Monthly Archives: luglio 2018
Oggi Sabato 7 luglio indossiamo una maglietta rossa per un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà
Di rosso era vestito il piccolo Alan, tre anni, la cui foto nel settembre 2015 suscitò la commozione e l’indignazione di mezzo mondo. Di rosso erano vestiti i tre bambini annegati l’altro giorno davanti alle coste libiche. Di rosso ne verranno vestiti altri dalle madri, nella speranza che, in caso di naufragio, quel colore richiami l’attenzione dei soccorritori.
Oggi Sabato 7 luglio indossiamo una maglietta rossa per un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà.
E’ una campagna di ANPI, Libera, ARCI, Legambiente
Oggi sabato 7 luglio 2018
Una maglietta rossa. Di rosso era vestito il piccolo Alan, tre anni, la cui foto nel settembre 2015 suscitò la commozione e l’indignazione di mezzo mondo. Di rosso erano vestiti i tre bambini annegati l’altro giorno davanti alle coste libiche. Di rosso ne verranno vestiti altri dalle madri, nella speranza che, in caso di naufragio, quel colore richiami l’attenzione dei soccorritori.
Sabato 7 luglio indossiamo una maglietta rossa per un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà.
E’ una campagna di ANPI, Libera, ARCI, Legambiente
——————–Avvenimenti&Dibattiti&Commenti——————
C’è una sinistra da ritrovare
7 Luglio 2018
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
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Sabato 7 luglio: Sardegna gay pride
AladiNewsEstate EstateAladinews
SUOR MARTA È ANCORA VIVA .
di P.Ligio su Aladinews.
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Alle origini di Gulp – Cittàquartiere – Aladinews
Le prime esperienze giornalistiche nacquero in Parrocchia (1967).
Riprendiamoci le città
CITTÀ E TERRITORIO » CITTÀ QUALE FUTURO » PER FARE
Il diritto alla città contro il capitalismo. Ada Colau e Sadiq Khan svegliano l’Europa.
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di Daniele Nalbone su ilsalto.net
il Salto, 4 luglio 2018. Due sindaci che prendendo sul serio il loro lavoro, dichiarano di voler restituire le città agli abitanti, combattendo la speculazione e la gentrificazione. Occhi aperti su Londra e Barcellona. Ripreso da eddyburg (i.b)
«Rivendicare il diritto alla città significa rivendicare una forma di potere decisionale sui processi di urbanizzazione e sul modo in cui le nostre città sono costruite. […] Solo quando si sarà capito che coloro che creano la vita urbana hanno, in primo luogo, il diritto di far valere le loro rivendicazioni su ciò che essi hanno prodotto, e che una di queste rivendicazioni è il diritto a costruire una città più conforme ai loro intimi desideri, solo allora potrà esserci una politica urbana che abbia senso».
Leggendo le parole che, a quattro mani, la sindaca di Barcellona Ada Colau e il primo cittadino di Londra, Sadiq Khan, hanno consegnato alle pagine del Guardian il primo pensiero non può che essere un banale ‘Harvey aveva ragione’. Ne Il capitalismo contro il diritto alla città, era il 2012, spiegò come il diritto alla città è, in realtà, il diritto a cambiare noi stessi cambiando la città, «in modo da renderla conforme ai nostri desideri più profondi».
E di un «diritto collettivo» parlano Ada Colau e Sadiq Khan, gettando le basi di un pensiero che in Italia è ancora sepolto in un sonno profondo. Già il titolo, City properties should be homes for people first – not investments, mostra il cambio di passo che i due amministratori locali, visto che ancora non possiamo dire le due città, stanno cercando di portare avanti, forti delle spinte dal basso che Barcellona, già da tempo, e Londra, dal momento dell’elezione del sindaco laburista, stanno esprimendo.
