Monthly Archives: novembre 2018
25 novembre Giornata mondiale contro la violenza sulle donne
- Approfondimenti.
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Sei bella.
E non per quel filo di trucco.
Sei bella per quanta vita ti è passata addosso,
per i sogni che hai dentro
e che non conosco.
Bella per tutte le volte che toccava a te,
ma avanti il prossimo.
Per le parole spese invano
e per quelle cercate lontano.
Per ogni lacrima scesa
e per quelle nascoste di notte
al chiaro di luna complice.
Per il sorriso che provi,
le attenzioni che non trovi,
per le emozioni che senti
e la speranza che inventi.
Sei bella semplicemente,
come un fiore raccolto in fretta,
come un dono inaspettato,
come uno sguardo rubato
o un abbraccio sentito.
Sei bella
e non importa che il mondo sappia,
sei bella davvero,
ma solo per chi ti sa guardare.
Alda Merini
Elezioni
Elezioni regionali, dall’impegno contro il centrodestra alla convergenza intorno al principio dell’autodeterminazione
di Fernando Codonesu
Da alcune settimane su questo blog, sull’onda lunga oltre di due anni di impegno sul fronte politico, democratico e culturale che contraddistingue l’attività del Comitato di iniziativa costituzionale e statutaria, ad iniziare dal tema del lavoro su cui abbiamo concentrato larga parte del nostro tempo e delle nostre energie, abbiamo ripreso a parlare delle ormai prossime elezioni regionali.
Su iniziativa del CoStat venerdì 23 si è svolta a Cagliari una importante assemblea dibattito sulla scadenza elettorale invitando ad un confronto le forze politiche che hanno votato NO al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, con esclusione di quelle di centrodestra, con l’auspicio che si trovino terreni unitari di confronto, per aggredire la crisi che sembra non finire mai, che è certo crisi economica, ma anche crisi politica di rappresentanza e difficoltà di identificazione in un partito, in uno schieramento o in un movimento di un elettorato, quello sardo, che per metà non vota più.
Ha introdotto il dibattito Andrea Pubusa che ha, tra l’altro, toccato i temi principali che dovrebbero caratterizzare l’attività politica del Consiglio regionale: lavoro, economia, riequilibrio e sviluppo territoriale, welfare, riforme istituzionali, neocentralismo regionale, ecc.
Dal mio punto di vista è doveroso prima di affrontare gli aspetti principali del dibattito riprendere uno dei punti più significativi sviluppati da Gianfranco Sabattini che, con il rigore scientifico che lo contraddistingue, il 21 novembre in un suo intervento su questo blog ci ha ricordato che i risultati di due recenti ricerche demoscopiche dell’Università di Cagliari mostrano che per i sardi “i problemi prioritari sono quelli di carattere economico-sociale e non quelli di carattere etnico-cultural-territoriale; di fronte alla richiesta di esprimere le loro preferenze (con l’assegnazione di un punteggio, in una scala da 1 a 10, sulle priorità d’intervento riferite a diversi settori: Identità e cultura, Economia, Lavoro, Trasporti e infrastrutture, Riforme e istituzioni, Ambiente e territorio, Welfare, Sicurezza) i risultati hanno evidenziato la massima priorità assegnata al Lavoro, seguito da Trasporti e infrastrutture, Economia, Sicurezza, Welfare, Ambiente e territorio; penultimo il settore Identità e cultura e, ultimo, il settore Riforme e istituzioni”.
Bisogna far tesoro delle rilevazioni oggettive e approfondite che vengono da fonti autorevoli.
