Monthly Archives: luglio 2018

Domani

20-luglio-2018Iniziativa di dibattito promossa da un gruppo di compagni della sinistra sarda.
Per chi ne avesse voglia: venerdì 20 luglio alle ore 16,30 nel salone della Società degli operai a Cagliari, in via XX Settembre 80 come gruppo di compagni della sinistra sarda ci vediamo per una discussione non troppo formale sulla situazione politica che stiamo attraversando dopo la costituzione del governo Lega-M5S. Non ripercorriamo adesso qui i passaggi più pesanti di queste settimane. Concordiamo pressoché tutti su un giudizio fortemente negativo di ciò che stiamo vivendo, ma non avendo noi convincimenti univoci sulle risposte, né grandi possibilità di confronto collettivo, riteniamo utile una chiacchierata da cui possa emergere non solo un po’ di conforto ma anche – eventualmente – qualche idea su iniziative da proporre a partire da settembre. Noi tutti interveniamo a titolo individuale. Prendi queste righe come un invito a partecipare, se puoi.
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- La pagina fb dell’iniziativa.

Giovedì 19 luglio 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2img_4633Anpi logo nazcostat-logo-stef-p-c_2-2serpi-2ape-innovativa
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Vitalizi, privilegi e ragionevolezza dei trattamenti

19 Luglio 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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Ceta

Ceta: più export, ma rischi su Ogm e arbitrati
Quel che c’è da sapere sul Trattato Ue-Canada
Contrasti, paradossi e punti oscuri del Comprehensive Economic and Trade Agreement, l’accordo di libero
scambio tra Ottawa e Europa, in vigore in via provvisoria il 21 settembre 2017 e ora in attesa di ratifica
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Su Il Fatto quotidiano online.
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sedia di VannitolaAladinews si è più volte occupato dei grandi Trattati internazionali sui commerci. Ripropongo, per chi fosse interessato a leggerlo, un mio articolo del 22 Ottobre 2016 sul Trattato CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) attualmente in vigore (in forma provvisoria) in attesa della approvazione da parte di tutti i governi contraenti il patto, e tra queste l’Italia, che dovrebbe sottoscriverlo o rigettarlo nelle prossime settimane. Il ministro Di Maio ha già dichiarato la contrarietà del Governo in carica a sottoscrivere l’accordo minacciando fuoco e fiamme contro tutti i rappresentati italiani nelle istituzioni internazionali che dovessero osare esprimere opinioni differenti. (V.T.)
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Oggi

percorsi

E’ online il manifesto sardo duecentosessantacinque

pintor il manifesto sardoIl numero 265
Il sommario
Cara ministra Grillo, fermiamo il massacro della sanità pubblica (Claudia Zuncheddu e Paola Correddu), Turchia e dintorni. Considerazioni sopra le dichiarazioni di un ambasciatore (Emanuela Locci), Carloforte, la Bobba, storia di una recinzione (Stefano Deliperi), Disuguaglianze (Massimo Dadea), Rwm. Siamo alla svolta? (Arnaldo Scarpa), No all’abolizione dei vaccini obbligatori (Fabio Vitiello), Sulle macerie degli ospedali la ribellione dei territori (Claudia Zuncheddu), L’Italia legata alle sorti dell’euro e a quelle del blocco produttivo ad egemonia tedesca (Gianfranco Sabattini), La dignità di Di Maio (Alfonso Gianni), La cultura può salvarci ancora (Aldo Lotta), Spirito collettivo o barbarie (Amedeo Spagnuolo), La conversione ecologica insieme ai migranti (Guido Viale), Il ministro della paura (Graziano Pintori).
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CENTOCINQUANTAMILA AL PARLAMENTO PER LA SFIDUCIA A SALVINI

IL SONNO DELLA RAGIONE CREA MOSTRIA norma dell’art. 50 Costituzione
CENTOCINQUANTAMILA AL PARLAMENTO PER LA SFIDUCIA A SALVINI
RISVEGLIAMOCI E RISVEGLIAMO I CITTADINI DAL SONNO DELLA RAGIONE.

