Monthly Archives: gennaio 2019
AladiNewsEditoriali
Reddito di base universale e incondizionato: un’idea radicale per affrontare l’insicurezza economica e l’esclusione sociale del nostro tempo di Gianfranco Sabattini su AladinewsEditoriali.
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Al via il Comitato promotore per la proposta di legge di iniziativa popolare per i beni comuni: l’assemblea di Roma del 19 gennaio presso la Casa internazionale delle donne (a proposito di beni comuni…). I prossimi sei mesi utili per la raccolta delle firme potranno costituire prima di tutto l’occasione per tornare a parlare di una diversa idea di società Una sfida alla mercificazione Paolo Cacciari, su ComuneInfo. – Su Aladinews.
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- Approfondimenti.
- Commissione Rodotà – per la modifica delle norme del codice civile in materia di beni pubblici (14 giugno 2007) – Proposta di articolato.
Oggi lunedì 28 gennaio 2019
——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Regionali: il dado e tratto, rien ne va plus. Signori e signore, in scena la tragicommedia!
28 Gennaio 2019
Amsicora su Democraziaoggi.
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ReI più che RdC
Il reddito di cittadinanza: molti limiti e qualche opportunità
Remo Siza | 14 Gennaio 2019 su
Due sistemi di intervento?
La recente istituzione del Reddito di cittadinanza e le maggiori risorse previste per il finanziamento di una misura nazionale di contrasto delle povertà potrebbe per certi versi superare i limiti e le difficoltà attuative che ha incontrato il ReI. Il decreto istitutivo presenta, però, ancora incertezze organizzative non secondarie che attenuano significativamente la sua capacità innovativa, criticità dei soggetti ai quali è affidato l’attuazione delle disposizioni, semplificazioni gravi nel rappresentare la condizione di povertà e le sue esigenze di welfare.
Il decreto intende superare l’impianto organizzativo del ReI che affidava principalmente alla rete territoriale dei servizi sociali la regia della presa in carico, il compito di costituire il punto di accesso alle prestazioni, la valutazione delle esigenze del nucleo familiare, la predisposizione del progetto personalizzato.
Il reddito di cittadinanza attribuisce un ruolo cruciale ai Centri per l’impiego e alla loro capacità di orientamento, di formazione, di sollecitazione dei comportamenti più appropriati. Ai Centri per l’impiego dovranno far riferimento le persone capaci di inserirsi nel mercato del lavoro lasciando alla rete dei servizi sociali locali le persone non immediatamente occupabili, con problematiche sociali e di salute più estese e severe.
Le risorse disponibili, l’ampliamento della platea dei beneficiari e la previsione di un patto personalizzato sottoscritto e condiviso dal beneficiario sono fatti positivi e possono rappresentare una opportunità importante per la costruzione di una misura nazionale di contrasto della povertà. Allo stesso tempo, ci auguriamo che il dibattito parlamentare sia un’occasione per approfondire alcuni aspetti e apportare le integrazioni e le modifiche che ci sembrano necessarie per superare le non secondarie criticità.
In primo luogo, solleva molti dubbi la decisione di creare due sistemi d’intervento (i Centri per l’impiego, la rete dei servizi sociali locali). Il provvedimento non precisa in modo adeguato i soggetti che dovranno certificare la distinzione tra le due forme di povertà – quelle occupabili, quelle che necessitano di intensivi interventi sociali – sebbene costituisca uno snodo centrale per capire se saranno assicurati interventi appropriati ad entrambi i gruppi sociali: la specializzazione dei due sistemi in molte regioni italiane richiede tempo e risorse finanziarie e professionali adeguate. La rete dei servizi sociali può diventare il luogo in cui si riversano, o si rimpallano, le persone maggiormente problematiche o un’area accogliente di assistenzialismo per le persone non disponibili a occupare posti di lavoro molto distanti dalla propria residenza. Se la valutazione non è condotta con la dovuta perizia e professionalità, sulla base di criteri ben definiti, i rischi di discrezionalità, discriminazione e esclusione sono molto elevati.
Più in generale, queste disposizioni rischiano di introdurre una nuova dualizzazione nel sistema degli interventi. In Italia, storicamente la dualizzazione ha riguardato principalmente la protezione dalla perdita del lavoro e ha prodotto una differenziazione delle protezioni di sicurezza sociale assicurata agli insiders – i dipendenti pubblici, i lavoratori delle grandi imprese ed alcuni settori dell’industria – e agli outsiders – gli occupati in piccole imprese, nel settore edile, nel commercio, una parte considerevole dei lavoratori autonomi – che ricevono misure di sostegno molto basse in caso di disoccupazione.
Il rischio è che il provvedimento piuttosto che superare le inique dualizzazioni esistenti ne riproponga di nuove in un altro ambito di welfare costituendo due sistemi di contrasto delle povertà, orientati da principi molto differenti e livelli di cura e promozione sociale non comparabili. Il primo sistema che gestirà la parte più rilevante dei richiedenti il reddito di cittadinanza, è prevalentemente costituito dalla rete dei servizi sociali locali. In molte aree territoriali prive di personale e adeguati finanziamenti questa rete rischia di configurarsi in termini assistenzialistici penalizzando per molti aspetti le povertà più severe: l’erogazione di sussidi economici accompagnati da progetti di inserimento molto deboli rischiano di diventare la pratica più diffusa.