Detto questo, che ci impegna al rispetto della realtà e delle priorità maggiormente sentite dalla popolazione sarda, credo che sia indispensabile riconoscere alla politica che si occupa del bene pubblico e soprattutto alle forze politiche nostre interlocutrici del dibattito che abbiamo promosso, il diritto-dovere di osare, di superare i vincoli attuali che comprimono le aspirazioni di un popolo che intende essere nazione e che lavora per una sua collocazione ben definita all’interno dell’Europa. Si tratta di appunto di intravedere un percorso di superamento dei vincoli attuali, senza fretta e senza forzature perché la lezione che ci viene dalla storia e da esperienze recenti in campo europeo, prima di tutte l’esito del referendum catalano, suggeriscono un cammino che risponda alle esigenze espresse dai sardi come ci ha ricordato Sabattini e sia il risultato di una sperimentazione di lunga durata sul campo, per una politica che crei innanzitutto consenso per evitare che una minoranza, per quanta vasta, colta e per certi versi agguerrita, pensi di potersi imporre alla maggioranza dei cittadini. Le istituzioni, il governo e il potere si ottengono solo con una lavoro lungo e faticoso, nel rispetto delle regole, senza scorciatoie e proponendo uno scenario, ancorché non facilmente percorribile, sicuramente ricco di suggestione e tale da poter convogliare importanti energie della nostra isola verso una prospettiva comune.
Di questo si è parlato nel nostro incontro.
I protagonisti del dibattito, Andrea Murgia candidato presidente di AutodermiNatzione, Gianni Marilotti per il M5S, Claudia Zuncheddu di Sardigna Libera, Roberto Mirasola di Sinistra Italiana, Giovannino Deriu di Potere al Popolo e Paolo Maninchedda del Partito dei Sardi, hanno avuto modo di riprendere alcuni dei temi introdotti da Pubusa, sviluppare le loro proposte e rispondere ad interventi e domande del pubblico.
Le aree politiche rappresentate nel dibattito erano fondamentalmente due: una vasta area dell’autodeterminazione e dell’indipendentismo rappresentata da Murgia, Zuncheddu e Maninchedda, due formazioni a sinistra del PD rappresentate da Mirasola e Deriu e una forza di governo, il M5S rappresentato da Marilotti.
Da anni sono convinto che in Sardegna ci siano le condizioni per una vasta convergenza di forze politiche, gruppi, associazioni e singole personalità che si rifanno agli stessi principi cardine, che guardano ad un necessario avanzamento e superamento dell’autonomia regionale che, per molti aspetti, non ha nemmeno saputo attuare lo Statuto, ad un ruolo della Sardegna in quegli Stati Uniti dell’Europa che avevano pensato alcuni dei suoi padri fondatori.
Una convergenza, si badi bene, non di facciata e frutto di cartelli elettorali dell’ultima ora, ma che si radichi in un lavoro comune nei territori perché è di questo che c’è bisogno, perché un’area politica che si riconosce in un unico raggruppamento ha una forza d’urto e di cambiamento maggiore della somma delle singole componenti, una capacità di attrazione dell’elettorato senza pari, decisamente superiore a quella derivante da qualunque cartello elettorale o giustapposizione insiemistica di sigle partitiche.
Fatti salvi i vincoli nazionali del M5S per cui non si fanno alleanze, tema però non chiuso nemmeno da Marilotti che ha anzi ribadito la necessità che il M5S discuta e affronti questo tema, è risultato evidente nel dibattito di ieri che tutti stanno cercando di superare le divisioni e le diffidenze reciproche. Così è stato a partire dall’area dell’autodeterminazione e dell’indipendentismo e così è anche per le due forze rappresentate da Deriu e Mirasola.
In questo senso sono state molto significative le aperture reciproche registrate soprattutto nella seconda parte del confronto, ad iniziare da Maninchedda che chiude dicendo che “le porte sono aperte fino all’ultimo minuto” e passando per gli appassionati interventi di Murgia per la soluzione dei tanti problemi della Sardegna, così come dell’avviso da parte di Deriu di non basarsi sul “programmismo” o sull’appello al voto utile. Le risposte concrete sono venute anche da Claudia Zuncheddu con il suo approfondimento sul sistema sanitario e da Mirasola che ha concentrato il suo ragionamento proprio sulle possibili convergenze.
