Monthly Archives: ottobre 2018
Lavoro, lavoro
DISOCCUPAZIONE. Cercare lavoro a 50 anni.
di Sabrina Magnani, su Rocca.
In queste settimane si parla molto di povertà, si citano quasi di continuo gli oltre 5 milioni di italiani che si trovano in tale condizione. E se un milione e 600 mila sono stranieri, i restanti sono italiani privi di lavoro o con lavori sottopagati: oggi povero è molto spesso sinonimo di competenze e professionalità acquisite ma rimaste sospese nel limbo di un lavoro che non c’è, specie a 45-50 anni, quando, una volta perso, è quasi impossibile ritrovarlo.
Le storie che si potrebbero raccontare sono tante e accomunate dalle stesse dinamiche di frustrazione e alienazione, del sapersi esclusi da un contesto sociale e professionale a cui si è appartenuti, dal sapersi senza quell’autonomia e quella dignità che il lavoro dà. Tra queste vi è la storia di Paolo, cinquant’anni da poco compiuti, da dieci in cerca di un lavoro degno di questo nome e di un reddito su cui poter contare. [segue]
Ci salverà la Provvidenza?
La manovra del popolo
di Roberta Carlini su Rocca
L’hanno battezzata «manovra del popolo», e quasi tutti, come spesso succede in un mondo della comunicazione drogato dalla dittatura dei titoli e degli hashtag, questa parola chiave si è propagata senza indagare bene sul suo significato. In senso stretto, tutte le manovre sono «del popolo», sia nel senso che a dettarle sono i legittimi rappresentanti eletti dal popolo, che nel senso più ampio: è il popolo a goderne i benefici e a pagarne le conseguenze. Ma dietro questo nome c’è un sottinteso che è poi la chiave con la quale si giocherà tutta la propaganda politica di qui alle elezioni europee: il popolo contro i mercati, l’élite, l’Europa. È così? Salvini e Di Maio, con i loro prestanome più o meno riluttanti Conte e Tria, si apprestano alla battaglia del secolo per uscire dai condizionamenti che da quando è nato l’euro, e ancor più dopo la crisi finanziaria del 2012, impediscono ai governi di scegliere in libertà come formare il proprio bilancio?
I numeri sui quali si concentra la polemica sembrano dire di sì. Il rapporto tra deficit e Pil fissato programmaticamente al 2,4%, ossia un po’ più in alto di quello che era stato promesso dai passati governi e anche dal presente al suo esordio in Europa. La manovra da 37 miliardi, quasi tutti destinati a spese (reddito di cittadinanza e revisione della Fornero) e minori entrate (abolizione della clausola di salvaguardia sull’Iva, flat tax per gli autonomi) che allontanano dai sentieri di risanamento della finanza pubblica voluti dalle autorità europee. Le previsioni sulla crescita del prodotto interno lordo, così incoerenti e sballate da aver portato alla bocciatura tecnica dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Tutti i «no» che questo quadro ha ricevuto (lo stesso Upb, il Fmi, la Commissione europea) e riceverà (le odiate agenzie di rating, di qui a fine mese) si concentrano su questi numeri: e sono «no», per parafrasare il titolo di un saggio famoso dedicato all’educazione dei figli, «che aiutano a crescere»: fanno crescere il consenso elettorale dei due partiti di governo, che si sono animosamente spartiti la torta della manovra dando soddisfazione alle rispettive basi votanti.
