Monthly Archives: dicembre 2018

Fatti non foste…

innovazione palle rotanti«Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”»

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Economia dell’apprendimento e il futuro delle società industriali

di Gianfranco Sabattini

L’apprendimento è un elemento cruciale per la crescita dell’economia e, si può dire, anche per l’organizzazione dalla società del futuro. Fino alla Rivoluzione industriale, a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo, gli standard di vita medi sono migliorati in misura quasi impercettibile; ciò non è accaduto dappertutto, mentre laddove il miglioramento si è verificato, esso ha riguardato, almeno inizialmente, solo una piccola minoranza. A partire dalla seconda metà del XIX secolo, un migliorato tenore di vita ha incominciato a diffondersi soprattutto nei Paesi (principalmente, europei e nord-americani) che per primi hanno sperimentato gli effetti dell’industrializzazione, sino a coinvolgere in misura crescente nel corso XX secolo anche le popolazioni di molti Paesi del Sud-Est asiatico, dove la crescita continua ancora oggi a persistere, secondo ritmi mai sperimentati durante la prima industrializzazione. [segue]

Sardegna Sardegna

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Coraggio, tenacia e orizzonte: per un nuovo soggetto politico
5e64c5da-b254-4aee-8a2b-36d760288460di Fernando Codonesu
Il pungente articolo a firma di Amsicora comparso il 18 dicembre su Democraziaoggi in cui si ragiona sulla possibile convergenza tra Paolo Maninchedda e Mauro Pili, mi permette di intervenire ancora sul tema delle prossime elezioni regionali. Certo, Amsicora dall’alto della sua lunga storia ha gioco facile nel criticare alcune posizioni espresse dal duo Pili e Maninchedda e per certi aspetti non ha torto, ma io credo che ciò che è permesso ad Amsicora quale eroe della resistenza sarda contro la dominazione romana, non è permesso a tante persone come me che con le nostre limitate energie dobbiamo farci carico della fatica quotidiana della politica.
Una fatica, quella della politica, che ci impone una dose di generosità che non deve mai venir meno nella critica e nella proposta, al fine di smussare gli angoli sempre presenti in ciascuno di noi e che spesso diventano così preponderanti da condizionare persino le relazioni personali, figuriamoci se non condizionano i metodi propri di interazione e le relazioni tra le forze politiche.
Negli ultimi giorni, su input del Comitato di iniziativa costituzionale e statutaria (CoStat), a seguito dell’ultimo positivo confronto tra Murgia, Maninchedda, Zuncheddu, Mirasola, Deriu, ho tentato inutilmente di organizzare un altro dibattito al fine di una potenziale convergenza contro il centrodestra a trazione Salvini, tra i candidati presidente Zedda, Maninchedda, Murgia e Desogus. Dopo un’iniziale disponibilità Zedda si è ritirato senza alcuna spiegazione (purtroppo questo è un malcostume noto e sperimentato in più occasioni), Maninchedda ha spiegato che non avrebbe partecipato e a questo punto abbiamo rinunciato all’iniziativa per mancanza di interlocutori.
Detto questo, la fatica della politica ci impone di continuare a individuare convergenze possibili fin da subito e per quanto mi riguarda, ma non da oggi, il mio interesse si concentra sulla vasta area delle forze e dei movimenti identitari e indipendentisti che possono e dovrebbero imparare a convivere, rinunciando ognuno a qualcosa della propria parte per far fare un grande passo in avanti a tutti.
Le soggettività in campo
Il PDS vede nel duo Maninchedda-Sedda le figure di punta rappresentative come elaborazione politica e allo stesso tempo come “gestori” del partito e delle istituzioni. Sulla carta questo partito, anche a seguito dell’esperienza di cinque anni di maggioranza, dovrebbe (almeno doveva) avere la possibilità del superamento della soglia del 5%. Non mi interessa qui entrare nel merito di specifiche posizioni che potranno essere analizzate e discusse a tempo debito e negli spazi dedicati, ma dirò necessariamente qualcosa sulla recente consultazione delle Primarias che hanno costituito la più grande prova organizzativa del PDS di questi ultimi mesi. Un risultato che mette in forse il superamento della fatidica soglia del 5%, o almeno non la rende più facilmente a portata di mano e questo sarebbe, dal mio punto di vista, un ulteriore problema.
Sardi Liberi, la neo proposta di Mauro Pili, si è arricchita della qualificata presenza di Carta proveniente dal PSdAZ e di Giovanni Columbu, già presidente di quel partito. Di Mauro Pili conosciamo l’escursus politico e il suo passaggio nel centrodestra fino a diventare presidente della Giunta regionale per conto di Forza Italia.
Negli ultimi 10 anni è anche diventato un protagonista delle lotte della Sardegna e di questo bisogna dargli atto. L’innesto di Carta e Columbu aggiungono spessore e qualità al suo schieramento e se consideriamo il risultato delle precedenti elezioni che è stato ampiamente al di sopra della soglia prevista per l’unica lista, si trova nella possibilità concreta di superare lo sbarramento previsto, ancorché quest’ultimo non vada visto come un risultato acquisito
AutodetermiNatzione, dopo la negativa prestazione ottenuta nella recente consultazione politica del 4 marzo, allora coordinata da Anthony Muroni che, ricordo a tutti, da direttore dell’Unione Sarda è stato uno degli artefici principali del successo della più grande manifestazione antimilitarista dagli anni ’80 a questa parte svoltasi a Capo Frasca nel 2016, è ora in campo con Andrea Murgia, una persona competente, con un percorso politico riconosciuto e apprezzato. Di AutodetermiNatzione so che c’è un candidato Presidente, ancorché, mi ricorda qualcuno, non è capo politico, che deve quindi continuamente rispondere ad un Tavolo nazionale costituito, si fa per dire, dagli azionisti di controllo. Giacché ci siamo, mi chiedo anche se in tale Tavolo ci siano soggetti che si ritengono azionisti di maggioranza che quindi contano più di altri, e fin qui, nessuno scandalo, non ci sarebbe niente di male. Ma a casa mia, quando ci sono azionisti di maggioranza e si nomina un presidente di un Consiglio di Amministrazione (CdA) e un Amministratore delegato normalmente si affidano delle deleghe e la delega fondamentale è la rappresentanza della compagine aziendale così come del progetto politico. Il Presidente e l’AD rispondono prima del CdA delle decisioni aziendali e, per analogia, così dovrebbe essere per il portavoce o per i candidati Presidente. Così succede dalle nostre parti e nella prassi quotidiana, oltre che nelle norme giurisprudenziali, altrimenti si finisce col mettere in secondo piano il Conte di turno, formalmente Presidente del Consiglio, per dover telefonare ai Di Maio e Salvini quali azionisti unici, nemmeno di maggioranza relativa, quali “proprietari” del governo.
Se è questo il caso, il progetto di AutodetermiNatzione rischia di fare poca strada: c’è bisogno di chiarezza perché se si vuole lavorare per una convergenza di più forze politiche, movimenti e comitati presenti sul territorio è dirimente che il candidato Presidente sia riconosciuto come garante del progetto e decisore di ultima istanza, senza dover chiedere permesso al Tavolo interno, altrimenti, come già detto, viene continuamente bypassato, se ne sminuisce il ruolo e il progetto muore. Personalmente sono impegnato nell’allargamento del progetto di AutodetermiNatzione al fine del superamento della soglia di sbarramento del 5%, ma vorrei maggiore chiarezza e una trasparenza nelle decisioni perché un altro risultato negativo nella consultazione elettorale e il ricorso ad un altro capro espiatorio da immolare, questa volta non sarà accettato e tanto meno perdonato dall’elettorato. E parlare di un progetto politico che prescinde dal risultato elettorale, per quanto meritorio e politicamente nobile, nella situazione attuale lascia il tempo che trova.
Questa consultazione elettorale non può essere persa per nessuna ragione: tutti i tre raggruppamenti devono superare la soglia di sbarramento.
Primarias
Le Primarias proposte dal PDS hanno avuto il merito di proporre un candidato governatore Paolo Maninchedda sulla base di un consenso bulgaro dell’85% e hanno incominciato a proporre il quesito sulla “nazione sarda”, ancorché limitato ad elettori, simpatizzanti e no, del PDS.