Oggi conosciamo anche gli altri candidati presidente: Solinas su indicazione di Salvini per il centrodestra e Zedda che mette la sua faccia su un centrosinistra gattopardesco e trasformista come non mai. Di Pigliaru non si parla più: è scomparso anche come nome dal dibattito politico. Eppure Pigliaru è padre, figlio e fratello di ciascuno dei componenti della maggioranza in carica!
Non sappiamo se Pili e il suo movimento Unidos si presenteranno da soli, ma in tal caso Pili non entrerà in Consiglio a causa della legge elettorale pur superando la soglia della lista unica, oppure se preferirà far parte dello schieramento di centrodestra (ad oggi non è presente nell’elenco delle varie sigle componenti) avendo più di una chance di entrare in Consiglio dal portone principale.
In ogni caso è utile ricordare che una elezione si affronta con i numeri e se consideriamo le soglie di sbarramento del 5% per l’unica lista e del 10% per le coalizioni, a me pare evidente che un’unica lista che comprenda tutte le aree politiche presenti al dibattito di ieri, ovvero una lista che comprenda PDS, AutodetermiNatzione, Sardigna Libera, Sinistra Italiana (la componente alternativa a Zedda e al PD) e Potere al Popolo, avrebbe una forza dirompente, sarebbe capace di attrarre voti anche in larga parte dell’astensione e dell’area democratica, e conseguirebbe una larga rappresentanza in Consiglio regionale fino a poterne condizionare l’agenda politica.
In base al dibattito di ieri, che finalmente si è concentrato sui temi politici e non sui personalismi, credo che ci siano tutte le condizioni per lavorare unitariamente su un’unica lista, ma se proprio ciò non fosse nelle corde di qualcuno, che almeno si ragioni in termini di coalizione.
Sono i temi che uniscono. E’ il lavoro comune nei territori che può creare sintonie, affinità, modi di sentire e di vedere il mondo con uno scenario così ampio da valorizzare anche sensibilità differenti. Con il lavoro comune sperimentato nel tempo e direttamente nella risoluzione dei problemi che viviamo quotidianamente si possono superare le diffidenze reciproche e costruire una comune prospettiva di progresso per l’intera regione.
Personalmente lavorerò in questa direzione perché ritengo che la cosa più sbagliata da fare sia che ognuno vada incontro alle elezioni per conto proprio.
Ultimissime
REGIONALI 2019
Massimo Zedda, l’annuncio:
“A disposizione dei sardi”
Le parole del primo cittadino di Cagliari per la sua candidatura alle Regionali
Su L’Unione Sarda.it.
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IL CENTRODESTRA
Solinas acclamato candidato presidente al congresso del Psd’Az
Il senatore al 34esimo congresso sardista: “La parola d’ordine è insieme”
Su L’Unione sarda.it
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Regionali 2019, scendono in campo Christian Solinas e Massimo Zedda: i giovani volti della vecchia politica.
Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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Con la candidatura di Massimo Zedda per la colazione del centro-sinistra il quadro va semplificandosi. Speriamo che i partiti e i movimenti che si ispirano ai principi dell’autoderminazione, dell’indipendentismo e dell’autonomia e le formazioni a sinistra del Pd e del centro sinistra trovino un accordo per una presentarsi insieme. Tutto è possibile, ma in questo caso (presenza sull’agone elettorale di Cs, Cd, M5S e Pds/Autodeterminatzione/Potere al popolo/altri) potrebbe accadere che nessuna formazione prenda il 25% e che perciò si ricada nel sistema proporzionale. Con la possibilità di creazione di coalizioni di governo tra gli schieramenti che vogliono praticare il cambiamento. Per ora è solo un auspicio.
Astensionismo. Il dato dell’astensionismo in Sardegna (ultime elezioni politiche) è di poco sotto il 40% e sarebbe destinato ad aumentare. Sarebbe necessario invece diminuirlo di almeno un 10%, auspicabilmente a vantaggio delle forze che più si battono per il cambiamento.
