Monthly Archives: ottobre 2018

Oggi domenica 7 ottobre 2018

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L’urgenza di una nuova carta autonomistica e federalista per la Sardegna.
7 Ottobre 2018

Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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Appuntamenti domenicali. Vogliamo la luna!

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Marcia della Pace Perugia – Assisi 2018

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Continua l’impegno del CoStat

Lavorare meno Lavorare meglio Lavorare tutti. demasi-renato-da-foto-varie
- Il servizio fotografico di Renato d’Ascanio Ticca su fb.

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Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Newsletter n. 114 del 5 ottobre 2018

PERCHÈ LO ODIANO

Care amiche ed amici,
(Segue)

Oggi sabato 6 ottobre 2018 con Giulia

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Oggi sabato 6 ottobre 2018

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Alfiero Grandi. Manovra: “Va bene rompere l’incantesimo della riduzione del deficit pubblico ad ogni costo ma bisogna evitare che il deficit si trasformi nel pagamento di maggiori interessi”
6 Ottobre 2018
Alfiero Grandi
Lobsnews -3 ottobre 2018, ripreso da Democraziaoggi.
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L’UE c’impone l’austerità che ha impoverito le masse popolari e il ceto medio. Che facciamo, chiniamo il capo o resistiamo?
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Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Grande partecipazione e qualità di contenuti all’Incontro-Dibattito con Domenico De Masi

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(foto di Luisa Sassu)
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Europa, Europa!

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La “spada di Damocle” della crisi dell’euro sospesa sulla “testa” dell’Europa