Una petizione firmata già da oltre centoventimila cittadini (l’obbiettivo è 150.000) chiede ai parlamentari della Repubblica di votare una mozione di sfiducia individuale per le dimissioni del ministro dell’Interno

A nome dell’art. 50 della Costituzione (“tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”) una petizione popolare che in poche ore ha raccolto più di centomila firme è stata indirizzata ai parlamentari della Repubblica perché presentino e votino una mozione di sfiducia individuale nei confronti del ministro dell’Interno (art. 115, 3° comma del Regolamento della Camera). Di seguito il testo che si può firmare al seguente link: https://www.change.org/p/i-deputati-e-i-senatori-della-repubblica-chiediamo-una-mozione-di-sfiducia-per-matteo-salvini
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Le cittadine e i cittadini, che si riconoscono nei valori della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e della Costituzione italiana,
premesso che
il Ministro dell’Interno Matteo Salvini si è reso responsabile di un conflitto istituzionale senza precedenti con gli altri poteri e istituzioni dello Stato (Presidente della Repubblica e Magistratura) sul tema dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e dei reati d’odio;
particolarmente censurabile, per la violazione patente e flagrante del principio di non refoulement (non respingimento) di cui all’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati, si configura la condotta serbata dal Ministro nella vicenda Aquarius e, da ultimo, nella vicenda Diciotti, che hanno visto impedito, ritardato o ostacolato l’approdo nel porto sicuro più vicino di persone vulnerabili (bambini, donne incinte, persone malate o ferite);
parimenti grave si palesa l’ordine di chiusura dei porti alle navi delle ONG, che ostacola, impedisce o ritarda l’esercizio di un diritto fondamentale, quello di asilo, sancito dall’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana;
altresì, costituiscono un punto di insanabile rottura del patto sociale che lega i cittadini della Repubblica tra loro e nei confronti delle istituzioni democratiche, le gravissime affermazioni dello stesso Ministro sui cittadini italiani di etnia rom;
chi riveste ruoli istituzionali deve essere fedele alla Costituzione e alla Repubblica e non può, né direttamente né indirettamente, diffondere idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istigare a commettere atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi.
Tanto premesso, le cittadine e i cittadini sottoscrittori della presente petizione, chiedono ai deputati e ai senatori della Repubblica di presentare e votare in Parlamento una mozione di sfiducia individuale nei confronti del Ministro dell’Interno Matteo Salvini.

Primi firmatari:
Beatrice Brignone
Andrea Maestri
Giuseppe Civati
Luca Pastorino
Elly Schlein + 100.000
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NewsLetter

logo76Newsletter n. 103 del 18 luglio 2018

LA SCONFITTA DI SALVINI

Care amiche ed amici,

Il Paese e il suo futuro

logo76(…) anche la coscienza del Paese si sta risvegliando, ripensa alle nostre responsabilità del passato e la reazione etica ed emotiva cresce, si manifesta in forme di protesta e dissociazione politica inedite. Questo induce a pensare che il governo non possa durare. Tanto meno si può tenere in vita un governo finché inondi di armi l’Italia con il pretesto della legittima difesa. Ma prima che sia Salvini a farlo cadere per potersi atteggiare a vittima e averne in compenso un lucro elettorale, sarebbe bene che fossero l’elettorato e i dirigenti dei Cinque Stelle a porre la questione morale e a pretendere di “restare umani”, salvando così una riserva per il futuro della Repubblica, l’unica possibile finché c’è il deserto a sinistra e al suo elettorato non sia tolto il sequestro che lo paralizza.
E dopo si tratta di costruire il nuovo, incluso il diritto umano universale di migrare e l’assunzione in positivo, come strutturale, della questione dei rifugiati. All’opera dovranno mettersi molteplici forze culturali e politiche, non solo in Italia ma nell’impeto di un grande movimento internazionale.

LA SCONFITTA DI SALVINI
di Raniero La Valle, su fb.

