Monthly Archives: giugno 2018
MigrantiCheFare?
Migranti: affollata assemblea a Cagliari
19 Giugno 2018
Red su Democraziaoggi.
Sala affollata anche nel palchetto superiore della bella sala dello Studium Franciscanum. Dopo la presentazione di Giacomo Meloni (Amici sardi della Cittadella di Assisi) e l’introduzione di Andrea Pubusa (coordinatore del CoStat) – che presiedeva l’incontro-dibattito con Franco Meloni – la proiezione del film-breve “Eccomi- Flamingos” di Sergio Falchi, molto apprezzato a giudicare dagli applausi. Si vede che il tema dei migranti preoccupa e interroga i democratici anche a Cagliari. Si vede che le persone vogliono non solo assistere ai talk show ma intervenire di persona. E il dibattito non delude. Pacato sì ma appassionato in tutti gli interventi, dai quali emerge una trama comune, pur nelle differenze di accenti e di posizioni. Rispetto della persona, corridoi umanitari sicuri, centralità dell’accoglienza, necessità dell’inserimento, attacco al razzismo gridato e nascosto sono i punti fermi, come generale è la consapevolezza che una migrazione di dimensioni epocali è inarrestabile e necessita di una risposta continentale, europea.
Tanti sono in questa cornice condivisa gli approfondimenti. [segue]
CULLE VUOTE perché non si fanno più figli
di Fiorella Farinelli su Rocca
Culle vuote, in Italia, e da troppo tempo. Nel 2017 sono nati 464mila bambini, 12mila in meno che nel 2016, quando ne erano nati meno che nel 2015. Nei rami più bassi del sistema scolastico, i vuoti cominciano a pesare sensibilmente, presto se ne sentiranno gli effetti anche nella scuola secondaria. Meno bambine nascono e meno saranno le giovani donne in grado di mettere al mondo figli. Tra quindici anni, dicono i demografi, nella fascia d’età 25-54 anni – quella decisiva per il mondo del lavoro – ci saranno 4 milioni di persone in meno. Un’emergenza. Non solo per l’equilibrio del sistema pensionistico e del welfare, anche e soprattutto per la vitalità del Paese, per la sua capacità di tenuta e di innovazione. Che cosa si può fare per contrastare un tasso di natalità (1,34 figli per donna in età fertile) che è tra i più bassi in Europa? Che idee possono venirci dai paesi che, come la Francia, sono riusciti a ottenere buoni risultati? Visto il clima sociale e politico attuale di diffusa contrarietà all’immigrazione, non c’è da sperare che a compensarlo possano venire ulteriori contributi positivi da nuovi flussi migratori. Ci hanno puntato a lungo, i demografi e anche gli economisti, ma ora non è aria. C’è poi da aggiungere che, sebbene ci sia chi ha l’impudenza di scatenare allarmi su un’«invasione» fatta anche di smodate propensioni delle coppie straniere a mettere al mondo una caterva di figli, sono proprio le analisi demografiche a dirci che, una volta integrate nel paese ospite, nelle donne straniere prevale invece la tendenza ad assimilarsi ai comportamenti riproduttivi del contesto in cui si vive. Anche in chi appartiene a culture e tradizioni che vogliono i matrimoni in giovanissima età, anche in chi è contrario al lavoro femminile fuori casa e appassionato a un ruolo femminile tutto schiacciato sulla maternità. E peggio andrà, se non ci saranno rimedi, con le seconde generazioni. Troppo costoso è disporre di alloggi adatti a famiglie numerose, troppo alte sono le tariffe degli asili nido (quando ci sono), troppo cari i prodotti per l’infanzia e i consumi ordinari, troppo incerto il lavoro, e in tanti casi anche troppo poco retribuito. Ma finora l’emergenza culle vuote non è stata una priorità politica. Lo sarà col «governo del cambiamento»?
le proposte dei partiti
In campagna elettorale, comunque, quasi tutti i partiti hanno sventolato le loro ricette, più o meno costose, più o meno fattibili. Guardano all’economia, al rapporto tra i contributi che vengono dal lavoro e le pensioni, più raramente ai vincoli che ostacolano il lavoro femminile. Talora anche la politica sembra allarmata dal fatto che in Italia c’è la peggiore combinazione, in ambito europeo, tra bassa fecondità, bassa occupazione delle donne, alti rischi di povertà infantile.