«Le città non sono semplicemente una collezione di edifici, strade e piazze. Sono anche la somma della gente che le vive» perché «sono loro che aiutano a creare legami sociali, costruiscono comunità e si evolvono nei luoghi in cui siamo così orgogliosi di vivere» scrivono i due sindaci. Interessante il punto di partenza di questo ‘manifesto per il diritto alla città’: gli speculatori vedono l’abitare nelle città come una risorsa da cui trarre profitto e non case per le persone. In molti casi gli speculatori prendono decisioni sul futuro di palazzi, quartieri, pezzi di città da migliaia di chilometri di distanza «ma l’impatto delle loro scelte sulla vita e l’anima delle nostre città le vediamo molto da vicino».
E il risultato di queste decisioni sono le stesse, a Londra come a Barcellona, notano i due sindaci, ma noi potremmo dire a Roma come a Firenze: i centri urbani svuotati delle comunità, negozi chiusi e costo delle case che aumenta. Per anni l’abbiamo chiamata gentrification, oggi dovremmo pensare a un nuovo modo per raccontare un fenomeno che non si limita a espellere gli abitanti storici ma a sovvertire completamente la ‘funzione’ del centro storico o di un quartiere diventato di moda. Perché, ma ce ne accorgiamo sempre troppo tardi, quando iniziamo a parlare di gentrification come ‘rischio’, parliamo di qualcosa che in realtà è già avvenuto perché è già stato deciso, magari – come dicono Colau e Khan – «a migliaia di chilometri di distanza».
Per questo i due sindaci non si limitano ad analizzare il ruolo che la finanza ha assegnato alle città, ma chiedono un aiuto. Richiesta che parte dal basso, «dalle comunità locali e dai municipi», da chi fa dell’impegno civico la propria vita quotidiana: «Sono stati loro a metterci in guardia dai rischi che queste pratiche comportano per la stessa sopravvivenza delle nostre città». Ed è per questo ai sindaci servono «maggiori poteri e maggiori risorse». Per fare cosa? Non per disegnare città 2.0, creare grandi eventi o portare a compimento progetti faraonici «ma per aumentare le ‘scorte’ di alloggi popolari, ad affitto sociale e calmierato», per «rafforzare i diritti degli inquilini». Un ragionamento così semplice da sembrare, in questa fase storica, rivoluzionario.
«Per questo stiamo costruendo case popolari». Sì, avete capito bene: i sindaci di Barcellona e Londra parlano – sul Guardian – di case popolari. E per questo stanno «reprimendo» – traduzione letterale – le «cattive pratiche degli sviluppatori e dei proprietari». Sviluppatori. Perché così amano farsi chiamare i ‘nostri’ palazzinari/costruttori. E loro così li chiamano, per nome. E non hanno paura a combatterli. O almeno a provare a farlo. Come? Immettendo ‘sul mercato’ nuovi alloggi popolari, a canone sociale o calmierato. Insomma, abbassando i prezzi degli affitti con l’unico strumento a disposizione di un’amministrazione: l’edilizia pubblica.
Il problema, però, è che «ci mancano i poteri e le risorse che ci consentirebbero di regolare adeguatamente il mercato immobiliare» per «proteggere i diritti degli inquilini di rimanere nelle loro case». Perché «nel frattempo i nostri governi nazionali sembrano felici di abbandonare le città al loro destino». Ed è a loro che si rivolgono chiedendo, semplicemente, risorse. Perché – pensate alla situazione italiana e vi renderete conto di come le parole che leggerete possano sembrare rivoluzionarie – «le città globali stanno affrontando un’emergenza abitativa: se non assicuriamo che lo scopo degli alloggi sia, prima di tutto, fornire case ai nostri cittadini e non ‘beni speculativi’ faremo fatica a costruire città vivibili per i nostri cittadini e per le generazioni future».
E allora benvengano provvedimenti come quello varato recentemente dal Comune di Barcellona che ha stabilito per ogni nuova costruzione o intervento di rigenerazione di destinare il 30 percento del costruito ad abitazioni ‘protette’, a prezzi accessibili. Una misura che, secondo le stime, garantirà ogni anno 400 alloggi ‘popolari’. Inoltre al Comune è assegnato un diritto di prelazione in caso di vendita, in futuro, di questi alloggi. E non a canone di mercato. Ma questa, come ha detto la stessa sindaca, è solo una goccia nel mare.