I risultati possono essere valutati in maniera molto differente. Dal punto di vista del PDS si può parlare di risultato straordinario, ma se consideriamo i numeri personalmente ritengo che si debba parlare di debolezza e di fragilità della proposta, nonché di isolamento pesante del partito.
Il numero di partecipanti alla consultazione, poco più di 20.000, è perfettamente in linea con i voti ottenuti nelle precedenti elezioni regionali equivalenti a 18.188. Ma nel frattempo ci sono stati cinque anni di partecipazione alla Giunta Pigliaru anche con responsabilità assessoriali, una presenza continua nei media e, in quest’ultimo periodo, un grande risalto proprio della proposta delle Primarias che, ricordo, erano aperte e rivolte a tutti gli elettori sardi. Questo ha permesso a molti sardi di esprimersi anche non riconoscendosi nell’esperienza del PDS (io sono tra questi) al punto che hanno dichiarato il loro voto favorevole alla nazione sarda persone tra le più diverse, compresi noti esponenti del centrodestra e il vicepresidente della Giunta, Paci.
Personalmente ho votato come a suo tempo ho votato per le primarie del PD, pur non avendo mai fatto parte non solo di quel partito ma neanche, a suo tempo, del suo partito progenitore, il PCI. Ho sempre votato per le primarie perché le ho ritenute e le ritengo espressione della democrazia e quindi ho espresso il mio voto anche per le Primarias.
In effetti mi aspettavo non meno del doppio dei votanti, da 40.000 a 50.000 voti, che avrebbero permesso di parlare di una facile possibilità di superamento della soglia del 5% alle prossime elezioni regionali e soprattutto di una riconosciuta capacità di attrazione esercitata dal PDS sul tema della “nazione” come collante di quella vasta parte di popolo sardo che si sente nazione. In passato si è detto che questa area poteva valere fino al 40%, ma se ci basiamo sui voti espressi in diverse consultazioni elettorali recenti a favore delle varie forze politiche che si rifanno ai temi dell’identità e dell’autodeterminazione si arriva e si può superare abbondamente il 20%. Proprio perché i numeri sono questi, il risultato delle Primarias deve porre innanzitutto al duo Sedda e Maninchedda la constatazione di un isolamento di fatto che si traduce in debolezza strategica della proposta.
A mio avviso è necessario un cambio di rotta.
Da qui la necessità di non essere autoreferenziali perché in politica questo è un peccato mortale, ma di aprirsi alle altre forze e raggruppamenti di area, per concorrere a formare un unico schieramento e un’unica forza politica, magari dopo le elezioni e con una lavoro comune dall’opposizione.
Il consiglio che mi permetto di dare, ancorché non richiesto, se non lo avessero ancora capito, è che non si può più dire “le nostre porte sono aperte”, perché il risultato delle Primarias fa capire incontrovertibilmente che non c’è alcuna intenzione di entrare in quella casa, perché il progetto e il disegno degli spazi interni è stato fatto da altri, cioè da Paolo e Franciscu, ma si è disposti a progettarne una nuova, con un altro impianto strutturale e con spazi interni da ridisegnare in modo che tutti vi possano stare a proprio agio.
Osservo che l’area politica dell’autodeterminazione e dell’autogoverno vale oggi come cinque anni fa circa 160.000 voti, ovvero oltre il 10% del corpo elettorale che è pari a 1.480.000 e circa il 20% dei votanti, almeno se ci basiamo sul numero dei votanti delle precedenti elezioni regionali e delle recenti elezioni politiche del 4 marzo, rispettivamente 774.000 e 896.000 votanti.
Oggi questa vasta area di elettorato è così divisa che il voto si disperde in una numerosità di formazioni politiche che, a mio avviso, non trovano giustificazione se si analizzano gli obiettivi programmatici a medio e lungo termine di ciascuna formazione in campo e si ragiona sulla loro operatività dell’azione politica. Infatti, se si ragiona sui temi del lavoro, dello sviluppo locale, della sanità, dei trasporti, del decentramento istituzionale ed amministrativo, delle servitù militari ed energetiche, ecc., gli obiettivi, le analisi e le proposte sono identiche al punto che anche gli addetti ai lavori fanno fatica a trovare eventuali differenze.
Anche il grande obiettivo dell’autodeterminazione e la consapevolezza dell’essere nazione, ancorché “mancata” come ci ricorda Emilio Lussu, e quindi la necessità di individuare un realistico percorso democratico all’interno del presente stato unitario, con la Costituzione vigente e con lo Statuto che abbiamo il dovere di realizzare pienamente, consapevoli come siamo che così non è stato nel corso di questi decenni, sono ampiamente sentiti come facenti parte della nostra identità di sardi. Ma su questo, è inutile negarlo, ci sono dei distinguo tra le varie compagini e c’è qualche fuga in avanti che nasce molto da un protagonismo personale, che continuo a riconoscere come sano e positivo, ma non quando si traduce in autoreferenzialità perché alla fine non fa fare passi avanti alla causa del riconoscimento della nazione sarda. Una nazione non è un sentimento o una consapevolezza espressa con un voto e tanto meno con un “clic” in una piccola consultazione elettorale di parte. Vediamola come un seme di prova e non vale, spero, citare la parabola del buon seminatore, nota sicuramente a Maninchedda e a Sedda, e più che mai valida e necessaria.
Credo che sia indispensabile chiarirsi bene le idee sul concetto di nazione e su quello di Stato e come le due cose vadano viste insieme, aggiornando anche l’elaborazione politica fatta dai grandi pensatori e protagonisti della politica del passato. A me, per esempio, piace pensare alla Sardegna federata all’Italia e interna all’Unione europea. Ma siamo già dentro uno Stato unitario e centralizzato e non si è mai visto nella storia che uno stato unitario si trasformi in uno Stato federale. Certo tutto è possibile. Queste costruzioni statuali le fanno gli uomini e ogni periodo storico ha riconosciuto esigenze così variegate che non si può escludere neanche che in un prossimo futuro ci possa essere una nazione e uno stato sardo in un’Italia federale e all’interno di un’Europa delle Regioni. Ma non mi sembra questa l’aria e se possiamo dire che tutto è possibile, bisogna essere realisti e non scambiare i propri sogni con la realtà.
Certo, come ci ricordano diversi indipendentisti, ci sono tante nazioni senza Stato, ma su questo c’è molto da fare proprio perché qui da noi uno Stato c’è già, con una Costituzione ben definita entro la cui cornice troviamo un ottimo riparo al punto da definirla la nostra casa e allora bisogna che quando si parla seriamente di nazione e si vuole porre l’obbiettivo di farne un progetto politico, bisogna essere consapevoli che far vivere un’idea e un progetto di nazione che conviva con questo Stato e che abbia una sua collocazione in Europa, in quegli Stati Uniti dell’Europa la cui realizzazione sembra allontanarsi sempre di più dall’orizzonte, richiede un impegno senza pari, con molta umiltà, dedizione, tenacia e coraggio. Altro che una piccola consultazione online.
Un progetto di nazione non prevede scorciatoie, ma richiede un lungo percorso tra le nostre popolazioni e i nostri territori affinché diventi maggioranza in Sardegna.
E’ su questo che bisogna lavorare e ciò impone la necessità di un’intelligenza collettiva e plurale da costruire, un’intelligenza collettiva che raccolga il meglio della classe dirigente presente nelle varie formazioni politiche, senza pretese autodefinizioni leaderistiche che possono valere a casa propria, ma non quando si intende lavorare per un unico progetto, quello di riunire tutte le forze identitarie e indipendentiste in un unico soggetto politico.
Insomma, a fronte di un’area potenziale del 20%, con tre schieramenti in campo si rischia che non ci sia l’auspicata rappresentanza. Sono convinto che sia necessario che le persone citate come le tante altre comunque presenti nelle lotte sociali, nei comitati, nei movimenti, nel campo della cultura abbiano il dovere della fatica della politica, anche con passi laterali e qualche vota indietro, coraggio, tenacia e con un orizzonte condiviso per concorrere alla costruzione di un unico soggetto politico che rappresenti tutta questa area e possa fungere da catalizzatore anche per quell’altra metà dell’elettorato sardo che da tempo non partecipa più al voto.