di Gianfranco Sabattini*

Nell’imminenza delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo si susseguono gli appelli perché le forze progressiste si organizzino, con la presentazione di liste comuni, al fine di evitare che le forze populiste e sovraniste possano diventare maggioritarie, portando l’Europa al caos e a un suo possibile punto di non ritorno. Le iniziative in sé sono certamente condivisibili; esse, però, al di là degli appelli lanciati per una mobilitazione generale contro il pericolo cui è esposta l’Europa, mancano, come si suole dire, di indicare a chiare lettere gli obiettivi da perseguire; obiettivi che, a livello di Europa, non possono che riguardare la rimozione dei “deficit” istituzionali. che, per un verso, hanno da tempo bloccato il processo di unificazione, concorrendo, per un altro verso, a favorire la diffusione di un generalizzato euroscetticismo in tutti i Pesi membri dell’Europa comunitaria, a causa delle conseguenze negative patite dalle popolazioni di tali Paesi, per via del permanere di quei “deficit”.
Le iniziative e la mobilitazione pre-elettorali si limitano infatti a formulare appelli per sconfiggere il pericolo populista e sovranista, ma mancano di valutare criticamente che la diffusione di tale pericolo è la diretta conseguenza del fatto che si sia voluto realizzare l’unificazione politica dell’Europa attraverso l’adozione di una moneta unica da parte di Paesi tanto diversi, sul piano della struttura economica, e con filosofie sociali spesso tra loro inconciliabili.
Ciò ha comportato che si vanificasse il “capitale politico” “accumulato” nel dopoguerra intorno all’idea di un’Europa politicamente unita; idea, questa, perseguita nella prospettiva che l’unificazione fosse lo strumento con cui assicurare, in condizioni di benessere, “una pace perpetua” ai popoli dei Paesi dell’Europa occidentale, anziché considerare l’unificazione politica come il risultato finale del processo di perseguimento della pace. Molti osservatori, non solo economisti, concordano ormai sulla “storia tragica” degli intenti politici pacifisti perseguiti, subito dopo la fine delle Seconda Guerra Mondiale, dai Paesi dell’Europa occidentale: intenti sacrificati, per avere voluto realizzare l’unificazione politica, partendo da ciò che avrebbe dovuto essere il “risultato finale”.
Nella speranza di poter accelerare l’unificazione politica, è stata adottata, da parte dei Paesi membri più avanzati sul piano economico, una moneta unica, il cui governo si è rivelato presto, non strumento di unificazione e di pace, ma causa di divisioni e conflitti. La causa principale dell’affievolimento dell’idea di un’Europa unita viene appunto individuata nella decisione di adottare una moneta unica, l’euro, senza la quale, si sostiene, la Comunità Europea avrebbe funzionato molto meglio.; si ritiene infatti che i più grandi successi sulla via dell’unificazione politica dell’Europa siano stati conseguiti prima che si affermasse una classe di leader europei sorretti dal proposito di portare avanti il progetto di una moneta unica, senza la preoccupazione di considerane, prima, tutte le implicazioni, sul piano economico e su quello politico.
Questi leader hanno ignorato le valutazioni formulate da molti economisti a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso: valutazione che evidenziavano innanzitutto il rischio che i vantaggi attesi dall’integrazione delle singole economie nazionali potessero trasformarsi in svantaggi, se tali economie avessero presentato, originariamente, strutture produttive completamente differenti; in secondo luogo, le valutazioni critiche prospettavano il pericolo che, in assenza di un’unità politico-istituzionale, la distribuzione dei vantaggi attesi tra i singoli Paesi venisse realizzata attraverso automatismi monetari, fuori dall’attuazione di una politica monetaria comune.
I leader politici europei, succeduti ai “padri fondatori” del progetto di unificazione dei Paesi dell’Europa occidentale, oltre che ignorare le valutazioni disinteressate degli economisti, hanno mancato di considerare anche i risultati del rapporto della Commissione Werner (1970), da loro stessi sollecitato. Tale rapporto metteva in evidenza che il governo di un’unione monetaria, conseguente all’adozione di una moneta unica da parte di un certo numero di Paesi, avrebbe richiesto che all’interno dell’area comune si accettasse una generalizzata mobilità dei fattori produttivi (in particolare della forza lavoro), quindi l’adozione di un bilancio e di una politica fiscale e monetaria comuni, con cui realizzare preventivamente l’omogeneità e la complementarità delle strutture produttive dei Paesi coinvolti nell’adozione di un’unica moneta.