Salvini è già sconfitto. La sua controrivoluzione è fallita. Il vero proposito di Salvini, la sua vera promessa all’elettorato dell’Italia della paura, non era infatti di centellinare gli immigrati spartendoli tra i vari Paesi europei, ma era di fermarli ai confini del mare e bloccarli nelle loro prigioni arretrate; voleva difendere, come diceva, i cinquecento milioni di europei dall’invasione di questi stranieri, dopo che “a casa loro” li avevamo depredati di tutto. Non gli è riuscito, e la debolezza delle sue prove di forza (porti chiusi e navi ferme) dimostra che non ci riuscirà, né lui né alcun altro stratega dell’apartheid europeo come lui. Non ci riusciranno per il semplice fatto che i presunti invasori, invece di arrivare con armi e bastoni per forzare le frontiere d’Europa, si fanno salvare da noi. Se giungessero brandendo una spada, come i Goti, gli Unni e gli altri Barbari, o correndo il mare con ben armati vascelli, come fecero i Turchi, sarebbe una festa per i difensori della bianca Europa e i buttafuori del mondo libero: li farebbero fuori tutti, ben addestrati al genocidio come siamo, ma in modo politicamente corretto, con la “guerra giusta” e il diritto internazionale in mano. Del resto questo l’Occidente si era preparato a fare quando, venuta meno la minaccia del cosacco da est, ha cambiato nemico, ha rinominato l’arabo come nemico, ha predicato la crociata contro Stati canaglia e terroristi, ha dato alla NATO una competenza militare globale, e ha orgogliosamente proclamato la guerra perpetua, la giustizia infinita e il nuovo secolo americano. Tutto inutile: I nemici vengono con le magliette rosse, per farsi trovare nella notte, i bambini come gemme catarifrangenti si fanno salvare. A che serve la NATO? Trump non vuole più pagarne nemmeno le spese. L’assurdo (o la beffa?) è che, sgominate le navi delle ONG, le navi militari da intercettare perché piene di nemici e diffidate dall’avvicinarsi ai nostri porti e alle coste, sono ora quelle della Marina militare italiana. [segue]

Sicurezza e Paura

valutazione microITALIANI
la paura fatto politico

di Ritanna Armeni su Rocca

Gli italiani potrebbero dormire sonni tranquilli. O almeno di gran lunga meno agitati. Vivono in un paese sicuro, dove i reati sono in costante diminuzione, dove le possibilità di un attacco alla persona costituiscono solo un’eccezione. Una brutta eccezione, certo, ma non tale da condizionare le proprie abitudini, da determinare la propria condotta di vita o da limitare i propri piaceri.
Lo stesso ministero dell’Interno, quello il cui titolare oggi poggia gran parte delle sue fortune sulle paure degli italiani, ha annunciato nell’ultimo anno un calo del 9,2% dei «delitti», passati dai 2.457.764 del 2016 a 2.232.552. I più efferati di que- sti – gli omicidi – sono stati 343 (-11,8%), di cui 46 attribuibili alla criminalità organizzata e 128 in ambito familiare-af- fettivo. Sempre il ministero dell’Interno ha comunicato che anche le rapine cui gli italiani – come si sa – si sentono assolutamente vittime si sono ridotte dell’11% e i furti del 9,1%.
«Il coraggio se uno non l’ha non se lo può dare» faceva dire Manzoni al suo Don Abbondio, ma un po’ di tranquillità forse sì. Invece gli italiani non sono affatto sereni. Sentono attorno a loro pericoli grandi, li ingigantiscono, ne sono condizionati nella vita quotidiana. Sono diventati compagni sempre presenti della loro quotidianità. Rapine, furti addirittura omicidi sono evidentemente protagonisti nella loro mente o nelle loro fantasie. Sicuramente lo sono nei loro discorsi. E a nulla valgono i dati della realtà. Quasi un terzo degli italiani (27,6%) – affermano recenti dati – si sente poco o per niente sicuro quando si trovano da soli per la strada, la sera e il 10 per cento non vorrebbe rimanere solo a casa.
La paura quindi dilaga. È percepita, ovviamente, nelle zone di degrado e insicurezza ma anche quando non ce n’è motivo, in zone del paese note per la loro tranquillità. Avviene spesso – fanno notare le statistiche – che la paura è maggiore proprio lì dove non dovrebbe esserlo, dove tutto, il numero effettivo dei reati, la presenza di forze dell’ordine, una tradizione di sicurezza – dovrebbe far percepire il contrario.

l’uomo nero
Non resta a questo punto che chiedersi come mai questo contrasto fra la situazione reale e la percezione che si ha di essa. Una domanda tanto più importante oggi, nel momento in cui la paura è diventata un fatto politico, forse il più importante, su cui si giocano il successo e l’affidabilità di molti partiti italiani ed europei. E, in cui ha trovato un soggetto dell’immaginario (ma quanto potente!) su cui fondarsi, l’immigrato, «l’uomo nero» che oltre che mettere in pericolo il benessere, la tradizione e cultura degli italiani, introdurrebbe delinquenza e degrado. Clandestino e disposto a tutto «l’uomo nero» è diventato l’incubo di persone adulte, capaci di intendere, di volere e di distinguere.