il pericoloso non detto
Fin qui, operazione perfettamente riuscita, da parte dei «manovratori del popolo»: anche le preoccupazioni e persino il panico sullo scenario internazionale possono rinsaldare quel cemento nazionalista e patriottico sul quale si nutre la retorica dei due partiti. Ma c’è un non detto, ci sono dei numeri meno trattati e meno discussi, ma più pericolosi, che dovrebbero preoccupare anche i manovratori. Sono quelli che indicano la spesa per interessi, la punta che segnala l’enorme iceberg del debito pubblico contro il quale anche la corazzata giallonera può finire per sbattere. Tutti sanno che l’Italia ha un gigantesco debito pubblico, e che in rapporto al prodotto questo è pari adesso al 132%. Cioè abbiamo un debito più grande, e di parecchio, della ricchezza che produciamo annualmente. Questo fa sì che navighiamo nella tempesta da anni, anche in presenza di una paradossale virtù: da anni ormai l’Italia ha un avanzo primario, vale a dire che incassa più di quanto spende – se dalla spesa dello Stato togliamo quella per gli interessi. Per essere precisi, è dall’inizio degli anni Novanta del secolo scorso che il bilancio pubblico italiano presenta un avanzo primario. Nel 2012, anno della grande crisi dei debiti sovrani, c’erano solo nove Paesi dell’Ocse ad avere un surplus primario, e tra questi c’era l’Italia. Il saldo è rimasto positivo negli anni di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, e lo è ancora persino nel budget giallonero. Ma la spesa per interessi, grande quanto 2-3 manovre, va a sommarsi al virtuoso avanzo primario, lo annulla e sposta il saldo in negativo. Questa spesa era pari a 65,6 miliardi lo scorso anno: per avere un termine di paragone, lo Stato italiano spende ogni anno la stessa cifra nella scuola. Secondo le previsioni, la spesa per interessi doveva scendere quest’anno attorno ai 62 miliardi. Invece, per ammissione dello stesso governo – attraverso i numeri della Nota aggiuntiva al Def – sarà di 64,5 miliardi.
i mercati e lo spread
L’aumento non deriva da avverse condizioni meteo o da fatalità, ma dalla sfiducia che si è diffusa sui mercati sulle prospettive dell’Italia e dunque dall’aumento del premio di rischio che lo Stato italiano deve pagare a chi sottoscrive il suo debito. Le tensioni sui mercati hanno portato anche a rivedere la spesa per i prossimi anni (fonte Upb, sulla base dei dati del ministero dell’economia): almeno 3 miliardi per il 2019, 4 e 4,5 nei due anni successivi. E la stima potrebbe salire, visto che, da quando quel documento è stato scritto, i mercati hanno continuato a registrare «tensioni».
Ma cosa sono poi, queste tensioni sui mercati? È colpa degli arcigni commissari europei, che, per usare le parole di Salvini, non «si fanno una ragione» della volontà democraticamente espressa dal popolo italiano? O è colpa delle famigerate agenzie di rating, quelle che danno le pagelle al debito, e che avevano promosso a pieni voti la Lehman Brothers un giorno prima del suo fallimento? Il nuovo governo italiano è libero di pensarla e raccontarla così, e ha anche dalla sua una parte di verità: i mercati sono frequentati dalle persone, la cui razionalità è limitata dalla scarsa conoscenza di tutte le variabili e le cui aspettative sono influenzabili da previsioni che spesso si auto-alimentano; e i leader del gioco sono un pugno di soggetti potentissimi, che muovono i capitali nel mondo. Ciò non toglie che, se si è costretti a giocare in quel campo, bisogna conoscerlo e seguire le sue regole. In altre parole: se il governo italiano deve finanziare il suo debito sul mercato, non può infischiarsi di quel che lì succede.
L’aumento dello spread, prima che impaurire i piccoli risparmiatori, detentori di
mutui o stipendi fissi, deve terrorizzare i debitori, cioè in primis il governo. C’è un altro dato indicativo in proposito, ed è la fuga dei capitali dall’Italia, già in atto. Gli investimenti esteri in titoli del debito pubblico italiano sono scesi subito dopo la formazione del nuovo governo: meno 25 miliardi a maggio e 33 a giugno. Come ha scritto la ricercatrice Silvia Merler su lavoce.info, in soli due mesi i flussi in uscita sul totale degli investimenti di portafoglio in Italia hanno superato quelli registrati nei mesi estivi del 2011 (il periodo della crisi greca) e sono circa la metà del totale registrato durante l’intera crisi del 2011-2012.
Per concludere: c’è un’emergenza-debito sui mercati, che presenterà il suo conto ben prima della conclusione della farraginosa procedura di infrazione che con tutta probabilità la Commissione europea avvierà contro l’Italia. Della seconda il governo può far finta di fregarsene, e anzi può usarla per alimentare la sua propaganda e far salire la sua popolarità; ma la prima rischia di «mangiarsi» gran parte della manovra ancora prima che questa concluda il suo iter in parlamento.