Inizialmente, non sono mancate riserve sulla possibilità e opportunità che all’interno dell’area comunitaria si adottasse una moneta comune, prima che fossero rimosse le differenze strutturali; ma il sopraggiungere del crollo del Muro di Berlino ha posto improvvisamente il problema dell’unificazione tedesca, la cui soluzione col placet della Francia, veniva condizionata al fatto che il marco tedesco fosse legato alle sorti, oltre che del franco francese, anche delle altre valute europee. Le ragioni per cui è stato adottato l’euro, perciò, sono state di natura meramente politica, e non hanno tenuto in nessun conto le implicazioni economiche e monetarie negative che sarebbero inevitabilmente insorte nella regolazione delle relazioni economiche tra i Paesi aderenti all’area monetaria comune (eurozona), profondamente diversi tra loro.
Non appena insorgevano squilibri nelle bilance commerciali dei Paesi che avevano adottato la moneta comune, ci si appellava alla necessità che ciascuno di essi si attenesse ai famosi parametri di Maastricht, che stabilivano limiti all’indebitamento pubblico e al deficit corrente della pubblica amministrazione; oppure si procedeva all’approvazione di provvedimenti restrittivi, come è accaduto, ad esempio, con l’introduzione delle regole previste dal Patto di Stabilità e Crescita (un accordo, stipulato e sottoscritto nel 1997 dai Paesi membri dell’Unione Europea, per il controllo delle rispettive politiche di bilancio).
L’introduzione dell’euro, malgrado la natura politica delle ragioni che l’avevano giustificata, ha avuto inizialmente successo; ma ciò è servito solo a coprire l’insieme dei difetti che impedivano la correzione degli squilibri delle bilance commerciali dei Paesi, che avevano adottato la moneta unica, attraverso politiche monetarie attive dei governi dei singoli Stati. Ciò perché la Banca Centrale Europea, nominalmente indipendente, operava secondo una politica monetaria restrittiva, compatibile solo con il “buon funzionamento” delle più forti economie europee (in particolare di quella tedesca), che non consentivano che il riequilibrio delle posizioni di debito e credito dei Paesi aderenti all’eurozona avvenisse attraverso aggiustamenti del sistema dei prezzi interni.
Con i primi due presidenti, Wim Duisenberg e Jean-Claude Trichet, la Banca Centrale europea si è attenuta rigidamente ai canoni di una politica monetaria comune restrittiva, anche quando è sopraggiunta la crisi finanziaria della Grande Recessione del 2007/2008. E’ stato solo quando è divenuto governatore Mario Draghi, nel 2011, che la politica monetaria dell’istituto di credito centrale europeo ha iniziato a flessibilizzare la rigida condotta dei suoi predecessori.
A partire dal 2012, infatti, per affrontare le criticità dell’eurozona, Draghi ha assunto l’impegno di fare tutto il possibile (whatever it takes) per salvare l’euro; a tal fine, com’è noto, ha proceduto, prima, all’attuazione di programmi di intervento sul mercato dei titoli di Stato (denominati OMT: Outright Monetary Transactions), al fine di favorire l’omogeneo funzionamento del processo di trasmissione della politica monetaria comune in tutti i Paesi dell’eurozona; successivamente, egli ha fatto ricorso a operazioni di credito “non convenzionale” (quantitative easing), per aumentare la quantità di moneta in circolazione all’interno dell’area comune.
La politica inaugurata da Draghi è servita ad “ammorbidire” il peso della Germania (e degli altri Paesi ad economia integrata con quella tedesca) sull’azione della Banca Centrale Europea; ma le cause della crisi dell’euro non sono state rimosse, continuando ad essere motivi di scontro tra Draghi e il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Il prossimo anno Draghi potrebbe essere sostituito da qualcuno meno propenso ad attuare “whatever it takes”, per tenere ancora in vita l’euro; se dovesse accadere, per l’euro potrebbe essere realmente “l’inizio della fine”. Ciò è tanto più probabile, se si tiene conto del fatto, come osserva Danilo Taino su “La Lettura” del Corriere del 26 agosto, che le elezioni europee del 2019 “vedranno crescere nazionalismi e populisti in tutta la UE”, in grado di trasformare le istituzioni politiche e decisionali comunitarie in un condominio urbano litigioso; infatti, da anni in tali istituzioni siedono i rappresentanti dei vari Paesi aderenti all’eurozona, sempre propensi, quando si tratta di assumere obblighi comuni a sottrarsi agli impegni conseguenti, limitandosi a mostrarsi unanimi solo nel formulare dichiarazioni roboanti sul ruolo e sul futuro dell’Europa; dichiarazioni che hanno spinto qualche osservatore a definire l’Europa comunitaria attuale una sorta di “repubblica degli annunci”.
La fine dell’euro, afferma Taino, sarebbe certamente per tutti i Paesi membri, Italia in testa, un “disastro”, dovuto al fatto che “la moneta unica ha fallito nella missione di unire l’Europa”, perché l’Unione Europea, a causa degli egoismi nazionali, è stata “rinchiusa in una gabbia”, che ha ridotto l’europeismo, dalla caduta del Muro di Berlino, in un “flop storico le cui conseguenze non sono facili da immaginare”. Negli ultimi decenni, infatti, dalla caduta del “Muro” – continua Taino – gran parte delle energie mentali e politiche dell’Europa “sono state dedicate all’euro, alla sua costruzione prima e a preservarlo dalla sua crisi poi”.