Ma lasciamo l’immaginario, che pure ha una sua importanza, torniamo alle statistiche e vediamo che cosa ci dicono. Apprendiamo che quasi un italiano su due non ha piena fiducia nella capacità delle forze dell’ordine di controllare il territorio. Molti di più che nel passato. Le forze dell’ordine, ma abbiamo l’impressione che essi rappresentino più ampiamente le istituzioni – secondo gran parte degli ita- liani – non sono presenti e quando ci sono, non si comportano come il cittadino si aspetterebbe.
Gli italiani – se ne deduce – non si sentono sicuri e hanno paura soprattutto perché non si sentono protetti, non tanto quindi perché c’è un pericolo reale, che nella maggior parte dei casi non esiste ma perché, se questo ci fosse sentono di non poter contare su nessuno. E naturalmente – riprendiamo ancora le statistiche – sono le donne e gli anziani coloro che manifestano maggiormente i loro timori e la loro diffidenza.

le conseguenze
Non resta che chiedersi a questo punto quali siano già oggi le conseguenze della grande paura. Oltre al fatto ovvio che gli italiani si costringono a rimanere di più in casa evitando di uscire nelle ore notturne o cercano di non essere mai soli.
La prima conseguenza è che gli italiani si armano. Sempre di più credono che il possesso di una pistola o di un fucile possa difenderli. Recenti studi dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo affermano che almeno dodici italiani su 100, circa sette milioni, possiedono armi proprie, legali o illegali.
L’Italia sarebbe quindi il 15° Paese su 178 per detenzione e possesso di armi private e il 34° nel Global peace index.
Le cifre a dire il vero variano molto: secondo i dati del Viminale più di un milione e 300 mila persone hanno una licenza per porto d’armi (uso caccia e sportivo), 179mila in più rispetto al 2011. Ma – questo il punto – ogni anno sono richieste migliaia di nuove licenze e nel giro di pochi anni la detenzione di armi sportive sarebbe addirittura triplicata, da 187.000 nel 2015 a 397.384 nel 2016. E poi ci sono coloro che le armi non le dichiarano e le comprano al mercato nero.
La seconda conseguenza è sotto gli occhi di tutti ed è politica. Gli italiani premiano sempre di più e si affidano ai partiti che dicono di comprendere la loro paura, la ingigantiscono e affermano di essere pronti alla loro difesa. Partiti che vogliono cacciare «l’uomo nero», che non sono contrari al porto d’armi più facile, che vogliono rendere più «agevole» la legittima difesa. Alle ultime elezioni il partito della «paura» che è trasversale e va al di là della Lega di Matteo Salvini, ha vinto. Quel che è peggio è che continua ad affermarsi. Quanto ci vorrà perché la fiducia, la solidarietà e la benevolenza diano vita ad un partito del coraggio?
Ritanna Armeni

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GIUSTIZIA IN ITALIA
Il delitto della miseria
di Roberta Carlini su Rocca.

I poveri ci vuol poco a farli comparire birboni. Questa frase di Alessandro Manzoni non è tra quelle che più spesso si citano a scuola per illustrare il più studiato (e forse odiato) dei nostri autori. Ma esprimeva bene lo stato della giustizia all’epoca. E lo sintetizza ancora oggi, secondo l’accorata denuncia che è contenuta in un piccolo libro dal titolo eloquente: «Giustizia, roba da ricchi» Laterza, 2017. Elisa Pazé, la magistrata che lo ha scritto, cita Manzoni in apertura, per introdurre il lungo elenco di leggi, casi, numeri e giurisprudenza che sostengono la sua tesi.
Ne esce fuori un quadro desolante della diseguaglianza in Italia, vista per una volta non attraverso gli indicatori economici ma dalle aule dei tribunali e dalle carceri. Entrambe affollate dalla parte più povera della popolazione, e impegnate nella persecuzione di reati che destano un allarme sociale che, alla luce dei numeri, appare esagerato. Eppure in grado di cementare consenso politico, caratterizzare campagne elettorali, probabilmente diventare il programma di governo.