La ricerca Istat sulla spesa sociale ci dice che i Comuni dispongono per tutti i servizi sociali appena di 7 miliardi: nel 2016 solo il 7,6 per cento di questa spesa è destinata al contrasto della povertà. Cambiare le priorità e gli obiettivi per indirizzarli in maggior misura verso l’inclusione sociale delle persone in condizione di povertà significa, sostanzialmente, sacrificare gli impegni di spesa a favore di altri gruppi sociali (Ranci Ortigosa 2018). Considerate le risorse disponibili, il rischio è che per le persone in condizione di povertà più severa non si costruiscano percorsi di inclusione sociale efficaci.
Accanto a queste aree di povertà persistente si sviluppano povertà ancora più intense, proprie di chi è senza dimora. Le Linee di indirizzo per il contrasto della grave emarginazione adulta in Italia (Ministero del lavoro e delle politiche sociali 2015), rilevano che i servizi fanno fatica a progettare interventi capaci di farsi carico delle persone senza dimora e troppo spesso l’approccio che governa l’azione diventa di natura emergenziale. Il decreto non destina al finanziamento di interventi per queste persone in condizione estrema di povertà nuove risorse e non rimanda a successivi provvedimenti la definizione di interventi adeguati.
Fra assistenzialismo e tendenze punitive
Il provvedimento ondeggia tra l’assistenzialismo di alcune disposizioni e la rigidità di altre, in particolare, il sistema di sanzioni e revoche, la possibilità di segnalare attraverso piattaforme dedicate anomalie nei consumi e nei comportamenti, le regole stringenti sull’uso del contante. L’impostazione generale che orienta il provvedimento nel suo complesso indirizza l’attività dei Centri per l’impiego, prevalentemente, verso un welfare condizionale che lega i diritti delle persone ad un comportamento responsabile: l’accesso a molti servizi pubblici dipende dal comportamento individuale, dal senso di responsabilità del beneficiario, da comportamenti non moralmente riprovevoli. La responsabilizzazione non è più un obiettivo della relazione di cura, ma diventa un requisito di accesso alla misura.
Quale sia il destino delle persone che non sono in grado di lavorare a causa di comportamenti irregolari e alle quali è stato revocato il sostegno economico andrebbe in qualche modo definito. Naturalmente tutte queste norme si espongono ad un’attuazione molto rigida e punitiva oppure molto discrezionale, lasciando ai beneficiari ampi spazi per evitare sanzioni e revoche.
L’applicazione del principio di condizionalità a quasi tutti gli ambiti delle politiche sociali è un elemento centrale nel cambiamento del welfare in molti nazioni europee. In molti ambiti d’intervento, per cambiare il comportamento dei beneficiari è ritenuto sufficiente introdurre severe sanzioni e penalità nell’erogazione dei benefici e nelle relazioni di cura. L’adozione del principio di condizionalità è diventata una prassi scontata, come se ci fossero delle consistenti e indiscutibili evidenze scientifiche che la supportano. In realtà, molte ricerche hanno evidenziato il contrario. Una ricerca della Joseph Rowntree Foundation ha rilevato il divario crescente tra la retorica politica e le evidenze sugli effetti positivi delle sanzioni (Griggs e Evans, 2010). Altre ricerche (Watts et al. 2018; 2014) hanno mostrato che le evidenze scientifiche sugli effetti positivi delle sanzioni sono contraddittori e molto limitati in termini metodologici; soprattutto non giustificano la grande espansione delle sanzioni dal 2007 a questi ultimi anni. Il sistema di sanzioni rischia di promuovere piuttosto che la crescita delle persone, distacchi e allontanamenti dalle relazioni di aiuto delle persone che presentano maggiori difficoltà e che persistono nell’assumere comportamenti riprovevoli, o non superano condizioni di dipendenza.
Le disposizioni del decreto istitutivo del reddito di cittadinanza riprendono con naturalità questi orientamenti introducendo, almeno in termini formali, una condizionalità significativa, prevedendo sanzioni molto severe, sospensioni e decadenze dai benefici previsti per chi non rispetta accordi e prescrizioni. A dire il vero, il reddito di cittadinanza per definizione non dovrebbe prevedere alcuna discrezionalità: il “citizen’s basic income” oppure “basic income” è definito dal Basic Income Earth Network come un reddito monetario, erogato a intervalli regolari (per esempio, mensili), su base individuale senza alcuna verifica di requisiti e incondizionale in quanto non è richiesta la disponibilità a lavorare o altro impegno. In tutte le nazioni che lo hanno sperimentato, seppure in ambiti locali (Finlandia, Olanda, Germania) si chiama così solo questa specifica forma di sostegno economico ben distinta dalle ben più diffuse esperienze di reddito minimo basate su vincolanti requisiti di accesso. Il fatto che anche in questa occasione l’Italia si presenti un po’ confusa nelle definizioni normative non sembra una preoccupazione condivisa.
Il sostegno economico e il progetto personalizzato
Il decreto e il dibattito che ha accompagnato la sua definizione hanno enfatizzato la centralità e l’efficacia del sostegno economico nel contrasto delle povertà, creando aspettative che probabilmente sarà difficile soddisfare con continuità negli anni. Gli operatori sociali sanno da tempo che per alcune condizioni di povertà l’erogazione di un beneficio economico non è un intervento appropriato: un disturbo mentale, una dipendenza grave da sostanze da abuso, l’impossibilità a produrre un reddito di una madre sola con figli minori possono essere affrontate efficacemente con altre misure di welfare che assegnano all’intervento di sostegno al reddito un ruolo meno centrale e riconoscono, invece, come snodo centrale la composizione di una pluralità di interventi in un progetto personalizzato.
L’appropriatezza di una misura di sostegno economico non è riferibile soltanto all’entità dell’ISEE o del patrimonio mobiliare e immobiliare. Essa si misura in relazione alla condizione complessa di deprivazione del nucleo familiare e alla sua corrispondenza rispetto alle complesse esigenze economiche, di salute, di relazione che esprime.