Nel profondere tutti gli sforzi verso la conservazione dell’euro, così come originariamente è stato concepito, senza la preoccupazione di rimuoverne i limiti dai quali risultava affetto, è stato commesso, secondo Taino, “un peccato di presunzione che ha sostenuto l’ideologia della UE di oggi (a differenza di quella pragmatica delle origini): l’idea di essere non solo un esperimento unico nella storia, cosa che effettivamente è, ma di essere centrale nel mondo, un modello che avrebbe potuto essere replicato altrove. Fondato sulla tendenziale estinzione degli Stati [...]; sull’idea che sia stata solo la volontà degli europei a garantire decenni di pace in un continente in passato violento [...]; sul ritenere i valori usciti dal Sessantotto l’essenza dello spirito europeo; sull’illusione di essere ancora il centro del pianeta quando la globalizzazione stava rovesciando i tavoli: in sostanza sulla presunzione di poter vivere contando solo sul proprio brillate soft power, sulla convinzione che il resto del mondo avrebbe copiato il modello europeo”.
La vera resa dei conti per l’euro si verificherà, presumibilmente, con la fine del mandato di Draghi ed il venir meno della copertura politica dalla quale sinora la moneta unica è stata “assistita”. Ciò esporrà le economie deboli dell’Europa a una nuova crisi finanziaria; a questo punto sarà difficile contrastare in Germania la tesi dell’IFO (Institute for Economic Research di Monaco), da anni impegnato a sostenere che sarebbe un bene per l’eurozona se la Germania tornasse al marco. Se il successore di Mario Draghi sarà, come si prevede, il tedesco Jens Weidmann, attuale governatore della Bundesbank e oppositore di qualsiasi politica monetaria accomodante, è fondata la preoccupazioni che egli possa dar vita a una “stretta” alla politica monetaria permissiva del suo predecessore.
Se ciò accadrà, la conseguenza sarà, verosimilmente, la fine, non solo dell’euro, ma anche dello stesso progetto di unificazione politica dell’Europa. Con Weidmann, infatti, se succederà a Draghi, sarà azzerata la possibilità che si arrivi alla modificazione delle attuali regole che governano la moneta unica, in funzione del riequilibrio (attraverso la variabilità dei prezzi interni ai singoli Stati) delle posizioni delle bilance commerciali dei Paesi membri.
A questo punto, l’Europa, tornerebbe ad essere un amalgama di Stati tra loro litigiosi, esposti, come denuncia Taino, in presenza del “caos globale” oggi esistente, al rischio di diventare il “trofeo prezioso nella lotta tra un’America confusa e sempre più lontana dalla dimensione atlantica e una Cina che immagina una ‘sua’ Eurasia, cuore dell’ordine mondiale futuro, nella quale l’Europa sarebbe la penisola occidentale di un super-continente dominato da Pechino”.
Di fronte a questi scenari, decisamente poco entusiasmanti, sorprendono le reazioni al fatto che l’attuale Ministro per gli Affari europei, Paolo Savona, abbia sostenuto la necessità di una modifica dello Statuto della Banca Centrale Europea, al fine di conferire ad essa maggiori poteri per contrastare la speculazione che le istituzioni finanziarie globali hanno sinora effettuato ai danni delle economie dei Paesi europei maggiormente esposti. Le dichiarazioni di Savona sono state commentate in vario modo: come una difficoltà del governo attuale nel realizzare “molte delle sue promesse” (Ferdinando Giugliano, su Repubblica del 15 luglio scorso); oppure, in difesa dello status quo, ritenendo la Banca Centrale Europea sia già dotata dei poteri necessari per contrastare la speculazione (Lorenzo Bini Smaghi su Repubblica del 18 luglio).
Di fronte ai pericoli che si prospettano per l’Italia, i commenti come quelli sopra riportati hanno dell’inverosimile: più che esprimere valutazioni responsabili sulla necessità che lo Statuto della Banca Centrale Europea venga modificato, essi sembrano riflettere la preoccupazione che la situazione attuale possa essere cambiata e che possano essere annullati i vantaggi che dalla debolezza della moneta unica possono trarre gli speculatori finanziari.
In conclusione, chi sta lanciando appelli per avviare utili iniziative pre-elettorali, in vista del rinnovo del Parlamento europeo, dovrebbe anche promuovere il dibattito sui motivi reali per cui è necessario sconfiggere i movimenti che, a causa del malcontento sociale originato dal “cattivo” funzionamento dell’euro, possono portare al fallimento del progetto europeo, costituendo anche una minaccia di involuzione politica, sia delle istituzioni europee, che di quelle nazionali.
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* anche su Avanti! online