Dibattito sull’Europa che c’è e su quella che vorremo
POPOLARI, NON POPULISTI
23 novembre 2018 by Forcesi | 0 comments
Leonardo Becchetti, “Essere popolari senza essere populisti” (Avvenire). Andrea Carugati, “I tre programmi dei tre candidati alla guida del Pd” (La Stampa). Ciccio Ferrara, “Perché Zingaretti è una buona carta per la sinistra” (Manifesto). Matteo Renzi, “I populisti mandano l’Italia a gambe all’aria. E’ l’ora di un’alternativa” (Foglio). Due commenti politici di Franco Monaco: “Pd, falsa partenza verso il congresso” (Il Fatto), “Convulsioni penta stellate” (Huffington post). Piero Ignazi, “I Democratici al bivio” (Repubblica). Nadia Urbinati su Matteo Salvini: “La gogna istituzionale” (Repubblica). Un bel saggio di Claudia Mancina: “Europa e immigrazione, la questione dell’identità” (libertà eguale).
Europa e immigrazione: la questione dell’identità
di Claudia Mancina su Libertàeguale
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Euro Euro Europa Europa
La difficile soluzione dei problemi dell’euro
Gianfranco Sabattini*
Per la maggior parte degli europei, il progetto di unificazione del “Vecchio Continente” ha rappresentato l’evento politico più importante e più coinvolgente verificatosi dopo la fine del secondo conflitto mondiale; ne è prova il fatto che chi manifesta l’ipotesi che un qualche aspetto importante della sua realizzazione possa fallire sia considerato una sorta di eretico, meritevole d’essere esposto al pubblico ludibrio. A volte, però, come nella fase attuale, la realtà presenta, anche se non per tutti, situazioni critiche, quali sono quelle connesse con il malfunzionamento del sistema monetario dell’Unione. Questo, per via della sua crisi, è infatti la fonte delle principali tensioni che caratterizzano in negativo, non solo le relazioni tra gli Stati membri, ma anche quelle tra le diverse parti politiche e sociali all’interno di ciascuno di essi.
L’esperienza è valsa a dimostrare che l’attuale sistema monetario europeo, fondato sull’euro, malgrado i continui aggiustamenti che vi sono stati apportati dopo la sua adozione, non è sostenibile nel lungo periodo, se si pretende di governarne il funzionamento sulla base delle regole originariamente stabilite; ciò, non solo per ragioni puramente economiche, ma anche e soprattutto, per gli alti costi che il suo malfunzionamento fa ricadere su ampie fasce della popolazione europea e, sul piano politico e sociale, per la formazione di partiti politici che, con il loro estremismo, oltre che rendere difficile l’adozione di riforme appropriate, tendono a minare la democrazia all’interno dei Paesi membri dell’Unione Europea (UE) maggiormente colpiti dalla crisi dell’euro.
Per una larga schiera di economisti di chiara fama (molti dei quali insigniti del premio Nobel per l’economia), questa crisi è dovuta al fatto che le élite politiche ed burocratiche europee hanno commesso l’errore di pensare che l’integrazione politica dei Paesi membri dell’UE si potesse realizzare attraverso la costituzione di un’unione monetaria e la condivisione di una moneta unica. I fatti, seguiti alla Grande Recessione scoppiata nel 2007/2008, hanno però dimostrato che, per salvare l’eurozona e l’euro, occorreranno significative riforme, idonee a garantire che il progetto europeo possa avere ancora un futuro.