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3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b0Con AutodetermiNatzione si compatta il fronte di una forza alternativa che costruisce un progetto partecipato per il governo della Sardegna
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Cagliari, 18 dicembre 2018
lampadadialadmicromicroRiceviamo e pubblichiamo volentieri il comunicato stampa che da conto del processo di unità politica ed elettorale di forze vitali per il futuro della nostra patria sarda.
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AutodetermiNatzione, un progetto per la Sardegna che diventa ogni giorno più largo e plurale
Oggi sono state poste le basi per un allargamento del progetto di Autodeterminatzione oltre la contingenza elettorale. Con la convergenza di Sardigna Libera e di larga parte di Sinistra italiana significativamente rappresentate da Claudia Zuncheddu e Roberto Mirasola, AutodetermiNatzione fa un passo avanti nella costruzione di una vasto fronte popolare che intende concorrere alle prossime elezioni regionali per l’affermazione di un’idea di Sardegna e del nostro popolo che mette al centro la possibilità del riscatto dei nostri territori.
Un progetto che ha tutte le possibilità di superare la soglia del 5% per avere i propri rappresentanti nel Consiglio regionale.
Ci rivolgiamo con convinzione a tutti i Comitati presenti sul territorio per consentire al nostro progetto politico di diventare ancora più forte, plurale e rappresentativo.
Ci rivolgiamo alle organizzazioni e raggruppamenti politici come Rifondazione, Comunisti italiani e Potere al popolo presenti in Sardegna ai quali chiediamo di unirsi al progetto di AutodetermiNatzione, quale casa comune in grado di rappresentare al meglio la fusione delle aspirazioni del nostro popolo di riferimento, una casa basata su pilastri solidi di cui fanno già parte soggetti istituzionali già presentatisi in elezioni precedenti, movimenti politici attivi da anni nei territori della nostra isola, esponenti della cultura e del mondo democratico.
Una casa che può diventare ancora più larga e più grande.
Abbiamo il dovere di costruire un fronte popolare compatto, forte, rappresentativo e plurale dove vengano salvaguardate le identità e le storie di ciascuna componente, ma che allo stesso intendano concorrere convintamente a scrivere e determinare un’altra storia, un altro percorso politico di riscatto e con una reale prospettiva di sviluppo del nostro popolo, contando sulle nostre forze e mettendo la Sardegna al centro della nostra azione e delle nostre energie.
Al centro dei nostri interessi vi sono la rappresentazione nelle istituzioni di tutti i Comitati e le lotte popolari che in questi orribili 5 anni di giunta Pugliaru si sono battuti contro la politica centralizzatrice della Giunta Pigliaru, di totale asservimento alle decisioni romane e di negazione dello sviluppo locale dei territori. Una politica folle e deleteria rappresentata innanzitutto dalla privatizzazione della sanità pubblica, la follia dell’azienda unica della salute, i 60 milioni di euro dei nostri soldi dati al Mater Olbia a discapito degli ospedali sardi, il ridimensionamento dei presidi ospedalieri territoriali: una politica sanitaria di questo centrosinistra che ha portato di fatto alla negazione del diritto alla salute.
Intendiamo dar voce e rappresentanza a tutto quel ricco arcipelago di comitati e assemblee spontanee che hanno continuato a difendere l’ambiente, contro il tentativo della nuova legge urbanistica voluta dai cementificatori e dal PD, a difendere il mondo della terra e delle campagne con tutto ciò che caratterizza il settore agroalimentare, contro la vergogna dell’accordo truffa firmato da Pigliaru sulle servitù militari, per il lavoro che può nascere a partire dalla messa in sicurezza del nostro territorio, dalle opere di bonifica ora più che mai necessarie, dall’innovazione tecnologica, da un mondo delle imprese che sia basato soprattutto sui nostri bisogni e su produzioni sostenibili sul mercato e nel nostro ambiente di vita.
AutodetermiNatzione ​- ​Andrea Murgia, candidato Presidente
Sardigna Libera ​- ​Claudia Zuncheddu
Sinistra Italiana ​-​ Roberto Mirasola
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Oggi mercoledì 19 dicembre 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x15014137bd10200-1683-4e2a-96e2-ac8d1f0c4010filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633costat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativadupalle-giard-pub-24-x-18-caAnpi logo naz