Dai benefici individuali agli interventi collettivi
Il Reddito di cittadinanza e il REI che lo ha preceduto, sono misure importanti per il contrasto delle povertà, attese da molti anni, ma sono misure non sempre efficaci. Se ci proponiamo di contrastare finalmente la povertà con misure nazionali di largo respiro e destiniamo a questo fine entità di risorse notevoli, è necessario essere consapevoli che ci sono forme e condizioni di povertà per le quali il beneficio economico e il progetto individuale non sono sufficienti. Gli operatori sociali che lavorano nelle infinite periferie delle nostre città sanno bene che le povertà più severe e con minor probabilità di superamento di questa condizione sono quelle strette tra processi di esclusione sociale e processi di integrazione sociale in quartieri degradati. Spesso queste relazioni di quartiere creano una pressione “verso il basso”, rinforzano valori e stili di vita che rendono difficile un migliore inserimento sociale: le azioni che possono aiutare le persone ad uscire dalla povertà, come l’istruzione e o il lavoro, si trovano quasi sempre al di fuori della comunità più ristretta (Siza 2018).
Gli interventi individuali di sostegno al reddito e i progetti individuali di inclusione possono costituire un supporto, ma accanto ad essi è necessario che gli operatori sociali propongano e sollecitino interventi collettivi che concentrano nelle aree più povere una pluralità di azioni, che coordinano politiche sociali e politiche del lavoro, interventi urbanistici, di tutela della salute, opportunità di istruzione, misure organiche a favore dell’infanzia.
Bibliografia in Appendice.
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Per correlazione riprendiamo un intervento di Gianni Loy, apparso di recente nella rivista dei padri Cappuccini “Voce Serafica della Sardegna”
La povertà, Carestia di libertà
di Gianni Loy
Tra la fine degli anni 50 e gli anni 60, già esisteva la povertà, anche nella città di Cagliari. Erano elemosinanti fuori dalle chiese, o all’ingresso del mercato, o tra i tavoli del porticato di via Roma. Erano anche nelle grotte abitate del Buoncamino, o di Tuvixeddu, o nelle baraccopoli di case precarie che compensavano le macerie, ancora evidenti, dei bombardamenti del ’43. A quei tempi esisteva anche la carità cristiana: gli ospedali si reggevano grazie al lavoro gratuito delle suore ed ordini religiosi supplivano ai ritardi della scuola pubblica.
La povertà, la storia lo insegna, imponeva l’adozione di misure di aiuto, che potevano essere ispirate alla carità dei più generosi, laici o cristiani, oppure, cosa più recente e più opportuna, a politiche pubbliche di assistenza per i bisognosi. Nessuno, in ogni caso, negava l’opportunità, e per taluni il dovere morale, di aiutare i più poveri.
All’epoca esistevano anche i benpensanti. Cioè quelle persone, mosse da spirito caritatevole o ispirate da nobili principi di solidarietà, favorevoli, o almeno non contrarie, all’elemosina e all’assistenza pubblica. I ben pensanti, tuttavia, erano di larghe vedute, acuti nell’osservare i dettagli. Non sfuggiva loro che dai tetti delle povere case degli indigenti incominciavano a spuntare antenne televisive, cioè i poveri possedevano la televisione!
Non sfuggiva loro neppure il fatto che taluno dei mendicanti che ricevevano l’elemosina, piuttosto che entrare in un forno (così si chiamavano le odierne panetterie) si imbucavano in una bettola (così si chiamavano allora i drink bar) e spesso si ubbriacavano.
Tutto ciò offendeva la loro morale.
All’epoca, esisteva anche la mia educazione cristiana, germogliata nei quartieri popolari della città, consapevole di altre educazioni cristiane, per lo più riservate alla borghesia. Perché all’epoca (solo all’epoca?), come cantavano i Gufi, un gruppo milanese di cabaret: “c’è il Dio delle vecchiette e quello dell’élite … e tu ti preghi il tuo che io mi prego il mio”.
La mia educazione cristiana, a seguito di un impegnativo percorso, mi ha insegnato che la carità dev‘essere gratuita, mi ha insegnato che non ho il diritto di decidere come il destinatario della mia elemosina utilizzi l’obolo ricevuto, che non devo scandalizzarmi neppure se lo utilizza per ubbriacarsi… Una sorta di ipocrisia morale che, confondendo la povertà con la fame in senso materiale, avalla l’idea che solo i ricchi ed i benestanti possano permettersi divertimenti e vizi! Che repulsione il ricordo di quando, nello stesso collegio, i bambini e le bambine venivano etichettate, già nel vestire, per distinguere chi pagava la retta da chi non la pagava!
Che orrore abbiamo vissuto! O che viviamo?
Oggi, un’altra volta, quando si parla di reddito di cittadinanza, ecco i benpensanti di sempre, preoccuparsi di come “i poveri” dovranno spendere quelle somme. Che sia soltanto per i beni di prima necessità, che non lo utilizzino per compare un gratta e vinci o altri beni superflui. E siccome non è facile controllare come i destinatari di quegli aiuti sociali utilizzeranno quel “reddito”, ecco comparire le tessere, ghigliottine informatiche che impediranno ai “poveri” di dilapidare nei vizi o nel superfluo il generoso dono ricevuto da una società che, non essendo in grado di offrire un lavoro, avverte l’esigenza di mantenere in vita famiglie che scivolano verso la povertà. Pare che uno dei duunviri della Repubblica abbia già ordinato la stampa di 6 milioni, sì, seimilioni, di quelle tagliole informatiche, ancor prima di essere certi che il reddito di cittadinanza vedrà davvero la luce!