L’obiettivo dell’unificazione potrà essere perseguito con successo, se si riuscirà a partire dalla semplice considerazione che, tanto l’eurozona quanto l’euro sono una costruzione dell’uomo; per cui la loro definizione e il loro funzionamento non sono l’esito immodificabile di leggi di natura. Ciò significa che possono essere riscritte le regole originariamente adottate, se si vorrà realmente arrivare ad una ripresa del processo di unificazione, sorretto da una maggiore condivisione sociale, come esito di una volontà democratica forte ed una maggiore condivisione sociale della ripresa del processo di unificazione dell’Europa all’interno dei singoli Paesi membri: due condizioni, queste, giudicate indispensabili al fine di consentire all’UE di ritrovare lo slancio per il conseguimento dell’obiettivo originario.
Secondo la larga schiera di economisti di chiara fama della quale si è detto, l’errore di base commesso nel momento in cui è stata costituita l’eurozona è stato principalmente quello di aver scelto l’euro come moneta unica, in assenza di istituzioni idonee a consentire ad un’area economica diversificata, com’era l’Europa, di riuscire a governare le relazioni economiche tra i Paesi aderenti. Gi eventi seguiti alla Grande Recessione iniziata nel 2007/2008 dimostrano la fondatezza delle previsione; l’errore commesso però, si osserva, è il sintomo dei limiti intrinseci alla natura dell’euro e non la causa della sua crisi, a seguito della quale le istituzioni europee hanno intrapreso un insieme di provvedimenti, il cui impatto sulla crisi è stato positivo solo nel breve periodo. L’euro era stato adottato per favorire l’integrazione economica e politica dell’Europa, un obiettivo frustrato dalla sopravvenienza di varie altre crisi: problema dell’immigrazione, la temuta (poi verificatasi) uscita della Gran Bretagna dell’UE, la minaccia terroristica ed altre ancora; ma le regole poste alla base del funzionamento dell’euro non hanno consentito ai Paesi europei di poter affrontare l’insieme di questi eventi critici in maniera adeguata.
A parte le nuove emergenze, occorre tener presente che, sul piano del governo della moneta unica all’interno di una data area finanziaria, qual era l’eurozona, sarebbe stato necessario che la Banca Centrale Europea (BCE), costituita appunto per il governo dell’euro, non si limitasse a fissare i tassi d’interesse per l’intera area, ma si comportasse anche come “prestatore di ultima istanza” per le banche operanti all’interno dell’eurozona, assicurando a queste la liquidità necessaria per garantire uno stabile funzionamento dell’intera economia europea. A questo fine, la politica monetaria della BCE risultava uno strumento essenziale; nelle fasi negative del ciclo economico riguardante l’intera area dell’euro, infatti, la BCE, in quanto prestatore di ultima istanza, avrebbe potuto stimolare l’economia e supplire alle deficienze dei mercati reali, abbassando i tassi d’interesse per facilitare l’accesso al credito. Nel momento della sua costituzione, però, alla BCE il potere di prestatore di ultima istanza non è stato assegnato.
In conseguenza di ciò, i singoli Paesi aderenti all’area finanziaria comune, non potendo più modificare unilateralmente il tasso di cambio rispetto all’estero, hanno perso la possibilità di governare nel modo più conveniente i loro flussi di esportazione e di importazione. Tale perdita doveva indurre i “costruttori” del sistema-euro a pensare che, nel tempo, qualcosa nelle relazioni economico-finanziarie dei Paesi aderenti all’eurozona “poteva andare storto”: ciò perché, i singoli Stati, con la perdita della loro sovranità riguardo al controllo dei propri tassi d’interesse e di cambio, non sarebbero più stati in grado di effettuare gli aggiustamenti che le fasi negative del ciclo economico potevano rendere necessari.
I costruttori del sistema-euro, infatti, avrebbero dovuto tener conto del fatto che quando un Paese rinuncia al controllo dei propri tassi d’interesse e di cambio può andare incontro a molte situazioni di crisi, implicanti costi economici e sociali il cui livello è legato al “grado di similitudine” delle strutture produttive dei Paesi aderenti all’area della moneta unica. Poiché l’eterogeneità delle economie di tali Paesi era un fatto evidente ai costruttori del sistema-euro, l’alta consistenza dei costi doveva necessariamente apparire loro insostenibile rispetto a quanto l’UE era disposta a partecipare solidaristicamente alla loro copertura nel caso si fosse verificata una situazione di crisi.