Il vero problema, nel caso di Barcellona, è che per ogni 100 euro investite dal Comune in politiche abitative, la ‘generalitat’ ne mette 23 e lo Stato meno di 10. Bastano questi numeri per capire come le risorse messe a disposizione dei sindaci siano assolutamente inadeguate non per garantire lo ‘sviluppo delle città’, come sentiamo dire qui in Italia, ma per garantire il ‘diritto alla città’.
Vi lasciamo con le parole con le quali Ada Colau e Sadiq Khan chiudono la loro dichiarazione ‘di guerra’ alla speculazione edilizia: «Sindaci e governi locali delle città in diverse parti del mondo stanno lavorando – insieme – per condividere conoscenze e trovare soluzioni all’emergenza abitativa. […] Potremo dire di aver vinto solo quando saremo in grado di garantire che tutti, nelle nostre città, possano avere accesso a una casa decent, secure and affordable». Tre aggettivi che, messi insieme parlando di abitare, sono veramente rivoluzionari: dignitosa, sicura ed economica.
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eddyburg
Tratto dalla pagina qui raggiungibile.
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E’ uscito Rocca 14/2018
AladiNewsEstate. Contus e atru de Stampaxi.
oggi venerdì 6 luglio 2018
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Una maglietta rossa per l’umanità http://www.libera.it/schede-549- una_maglietta_rossa_per_fermare_l_emorragia_di_umanita
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Migranti: il nuovo proletariato e i soliti radical chic (prima di sinistra oggi M5S)
6 Luglio 2018
Roberto Murgia su Democraziaoggi.
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SOCIETÀ E POLITICA » EVENTI » 2015-LA GUERRA DIFFUSA
Rompiamo il silenzio sull’Africa
di ALEX ZANOTELLI
Ciavula, 30 giugno 2018. Sacrosanto appello ai responsabili dell’incredibile deficit d’informazioni veritiere sui fatti che contano per il destino dell’umanità, e per il continente che ha pagato e paga il prezzo più alto per il benessere dei paesi ricchi. Con commento di eddyburg (e.s)
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Una maglietta rossa per fermare l’emorragia di umanità
Di rosso era vestito il piccolo Alan, tre anni, la cui foto nel settembre 2015 suscitò la commozione e l’indignazione di mezzo mondo. Di rosso erano vestiti i tre bambini annegati l’altro giorno davanti alle coste libiche. Di rosso ne verranno vestiti altri dalle madri, nella speranza che, in caso di naufragio, quel colore richiami l’attenzione dei soccorritori.
Sabato 7 luglio indossiamo una maglietta rossa per un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà.
E’ una campagna di ANPI, Libera, ARCI, Legambiente
DIBATTITO A 360° su Fase politica e Che fare? Cosa bolle nel mondo cattolico? La necessità di uscire dal silenzio.
di Luigi Lochi
Riflessioni di un cattolico inquieto . 4 luglio 2018 by Forcesi |
1. Tornare ad essere minoranze attive. È stato l’invito che il presidente dei vescovi italiani ha rivolto qualche tempo fa ai cattolici italiani. Si tratta di un invito che è anche consapevolezza del modo in cui i cattolici dovrebbero affrontare l’impegno politico: quello di una minoranza. Questa importante presa di coscienza dovrebbe sempre accompagnare l’azione politica dei cattolici. Dal punto di vista pratico, riconoscersi minoranza significa soprattutto escludere pretese egemoniche o presenze identitarie, e riscoprire il valore della mediazione quale metodo del confronto politico con altre istanze culturali ed etiche. Peraltro, per i cattolici riconoscersi minoranza dovrebbe essere quasi naturale, infatti il monito evangelico di essere sale e lievito rinvia ad una presenza di qualità non di quantità. Poi, in una democrazia in tensione come è quella che oggi viviamo, il ruolo delle minoranze profetiche di choc, quale linfa che tiene in vita la democrazia nei tempi di crisi e di cui parla Maritain, si rivela davvero indispensabile.