un’azione redistributiva possibile
Questo vuol dire che i governi non possono far niente, se guidano un Paese debitore e dunque obbligato a presentarsi tutti i mesi sui mercati a rinnovare il suo debito? Non necessariamente. La manovra messa in atto, negli stessi giorni della nostra, dal governo spagnolo, basata su una patrimoniale sulle grandi fortune e un sostegno ai salari minimi, dimostra che un’azione redistributiva credibile può essere fatta, se coerente e finanziata con coperture reali e non con nuovo debito. Ma manovre spericolate, che abbaiano e fingono di mordere la stessa mano alla quale si va a chiedere aiuto, non possono che portare a esiti pericolosi. Lo temono gli stessi risparmiatori italiani, che stanno portando i soldi all’estero o nelle cassette di sicurezza. Salvini, Di Maio e gli economisti (o presunti tali) che li consigliano contano sul fatto che l’Italia è «too big to fail», troppo grande e importante per essere lasciata fallire. Proprio come le grandi banche che, nei loro discorsi retorici, attaccano tutti i giorni. Per qualcuna di loro però non è andata a finire bene.
Roberta Carlini
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Oggi sabato 20 ottobre 2018
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Congresso PD. Rigenerare la sinistra o conta feroce?
20 Ottobre 2018
Red su Democraziaoggi.
[Democraziaoggi] Pubblichiamo due interventi sul Manifesto, di Gianni Cuperlo e Nicola Zingaretti sul PD. Il primo intitolato “PD. Congresso del riscatto o conta feroce”, il secondo “Rigenerare la sinistra, rifondare l’Europa”.
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Domani
Oggi venerdì 19 ottobre 2018
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Riflessioni in libertà su Puddu (M5S) e dintorni
19 Ottobre 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Europa, Europa!
La Ue sovranista? Un’illusione
di Nicolò Migheli*
Il governo giallo verde nella sua guerriglia contro la Commissione europea spera che con le elezioni del giugno prossimo cambi tutto, che le istituzioni europee siano dominate dagli euroscettici e con loro disegnare nuovi equilibri.
In questi giorni si è avuta una pioggia di numeri che mettono in dubbio quelle previsioni. Le elezioni sono lontane e tutto potrebbe cambiare, ma ci sono dati che ci fanno individuare tendenze che vanno rafforzandosi.
Le elezioni bavaresi erano attese come consolidamento del sovranismo in Germania, ma non è andata così. La CSU perde la maggioranza assoluta dopo 70 anni, ma i voti persi vanno a ingrossare, in parte, il partito di destra AfD che mantiene il dato delle elezioni federali dell’anno scorso. Vi è invece ad un successo dei Freie Waelher, partito conservatore ma non xenofobo. I socialdemocratici ne escono malconci dimezzando i loro suffragi.
Con la guida di Katharina Schulze i Verdi recuperano i suffragi socialisti, coniugano sensibilità ambientali con il progetto di una società inclusiva. I risultati elettorali bavaresi andrebbero incrociati con i sondaggi sulle intenzioni di voto degli europei.
Secondo l’agenzia Politico Europe sui 705 seggi del Parlamento Europeo, i socialisti-democratici e il PPE dovrebbero perderne 100, i liberali di Alde ne guadagnerebbero 4, la sinistra di Left 7. I socialisti restano forti in Spagna, Portogallo e Romania, scendono ai minimi in Francia e Italia, resistono nei Paesi scandinavi, soffrono in Germania e nel resto del Continente. Resta l’incognita Macron dato a 21 seggi, non si sa ancora in quale gruppo parlamentare approderà.
La perdita è consistente ma non tale da imprimere un cambiamento radicale, anche perché agli euroscettici mancherà con la Brexit l’apporto britannico. Così il sondaggio di Politico della scorsa settimana.
Dati confermati da Poll of Polls che monitora le opinioni degli europei. Nelle file del PPE militano i sovranisti ungheresi di Orbán e gli austriaci di Kurtz. Questi sugli sforamenti di bilancio sono inflessibili come i tedeschi. L’Austria per il 2019 avrà un deficit pari a zero. Gli ungheresi e polacchi pur non facendo parte dell’euro hanno bisogno di una quadro finanziario tranquillo perché una parte importante del loro Pil dipende dai fondi europei e ogni turbolenza potrebbe metterli in dubbio.
Alleati di Salvini nei respingimenti purché ognuno si tenga i suoi immigrati, suoi avversari nel resto. D’altronde la prospettiva sovranista concepisce vantaggi solo per sé, è incurante dei problemi altrui.