————— Avvenimenti&Dibattiti&Commenti————————————

3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b0Intervista a Codonesu: l’area identitaria se non si unisce rischia di scomparire
19 Dicembre 2018

Fernando Codonesu a domanda di Andrea Pubusa risponde, su Democraziaoggi.
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Addio Marcello

luttomarcello-angiusE’ morto questa notte il nostro caro amico Marcello Angius. Il decesso è avvenuto in un ospedale cittadino dove era ricoverato per complicanze di una grave malattia, da tempo insorta, ma che era riuscito con tenacia e coraggio a tenere sotto controllo fino a poco tempo fa. Illustre clinico, ha percorso un’encomiabile carriera ospedaliera divenendo nel giugno 2008 – e fino alla pensione – Direttore del Laboratorio dell’Azienda Ospedaliera Brotzu di Cagliari.
Di Marcello ricordiamo in questo momento soprattutto gli anni della nostra amicizia giovanile, fatta anche di comune impegno sociale e culturale nell’associazionismo cattolico e oltre: sono quelle le esperienze vitali che permangono nel tempo e che riaffiorano con tutta la loro carica emotiva, riannodandosi come per incanto, nel rincontrarsi anche quando per lunghi periodi ci si perde di vista. Come appunto è capitato di recente con Marcello. Sicuramente quelle esperienze – certo insieme a tante altre – si ripresentano nella mente e nel cuore come vive e consolatorie, anche se in questo frangente avvolte da una tristezza infinita, perché contrastano la cruda realtà della morte, prolungandosi oltre la nostra vita. Alla moglie Graziella, ai figli, alla famiglia tutta e agli amici, porgiamo le nostre condoglianze con sentimenti di affettuosa vicinanza (Franco Meloni).
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L’avevo perso di vista, ma non dimenticato. Ogni tanto riappariva, ed era sempre lo stesso amico di quando pensavamo che il tempo non trascorresse; o almeno che girasse intorno, così da riportarci sempre allo stesso luogo, allo stesso istante di quel tempo magico che sembrava non dovesse aver fine.
Anche Marcello è andato via, la pattuglia si assottiglia. Eppure abbiamo camminato insieme lungo valli alpine, è questo uno dei ricordi che riaffiorano, alla ricerca del silenzio, lungo sentieri che immancabilmente portavano ad un rifugio.
Anche Marcello compariva nella lista dei reduci invitati alla proiezione delle immagini che evocano quei ricordi di montagne e di città, che non so neppure perché lo facciamo, sembra quasi l’adempimento di un dovere.
La verità è che da quelle esperienze non possiamo prescindere, almeno non posso, perché come dice Capanna, erano anni formidabili.
C’è stata una porzione di tempo, lunga quanto i nostri sogni, davvero esaltante. Proprio nel 68 (anno magico che sempre riaffiora) quando assieme a Marcello, che per anni ha fatto parte del comitato di redazione di “Gulp”, Antonello Demurtas, a Francesco Toccafondi ed a Francesco Zilio, in celu siat, ci siamo buttati nell’impresa di girare un documentario sui mali della scuola scegliendo, come banco di prova, il liceo Dettori. [segue]