Il campo del centrodestra si è caratterizzato per la doppia proposta di introdurre anche in Italia una fiscalità incentrata sul «quoziente familiare», cioè una tassazione sul reddito che tenga finalmente conto dei figli a carico (è dagli anni Ottanta che in Italia se ne discute inutilmente) e di lanciare un piano straordinario di contrasto della bassa natalità.
La Lega ha proposto un assegno di 400 Euro mensili per ogni figlio (fino ai 18 anni di età, fino ai 6 per Fratelli d’Italia) e asili nido gratuiti (ma solo, significativamente ma con profilo decisamente masochistico, per le famiglie «italiane»). Con l’aggiunta, variabile secondo le sigle, dell’abolizione dell’Iva su pannolini e altri generi di consumo per l’infanzia, e di misure più o meno generiche, per rafforzare la tutela nel lavoro delle madri.
Più vaghe e frammentate le proposte dei 5stelle, in cui si affastellano rimborsi per i costi dei nidi e delle baby sitter, detrazioni fiscali per colf e badanti e forse, perché in verità non è abbastanza chiaramente esplicitato, anche qualcosa che potrebbe assomigliare al «quoziente familiare». Con uno stanziamento però imponente, di ben 17 miliardi annui.
Anche nel programma del Pd il tema è presente. Ci sono detrazioni Irpef per i figli a carico fino ai 18 anni (240 Euro mensili) e una nuova, immancabile, versione degli 80 Euro per quelli tra i 18 e i 26 anni in tutte le fasce di reddito familiare annuo fino ai 100.000 Euro, e con misure previste anche al di sopra di questa soglia. Con l’impegno, già sancito e in parte già finanziato dalla «Buona Scuola», ad estendere l’offerta dei servizi per l’infanzia da 0 a 6 anni, e ad introdurre incentivi al ritorno delle mamme al lavoro dopo la gravidanza (una donna su quattro, in Italia, abbandona il lavoro con il primo figlio, una su due con il secondo figlio).
Proposte tutte piuttosto costose, chissà se conciliabili con altre priorità politiche. È però un buon segno che in ogni schieramento ci sia una certa attenzione al tema, e perfino la dichiarazione di allarme per gli effetti economici e sociali della denatalità. Ma che cosa se ne farà di tanto consenso e di tante possibili convergenze anche trasversali ora che, fatto il governo, si dovrà passare dalle parole ai fatti?
che farà il ministro dell’omofobia?
Del nuovo ministero «Disabilità e Famiglia» e del suo titolare, al momento, si discute soprattutto in relazione ad altre questioni. Lorenzo Fontana, leghista, appartiene al movimento «pro life», ha rilasciato dichiarazioni e interviste rivelatrici delle sue convinzioni sulla famiglia (la sola che riconosce è quella fatta di «un uomo, una donna, dei figli») e delle sue profonde avversità a gay, unioni civili, educazione di genere. Se qualche associazione di disabili teme che il nesso tra disabilità e famiglia significhi che la gestione dei disabili venga scaricata, anche più di quanto avvenga ora, solo sulle responsabilità e le capacità economiche e di cura dei genitori (e che succederà delle persone disabili nel «dopo di noi», quando i genitori moriranno?), c’è chi teme che dal «ministro dell’omofobia» vengano prima o poi attentati alle norme sui diritti civili, e magari anche a quella sulle interruzioni di gravidanza (già gravemente compromessa, nella sua efficacia, dai troppi ospedali pubblici in cui ginecologi, anestesisti e perfino infermieri si dichiarano tutti «obiettori»). Timori giustificati, anche se Matteo Salvini smentisce in nome del «contratto» gialloverde, che in effetti in proposito non dice niente. Ma chi si fida di uno come Lorenzo Fontana? Anche se si è pronunciato con vigore per un programma incisivo di contrasto alla denatalità, quali saranno le sue scelte con- crete? Non è che in nome della famiglia tradizionale dimenticherà l’importanza dei servizi all’infanzia, la miseria dell’offerta di asili nido pubblici nelle regioni meridionali (dove la «copertura» della domanda è sotto il 5%, contro il 25-30 delle regioni del Nord), l’assenza di tutele sufficienti delle lavoratrici-madri e di efficaci dispositivi di conciliazione tra maternità e lavoro in tanti comparti del lavoro più debole (tema, peraltro, di specifica competenza del ministro De Maio)? Insomma, se i diritti civili sono un argomento importante, è anche su questi nodi che occorrerebbe riprendere a discutere, incalzare, mobilitare. Chissà. Non se ne vedono, per ora, neppure le tracce