Se i Paesi aderenti all’area-euro fossero stati sufficientemente omogenei rispetto alle loro strutture produttive, sarebbero stati esposti agli stessi shock causati da una diminuzione delle loro esportazioni verso l’estero e, quindi, le misure adottate per affrontare la situazione recessiva sarebbero andate a vantaggio di tutti e non solo, o di pochi, fra essi. I costruttori del sistema-euro hanno, sì, considerato le differenze strutturali esistenti fra i vari Paesi, ma hanno pensato di costruire uno “scudo” protettivo contro le eventuali crisi, approvando, nel 1992, il Trattato di Maastricht, che ha imposto ai Paesi aderenti alla moneta unica un insieme di “criteri di convergenza”. Con tale Trattato, ai singoli Paesi è stato richiesto, da un lato, che il deficit pubblico di parte corrente non superasse il 3% del PIL e, laddove fosse risultato maggiore, venissero adottate misure di politica volte a diminuirlo in modo continuo sino a raggiungere un livello prossimo al 3%; dall’altro lato, è stato stabilito che il debito pubblico consolidato non dovesse superare il 60% in rapporto al PIL e, quando fosse risultato maggiore, venisse ridotto in misura sufficiente sino a livellarlo al valore di riferimento.
Sulla base di questi criteri, se rispettati, il Trattato prevedeva che sarebbe stato possibile raggiungere all’interno dell’intera area dell’UE un alto grado di stabilità del sistema dei prezzi, con un tasso di inflazione non superiore all’1,5%; in ogni caso, prossimo a quello dei tre Stati membri che avessero conseguito i migliori risultati in termini di stabilità dei prezzi nell’anno precedente quello di esame della situazione propria di ciascuno Stato.
Assieme ai Paesi aderenti all’area-euro si sono mossi all’unisono anche quelli che non ne facevano parte, per rispettare i criteri di convergenza stabiliti a Maastricht e per rafforzare l’impegno di tutti Paesi al rispetto di tali criteri è stato sottoscritto, nel 1997, da tutti i Paesi membri dell’UE, un Patto di stabilità e crescita, col quale è stato introdotto l’impegno di tenere “sotto controllo” le politiche nazionali di bilancio.
Quale sia stato l’effetto perverso del meccanismo attivato dal rispetto dei criteri di convergenza, di stabilità e crescita è ormai nell’esperienza di tutti; in particolare, degli italiani. Per effetto della rigida osservanza dei criteri restrittivi imposti alle politiche di bilancio degli Stati, sono entrati in crisi anche Paesi che non avevano problemi di deficit pubblici di parte corrente e che presentavano limitati debiti pubblici consolidati (come, ad esempio, Spagna e Irlanda), mentre alcuni partner dell’eurozona, tra i quali L’Italia, non sono riusciti ancora oggi ad adeguarsi agli effetti dello shock provocato dalla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007/2008.
Questi Paesi, infatti, senza sperimentare né stabilità e né crescita, hanno approfondito, con il peggioramento del deficit commerciale delle partite correnti, la loro divergenza rispetto a molti degli altri partner dell’area-euro. Ma anche questi ultimi non sono riusciti a sottrarsi agli esiti negativi delle loro eccedenze commerciali; essi, infatti, producendo più di quanto non consumassero (com’è accaduto, ad esempio, in Germania) sono andati incontro a forti squilibri, in quanto la loro minor spesa finale non è stata compensata per intero da una maggior spesa da parte dei Paesi deficitari verso il resto dell’area-euro, con il risultato di un indebolimento complessivo della domanda globale interna all’eurozona.