Il giorno è arrivato!

locandina-incontro-dibattito-del-5-ottobre-2018_001Lavoro: oggi Convegno con De Masi
5 Ottobre 2018
di Andrea Pubusa*

Giusto un anno fa abbiamo tenuto un Convegno dal titolo “Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti”. Oggi, grazie al lavoro del gruppo coordinato da Fernando Codonesu, presentiamo un bel volume che raccoglie gli atti. Vogliamo che i contributi non vengano dispersi, ma costituiscano materiale di studio e di riflessione non fine a se stessi ma per l’applicazione. Infatti, la novità, almeno in Sardegna di quell’incontro di un anno fa, è che non ci furono analisi lamentose sulla disoccupazione, ma vennero presentate e sottoposte ad esame esperienze innovative e positive anche in Sardegna. Un quadro di alcune nostre eccellenze imprenditoriali, che ci dice che anche qui, da noi, innovare si può, creare lavoro si può, che il coraggio e la fantasia paga.
Come sapete, il Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria si propone di stimolare l’attuazione della nostra Carta e del nostro Statuto speciale. Dunque, innanzitutto ci battiamo per il lavoro, inteso non solo come fattore che assicura o dovrebbe assicurare al lavoratore e alla famiglia “una vita libera e dignitosa”, ma come elemento che consente la creatività sociale dell’uomo e della donna, che permette loro di contribuire allo sviluppo della comunità e così di appagare anche i loro bisogni spirituali. Ma da questa base, indefettibile, la riflessione ha preso le mosse per andare oltre, per altre acquisizioni, talora apparentemente confliggenti, per porci i quesiti del nostro tempo sul tema: dobbiamo dare centralità al lavoro o al reddito? In fondo l’umanità non ha sempre rimpianto il paradiso terrestre? Lì non bisognava faticare per campare, nell’Eden si viveva fra piacevolezze, senza lavorare. E il socialismo, nell’immaginario del Movimento Operaio ottocentesco, cos’è se non la liberazione dall’alienazione del lavoro? E il saggio più diffuso dopo il Manifesto di Marx ed Engels non è quel libello del genero di Marx, Paul Lafargue, contro il lavoro, dove si tesse l’elogio dell’ozio?
Oggi, questa ricerca da utopica diviene sempre più reale. La robotica toglie il lavoro faticoso dalle spalle dell’uomo e lo affida alle macchine. Ecco il dilemma: siamo alle soglie della liberazione dal lavoro o di fronte a nuove schiavitù? Chi si appropria della ricchezza prodotta dalle macchine? I soliti pochi ultraricchi o ci sarà una equa distribuzione? Chi farà i lavori non meccanizzabili, quelli di minor profilo, i lavori umili? Com’è noto, tutte le innovazioni possono avere un’applicazione utile e giusta e una dannosa e ingiusta. E in questo è determinante la politica, chi dirige i processi, chi governa. Ecco perché noi non possiamo stare a guardare. Dobbiamo capire e dobbiamo lottare perché gli automatismi sono sempre apparenti e non portano mai nella direzione giusta. Non possiamo sperare in un’equua redistribuzione della ricchezza per la naturale ecoluzione delle cose. C’è e ci sarà sempre chi cuol prendersi tutta la torta. C’è il reale pericolo che le servitù e le differenze anziché scomparire tendano ad aumentare. C’è la possibilità di un mondo più ingiusto di questo.
Questi sono i dilemmi del nostro tempo. E noi, con questo convegno, vogliamo anzitutto capire. E lo facciamo con l’intervento di persone valorose della nostra Isola, ma anche con l’aiuto di uno degli studiosi più autorevoli di questi argomenti, il Prof. Domenico De Masi, che ringraziamo per la sua preziosa presenza, un anno fa e oggi, segno di amicizia, ma anche del fatto che ci troviamo dinnanzi ad uno studioso che intende la conoscenza e la scienza non fine a se stessi, sfoggio di erudizione, ma protese verso l’azione e la trasformazione sociale. E qui viene il secondo corno del problema: la lotta. L’equa ripartizione della ricchezza non può essere pensata come la distribuzione del cibo in un pranzo di gala, ma come risultato di una battaglia dura, forte. In fondo, se ci pensate, si tratta di realizzare il più antico sogno dell’umanità maltrattata e sofferente, una società di liberi ed uguali. Chiamatela, questa società come volete, ma per me è sempre quella dei miei sogni giovanili e si chiama socialismo.
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* anche su Democraziaoggi.