Elezioni sarde

3f555ee7-6c23-42b0-b6e2-6df7df3b95b0Con AutodetermiNatzione si compatta il fronte di una forza alternativa che costruisce un progetto partecipato per il governo della Sardegna
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Cagliari, 18 dicembre 2018
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AutodetermiNatzione, un progetto per la Sardegna che diventa ogni giorno più largo e plurale
Oggi sono state poste le basi per un allargamento del progetto di Autodeterminatzione oltre la contingenza elettorale. Con la convergenza di Sardigna Libera e di larga parte di Sinistra italiana significativamente rappresentate da Claudia Zuncheddu e Roberto Mirasola, AutodetermiNatzione fa un passo avanti nella costruzione di una vasto fronte popolare che intende concorrere alle prossime elezioni regionali per l’affermazione di un’idea di Sardegna e del nostro popolo che mette al centro la possibilità del riscatto dei nostri territori.
Un progetto che ha tutte le possibilità di superare la soglia del 5% per avere i propri rappresentanti nel Consiglio regionale.
Ci rivolgiamo con convinzione a tutti i Comitati presenti sul territorio per consentire al nostro progetto politico di diventare ancora più forte, plurale e rappresentativo.
Ci rivolgiamo alle organizzazioni e raggruppamenti politici come Rifondazione, Comunisti italiani e Potere al popolo presenti in Sardegna ai quali chiediamo di unirsi al progetto di AutodetermiNatzione, quale casa comune in grado di rappresentare al meglio la fusione delle aspirazioni del nostro popolo di riferimento, una casa basata su pilastri solidi di cui fanno già parte soggetti istituzionali già presentatisi in elezioni precedenti, movimenti politici attivi da anni nei territori della nostra isola, esponenti della cultura e del mondo democratico.
Una casa che può diventare ancora più larga e più grande.
Abbiamo il dovere di costruire un fronte popolare compatto, forte, rappresentativo e plurale dove vengano salvaguardate le identità e le storie di ciascuna componente, ma che allo stesso intendano concorrere convintamente a scrivere e determinare un’altra storia, un altro percorso politico di riscatto e con una reale prospettiva di sviluppo del nostro popolo, contando sulle nostre forze e mettendo la Sardegna al centro della nostra azione e delle nostre energie.
Al centro dei nostri interessi vi sono la rappresentazione nelle istituzioni di tutti i Comitati e le lotte popolari che in questi orribili 5 anni di giunta Pugliaru si sono battuti contro la politica centralizzatrice della Giunta Pigliaru, di totale asservimento alle decisioni romane e di negazione dello sviluppo locale dei territori. Una politica folle e deleteria rappresentata innanzitutto dalla privatizzazione della sanità pubblica, la follia dell’azienda unica della salute, i 60 milioni di euro dei nostri soldi dati al Mater Olbia a discapito degli ospedali sardi, il ridimensionamento dei presidi ospedalieri territoriali: una politica sanitaria di questo centrosinistra che ha portato di fatto alla negazione del diritto alla salute.
Intendiamo dar voce e rappresentanza a tutto quel ricco arcipelago di comitati e assemblee spontanee che hanno continuato a difendere l’ambiente, contro il tentativo della nuova legge urbanistica voluta dai cementificatori e dal PD, a difendere il mondo della terra e delle campagne con tutto ciò che caratterizza il settore agroalimentare, contro la vergogna dell’accordo truffa firmato da Pigliaru sulle servitù militari, per il lavoro che può nascere a partire dalla messa in sicurezza del nostro territorio, dalle opere di bonifica ora più che mai necessarie, dall’innovazione tecnologica, da un mondo delle imprese che sia basato soprattutto sui nostri bisogni e su produzioni sostenibili sul mercato e nel nostro ambiente di vita.
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Oggi martedì 18 dicembre 2018

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————— Avvenimenti&Dibattiti&Commenti————————————

Mauro e Paolo perché disuniti? La Natzione attede.
18 Dicembre 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
Ormai lo sapete. Non so mentire. Fra Paolo e Mauro preferisco il primo, anche se – devo ammettere – i due hanno una caratteristica in comune, invidiabile: la tenacia. Sono due sardi tenaci e per nulla disposti a mollare la presa quando si prefiggono un obiettivo. Mauro evoca ricordi di gioventù. Lo zio Nicolino era […]
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Solo il populismo (di sinistra) ci salverà
18 Dicembre 2018
Giacomo Russo Spena
[Democraziaoggi] Pubblichiamo questa recensione al libro di Chantal Mouffe sul populismo di sinistra, apparsa su Micromega, con la speranza che sia utile alla riflessione dei molti democratici disorientati dall’evoluzione politica in Europa e in Italia.
di Giacomo Russo Spena
Un pamphlet utile e che anima dibattito. Sicuramente non è un libro ideologico: all’utopia si preferisce il […]
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Il dibattito sul “Reddito di cittadinanza e dintorni” cerca di uscire dalle contrapposizioni ideologiche e polemiche di schieramento

bucoDOCUMENTAZIONE. logo linkiestaUn articolo interessante su LinKiesta. Tuttavia impreciso su alcuni passaggi e non aggiornato rispetto a pronunciamenti istituzionali recenti (Parlamento Europeo, Camera dei Deputati) e ragionamenti fatti da autorevoli istituzioni (Banca d’Italia, Fondo monetario). Francesco Cancellato, il giornalista che lo ha scritto, peraltro molto bravo e di ottima reputazione, esprime pareri sensati ma discutibili. Prevale una visione catastrofistica per una deriva che l’istituto una volta varato prenderebbe inevitabilmente. Non viene neppure presa in considerazione l’ipotesi che possano essere gli stessi soggetti beneficiari (i poveri, a partire dagli stessi giovani, nuovi poveri) ad intervenire singolarmente, ma soprattutto collettivamente, a migliorare lo stesso istituto del cd. reddito di cittadinanza (fm)
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Perché il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle non funzionerà mai (anche se l’idea è giusta).
È un sussidio troppo generoso, ma non mette soldi abbastanza sui centri per l’impiego. È facile prenderlo, difficilissimo che venga tolto. E già che ci siamo, è pure a rischio di incostituzionalità. E dire che è una misura che l’Europa ci chiede da vent’anni: potevamo farla meglio?
Francesco Cancellato su Linkiesta del 17 dicembre 2018.
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[segue da LinKiesta del 17 dicembre 2018]
Domande giuste, risposte sbagliate. Non fosse controproducente (per loro), sarebbe lo slogan perfetto per raccontare il Movimento Cinque Stelle. Soprattutto, è lo slogan perfetto per raccontare la sua “misura bandiera”, quel reddito di cittadinanza che ancora ieri sera è stato oggetto di trattative all’interno della maggioranza e – si dice – di un’ulteriore sforbiciata nelle risorse a esso destinate, circa 9 miliardi di euro all’anno, a regime.
Forse sarebbe il caso di partire dalle domande giuste. Una, in particolare: quella dell’allora Comunità Economica Europea che nel 1992, con la Direttiva 441 ci raccomandava di «riconoscere, nell’ambito d’un dispositivo globale e coerente di lotta all’emarginazione sociale, il diritto fondamentale della persona a risorse e a prestazioni sufficienti per vivere conformemente alla dignità umana e di adeguare di conseguenza, se e per quanto occorra, i propri sistemi di protezione sociale ai principi e agli orientamenti esposti in appresso». In parole molto povere, un ammortizzatore sociale universale che venisse dato a chiunque avesse perso o stesse cercando un lavoro.
Chi più, chi meno, gli hanno dato retta tutti, da allora a oggi. Tutti tranne noi e la Grecia, per la precisione. Che abbiamo continuato a parlarne, da destra a sinistra, per una ventina d’anni, senza combinare un bel nulla, che sussidi universali e salari minimi piacciono poco sia ai sindacati, sia agli industriali. Fino a che il Movimento Cinque Stelle non l’ha rimesso al centro della scena con un colpo di marketing da manuale: quello di cambiarle il nome in reddito di cittadinanza, nome che evoca soldi a pioggia sparati da un elicottero, e che i miliardari californiani che tanto piacciono a Beppe Grillo evocano a loro volta per controbilanciare scenari da fine del lavoro. Risultato? Anche grazie al reddito di cittadinanza – o come diavolo lo volete chiamare – i Cinque Stelle prendono il 32% dei voti, finiscono al governo e si ritrovano a dover realizzare quel che avevano promesso, reddito compreso.
Ora tocca alle risposte sbagliate. A cominciare dalle risorse, contemporaneamente troppe e troppo poche: troppe per chi riceve il sussidio, troppo poche per i centri per l’impiego che dovrebbero trovare a queste persone un lavoro per rimettersi in gioco. Lo hanno dimostrato Chiara Giannetto, Mariasole Lisciandro e Lorenzo Sala in un articolo apparso su LaVoce.info: non esiste Paese europeo in cui il sussidio coincida con la soglia di povertà come invece dovrebbe accadere in Italia, con l’importo che coincide all’indice di povertà monetaria individuato da Eurostat nel 2014, che corrisponde al 60 per cento del reddito mediano netto, che in Italia è pari a 780 euro per un adulto single. Per questo Di Maio diceva che il reddito di cittadinanza avrebbe abolito la povertà in Italia.