Servirebbe, prima di tutto, saper elaborare proposte e costruire iniziative su un mix di dispositivi e di servizi a favore dei bambini, delle mamme, delle famiglie diverso da quella congerie di misure eterogenee, sporadiche, discontinue – nazionali e più spesso locali – degli ultimi anni. Che non hanno avuto alcun esito sull’età media in cui in Italia si ha il primo figlio (salita or- mai ai 30 anni medi della madre, con mol- tissimi casi oltre i 40) e sul tasso di fecon- dità perché incapaci di offrire quello di cui c’è più bisogno. Cioè la sicurezza di chi i figli vorrebbe metterli al mondo (in Italia, come in Francia, i ventenni dichiarano che vorrebbero averne due, solo il 7% che non ne vorrebbero nessuno, solo il 14% che ne vorrebbero uno solo) che quelle misure dureranno, che quindi ci si può contare, almeno nel medio termine. Di certo non è perché in un Comune o in una Regione, per un anno o forse due, ci saranno asse- gni-bebé o altri supporti, che i giovani pos- sono persuadersi a fare un figlio o a deci- dere di averne un secondo. Non è perché talora si ventila che in via sperimentale ci saranno consistenti benefici per un eventuale terzo figlio, come succede in altri paesi, che da noi le donne possono facilmente convincersi delle gioie di una famiglia numerosa. Tanto più se in tanti luoghi di lavoro alle giovani mamme si mettono i bastoni fra le ruote, si impedisce di conciliare maternità e lavoro, si negano avanzamenti e carriere professionali. O se, addirittura, certi datori di lavoro evitano di assumere le giovani donne per il timore che prima o poi «pretendano» i congedi di gravidanza o le flessibilità necessarie alla cura dei figli.
il modello francese
Del Ministro Fontana si dice che guarda con interesse alle politiche francesi in questo campo. Se è vero è una buona notizia. Non solo perché negli ultimi quindici anni i governi francesi, di qualsiasi appartenenza politica, hanno operato con continuità e attraverso un mix di incentivi fiscali e di servizi per l’infanzia per innalzare il tasso di natalità, ma anche per un altro motivo. Che viene prima delle singole misure, e che ne spiega l’organicità, la continuità, e probabilmente anche il successo. In Francia, infatti, da quando è esploso il calo demografico si fa di tutto per rassicurare le famiglie che i bambini non sono una respon- sabilità tutta e solo privata di chi decide di averli, ma un bene collettivo del Paese. E quindi un obbligo per la collettività quello di prendersene cura. Fin dalla puntualità con cui i sindaci francesi informano già durante la gravidanza le madri, le regolarmente sposate come le single, le francesi doc e le naturalizzate francesi, su tutte le opportunità, i benefits, i servizi previsti, con l’invio a casa dei moduli necessari per accedere, prima e dopo il parto, ai servizi sanitari, ai centri di sostegno psicologico, alle esenzioni o detrazioni fiscali. Per poter scegliere per tempo gli asili nido disponibili nel quartiere e fare subito l’iscrizione, così come per scegliere il pediatra pubblico. Ogni mamma, prima ancora di vedere in faccia il suo bambino, deve sentire che non è sola, e che le istituzioni non la lasceranno sola. Anche rispetto al mondo del lavoro negli ultimi anni si è fatto molto, con una sempre più efficace protezione e sviluppo dei diritti delle lavoratrici madri e della maternità. A che servono i secoli di sviluppo culturale e civile della vecchia Europa se non si è capaci o non ci si vuole prendere cura della maternità e dei più piccoli?