Ahinoi! Com’è accattivante il ragionamento perbenista che vorrebbe impedire un utilizzo “improprio” del sussidio! Com’è seducente la sirena benpensante che vorrebbe che i poveri non possano utilizzare il denaro ricevuto per alzare il gomito!
Ed invece?
Intanto chiariamo che la strada dell’assistenza è un ripiego, come non smette di ricordare a gran voce Papa Francesco. L’obiettivo principale dovrebbe essere la ricerca del lavoro, e non l’assistenza, perché solo il lavoro può garantire all’individuo quella dignità, valore laico e cristiano, che sta alla base di ogni convivenza.
In secondo luogo, come non comprendere che la povertà, prima ancora che bisogno economico, è emarginazione, esclusione, differenza. Perché mai i figli dei più poveri dovrebbero essere esclusi dal poter disporre di alcuni almeno di quegli status simbol indispensabili per poter appartenere al gruppo? Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, nell’attuale società, del pane si potrebbe persino fare a meno, ma degli strumenti di socializzazione no. Non è per caso che in alcune famiglie i genitori si tolgano, letteralmente, il pane dalla bocca perché i propri figli possano esibire quei simboli, spesso fatui, ma che permettano loro di integrarsi con i loro coetanei.
Ce lo ha ricordato, con tono accorato, Luigino Bruni su Avvenire. Ispirandosi ad Amartya Sen, ci ha ricordato che povertà “è una carestia di libertà effettiva”, cioè la mancanza delle capacità di fare e di essere, tra cui “il poter uscire in pubblico senza vergognarsi (di sé e dei giocattoli dei propri bambini)”.
Ed ha concluso che se quei 780 euri, o quello che sarà, “non diventeranno anche una maggiore libertà di comprare libri, giornali, di fare festa, un viaggio, di comprare un giocattolo, un braccialetto più carino per la fidanzata, una cena esagerata con gli amici più cari per dire che finalmente stiamo cambiando vita, e che abbiamo cominciato a sperare… quei redditi non ridurranno nessuna povertà o ne ridurranno gli aspetti meno importanti”.
Che differenza c’è tra una tessera da esibire ad ogni acquisto, per dimostrare che appartieni alla categoria degli assistiti, ai quali sono precluse tutte le spese che sappiano di svago o, peggio ancora, di possibile vizio, ed un marchio impresso in una parte del corpo che ammonisca la collettività della appartenenza razziale, religiosa, o sociale della persona? Dove sta la differenza tra passato e presente?
Mentre avverto imbarazzo e preoccupazione per queste derive, mi tornano alla mente le riflessioni di quando, da adolescente, ho maturato una diversa accezione della carità, che non è l’elemosina, ma quella virtù teologale che ci insegna ad amare il prossimo come noi stessi. Per questo, ancor oggi, ringrazio chi, tra le macerie della mia città, mi ha aiutato a crescere con tale convinzione.
« La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta » (1 Cor 13,4-7).
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Che succede?
IL DECRETO SUL REDDITO DI CITTADINANZA
23 Gennaio 2019 by Forcesi | su C3dem
Ecco il testo del Titolo I del Decreto legge “Disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e pensioni”. Contiene i 13 articoli sul reddito di cittadinanza, la relazione illustrativa, una nota sull’impatto macroenomico del RdC sul mercato del lavoro e la relazione tecnica. Qui le slide con cui Di Maio ha presentato il RdC. Remo Siza, “Il reddito di cittadinanza: molti limiti e qualche opportunità” (welforum.it). Francesco Bei, “L’errore di chi deride il reddito” (La Stampa). Una breve intervista di Enrico Giovannini: “Il reddito va nella giusta direzione ma è difficile da attuare” (La Stampa). Chiara Saraceno, “Non chiamiamolo reddito di cittadinanza” (Manifesto).
Oggi domenica 27 gennaio 2019 – Giornata della Memoria.
LA GIORNATA DELLE GIORNATE DELLA MEMORIA – La giornata è fatta di tante giornate… la memoria di tante memorie. Tornando indietro nel tempo ricordiamo il genocidio di ebrei, lo sterminio dei rom, la sistematica eliminazione di comunisti, omosessuali, disabili perpetrata dai nazisti (e non solo), ma ricordiamo nella giornata delle giornate lo sterminio degli “Indiani d’America” compiuto dai coloni e dai governi americani, quello degli armeni compiuto dai governi turchi, quello dei curdi ancora oggi in atto, quello dei palestinesi eliminati dai governi israeliani. E nella giornata delle giornate non dobbiamo escludere gli stermini che interessano diverse popolazioni africane e quello degli immigrati che cercano uno scampolo di vita attraversando il Mediterraneo contro la volontà di molti politici nostrani. Simbolicamente, la giornata della giornate della memoria potrebbe essere intitolata a GIULIO REGENI, richiamando con la sua vicenda anche lo sterminio di giornalisti che un po’ ovunque sono eliminati perché fanno bene il loro lavoro.La memoria è memoria perché resta terribilmente presente e perché la verità non è mai cosa del passato, ma è il senso del nostro presente e del nostro impegno quotidiano. Dire oggi “verità per Giulio Regeni” significa invocarla e cercarla per ogni crimine, perché ogni crimine si compie contro la verità, che ha la v minuscola perché non deve stare nel mondo delle idee né tanto meno depositata su una testata giornalistica equivoca. [Antonello Zanda su fb].