Applausi? No, purtroppo. Perché nonostante la generosità, Di Maio ha costruito una misura in cui è facile rientrare e difficilissimo uscire. È facile entrare, perché basta smettere di fare fattura e improvvisamente la platea dei percettori di reddito si alza a dismisura: guadagno 1500 euro, ne dichiaro 600, lo Stato me ne regala vita natural durante 180 tutti i mesi e in più non pago le tasse su metà del mio reddito. Troppo bello per essere vero, se sei una persona disonesta. Scommettiamo? La platea, oggi stimata in 6,5 milioni di persone si amplierà di mese in mese e di anno in anno, facendo impennare verso l’alto l’attuale costo del reddito di cittadinanza. Problemi di chi verrà dopo, al solito.

Il reddito di cittadinanza costerà molto di più, perché la platea dei beneficiari si allargherà di anno in anno – e i furbetti pure – mentre di soldi per i centri per l’impiego e le politiche attive se ne vedono già oggi molto pochi. Costerà di più e servirà molto meno, perché non c’è nessun incentivo affinché i disoccupati si mettano a cercare lavoro, e i centri per l’impiego a trovarglielo
È difficilissimo uscire, al contrario, perché non ci sono incentivi a farlo, in un Paese peraltro già con la tendenza culturale – confermata da una recente sperimentazione dell’Agenzia Nazionale per le politiche del lavoro – secondo cui in Italia chi inizia a ricevere un sussidio smette immediatamente di cercare lavoro e si rimette a farlo quando sta per scadere la durata della protezione. Ecco: Il reddito di cittadinanza smette di essere caricato nel conto corrente quando una persona rifiuta la terza offerta di lavoro proposta dal centro per l’impiego. Ma se tre offerte non arrivassero mai? Non è una domanda da niente, visto quanta gente lavora in questi centri attualmente – 9000 in Italia, molto spesso dequalificati e in strutture prive persino di connessione a internet, contro i 60mila addetti in Francia e i 110mila in Germania -, e quanti soldi sono stati messi a bilancio – 1 miliardo, quando la Germania ci spende complessivamente 9 miliardi all’anno, solo per corsi di formazione e aiuto a trovare lavoro, e per ristrutturarli, una quindicina di anni fa, ne ha spesi 11 tutti in una volta sola.
Noi non abbiamo quei soldi, ribatterete voi, e dobbiamo fare il pane con la farina che ci tocca. Vero, ma allora ci potevamo tenere il reddito di inclusione e la Naspi, i due strumenti pre-esistenti per la lotta alla povertà e alla disoccupazione che c’erano già, il cui unico difetto era proprio l’assenza di politiche attive del lavoro alle spalle. Che senso aveva cambiare tutto, se non quello di vendersela alle prossime elezioni europee? Nessuno. E infatti.
Domande giuste e risposte sbagliate, quindi. Soprattutto al Sud, dove i problemi del reddito di cittadinanza da complessi si fanno endemici. Dove la disoccupazione di lunga durata è ben oltre il 50% di quella totale, dove l’occupazione giovanile e femminile è tra le più basse d’Europa, dove non vi sono né strutture, né personale adeguato per far fronte a tutto questo, né tantomeno un tessuto d’imprese desideroso di prendersi tutti i beneficiari del sussidio. Risultato? Già lo conosciamo: i centri per l’impiego finiranno per lavorare ancor meno di adesso, per evitare che il loro lavoro porti in dote qualche offerta di lavoro e il decadimento del beneficio. Ciliegina sulla torta: con l’esclusione dei residenti stranieri, in ossequio alla mediazione coi leghisti, si rischia pure l’incostituzionalità.
Ricapitolando: il reddito di cittadinanza costerà molto di più, perché la platea dei beneficiari si allargherà di anno in anno – e i furbetti pure – mentre di soldi per i centri per l’impiego e le politiche attive se ne vedono già oggi molto pochi, e a ogni giro di giostra diminuiscono di un po’. Costerà di più e servirà molto meno, perché non c’è nessun incentivo affinché i disoccupati si mettano a cercare lavoro, e i centri per l’impiego a trovarglielo. E sarà pure discriminatorio, perché lo straniero residente sotto la soglia di povertà rimarrà tale al grido di “prima gli italiani”. Domande giuste, risposte sbagliate, per l’appunto.