2. L’irrilevanza politica dei cattolici non mi pare sia riconducibile ad una semplice latitanza. Penso, invece, che ci troviamo di fronte ad una questione piuttosto complessa che rinvia ad un dato di realtà con il quale conviviamo da diverso tempo, e che è sintetizzabile così: da una parte un “secolarismo facilone” che scambia la fede con il bigottismo, dall’altra una fede ridotta a religione civile, tutta forma e regole, una religione scandita dalla stanca ripetizione di riti, dietro ai quali si fa fatica a scorgere le tracce della novità cristiana, hanno provocato un cambiamento del clima religioso (Alberto Melloni, La Repubblica 5 marzo 2018). Il vero problema dei cattolici italiani, che è alla base della loro irrilevanza politica, è rappresentato da un deficit culturale. A scanso di equivoci, va subito detto che in gioco non è tanto la conoscenza della dottrina come insieme di precetti che la storia ha sedimentato, quanto la consapevolezza del “kerigma” cristiano, cioè “l’essenziale” del messaggio evangelico: “i cristiani abitano ciascuno nella propria patria, ma come immigrati che hanno il permesso di soggiorno. Adempiono a tutti i loro doveri di cittadini, eppure portano i pesi della vita sociale con interiore distacco. Ogni terra straniera per loro è patria, ma ogni patria è terra straniera. Dimorano sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro modo di vivere vanno ben al di là delle leggi” (Chi sono i cristiani? Lettera a Diogneto, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose). La fede è vissuta non come paradosso (essere nel mondo ma non del mondo) ma come uno status civile e come tale assorbe tutti i tratti, anche quelli negativi, della società (individualisti, familisti, moralisti, populisti, etc.etc.).
Se i cattolici sapranno essere sempre più uomini di fede e meno di religione, se sapranno mettersi alla scuola di Francesco, saranno anche uomini capaci di vivere la carità politica, di costruire l’intelligenza cattolica in politica. Una intelligenza che assume come principio guida l’interesse generale della comunità e non gli interessi particolari, fossero anche quelli della Chiesa. Moro c’è lo ha insegnato, Lui che è stato il più spirituale e al tempo stesso il più laico dei cattolici politici.
Il grande consenso che nelle ultime elezioni hanno avuto anche da parte dei cattolici, forze che hanno fatto della demagogia populista e della paura la sostanza delle loro proposte, dovrebbe seriamente interrogare la Chiesa circa l’efficacia della sua pedagogia.
3. Tra il vecchio collateralismo dei tempi democristiani e il distacco dei tempi attuali può esserci una terza via? Intanto non si possono ripetere esperienze del recente passato come ad esempio i convegni di Todi, o quelli del family day promossi da organizzazioni di ispirazione cristiana. Queste iniziative sono state espressioni di una Chiesa “clericale”, dimentica della lezione conciliare, impegnata a trafficare con i governi di centrodestra ai quali offriva il proprio sostegno in cambio della difesa dei cosiddetti principi non negoziabili, non di un vero progetto politico. Non è sul livello della “pressione lobbistica” che si assicura rilevanza politica. Una difesa meramente “legale” dei valori cristiani, per di più non di tutti ma prevalentemente di quelli attinenti l’etica sessuale, non solo condanna i cattolici ad un ruolo gregario ma li trasforma da soggetti di cambiamento a “estrattori di rendita”.
D’altra parte una presenza efficace non si assicura neppure privilegiando il livello “pre-politico”, se il pre-politico è inteso come un luogo neutro dove si coltivano i valori in forma astratta, senza la fatica della loro mediazione in un concreto progetto politico. Così inteso, il pre-politico sarebbe una retrovia che terrebbe i cattolici al riparo da ogni rischio derivante dal “prendere parte”. Attardarsi ancora su questo livello significherebbe ritagliarsi uno spazio autoreferenziale, abitare un territorio estraneo a quello reale della gente comune. Significherebbe al più limitarsi a contemplare un ricco patrimonio di idee e di esperienze ma rimanere praticamente fermi, contraddicendo l’appello di Francesco ad “uscire”, a compromettersi, a rischiare la propria responsabilità politica.