L’ANPI invita alla Giornata della Memoria
La leggi razziali del 1938 e la società italiana: le memorie dei perseguitati
La persecuzione degli ebrei da parte del regime fascista è stata a lungo edulcorata e rimossa nella memoria pubblica dell’Italia repubblicana. Solo in una fase relativamente recente la storiografia ha messo in piena luce il pieno coinvolgimento degli apparati dello Stato, la pervasività e gli effetti devastanti delle leggi antiebraiche e la corresponsabilità del fascismo di Salò nell’arresto e nella deportazione degli ebrei dall’Italia ad Auschwitz.
Un altro aspetto che si è segnalato all’attenzione degli storici è l’atteggiamento complessivo della popolazione italiana. Se l’adesione attiva alla persecuzione riguardò soprattutto l’ala militante del Partito fascista, tuttavia l’atteggiamento prevalente degli italiani non ebrei fu il distacco, l’apatia, l’indifferenza. Soltanto dopo l’8 settembre 1943 e lo sviluppo del movimento della Resistenza si attivarono estesi comportamenti e vere e proprie reti di solidarietà da parte di militanti antifascisti, enti religiosi, cittadini comuni.
Una seconda pagina difficile e dolorosa fu la difficile reintegrazione dei perseguitati nei loro diritti, in particolare negli impieghi pubblici, nei primi anni della Repubblica.
A questi temi sarà dedicata la Giornata della memoria 2019, con le relazioni di Anna Foa, Gli ebrei italiani tra persecuzione, jhisolamento, indifferenza, e di Micaela Procaccia, La difficile reintegrazione degli ebrei dopo il 1945.
Verrà anche proiettata una video testimonianza di Settimia Spizzichino, che fu l’unica donna deportata dal ghetto di Roma sopravvissuta ad Auschwitz, e che è stata una delle più eminenti testimoni della Shoah.
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“Grande migrazione”: ospiti o nemici?
27 Gennaio 2019
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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Amarcord e non solo: Gulp torna per voi!
GULP CINEMATOGRAFICA, in collaborazione con Gli Amici sardi della Cittadella di Assisi e con il supporto della Cineteca Sarda.
La Gulp cinematografia, è lieta di comunicare che le proiezioni dei film restaurati del Movimento studenti, proseguirà ,nei locali della
Cineteca sarda – Viale Trieste n. 118-126,
GIOVEDI 31 GENNAIO
alle ore 16.30 (Segue)
Per un mondo di pace, senza più armi nucleari, dove ogni donna ed ogni uomo possa avere pieno accesso ai diritti universali, alle libertà ed al lavoro dignitoso.
Risoluzione approvata al XVIII Congresso CGIL Bari, 23 gennaio 2019
Per un mondo di pace, senza più armi nucleari, dove ogni donna ed ogni uomo possa avere pieno accesso ai diritti universali, alle libertà ed al lavoro dignitoso.
Per la CGIL la pace è un bene supremo dell’umanità, da difendere e da perseguire nell’azione quotidiana del sindacato, in Italia e come nella dimensione internazionale.
Oggi sabato 26 gennaio 2019
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Landini. Da lui ci aspettiamo il miracolo di mettere insieme le forze del cambiamento
26 Gennaio 2019
A.P. Su Democraziaoggi.
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Parliamo di “reddito di cittadinanza”, di quello vero: utopia da inseguire, per ora appannaggio dei “campioni dell’impossibile”?
Reddito di base universale e incondizionato: un’idea radicale per affrontare l’insicurezza economica e l’esclusione sociale del nostro tempo
di Gianfranco Sabattini
Dopo la pubblicazione, nel 2013, di “Il reddito minimo universale” e, nel 2017, di “Il reddito di base”, entrambi dedicati dagli autori, Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght alla spiegazione del significato e della funzione del reddito di cittadinanza (assegnato a ogni individuo senza vincoli di “contropartite lavorative” e senza “prova dei mezzi”), era plausibile attendersi che la classe politica si fosse presa la briga di leggerli; ciò avrebbe consentito di evitare la confusione, ormai radicata anche nell’opinione pubblica, che solitamente viene fatta per la mancata distinzione tra la forma di reddito della quale parlano gli autori e tutte le misure monetarie di natura welfarista adottabili e adottate (come, ad esempio quella introdotta dall’attuale governo italiano) per contrastare il fenomeno della povertà.
La confusione non potrà essere d’aiuto per riflettere sui contenuti più appropriati della politica economica, presumibilmente chiamata nel prossimo futuro ad affrontare i fenomeni dell’insicurezza economica e dell’esclusione sociale che affliggono attualmente il sistema socio-politico dell’Italia, congiuntamente a quello di molti altri Paesi industrializzati di mercato, per tutte le ragioni puntualmente illustrate nei libri sopra richiamati.
Viviamo in un mondo radicalmente nuovo rispetto a quello nato e consolidatosi nei primi trent’anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale; si tratta – affermano Van Parijs e Vanderborght, – di un mondo “riplasmato da numerose forze: la dirompente rivoluzione tecnologica determinata dal computer e da Internet; la globalizzazione dei mercati, delle migrazioni e della comunicazioni; la crescita impetuosa della domanda mondiale di beni a dispetto dei limiti imposti dall’esaurimento delle risorse naturali e dalla saturazione dell’atmosfera; la crisi delle tradizionali istituzioni protettive, dalla famiglia ai sindacati, ai monopoli di Stato, ai sistemi di welfare; infine le interazioni esplosive di queste varie tendenze”.
Per poter valutare razionalmente come contrastare le minacce delle quali sono portatrici queste tendenze, occorre, a parere di Van Parijs e Vanderborght, definire un quadro istituzionale di riferimento alternativo a quello esistente; a tal fine, gli autori, affermati docenti di economia e di scienza politica e divulgatori dell’idea di “reddito di base” (o reddito di cittadinanza), avanzano la proposta di un “nuovo quadro istituzionale” fondato sulla libertà, “intesa come libertà sostanziale di tutti e non solo dei ricchi”.