E’ online il manifesto sardo duecentosettantaquattro

pintor il manifesto sardoIl numero 274
Il sommario
Sardegna regno dell’aliga (Stefano Deliperi), Trasporti gratuiti? E’ solo un inizio (Fabio Tidili), Aids, la battaglia contro gli stereotipi (Gianfranca Fois), Non ce la faccio più (Amedeo Spagnuolo), La crisi dei partiti della sinistra secondo Srnicek e Williams (Gianfranco Sabattini), Turchia e dintorni. Ergenekon, un’indagine sporca (Emanuela Locci), Muretti a secco, in Sardegna quanto sangue dietro (Francesco Casula), Il futuro non è TAV (Marco Revelli), Le elezioni suppletive e il carnevale sardo (Roberto Mirasola), La catastrofe dell’abbondanza (Graziano Pintori), Lettera aperta solo per dire grazie a chi mi ha salvato (Ottavio Olita).

SA NOVENA DE PASCH’E NADALE 2018

novena-nataleSA NOVENA DE PASCH’E NADALE 2018
Iniziata ieri, domenica 16 dicembre, prosegue la Novena di Natale, che verrà celebrata tutti i giorni, alle ore 18, fino a lunedì 24 dicembre.
Anche quest’anno nella chiesa di S.AGOSTINO, in Via Baylle (con ingresso anche dal Largo Carlo Felice) la Novena viene celebrata interamente con il RITO GREGORIANO ed in LINGUA SARDA.
Sino a sabato sarà officiata da mons. Antioco Piseddu, già vescovo d’Ogliastra, successivamente da mons. Gianfranco Zuncheddu
.
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Oggi lunedì 17 dicembre 2018

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Sorpresa! Maninchedda, con 18.500 clic, candidato presidente del nulla e la Natzione sbeffeggiata a stretta minoranza. Il PDS col voto reale mostra di essere ben lontano dalla soglia di sbarramento del 5%
17 Dicembre 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
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Oggi 17 dicembre Papa Francesco compie 82 anni

Auguri!

Elettorando. Risultati delle Primarias indette dal PdS

ELEZIONI REGIONALI
Pds, è Maninchedda il candidato governatore. 20mila votanti alle Primarias. Su L’Unione Sarda online.
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paolo-maninchedda-3Un commento (a caldo) di Tonino Dessì, su fb.
sardegna bomeluzoClamoroso.
Paolo (Maninchedda) vince le “Primarias” del Partito dei Sardi ed è il candidato del PdS alla Presidenza della Regione
.
In termini numerici quasi gli stessi che lo hanno votato hanno detto SI alla consultazione sulla Natzione Sarda.
Fuori da qualche (inevitabile) tentazione ironica, va detto, per dovere di obiettività, che 15.400 voti a favore su 18.600 votanti sono, l’un risultato e l’altro, un fatto di partecipazione pubblica superiore senza paragone alle procedure di investitura seguite per tutti gli altri candidati alla Presidenza.
18.500 voti a favore della Natzione Sarda restano invece un dato che misura semplicemente se stesso: persino un po’ meno del verosimile “quadro attivo” del PdS desumibile dal voto per i candidati, visto che al “referendum” hanno dichiarato di aver partecipato persone anche di discreta notorietà altrettanto notoriamente non militanti del PdS.
Direi tutto qua, nulla di meno, ma neanche nulla di più.
L’unica domanda che credo interessi quanti osservano i fatti politici è se il PdS spenderà questa sua mobilitazione ancora dentro la coalizione politico-elettorale del csx sardo e a quali condizioni, oppure no.
Anche qui nulla di meno, nulla di più.
Però la risposta a questa domanda sarà più decisiva di ogni altra considerazione relativa all’evento
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Consigli per gli acquisti (natalizi e non solo)

salute-spa-1“Salute S.p.A.” di F. Carraro e M. Quezel, editore Chiarelettere.
Consiglio la lettura di questo libro (breve: 130 pagine; recente: 2018) a tutti, in particolare agli operatori sanitari (anche a quelli in pensione) che hanno avuto o hanno una assicurazione per malpractice e a chi ha già o pensa di fare una assicurazione sanitaria. Giuliano Angotzi.
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sanitaspa112 dicembre 2018. Conferenza con Claudia Zuncheddu-Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica e gli autori, Avv. Francesco Carraro e Massimo Quezel, dell’opera: Sanità S.P.A – La sanità svenduta alle assicurazioni. I Parte.
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sanitaspa2Presentazione dell’opera ” SALUTE S.P.A – LA SANITA’ SVENDUTA ALLE ASSICURAZIONI” di Francesco Carraro e Massimo Quezel. II Parte.
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sanitaspa3Conferenza con Claudia Zuncheddu-Rete Sarda Difesa Sanità Pubblica e gli autori dell’opera: Sanità S.P.A – LA SANITA’ SVENDUTA ALLE ASSICURAZIONI” di: Avv. Francesco Carraro e Massimo Quezel III Parte.
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[segue]

Francia. La rivolta dei gilet gialli

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di Ritanna Armeni, su Rocca

Tutto è cominciato il 17 novembre, appena un mese fa, quando in modo spontaneo, senza alcuna indicazione di partiti e sindacati, un gruppo di automobilisti è sceso in piazza per protestare contro l’aumento del prezzo della benzina e del diesel. Si erano dati appuntamento con un appello sui social e hanno manifestato, secondo le indicazioni dello stesso appello, indossando il giubbotto giallo catarifragente, quello che gli automobilisti hanno l’obbligo di tenere nella vettura.
Hanno scoperto che a protestare erano in molti e una manifestazione limitata, con un obiettivo definito, ha dato inizio a quella che molti osservatori non esitano a definire «rivoluzione» e che comunque – fuori da retorica ed esagerazioni – appare come la rivolta radicale di una parte sempre più consistente del popolo francese. Un movimento che comprende studenti, casalinghe, disoccupati, operai, pensionati, agricoltori e che in pochi giorni ha infiammato la Francia e (non solo metaforicamente) Parigi.