4. Dunque, né lobbisti, né prigionieri di una posizione di neutralità e di indifferenza. Come, allora, ritrovarsi nel mare aperto della politica? Innanzitutto non si può non fare i conti con il Pd, in quanto una parte rilevante del cattolicesimo democratico ha concorso alla sua fondazione.
Nell’attuale mercato della politica, con un elettorato “liquido”, non più ideologico, recettore di messaggi semplici, sempre più individualista e rancoroso, la distinzione destra/sinistra sembra rivelarsi inadeguata, superata da quella inclusi/esclusi, nord/sud, popolo/élites. La distinzione sturziana o sinceramente conservatori o sinceramente democratici oggi andrebbe declinata in quella o sinceramente popolari o sinceramente elitari. Si è democratici solo se si è popolari. Oggi, di fronte alla semplicità, alla chiarezza e anche alla gravità delle parole d’ordine leghiste, per riorganizzare una offerta politica attrattiva non basta più comprendere le ragioni di chi è escluso, di chi arranca, di chi rischia di vivere in un perenne stato di precarietà e prospettare soluzioni eque e innovative. Non basta più limitarsi ad indicare la strada giusta per ridare dignità e sicurezza alle persone. Non basta più l’etica e la sostenibilità delle proposte. E’ addirittura un lusso discutere di sovranisti ed europeisti. Di cose da fare e di nobili propositi sono pieni gli archivi del Pd. Peccato che si sbagliano sempre i tempi.
Questo partito è prigioniero delle proprie èlites e non è dato capire cosa voglia essere. La sua classe dirigente, anche quella locale, vive un assordante isolamento. Perché continuare a declamare, come una stanca litania, i risultati conseguiti e far ricadere la responsabilità del catastrofico esito elettorale sul libero convincimento dei cittadini, significa condannarsi alla irrilevanza. Di fronte a questo Pd si avverte quello stato d’animo e senso di impotenza che fece dire a Pasolini: “io so, ma…”. Si sa che c’è bisogno di maggiore giustizia sociale, di maggiore valorizzazione del merito, di maggiore solidarietà tra le generazioni, di più attenzione al lavoro che manca, di più scuola autorevole, di un Mezzogiorno che cessa di essere una questione, di una pubblica amministrazione efficiente. Si sa pure che il pensiero dominante è nuda e violenta demagogia. Ecco, si sa tutto questo, ma non si sa essere popolari, non si ha l’umiltà di riconoscersi popolari, di riconoscere che non si è migliori di chi ha orientato il proprio consenso verso i “nuovi barbari”. I democratici sanno stare con il popolo quando sono bene-educati: non cedono alla logica amico/nemico, non strumentalizzano le persone e i loro bisogni, non creano accampamenti di adulatori, non utilizzano le Istituzioni per costruire la propria carriera politica, non occupano spazi ma promuovono processi (anche quelli necessari per l’affermazione di nuova classe dirigente), lasciano il campo quando sono sconfitti e, soprattutto, non si fanno riconoscere come èlites.
Con un Pd ridotto ad una “monade senza porte e senza finestre”, al cui interno si combattono guerre di posizione tra capi-tribù, e da cui si emettono voci tanto ripetitive quanto prive di credibilità, è quasi impossibile dialogare. È mai possibile che non si avverta sui territori la necessità ormai vitale di una apertura di dialogo con quei pezzi di società di mezzo che, con fatica, sono ancora capaci di aggregare interessi e aspirazioni? Per chi sta nella cittadella fortificata per appartenenza ad una cordata, qualunque strategia, qualunque idea andrà bene se preserva la propria sopravvivenza. Quale proposta credibile di discontinuità potrà allora essere prodotta dall’interno di una monade? In questi giorni assistiamo ad uno spettacolo davvero indecente: anziché riflettere sulla fuga di milioni di elettori si occupa il tempo a discutere se trasformare il reggente in segretario effettivo. È il massimo dell’autismo politico.