Per realizzare il nuovo quadro istituzionale occorre agire su diversi fronti, dal miglioramento dell’uso delle risorse, alla ridefinizione dei diritti di proprietà, dal miglioramento del sistema dell’istruzione (attraverso la sua trasformazione in sistema di apprendimento permanente), alla ristrutturazione del modo in cui all’interno delle moderne società industriali ad economia di mercato si persegue l’obiettivo della sicurezza economica e dell’inclusione sociale. Lo strumento sul quale edificare il nuovo quadro istituzionale alternativo a quello attuale (non più in grado di garantire, sia la sicurezza economica, che l’inclusione sociale) consiste, secondo Van Parijs e Vanderborght, nell’introdurre nell’insieme delle regole di funzionamento delle moderne società industriali ciò che oggi “è comunemente chiamato reddito di base: un reddito regolare pagato in denaro ad ogni singolo membro di una società, indipendentemente da altre entrate e senza vincoli”.
Qual è l’incombenza, si chiedono Van Parijs e Vanderborght, che, pesando oggi sullo stabile funzionamento delle società economicamente avanzate, a rendere necessaria una riforma del loro quadro istituzionale, fondata sull’introduzione di un reddito di base universale e incondizionato? Tutti coloro che sinora si sono pronunciati in favore di tale forma di reddito chiamano in causa alcuni aspetti della dinamica propria delle moderne società industriali, quali, in primo luogo, l’ondata di automazione (di cui è prevista un’accelerazione nei prossimi anni) che sta investendo i processi produttivi, causando una crescente polarizzazione del prodotto sociale; in secondo luogo, l’approfondimento e l’allargamento della globalizzazione che, oltre ad aggravare le disuguaglianze distributive, causerà l’aumento del numero delle persone che perderanno irreversibilmente la stabilità occupazionale.
Le innovazioni dei processi produttivi (che consentono “risparmio di lavoro”, indotto dal progresso scientifico e tecnologico e dalla natura altamente competitiva del mercato globale), potrebbero non rappresentare una “calamità sociale” insormontabile, se la maggior produttività da esse determinata potesse tradursi in una maggiore crescita; ma la fiducia su una crescita senza limiti presenta diverse controindicazioni: in primo luogo, esse sono dovute ai limiti ecologici, oggi amplificati dall’impatto sull’atmosfera; in secondo luogo, al fatto che i moderni sistemi industriali, come sottolineano molti economisti, sono esposti agli esiti di una loro tendenza a una “stagnazione secolare”; in terzo luogo, alla consapevolezza che la crescita, anche per chi la ritiene auspicabile che possibile, non costituisca una soluzione alla disoccupazione strutturale e alla precarietà.
Le controindicazioni circa la possibilità che un’ulteriore crescita basti a risolvere i problemi della disoccupazione e della precarietà, nel contesto di un’automazione crescente e di un allargamento della globalizzazione, sono forse discutibili; esse, tuttavia, sono sufficienti a “spiegare e a giustificare” le richieste di una più efficace risposta alle sfide poste dall’aggravarsi dei fenomeni della disoccupazione strutturale e delle disuguaglianze distributive: secondo Van Parijs e Vanderborght, se non si troverà “un modo per assicurare un reddito di base da corrispondere alle persone che non hanno lavoro (o non hanno un lavoro decente), le moderne società industriali ad economia di mercato andranno incontro ad un futuro perennemente caratterizzato da instabilità economica e conflittualità sociale”.
La previsione che la creazione di nuovi posti di lavoro “dignitosi” sarà sempre più difficile suggerisce perciò la necessità che gli establishment dominanti si convincano che occorre assicurare le risorse necessarie alla sopravvivenza della crescente massa di disoccupati e di poveri. Van Parijs e Vanderborght indicano due alternative per rispondere a questa necessità. Un primo modo di procedere (che gli autori considerano sconveniente) potrebbe consistere nell’allargamento dell’esistente sistema di assistenza pubblica; si tratterebbe di un modo utile solo per contrastare la “povertà estrema”, ma, a causa della sua “condizionalità”, varrebbe a trasformare i beneficiari in una classe di cittadini destinati a dipendere “permanentemente dall’assistenza sociale”. L’altra possibile soluzione, fondata sul principio che la libertà sostanziale debba essere garantita a tutti, consiste nell’introdurre un reddito di base di tipo incondizionato, inteso “nell’accezione più piena del termine”.
Il reddito di base differisce da ogni altra forma di sussidio corrisposto a chi versa in stato di necessità, perché esso, oltre ad essere universale (dimensione di cui sono prive tutte le “misure” welfariste destinate ad alleviare le condizioni esistenziali di chi è privo di ogni fonte di sostentamento), è anche incondizionato, in quanto, a differenza di tutte le forme di assistenza welfarista, esso è esente da ogni accertamento della condizione economica del beneficiario. Infatti, ogni forma di assistenza condizionata presenta lo svantaggio che il sussidio sia corrisposto ai beneficiari solo “ex post” (cioè sulla base di una preliminare determinazione delle risorse materiali delle quali possono disporre gli stessi beneficiari); il reddito di base incondizionato, al contrario, è corrisposto “ex ante”, senza alcun accertamento della condizione economica degli aventi diritto.