sono arrivati i Gilets jaunes
A qualche giorno dalla prima manifestazione è apparso chiaro che l’obiettivo non era più solo il prezzo del carburante. Il rincaro di benzina e diesel sono apparsi solo il pretesto per far emergere il malessere profondo di una Francia esasperata dal carovita e dall’esclusione, che vede, di giorno in giorno, ridursi le speranze di un miglioramento delle proprie condizioni. Un
paese reale ignorato dalla politica e dai mass media in cui, evidentemente, è cresciuto un malcontento che aspettava solo l’occasione per esplodere.
Non a caso insieme alle manifestazioni, che si sono moltiplicate e che sono arrivate dalla provincia alla capitale, alla rabbia che è sfociata anche in episodi violenti, fino all’invasione della capitale, ai roghi attorno all’Arco di Trionfo (luogo sacro per i francesi si sono allargate le richieste al governo. Alla cancellazione delle imposte sul gasolio e sulla benzina, tanto più odiose perché il loro ammontare corrisponde alla riduzione dell’imposta patrimoniale per i super ricchi (3,27 miliardi di euro), si è aggiunta la richiesta di un aumento dei salari e delle pensioni minime. E poi quella dell’apertura di stati generali della fiscalità, la richiesta di una conferenza sociale nazionale, il miglioramento di un’assistenza sanitaria danneggiata da considerevoli tagli fino a una legge elettorale proporzionale che garantisca una rappresentanza effettiva degli elettori.
Quel che oggi, ad alcune settimane dall’inizio della protesta, stupisce e pone domande agli osservatori non è tanto l’allargamento degli obiettivi e neppure la tenuta del movimento. Non è l’assenza di rappresentanti di partiti e sindacati o quella di capi, di leader, di organizzatori generali. E neppure la frequenza di episodi di violenza che i francesi deplorano, ma cui sono abituati. È piuttosto il consenso che i Gilets jaunes hanno raccolto nella popolazione francese. Questo era davvero imprevedibile. Un consenso che non si registra solo – come si è detto semplicisticamente in un primo momento – fra gli estremisti di destra del Rassemblement national di Marine Le Pen o in quelli della sinistra della France insoumise di Jean-Luc Melenchon. I sondaggi, che ormai i media diffondono quotidianamente, dicono che tre francesi su quattro approvano l’azione dei Gilets jaunes, ben il settantacinque per cento ritiene che abbiano ragione. Gli stessi sondaggi osservano che i favorevoli alla protesta sono presenti in tutti i partiti di destra, di sinistra e di centro e anche nel movimento che ha sostenuto l’elezione di Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica.
Bersaglio principale della protesta è proprio il presidente francese eletto il 15 maggio 2017 (solo un anno e mezzo fa), la sua politica e la filosofia che ispira le sue scelte. Il giovane Macron, che pareva il rappresentante di una Francia moderna che rifiutava il giogo dei partiti e della vecchia politica, in pochi mesi è crollato nell’opinione e nell’immaginario dei francesi e oggi registra il minimo dei consensi.
A pensarci bene anche questo repentino cambiamento non deve meravigliare più di tanto. Macron è stato eletto in un secondo turno elettorale in cui la maggior parte dei francesi. dandogli il voto, intendeva fermare l’onda dirompente del Front national di Marine Le Pen. Di suo – non dimentichiamolo – al primo turno aveva ottenuto solo il 24 per cento dei voti e di quei suoi sostenitori di poco più di un anno fa – dicono i sondaggi – la metà oggi è d’accordo con la protesta dei Gilets Jaunes.
Emmanuel Macron è oggi considerato il presidente dei ricchi che ha colpito la classe medio bassa e non ha tenuto in nessun conto le sue difficoltà. Le promesse elettorali, secondo la gran parte dei francesi, sono state disattese; il rilancio dell’economia non c’è stato; all’opposto parti considerevoli della popolazione hanno registrato un impoverimento e una divaricazione rispetto alla Francia dei ricchi e dei potenti.
I Gilets Jaunes hanno portato alla luce una difficoltà economica che – come del resto in molti altri paesi europei e non solo – è diventata senso di esclusione dai benefici sociali, di estromissione dalle scelte politiche e crollo di speranza. E, quindi rabbia. A chi li rimprovera di non appoggiare le scelte ecologiste che salvano il futuro, i Gilets Jaunes rispondono che il loro problema è il presente, che l’ecologia è un problema dei ricchi, loro, i poveri, hanno quello di arrivare alla fine del mese. Hanno ragione o torto? Sicuramente ha torto chi finora li ha ignorati.
Ora Macron viene invitato esplicitamente a dimettersi non solo da loro. Ed è chiaro che le prossime elezioni europee, dopo le sconfitte elettorali di Angela Merkel e il crollo di fiducia nel presidente francese, per il fronte europeista divengono ancor più difficili.
Il governo francese comincia a rendersene conto e ha annunciato la sospensione della tassa sui carburanti. Bastera?
Ritanna Armeni
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rocca-24-2018

ReSiStiamo Umani!

Pierpaolo Loi
pier-paolo-loiIeri pomeriggio da Piazza Garibaldi fino a Piazza Yenne più di mille persone hanno manifestato per affermare i valori umani perenni: il rispetto, l’accoglienza, la solidarietà e la fratellanza fra tutte le persone, senza pregiudizi di etnia, genere, cultura, condizione sociale, religione; per contrastare il dilagare quotidiano di offesa, odio, rifiuto, respingimento di chi è considerato diverso.
Nel mio breve intervento alla fine della manifestazione ho espresso questo concetto: siamo chiamati a una nuova resistenza perché la frontiera dell’umano viene valicata nel versante della disumanizzazione, nel non riconoscere nell’altro che mi viene incontro – da qualunque parte del mondo provenga e in qualunque situazione si trovi a vivere – un fratello a cui tendere la mano, riconoscendo me stesso in lui. Avvolto dalla bandiera della pace del Movimento nonviolento, ho portato sul petto un piccolo cartello con la scritta: “Rete Radiè Resch di solidarietà internazionale (la mia associazione di riferimento) – La solidarietà non è reato”.
(foto di Sandro Martis). ReSiStiamo Umani!
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