nuovi indicatori
Nel Rapporto annuale dell’Istat, oltre ai numeri più «gettonati» su Pil, occupazione, debito pubblico, c’è una tabellina che riassume lo stato del benessere, e del malessere, mettendo insieme i nuovi indicatori del Bes (Benessere Equo e Sostenibile), quelli destinati, in un’ottica statistica più lungimirante, a rimpiazzare gli indici tradizionali. Tra questi, ce ne sono alcuni che, in modo del tutto inaspettato dalla larga opinione, inducono a maggiore ottimismo: come la riduzione del tasso di «criminalità predatoria», ossia la percentuale di furti in abitazione, borseggi e rapine ogni mille abitanti. Si tratta di reati che impauriscono, ovviamente: chiunque ne abbia subìto uno sa quanto sia grave il senso di insicurezza e vuoto che può prendere trovando la propria abitazione scassinata, oppure il terrore che induce uno scippo per strada, o peggio l’essere coinvolti in una rapina mentre si fa la spesa al supermercato.
Ma c’è una buona notizia: questi reati, dice l’Istat, sono in diminuzione, dal 29,5 per mille del 2013 al 24,1 del 2017. Negli stessi anni nei quali questi comportamenti diminuivano, saliva però l’allarme sociale; al quale hanno contribuito in particolare alcune trasmissioni televisive, soprattutto nel pomeriggio e soprattutto delle reti Mediaset, a guardare le quali per settimane e settimane si aveva l’impressione che in Italia, e soprattutto al Nord, non si facesse che svaligiare villette e piccoli negozi e scippare donne anziane. L’allarme è stato cavalcato in campagna elettorale dal centrodestra e soprattutto da Salvini; che non a caso fa adesso della legittima difesa
il secondo dei punti cardine del suo incarico da ministro dell’interno (il primo essendo l’immigrazione). Interessante il fatto che dalla proprietà di Mediaset – ossia dall’ex alleato di Salvini, Silvio Berlusconi – è venuta una sorta di autocritica, con la chiusura di quei programmi ad alto tasso di allarmismo e populismo, il cui effetto è probabilmente sfuggito dalle mani agli stessi strateghi del palinsesto. In ogni caso, conseguenza normativa di tutto ciò sarà probabilmente una riforma della legge, all’insegna dello slogan «la difesa è sempre legittima»: che lascia dilagare l’idea per cui, se non ci si difende da sé, sparando come nel far west, nessuno ci difende e i delinquenti restano impuniti, a causa della malagiustizia.

il patrimonio più tutelato della persona
È così? Non pare proprio, a scorrere le pagine del libro di Elisa Pazé. La quale racconta come il nostro diritto penale, già fortemente caratterizzato da una predominanza della tutela del patrimonio e dei beni rispetto a quella dei diritti e dell’integrità della persona, ha via via rafforzato questa tendenza, con le modifiche apportate negli ultimi anni. Il caso della repressione dei furti è emblematico. Oggi l’autore di un furto aggravato è punito come chi compie maltrattamenti sistematici sui propri familiari (pena massima sei anni): ma il furto, dopo la riforma del codice penale del 2001, è quasi sempre «aggravato». L’autrice fa l’esempio di una delle fattispecie più banali e ricorrenti, il furto di merci in un supermercato: che non è mai semplice, ma sempre condito di aggravanti poiché, prelevando per esempio una scatoletta di tonno da uno scaffale o una maglietta da un espositore, si approfitta della «esposizione alla pubblica fede» (in effetti, le merci sono esposte per poter essere vendute), oppure si ricorre a mezzi fraudolenti (come infilare la scatoletta in una sacca), o si usa violenza sulla cosa stessa (per esempio rimuovendo da un vestito la targa antitaccheggio). Se ricorre uno di questi casi, il furto è aggravato, se ne ricorre più d’uno è pluriaggravato. Bene, si dirà, il fatto che si tratti di beni di lieve valore non deve renderci più indulgenti verso chi non rispetta la proprietà. Però va anche detto che il codice è molto più benevolo verso altre condotte che ledono beni e proprietà private o collettive, come la bancarotta fraudolenta, o i reati ambientali, dall’abusivismo all’inquinamento: tutti i reati dei «colletti bianchi».
Assumendo una faccia più feroce nel caso dei furti, il codice penale se la prende soprattutto con un reato che in grandissima parte è compiuto dai più poveri. Trattando dei delitti e delle pene, Cesare Beccaria nel 1764 scriveva che il furto è «il delitto della miseria e della disperazione, il delitto di quella infelice parte di uomini a cui il diritto di proprietà (terribile, e forse non necessario diritto) non ha lasciato che una nuda esistenza». Ma pochissimi oggi, al contrario che nei circoli illuministi di fine Settecento, sarebbero disposti a mostrare indulgenza verso il reato dei poveri, o almeno pari trattamento rispetto a quelli dei più benestanti. Forse perché si pensa che, in caso di particolare necessità e indigenza, scattino delle clausole attenuanti: che invece, avverte la magistrata, non ci sono, poiché la giurisprudenza interpreta il «grave e urgente bisogno» in modo molto restrittivo e lo esclude quando c’è, anche solo in teoria, la possibilità di soddisfare quel bisogno in altro modo.