Le conseguenze dell’incondizionalità risultano tali da rendere il reddito di base profondamente diverso da ogni forma di assistenza condizionata; dal punto di vista del disoccupato strutturale o del povero, l’elemento che più di ogni altro vale a differenziare questo tipo di reddito dai sussidi condizionati è la possibilità assicurata ai beneficiari di sottrarsi al ricatto intrinseco alla condizioni alle quali è tradizionalmente subordinata la fruizione di un sussidio condizionato; ne è un esempio il “potere di ricatto” che può essere esercitato da ogni datore di lavoro ai danni dei lavoratori, quando questi ultimi siano “obbligati a svolgere un lavoro” infimo e mal pagato, per conservarsi nella condizione di poter fruire del beneficio assistenziale.
In conseguenza di quanto sin qui osservato sulle specificità del reddito di base, si può dire che, mentre la sua universalità consente di evitare la “trappola” delle disoccupazione e della povertà, il fatto di non essere condizionato serve a contrastare la “trappola” del lavoro obbligato, spesso sottopagato o degradante. Considerati i vantaggi connessi alle specificità del reddito di base universale e incondizionato, è difficile – affermano Van Parijs e Vanderborght – negare che esso costituisca nelle moderne società industrializzate ad economia di mercato, non solo un “potente strumento di libertà”, ma anche, più che una spesa, una forma d’investimento, utile a garantire una maggior flessibilità nel governo dei moderni problemi economici e sociali delle società economicamente avanzate e integrate nell’economia mondiale.
I principali interrogativi che incombono sulla possibilità di istituzionalizzare il reddito di base universale e incondizionato (come antidoto alla crescente disoccupazione strutturale e alla diffusione della povertà nelle società industriali avanzate e ad economia di mercato) riguardano la sua sostenibilità e il sui finanziamento. Per quanto riguarda la sostenibilità, molto diffusa è la preoccupazione che l’offerta di lavoro venga negativamente influenzata dall’assenza di obblighi da parte dei beneficiari del reddito di base. Van Parijs e Vanderborght ritengono fuorviante “ridurre le conseguenze economiche del reddito di base al suo impatto immediato sull’offerta del mercato del lavoro”. Fornendo sicurezza e autonomia economica, è plausibile prevedere che il reddito di base possa incoraggiare l’imprenditorialità, promuovendo l’allargamento di forme di lavoro autodiretto; in secondo luogo, esso può motivare molti lavoratori a scegliere di optare per un lavoro a tempo parziale; in terzo luogo, liberando chi è privo di reddito dalla “trappola della disoccupazione”, il reddito di base universale e incondizionato può produrre effetti positivi sul capitale umano, motivando i fruitori ad aumentare il loro “interesse a investire nell’istruzione e nella formazione continua”.
Secondo Van Parijs e Vanderborght, tutte queste ragioni concorrono a rendere stretta la connessione che esiste tra una maggior sicurezza garantita dal reddito di base e una maggior flessibilità del mercato del lavoro; si tratta di una connessione che tende ad assicurare ai senza reddito la libertà di non lavorare, piuttosto che l’obbligo di lavorare. Tra l’altro, la stretta connessione che esiste tra la libertà dal bisogno e la maggior flessibilità del mercato del lavoro rende possibile anche una più funzionale riorganizzazione del tradizionale sistema di welfare State; essa consente infatti la sua trasformazione da “sistema protettivo caritatevole e punitivo” in “sistema di welfare State attivo ed emacipatorio”, orientato “a rimuovere gli ostacoli allo svolgimento di un’attività lavorativa gratificante, quali sono le trappole della disoccupazione e dell’emarginazione”, e a “facilitare l’accesso delle persone all’istruzione e alla formazione”, strumentali all’intrapresa di una pluralità di attività produttive.
In questo modo, nelle moderne società industriali, il welfare State cesserebbe d’essere strumento “punitivo del lavoro” (come avviene con il sistema esistente, che rimuove il beneficio corrisposto al lavoratore disoccupato o al povero indigente che dovessero rifiutare di sottostare ai “vincoli” previsti per il loro reinserimento e/o inserimento lavorativo), per diventare, al contrario, strumento di promozione di forme gratificanti e socialmente utili di lavoro.
Per quanto riguarda l’altro interrogativo (quello relativo al finanziamento), incombente sulla possibilità di istituzionalizzare il reddito di base universale e incondizionato come antidoto alla crescente disoccupazione strutturale e alla diffusione della povertà, la preoccupazione principale che esso solleva è riconducibile all’ipotesi che le società industriali moderne, già gravate di un oneroso sistema fiscale, possano non tollerare un suo ulteriore inasprimento per finanziare il reddito di base, a meno che l’inasprimento non sia associato ad una riduzione dell’asimmetria nel trattamento fiscale dei redditi da capitale e dei redditi da lavoro, “caricando” prevalentemente sul capitale l’onere del finanziamento del reddito di base.
Un più equo trattamento fiscale delle due classi di reddito, però, si scontrerebbe con l’opposizione delle forze economiche e politiche prevalenti, per via del fatto che l’asimmetria nel trattamento fiscale a vantaggio del capitale è tradizionalmente “giustificata dalla necessità – affermano Van Parijs e Vanderborght – di incoraggiare investimenti ad alto rischio e lo spirito imprenditoriale” e di non promuovere la mobilità internazionale del capitale che, di fronte alla minaccia di perdere in parte i privilegi fiscali potrebbe “fuggire all’estero”.