La terza salva di numeri viene data dal sondaggio che Eurobarometro fa periodicamente sul gradimento della Ue presso i cittadini europei. Secondo quei dati la fiducia nelle istituzioni europee in tutti i paesi membri supera abbondantemente il 50%, compresa la Gran Bretagna in uscita dove raggiunge il 53%. La stessa Grecia, nonostante la cura feroce a cui è stata sottoposta, ritiene che l’adesione alla Ue sia un vantaggio. Il 62% degli europei è favorevole all’Unione. Ultima l’Italia. Il 65% dei cittadini vuole rimanere nell’euro contro il 61% degli europei. Questo dato però è contraddetto da una fiducia nell’Europa per il 44% del campione.
Dato in crescita da quando il governo giallo verde si è insediato, a giugno era solo il 30%. Come poi si leghi il voler rimanere nell’euro e nel contempo uscire dalla Ue è mistero. Il dato positivo è che la disaffezione degli italiani verso la Ue è in costante diminuzione e i mesi che ci separano dalle elezioni potranno rivelare sorprese.
A tutt’oggi, eccetto i paesi di Visegrád e l’Italia, i sovranisti hanno buoni risultati elettorali ma non tali da provocare un ribaltone europeo. Nel contempo però i numeri rafforzano la Commissione nella sua determinazione. Lo si vede con la durezza con cui sta trattando la Brexit; con il governo giallo verde non sarà da meno, anche se uno scontro troppo duro non solo favorirebbe gli euroscettici, ma potrebbe innescare una crisi sistemica dell’Unione e dell’euro dove a perderci saranno tutti. Nessuno lo vuole, si spera anche tra i leghisti e i grillini.
Certo è che aspettarsi una prossima Commissione con una declinazione sovranista e più amica di una Italia che non rispetta i trattati, non è solo illusorio ma autolesionista ai limiti del suicidio. In attesa dell’improbabile palingenesi oggi l’Italia si trova isolata con la Manovra che verrà respinta. Per questi motivi il governo amica alle amicizie interessate di Putin e Trump.
Con quest’ultimo già sorgono problemi seri. Nel Def è previsto una taglio al bilancio della difesa pari a 500 milioni, c’è chi dice un miliardo di euro. Questo dopo aver promesso in sede Nato e personalmente da Conte a Washington il raggiungimento dello stanziamento del 2% del Pil. Inoltre si vorrebbero ridurre il numero degli F35 da acquistare.
Per il presidente americano sono sgarbi insopportabili, se non si rimedia ci potrebbe essere una sua manifesta ostilità che si potrebbe materializzare sugli interessi italiani in Libia e con dazi pesanti sulle esportazioni negli Usa. Ancora una volta il sovranismo diventa un gioco degli specchi. Non ci attendono tempi semplici, sempre che ci siano stati qualche volta.
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*By sardegnasoprattutto / 18 ottobre 2018/ Società & Politica/
Elezioni sarde. Tutto si complica o si chiarisce?
[Su CagliariPad] Abuso d’ufficio: condannato Mario Puddu, candidato M5s Regionali sarde.
Da Ansa News – 18 ottobre 2018
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[Da CagliariPad] Puddu (M5S): “Dopo la condanna, ritiro la mia candidatura alla presidenza della Regione”.
Da Ansa News – 18 ottobre 2018
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[Democraziaoggi] Mario Puddu (M5S) condannato a un anno per abuso d’ufficio.
18 Ottobre 2018
Red su Democraziaoggi.
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Un commento (a caldo) di Tonino Dessì su fb. Boh. Le vicende giudiziarie dei politici non hanno mai destato un mio particolare interesse.
Detto però con franchezza, come candidatura presidenziale mi è sempre sembrata piuttosto scarsa.
Ma non darei per scontato che ne tirino fuori una migliore.
Insomma, elezioni regionali ancora più incerte.
Poi il contesto italiano pesa e peserà negativamente ancora di più.
Su tutti gli schieramenti, prevedo.
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Oggi giovedì 18 ottobre 2018
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L’idea di socialismo. Un sogno necessario.
18 Ottobre 2018
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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Poveri e povertà
Riflessioni
Un ricordo a proposito della banalità del male a Lodi
17 Ottobre 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Mai offendere i poveri
Pubblicato su Avvenire del 09/10/2018 Editoriali.
Un dibattito incompetente
di Luigino Bruni
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Presentato oggi il Rapporto Caritas Italiana 20188
DOCUMENTAZIONE 17 ottobre 2018 | Giornata mondiale di lotta contro la povertà POVERTÀ IN ATTESA
Rapporto Caritas Italiana 2018 su povertà e politiche di contrasto
Il volume “Povertà in Attesa” di Caritas Italiana si compone di due parti, il diciassettesimo Rapporto sulla povertà e il quinto Rapporto sulle politiche di contrasto. INFOGRAFICA. [segue]
Si colpisce Riace per distruggerne il modello virtuoso di accoglienza
La battaglia di Riace.