I Paesi eccedentari hanno considerato i loro surplus commerciali e i lori risparmi come conseguenza di comportamenti virtuosi, maturando il convincimento che anche gli altri partner dell’eurozona dovessero conformarsi ed orientare le loro economie verso le esportazioni, per supportare la crescita e i livelli occupazionali. Ma il mondo economico di oggi, come sostiene la quasi generalità degli economisti, non funziona in questo modo: se l’insieme dei Paesi dell’eurozona (ma non solo) è caratterizzati da una domanda aggregata che rallenta la crescita e deprime i livelli occupazionali, la carenza di tale domanda è destinata a divenire la causa di una stagnazione non ciclica, ma secolare, cioè di lungo periodo.
Per garantire condizioni di stabilità economica e finanziaria all’eurozona, i costruttori del sistema-euro non avrebbero dovuto fissare solo criteri di convergenza sul piano delle politiche di bilancio, ma anche criteri per contenere e ridurre le eccedenze commerciali,al fine di salvaguardare un equilibrato e stabile funzionamento del sistema reale europeo. La tesi dell’establishment prevalente a livello europeo, secondo cui la situazione di crisi di alcuni Paesi dell’area-euro (tra i quali l’Italia) sarebbe stato l’alto indebitamento pubblico (sia corrente, che consolidato), è falsa, o quantomeno erronea. I Paesi in crisi, infatti, pur “avendo tirato la cinghia” per l’attuazione di una rigida politica di austerità, hanno dovuto sperimentare una mancata crescita ed alti livelli di disoccupazione. Ciononostante, l’ideologia ordoliberista ha perseverato, nonostante le smentite esperenziali, nel rifiutare di riconoscere i reali motivi dello scoppio della Grande Recessione; sebbene i criteri di convergenza fissati con il Trattato di Maastricht e il Patto di stabilità e crescita fossero stati adottati per favorire la convergenza delle strutture produttive dei Paesi dell’eurozona, in realtà, le differenze che già esistevano nel momento in cui veniva avviato il sistema-euro sono addirittura aumentate.
In conclusione, l’adozione dell’euro avrebbe dovuto favorire l’integrazione politica e la realizzazione del progetto originario di unificazione europea; i costruttori del sistema-euro hanno pensato che sarebbe stato possibile realizzare tale progetto sulla base delle regole da loro fissate, che invece hanno interrotto il processo d’integrazione, aggravato le differenze strutturali tra i Paesi aderenti all’euro (e, in generale, tra tutti i Paesi dell’UE) e favorito al loro interno la nascita e la diffusione di movimenti euroscettici (nel peggiore dei casi, contrari alla conservazione della moneta unica).
Per contrastare i movimenti contrari all’euro, da tempo si susseguono proposte di riforma che, se accettate, potrebbero consentire, non solo la conservazione dell’euro, ma anche la ripresa del processo di integrazione politica dell’Europa comunitaria. Sennonché, tutte queste proposte sono osteggiate dagli establishment europei dominanti, i quali preferiscono la conservazione dello status quo, nella prospettiva di poter esercitare, attraverso una UE “zoppa” e in crisi, un ruolo globale più determinante nel decidere gli equilibri tra i vari protagonisti del governo dell’economia mondiale. Così, la persistente crisi dell’euro e la mancata possibilità di sconfiggere la disaffezione alla sua conservazione all’interno dei Paesi maggiormente in crisi rendono difficile e stentata, dentro o fuori dall’euro, qualsiasi politica volta a porre rimedio alla “disastrata” situazione economica e la realizzazione di una politica distributiva condivisa del prodotto sociale, rendendo complessa la vita politica di quei Paesi che, come l’Italia, hanno maggiormente risentito in negativo degli esiti della Grande Recessione.
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Oggi
sabato 24 novembre
[segue dettaglio programma odierno]
Oggi sabato 24 novembre 2018
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Sono un disoccupato cinquantenne e vi parlo di lavoro e reddito cittadinanza
24 Novembre 2018
Su Democraziaoggi.
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“C’è del marcio in…”
Tonino Dessì su fb.