Per finanziare il reddito di base esistono però – sottolineano Van Parijs e Vanderborght – delle alternative che non prevedono il ricorso alla tassazione. Tra queste, la principale consiste nella creazione di un “Fondo Sovrano Permanente”, una sorta di “salvadanaio collettivo”, nel quale fare affluire le entrate derivanti da tutte le forme di collocamento (a titolo di affitto o di cessione) delle risorse mobiliari e immobiliari di proprietà pubblica. In questo modo, il finanziamento del reddito di base avverrebbe secondo le modalità previste da James Meade nel suo “modello agathopista”; in altri termini, il reddito di base potrebbe essere finanziato senza bisogno di alcuna tassazione, mediante la distribuzione annuale a tutti i cittadini, su basi paritarie, della dotazione del “Fondo”, sotto forma di reddito di base universale e incondizionato, inteso come dividendo del rendimento economico di un capitale pubblico.
Un disegno di riforma del quadro istituzionale di riferimento, quale quello fondato sull’introduzione di un reddito di base (o di cittadinanza, come anche viene chiamato), per risolvere i problemi delle società industriali avanzate, richiede ovviamente che il loro sistema economico sia efficiente e gestito da forze economiche e politiche interessate al suo stabile funzionamento.
Ipotizzare che questo disegno sia proponibile e attuabile all’interno di un Paese qual è l’Italia di oggi può apparire temerario, considerato lo stato in cui essa versa. Una cosa però è certa: se tutte le forze sociali impegnate (sul piano culturale, politico ed economico) a risolvere i problemi che maggiormente affliggono il Paese (rilancio della crescita e contrasto della disoccupazione strutturale e della diffusione della povertà) abbandoneranno molti dei pregiudizi ideologici che hanno sinora condizionato la ricerca di adeguate soluzioni, dovranno (quelle forze) necessariamente tener conto del fatto che l’istituzionalizzazione del reddito di base universale e incondizionato è uno dei presupposti per fare dell’Italia del futuro, parafrasando un’efficace espressione di Meade, “un luogo in cui è ancora conveniente e gratificante vivere”.
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- Gianfranco Sabattini su AladiNews.
- Campioni dell’impossibile: https://www.aladinpensiero.it/?p=89277
Oggi venerdì 25 gennaio 2019
——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
Il reddito di cittadinanza e l’accoglienza ai migranti: unico obiettivo per un grande fronte di sviluppo democratico del Paese
25 Gennaio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Oggi giovedì 24 gennaio 2019
——–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Appuntamenti———————
M5S: ha cambiato l’agenda nazionale, non è l’avversario
24 Gennaio 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Attacca il Reddito di cittadinanza chi ignora la Carta
24 Gennaio 2019
Lorenza Carlassare
[Democraziaoggi] Pubblichiamo questo interessante articolo dell’eminente costituzionalista, sempre schierata in difesa della Costituzione e della sua rigorosa attuazione.
Pubblicato il 24 Gen 2019 da Il Fatto Quotidiano e da infosannio
Provvedimenti e comportamenti fascisti
[Stefano Ledda ci invia il seguente Messaggio che prontamente pubblichiamo. Chiediamo che venga messa fine a questa vergogna e che la legge Salvini sulla sicurezza sia disapplicata per le parti in contrasto con la dignità umana e abrogata dalla Corte Costituzionale, che deve essere prontamente chiamata in causa con le procedure previste dal nostro ordinamento.]
Sta accadendo ora alle porte di Roma ma è già accaduto in altre città.
Se queste non sono deportazioni, cosa sono?
Qui il Messaggio di Linda Bussotti impiegata del Comune di Castenuovo di Porto (RM)
“Salve. Mi trovo in una situazione incredibile. Lavoro nel Comune di Castelnuovo di Porto, dove c’è il secondo centro rifugiati più grande d’Italia. Martedì 22.01.2019 il Ministero dell’Interno manderà l’esercito (?) a sgomberare il centro rifugiati che si trova nel Comune dove lavoro. Verranno portate via 320 persone. Sono stati divisi per uomini, donne e bambini… mi ricorda qualcosa… Nessuno sa che fine faranno, né sindaco né Comune, né i rifugiati stessi. Non hanno voluto dircelo. Non c’è stata nessuna comunicazione. Il tutto è stato organizzato in 24 h. Sappiamo solo che i ragazzi verranno dislocati in altre Regioni, ma non sappiamo dove li ricollocheranno, in quale città, in che tipo di struttura… I migranti sono stati avvisati solo oggi che domani mattina alle 09:00 verranno portati via, dopo anni di integrazione, e dovranno lasciare i loro alloggi. Molti non hanno nemmeno la valigia. Qui erano stati fatti progetti di integrazione che avevano funzionato benissimo. I bambini dovranno interrompere gli studi (c’è chi era arrivato alle seconda media). Chi aveva trovato lavoro dovrà lasciarlo. Ci sono donne che sono state vittime di ogni sorta di abuso e di Violenza e molte hanno un bimbo con sé. Chi verrà portato via perderà il diritto di difendersi perché l’ avvocato è di nomina regionale e cambiando Regione… Verranno sul tg24 e Rai tre in mattinata. Domani sarà l’unico giorno in cui i riflettori saranno accesi anche su chi non è d’accordo. Stiamo organizzando una marcia silenziosa che partirà alle 17:00 dalla Chiesa di Santa Lucia, Via Tiberina Km 14 (sul navigatore si può mettere piazzale Santa Lucia). La marcia silenziosa non ha nessun colore politico, NESSUNO. Parteciperà il parroco. Il vescovo è già venuto qui a passare il Natale. Per capirci questo centro è quello dove il Papa si è recato a fare la lavanda dei piedi a Pasqua di qualche anno fa. Vi sarei grata se qualcuno partecipasse e volesse coinvolgere altri perché sarà l’unica volta in cui avremo l’occasione di comunicare il profondo dolore nel vedere esseri umani trattati come bestie. Ribadisco la marcia sarà silenziosa e senza nessun simbolo distintivo di appartenenza a qualche gruppo.”
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