Accoglienza diffusa e programmi di integrazione.
Con lodevole tempestività e in perfetta sincronia con i “desiderata” del Ministero degli Interni, il Tribunale di Reggio Calabria ha revocato il provvedimento di arresto domiciliare per il Sindaco di Riace trasformandolo però in divieto di dimora nel paese del quale è sindaco, dove ha la residenza e la propria dimora, dove vive con i suoi familiari. Recita la giurisprudenza: “Con il provvedimento che dispone il divieto di dimora, il giudice prescrive all’imputato di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. La norma in esame è diretta a soddisfare l’esigenza cautelare di impedire l’inquinamento delle fonti probatorie e la reiterazione di reato”.
E’ questo l’ultimo atto di una vicenda preoccupante e grottesca che non può certo essere sottovalutata ne limitata alla persona del sindaco Mimmo Lucano e del suo paese. E’ in atto uno scontro politico e culturale di grande portata che vede impegnato il responsabile della principale forza di governo in difesa di un principio che sta alla base della cultura xenofoba e razzista della Lega e del ministro Salvini. Uno dei punti cardine della campagna di opinione contro gli immigrati. Il nemico non è il Sindaco di Riace, l’avversario temuto è un principio che la vicenda di Riace tende ad affermare e diffondere. L’accoglienza diffusa dei migranti è possibile, si può realizzare coinvolgendo positivamente le popolazioni locali con validi progetti di integrazione, rappresenta una valida risposta al degrado e allo spopolamento di aree geografiche degradate e di migliaia di comuni, risponde alla naturale propensione alla accoglienza e alla solidarietà di ampi strati della popolazione. Esattamente il contrario di quanto afferma la Lega e il ministro Salvini con una martellante propaganda finalizzata al contrasto dell’immigrazione, al contrasto, senza quartiere e a qualunque costo di qualsivoglia forma di accoglienza e integrazione di stranieri nel paese. L’esperienza di Riace e quelle meno note di molti altri amministratori, non fanno dormire sonni tranquilli a Salvini e a chi condivide le sue idee soprattutto perché dimostra, in maniera non confutabile, che in Italia non esiste nessuna emergenza immigrati (almeno nei termini indicati dalle campagne propagandistiche e allarmistiche della Lega) e, soprattutto, che esperienze di accoglienza diffusa e integrazione programmata sono possibili e concretamente realizzabili. Per questo motivo l’indispensabile e doverosa attività di sostegno all’esperienza realizzata dal Sindaco di Riace e la denuncia del provvedimento di divieto di dimora non possono essere episodi limitati al contesto del piccolo centro calabrese. Devono essere finalizzati alla necessità di dare vita e una più ampia mobilitazione a sostegno delle esperienze di accoglienza diffusa nei comuni e nei territori come risposta alle politiche xenofobe e razziste della Lega e del governo a guida Salvini. Diventa fondamentale l’attività di quei Sindaci che stanno sperimentando e realizzando interventi di accoglienza e integrazione nei loro territori e la diffusione di un movimento di opinione che rilanci i valori fondamentali della solidarietà e la naturale propensione all’accoglienza e all’ospitalità di gran parte della popolazione.
Oggi mercoledì 17 ottobre 2018
———-Avvenimenti&Dibattiti&Commenti———————————–
Riace: Lucano esiliato
17 Ottobre 2018
Red su Democraziaoggi.
Domenico Lucano lascia gli arresti domiciliari ai quali si trovava dal 2 ottobre scorso. E’ questa la decisione del Tribunale della libertà depositata in serata, il giorno stesso dell’udienza. Per il sindaco di Riace, però, è una vittoria a metà e molto amara. I giudici, infatti, hanno stabilito contestualmente il divieto di dimora nel comune […]
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Zingaretti, quo vadis senza discontinuità?
17 Ottobre 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Verso Nicola Zingaretti ho un’istintiva simpatia, forse per via del Commissario Montalbano. Tuttavia la due giorni di lancio della sua candidatura alle primarie Pd alla ex Dogana di San Lorenzo, a Roma, non mi ha convinto, non mi sembra adeguata a delineare una svolta della politica nazionale. Quanti si aspettano una politica […]
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