giustizia roba da ricchi?
Dunque, la giustizia è di classe, è una «roba da ricchi», non solo perché i più ricchi possono difendersi meglio e sfruttare i tempi lunghi del processo, ricorrere alla scappatoia della prescrizione o ai migliori avvocati; ma anche per il modo stesso in cui le leggi sono scritte e il computo della pena si forma. Il che porta alla conseguenza per cui le carceri sono affollate di poveri, e tra questi soprattutto di immigrati. Le cause di questa composizione sono molteplici – e una delle prime è nel fatto che la condizione di immigrato è molto spesso essa stessa un reato, se si è entrati senza permesso in Italia – ma pesa anche la maggior durezza del diritto penale su alcuni reati e la mano leggera su altri. La percentuale di «colletti bianchi», impiegati, professionisti, manager che hanno compiuto azioni delittuose e sono in carcere in Italia è molto più bassa che in Germania, per fare un parallelo con un Paese non molto distante come cultura giuridica e sistema economico.
Si tratta di ragionamenti impopolari, e nessun politico si azzarderebbe a farli in pubblico – tranne in pochissimi casi – per paura di perdere consenso. Anzi, su questi temi come su quello dell’immigrazione si ripete una tattica molto semplice: portare le persone a prendersela con chi sta più in basso, sulla scala sociale e persino su quella della delinquenza, invece di dirigere risentimento e scontento verso chi ha più potere, mezzi, possibilità e anche responsabilità. Eppure, molto dipende dal modo in cui la comunicazione viene fatta: siamo tutti d’accordo sul fatto che rubare una scatola di tonno in un supermercato nascondendola in una sporta della spesa sia una condotta più grave di quella del marito che maltratta la moglie per anni? Il diritto penale non dovrebbe seguire l’emozione del momento, ma dei principi di civiltà e giustizia. Che certo, dipendono anche dall’evoluzione sociale e storica: ma, per restare agli anni più recenti, siamo tutti d’accordo a parole sul fatto che truffare il pubblico risparmio, o buttare veleni nel- l’acqua, o comprare i voto di qualcuno, siano condotte gravissime. Eppure, quanti autori di questi reati finiscono davvero in carcere?
Roberta Carlini

ROCCA 1 AGOSTO 2018 n. 15
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Mercoledì 18 luglio 2018

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Lettera aperta alla Ministra della Sanità
18 Luglio 2018
Claudia Zuncheddu, a nome della Rete sarda difesa Sanità Pubblica, ci invia questa lettera aperta alla Ministra, che volentieri pubblichiano, invitando tutti a mobilitarsi a difesa del diritto fondamentale alla salute. Su Democraziaoggi.
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Sui morti non ci sono giustificazioni
18 Luglio 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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100 anni fa nasceva Nelson Mandela

mandela100 anni fa nasceva Nelson Mandela. Le parole di un visionario, esempio di lotta politica, coraggio e sacrificio: «Per essere liberi non c’è solo la via di togliere le catene ad una persona, ma di vivere in modo che si rispetti e si valorizzi la libertà degli altri». Libertà, una parola che sembra ancora un lontano miraggio. Su eddyburg (i.b.)
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Mandela Day Sardegna 2018 PROGRAMMA su CagliariPad
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Contus stampaxinus. L’amore sacro e l’amore profano

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ape-innovativaAvevo forse meno di 8 anni, sicuramente non di più (il perché lo capirete dopo), quando chiesi a mia mamma come mai la cappella della nostra chiesa (la parrocchiale di Sant’Anna) dedicata alla Madonna del Rosario, più nota come Madonna di Pompei, fosse sempre ricolma di fiori, sempre freschi, pulita e curata più delle altre cappelle. [segue]

Martedì 17 luglio 2018

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democraziaLa democrazia esiste o no?
17 Luglio 2018

Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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SOCIETÀ E POLITICA » NOSTRO PIANETA » INVERTIRE LA ROTTA
Ecosistema e migrazioni. È in gioco il pianeta
di Guido Viale
[eddyburg] Riceviamo da Guido Viale e pubblichiamo lo scritto uscito in formato ridotto su il manifesto del 14 luglio. Due tragedie, che Viale connette in un unico discorso, centrali per la nostra sopravvivenza. (e.s.)
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Domani

e2bc8ecc-1d3e-4ada-bcd7-583d11490092Domani 17 luglio 2018

Lunedì 16 luglio 2018

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Conte, in silenzio, ottiene un risultato
16 Luglio 2018
Red su Democraziaoggi.
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