C’è ancora qualcuno nel Pd che tiene vivo il ricordo delle ragioni della sua fondazione? Le ragioni alla base non di un nuovo partito ma di un partito nuovo di popolo? E i cattolici formati alla scuola di Francesco sanno e vogliono accettare la sfida del nuovo popolarismo?
Luigi Lochi
3 luglio 2018
AladiNewsEstate. I racconti immaginari di Stampace
SUOR MARTA È ANCORA VIVA .
di P.Ligio
- Suor Marta non è morta!, fu Barbasanta a portare la sconvolgente notizia ai quattro amici che cercavano di sopravvivere ad un’afosa serata d’estate. Sedevano davanti ad un tavolino all’aperto del bar tabacchi, davanti ad alcune bottiglie di birra Ichnusa e ad un mazzo di carte.
- Non dire fesserie, gli rispose il Cavaliere. Ziu Pissenti espresse la propria incredulità con un sorriso ironico, il Maresciallo continuò a mischiare il mazzo di carte, Angelino Sollai confermò, con un monosillabo, il giudizio del Cavaliere.
Intanto i quattro fecero spazio attorno al tavolino per consentire al nuovo venuto di collocare la propria sedia. Barbasanta si sedette e fece un cenno alla proprietaria del bar, anziana quasi quanto loro, perché portasse un altro bicchiere.
Lo stupore derivava dal fatto che suor Marta, che nessuno di essi aveva più incontrato da almeno 30 anni, veniva da tutti ricordata come persona molto anziana, per cui risultava loro difficile credere che potesse essere ancora viva.
Il Cavaliere sentì il dovere di dire la sua. Perché era uomo di chiesa, era stato componente del consiglio parrocchiale, dirigente della società di San Vincenzo, organizzatore delle feste del patrono. Senza contare quel suo titolo di cavaliere, che nessuno sapeva a cosa fosse dovuto, ma che egli, grazie anche alla mole robusta ed alla voce baritonale, portava molto bene. Per lunghi anni aveva utilizzato quel dono, quello della voce, cantando in un piccolo coro, composto da lui, dal Rais, e da un organista tedesco che abitava nel quartiere e la cui origine era sempre rimasta misteriosa. L’organista, nonostante le origini, si era inserito perfettamente nella cultura del quartiere, era persino diventato grande estimatore di gatti. Era capace di annegarli, non senza fatica, all’interno di un recipiente colmo d’acqua coperto da una tavola tenuta stabile da alcune pesanti pietre. Aveva anche imparato a scuoiarli, li esponeva alla luna per due notti di seguito, al clima secco del maestrale, dopodiché li imbottiva con aglio, rosmarino e sale prima di cucinarli.
Il suo problema principale era quello di procurarseli, i gatti. Acchiappava quelli che poteva tra i tetti ed i vicoli del quartiere, suscitando le ire di zia Annica, una vecchietta che divideva il suo tempo tra le funzioni religiose e la cura dei felini del vicinato. Preparava per loro dei piattini con il cibo, li distribuiva nella piccola terrazza, nel vicolo della propria casa e qualche volta, approfittando dell’assenza degli abitanti del palazzo, persino nell’androne. Li riconosceva uno per uno e li chiamava per nome. Ogni volta che qualcuno di essi mancava all’appello attribuiva le colpe, immancabilmente, all’organista tedesco. Lo riempiva di maledizioni, più di una volta, se solo le forze glielo avessero consentito, le si sarebbe avventata contro.
Il Cavaliere non era amico dell’organista, ma non poteva fare a meno del suo accompagnamento, sia quando cantavano nella chiesa parrocchiale, dotata di un grande organo, sia quando si dovevano accontentare di qualche scalcinato armonium nelle sette chiesette del quartiere. Si diceva, ma anche di ciò non vi era certezza, che in qualche occasione il quartetto fosse stato chiamato a cantare in altri quartieri e, forse, persino in alcuni paesi dell’interno.