Può essere che io abbia dei pregiudizi perfino prepolitici.
Però percepisco qualcosa di sordido, nel sostegno di sarde e di sardi a Salvini.
Non c’è gran che di conveniente: ma davvero da questo trombone tronfio ed estraneo qualcuna e qualcuno si aspettano attenzioni e soluzioni per i problemi storici dell’Isola?
Si può capire che tiri aria di insofferenza a destra verso il notabilato di Forza Italia e a sinistra verso la sconfortante esperienza della maggioranza in carica.
Però non mi pare che questi aspetti siano decisivi.
Salvini incarna prevalentemente modalità di disprezzo, di aggressione, di ritorsione, anche di odio sociale, verso migranti, profughi, poveri, più in generale verso ogni soggetto in condizioni di debolezza.
Cosa si pensa che potrebbe dare di buono, una simile visione del mondo e della società?
Siccome mi pare palese che nessuno vi possa intravvedere nulla di buono, trovo sconvolgente scoprire che in tante e in tanti sostengano Salvini proprio per quello di cattivo che esprime e che evidentemente condividono.
“C’è del marcio”, (citaz.) e non è in Danimarca, ma proprio qui fra noi.
So pure che non basta l’esorcismo, l’anatema, lo sdegno più o meno vibrato.
Occorre anche qualcosa di più di una resistenza civile.
Servono ragionamenti realistici, parole di verità, testimonianze coerenti, impegno quotidiano incessante, eticità intransigente, ma esemplare e persuasiva.
Certo: occorre consapevolezza che si dovrà reggere a uno scontro duro, per il quale sarebbe utile attrezzarsi anche politicamente.
Qui purtroppo scontiamo tutta la perdurante impresentabilità delle altre rappresentanze politiche, comprese quelle di opposizione al Governo italiano, per non dire oltre quello che già quotidianamente critichiamo dell’alleato governativo della Lega.
Non è però, non può essere, non sarà motivo di resa.
I conti si faranno quando verrà il momento, perché verrà: e dobbiamo fare la nostra parte perché venga il più presto possibile, non smettendo di agire nelle condizioni date.
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Che succede?
L’ITALIA SOLA, IN UN VICOLO CIECO
23 novembre 2018 by Forcesi | su C3dem
Marco Zatterin, “Sonnambuli incontro al pericolo” (la Stampa). Francesco Verderami, “Il vicolo cieco della maggioranza” (Corriere della sera). Sergio Fabbrini, “In diciotto contro l’Italia. L’Eurozona si compatta” (Corriere della sera). Le spiegazioni di Gian Luigi Tosato: “Italia-Ue: regole di bilancio e procedure sanzionatorie” (Affari internazionali 26.10). Goffredo De Marchis, “Il Colle insiste per un negoziato tra Conte e Juncker” (Repubblica). Veronica De Romanis, “Quel che Salvini non ha capito del funzionamento dell’Eurozona” (Foglio). Romano Prodi, “L’Italia non può restare fuori dalla partita finale della Ue” (Messaggero). Emmanuel Macron, “Contro i nemici dell’Europa” (Foglio). Ezio Mauro, “Merkel e Macron, i principi feriti” (Repubblica).
Oggi il CoStat e le elezioni
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I servizi fotografici
- di Renato d’Ascanio Ticca, su fb.
- di Andrea Murru su fb.
Vivere urbano. FARE SPAZIO alle ATTIVITÀ CULTURALI
EDDYBURG » I LIBRI DI EDDYBURG
Una guida per l’azione
di MAURO BAIONI E EDDYBURG E EUTROPIA su eddyburg
Gli spazi culturali conviviali vanno difesi dove sono sotto pressione, riconquistati dove sono sottratti, rivendicati dove possono essere attivati. Qui la prima guida di eddyburg, redatta in collaborazione con eutropian, per Fare spazio alle attività culturali.
FARE SPAZIO ALLE ATTIVITÀ CULTURALI
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