Oggi venerdì 5 ottobre 2018

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Dei delitti e delle pene. Quale castigo per Lucano?
4 Ottobre 2018

Amsicora su Democraziaoggi.
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Intervista sul lavoro a De Masi oggi a Cagliari
5 Ottobre 2018
Antonio Sciotto Il Manifesto del 24.3.2017, ripreso da Democraziaoggi e da Aladinews.
Domenico De Masi sarà a Cagliari al Convegno sul Lavoro, indetto dal Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria oggi 5 ottobre, ore 16,30, alla Sala Conferenze del Banco di Sardegna in viale Bonaria 33 (8° piano). Il noto sociologo sarà intervistato da Fernando Codonesu e risponderà alle domande del pubblico. Ecco un’intervista su uno dei suoi ultimi libri [l’ultimo è Il lavoro nel XXI secolo], in cui lancia un grido: «Disoccupati ribellatevi…”». L’idea del sociologo. La provocazione nel libro in questione: togliamo il 10% delle ore a chi ha già un impiego. L’Italia ha gli orari più lunghi d’Europa, per non parlare degli straordinari: si può redistribuire per l’utilità di tutti. Renzi? È liberista. Meglio Bersani che cerca il dialogo con i Cinquestelle.
[segue]

Riace e oltre

lucanoIN PRIMO PIANO
Mimmo Lucano e la disobbedienza civile
04/10/2018 – di Tomaso Montanari su volerelaluna.

Ho un amico senegalese, arrivato in Italia sei anni fa: è un clandestino. Lavora: fa il falegname. Ha un ruolo nella nostra società: a cui non nuoce in nulla, anzi alla quale giova moltissimo, con la sua dedizione, con la qualità del suo lavoro, con la sua onestà. Ma è un fantasma: uno schiavo del nostro sistema. Ma con le leggi che ci siamo dati, non c’è modo di fargli avere un permesso di soggiorno, e chissà, un giorno la cittadinanza. Abbiamo chiuso tutte le strade: e non perché siano troppi, ché anzi ci servono (in tutti i sensi). No: per la “percezione dell’insicurezza” messa a reddito da una politica ridotta all’imprenditoria della paura. Ebbene, se io potessi organizzare un matrimonio combinato per dargli la cittadinanza, lo farei. Se, pur violando qualche norma, potessi affidargli un appalto pubblico per un lavoro che fosse in grado di fare bene, non ci penserei un momento.
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Verso l’incontro-dibattito con Domenico De Masi. Domani venerdì 5 ottobre a Cagliari. Si parlerà anche di reddito di cittadinanza, ReI e dintorni.

Il sociologo del lavoro: “Il ‘reddito’ in una carta per gli acquisti? Geniale. Ce la copieranno anche gli altri Paesi”
Il professor Domenico De Masi spiega perché la misura voluta dai Cinquestelle “è doverosa per limitare la povertà in Italia”. E spiega: “E’ scandaloso che i governi precedenti non abbiano potenziato i centri per l’impiego. La Germania lo ha fatto anni fa” domenico-demasi-jpg_2126934936
Un’immagine di Domenico De Masi (ripresa da Tiscali.it)
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Oggi 4 ottobre San Francesco d’Assisi

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Lodato sii, nostro Signore
per nostro fratello sole:
in esso tu ci dai la luce
simbolo di te, Altissimo.

Giovedì 4 ottobre 2018 – Oggi San Francesco

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Massimino for president.
4 Ottobre 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
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eebb67c5-52fa-43c9-adc8-b7c2edc5b6faLavorare meno, ma con qualità.
3 Ottobre 2018.
Gavino Dettori su Democraziaoggi.
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Oggi sulla pagina della
cronaca di Cagliari
de L’Unione Sarda
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