno cinque volte più elevate per ottenere la stessa quantità di prodotto.

Attenzione dunque agli slogan, perché bisogna guardare alla sostanza dei problemi. Scrive ancora Micilotta:

Per gli investitori questo significa sostanzialmente impegnarsi a capire i temi affrontati dalle società che si scelgono. Gli investitori devono approfondire la loro conoscenza della sostenibilità e dei temi correlati per rendersi conto se le società sono davvero serie del loro operare in questo campo. Questo non vuol dire soltanto sviluppare nuove metriche o nuovi indicatori, ma anche capire le sinergie e le interazioni multidimensionali che hanno impatti diversificati anche in base alle situazioe geografiche.

La riflessione non riguarda soltanto la finanza perché possiamo estenderla anche all’economia reale e ai nostri stessi comportamenti. La sostenibilità è un processo complesso e non possiamo lavarci la coscienza limitandoci a qualche atto “sostenibile” senza capire che un intero sistema di vita è messo in discussione. L’esempio classico a questo proposito è quello della riconversione all’energia pulita per combattere il cambiamento climatico. In Italia possiamo riconvertire totalmente i nostri impianti (ne siamo ben lontano, è solo un esempio), ma se non aiuteremo i Paesi di sviluppo, dove maggiormente crescerà la domanda di energia nei prossimi anni, a utilizzare combustibili meno inquinanti e tecnologie energy saving, i nostri sforzi avranno ben poco effetto.

Problemi complessi, sfide difficili alle quali si può rispondere negandole e tuffandosi nella nostalgia del passato, come segnala l’Economist. Noi invece preferiamo affrontare il futuro valutando tutte le reali implicazioni dello sviluppo sostenibile, con un grande e faticoso sforzo di conoscenza. Le interazioni tra i 17 Obiettivi per ottenere i migliori risultati in termini di benessere collettivo sono uno dei temi ai quali intendiamo dedicare grande attenzione in questo anno. Per non cadere, appunto, nelle trappole del greenwashing.

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agenda-2030

Che succede?

c3dem_banner_04“CATTOLICI E POLITICA, È IL MOMENTO DI UN PROGETTO”
12 Gennaio 2019 by Forcesi |su C3dem.
L’Avvenire, che da qualche tempo ha preso ad ospitare interventi sul tema vetusto, ma cionondimeno attuale, dell’impegno concreto e responsabile dei cattolici in politica (per usare l’espressione del card. Bassetti nell’intervista all’Avvenire dello scorso 8 dicembre, pubblica oggi tre contributi sotto il comune titolo “Cattolici e politica. E’ il momento di un progetto”, Giorgio Campanini sostiene che è ora di prendere una decisione; lui auspica che i cattolici che vogliano impegnarsi nel sociale si concentrino prevalentemente in un partito, individuando quale forza politica è più vicina, o meno lontana, e sostiene l’utilità di convocare una sorta di stati generali del cattolicesimo italiano, senza mettere direttamente in campo l’episcopato. Gabriella Cotta, docente di Filosofia politica a La Sapienza, critica le vie alla democrazia, una populista e una sovranista, oggi egemoni, e fa appello alla ricchezza del patrimonio di cultura politica cattolica. Anche Camillo D’Alessandro, deputato pd, si sofferma sull’importanza che i cattolici si spendano sulla grande questione del rapporto tra noi e gli altri, per vincere le logo-citta-nuovapulsioni nazionaliste. Sul numero di gennaio di “Cittànuova” uno scritto di Carlo Cefaloni: “Il posto dei cattolici”.
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Essere fatti per il bene. La buona politica è mediazione: i cristiani siano conseguenti

Gabriella Cotta*. Sabato 12 gennaio 2019 su Avvenire. [segue]

Oggi domenica 13 gennaio 2019

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——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Il segreto di Di Maio? Semplice ed elementare: dice ai ceti deboli “siamo con voi, i sacrifici a chi ha di più”
13 Gennaio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Un mio collega di Salerno, che lo ha avuto studente a giurisprudenza, il giugno scorso ad un Convegno in Puglia, a pranzo, mi ha detto “Gigino è nu bravu guaglione“, ed ha soggiunto con un sorriso significativo “ed è sveglio“. E ieri in piazza S. Cosimo ne ho avuto conferma. Con una battuta […]
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Una causa giusta e urgente

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Oggi sabato 12 gennaio 2019

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——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
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poster-12-gen-2019-dibatt-elettElezioni sarde.
Oggi Dibattito elettorale a Cagliari

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Di notte… coi magnifici sette.
Amsicora su Democraziaoggi.
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RWM. Notificato il ricorso al Tar delle associazioni pacifiste contro il Comune di Iglesias sull’ampliamento della fabbrica di bombe. Occorre anche una decisa iniziativa politica
12 Gennaio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.