Il Cavaliere era intimo amico del Raìs, erano soliti familiarizzare nel retrobottega della drogheria, una sorta di piccolo circolo privato per pochi intimi amici rigorosamente selezionati, si spostavano nei transetti o nei cori delle cappelle dove venivano chiamati. Preferivano i cori, perché dall’alto potevano dominare la navata della chiesa, inoltre, non essendo esposti alla vista dei fedeli, potevano continuare a sgranocchiare semi di zucca ed a sostenere le loro voci con qualche manciata di murta ucci, potevano continuare a scherzare, a scambiarsi battute sugli ignari fedeli, sugli sposi o sul morto, a seconda delle occasioni. [segue]
Oggi giovedì 5 luglio 2018
————Avvenimenti&Dibattiti&Commenti———-
La news ha ripreso da ieri il ritmo normale, che proseguirà almeno fino ai giorni di ferie di luglio/agosto e inizi di settembre. La News comunque non chiuderà per ferie estive neppure quest’anno.
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Le misurette sul lavoro di Di Maio sono rivoluzionarie rispetto all’attacco di Renzi
5 Luglio 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
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Addio a Anna Oppo
E’ morta Anna Oppo. Condoglianze per una donna, intellettuale di grandissimo rilievo, stimata docente universitaria di sociologia, impegnata sul fronte progressista, per le donne e per i diritti di cittadinanza, che ha dato veramente tanto alla Cultura e alla Sardegna.
I funerali domani 5 luglio, alle ore 16, nella Cattedrale di Oristano.
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La pagina dedicata al ricordo di Anna Oppo sul sito dell’Università di Cagliari: https://www.unica.it/unica/it/news_notizie_s1.page?contentId=NTZ119317
Oggi mercoledì 4 luglio 2018
————Avvenimenti&Dibattiti&Commenti———-
Da giovedì 21 giugno fino ad oggi mercoledì 4 luglio 2018 l’aggiornamento quotidiano della News non è stato tempestivo come di consueto, per ragioni di carattere organizzativo. Riprende domani il ritmo normale, almeno fino ai giorni di ferie di luglio/agosto e inizi di settembre. La News comunque non chiuderà per ferie estive neppure quest’anno.
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Decreto “Dignità”. Finalmente si pensa ai lavoratori!
4 Luglio 2018
Red su Democraziaoggi.
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Rapporto Global Trends dell’UNHCR l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati
Oltre 68 milioni di persone costrette alla fuga nel 2017. Cruciale un nuovo patto globale sui rifugiati
Pubblicato il 19 giugno 2018 su https://www.unhcr.it .
Nel 2017 il numero di persone costrette a fuggire nel mondo a causa di guerre, violenze e persecuzioni ha raggiunto un nuovo record per il quinto anno consecutivo. A determinare tale situazione sono state in particolare la crisi nella Repubblica Democratica del Congo, la guerra in Sud Sudan e la fuga in Bangladesh di centinaia di migliaia di rifugiati rohingya provenienti dal Myanmar. I paesi maggiormente colpiti sono per lo più i paesi in via di sviluppo.
Nel suo rapporto annuale Global Trends, pubblicato oggi, l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, riporta che a fine 2017 erano 68.5 milioni le persone costrette alla fuga. Di queste, solo nel corso dell’anno passato, 16.2 milioni di persone hanno abbandonato le proprie case per la prima volta o ripetutamente. Questo dato rappresenta un numero elevato di persone in fuga: 44.500 al giorno, ossia una persona ogni due secondi.
(segue)
Salute mentale in Sardegna: le preoccupazioni dell’ASARP e le proposte discusse con l’assessore Arru
Conferenza stampa. Mercoledì 4 luglio, alle ore 11.00, nella sede regionale dell’ASARP, in Via Romagna n.16, nel Padiglione E Cittadella della Salute, l’Associazione Sarda per l’Attuazione della Riforma Psichiatrica, ha convocato una conferenza stampa che illustrerà lo stato dei servizi di salute mentale in Sardegna e in Italia a 40 anni dalla Legge di Riforma N°180. (segue)