Martedì 19 giugno 2018
————Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Libri———
L’importanza del leader: senza non si vince
di Samuele Mazzolini e Giacomo Russo Spena
By sardegnasoprattutto/ 17 giugno 2018/ Culture/
MicroMega on line 14 giugno 2018, ripreso da SardegnaSoprattutto. Da Iglesias a Corbyn, da Tsipras ai modelli latinamericani, qualsiasi progetto ha possibilità di successo soltanto se poggia anche su una leadership forte e carismatica. Oltre la retorica del basso, serve un frontman capace di veicolare i messaggi, costruire narrazioni egemoniche e creare empatia con chi lo ascolta. Un linguaggio semplice e pragmatico. Un volto nuovo che vada oltre i confini della sinistra radicale e che parli alla cosiddetta “maggioranza invisibile”.
MigrantiCheFare?
Grande successo per partecipazione di pubblico e completezza di contenuti dell’incontro-dibattito su Migranti Che fare? Promosso da CoStat e Anpi oggi allo Studium Franciscanum di Cagliari: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10215197432636444&set=a.10201710505671699.1073741825.1452014508&type=3&theater
Dopo la presentazione di Giacomo Meloni (Amici sardi della Cittadella di Assisi) e l’introduzione di Andrea Pubusa (coordinatore del CoStat) – che presiedeva l’incontro-dibattito con Franco Meloni – la proiezione del film-breve “Eccomi- Flamingos” di Sergio Falchi (https://www.facebook.com/EccomiSergioFalchi/). Sono quindi intervenuti nell’ordine: Ahmandu Gagega (Associazione IACAR), Ettore Cannavera (La Comunità La Collina), Fernando Codonesu (Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria), Luisa Sassu (Anpi), Gioia Pitzalis (Unica 2.0), Andrea Contu (Arci), Antonio Dessì (CoStat), Roberto Mirasola (LeU), Davide Carta (PD), Gianni Marilotti (M5S), Sandro Deplano (Amici sardi Cittadella Assisi), Marco Marco Mameli (Assotziu Consumadoris), Michela Lippi (Eureka), Marcello Cocco, giornalista, Lorena Cordeddu (Potere al popolo), Marzia Manca. Ha concluso Giacomo Meloni (Confederazione Sindacale Sarda Css).
MigrantiCheFare? Esortazione dei Vescovi della Sardegna
Conferenza
Episcopale
Sarda
(Comunicato stampa) “Ero forestiero e mi avete accolto”
L’accoglienza tra paure legittime, concretezza e profezia.
Nel corso della loro riunione ordinaria tenuta martedì 12 giugno 2018, sotto la presidenza di S.E. Monsignor Arrigo Miglio, fra i tanti punti all’ordine del giorno, i Vescovi sardi hanno anche affrontato il tema dell’immigrazione. Come pastori delle Chiese che sono in Sardegna, essi hanno inteso rivolgersi innanzitutto ai sacerdoti e ai fedeli sardi, per richiamare l’imprescindibile comandamento cristiano: “ero forestiero e mi avete accolto”, facendo eco al messaggio di Papa Francesco in occasione della Giornata mondiale della Pace di quest’anno, dal titolo: “migranti e rifugiati: uomini e donne in cerca di pace”.
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Lunedì 18 giugno 2018
————Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Libri———
Migranti, la retorica dell’accoglienza è perdente: per il M5S e la sinistra la vera sfida è sulle politiche di integrazione
Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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MigrantiCheFare? Esortazione dei Vescovi della Sardegna
COMUNICATO della Conferenza Episcopale Sarda
“Ero forestiero e mi avete accolto”
L’accoglienza tra paure legittime, concretezza e profezia.
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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PROBLEMI » POLITICA
Tre destre, senza opposizione. Rassegnarsi non è possibile
di TOMASO MONTANARI
huffingtonpost. 12 giugno 2018, ripreso da eddyburg. Non c’è democrazia senza opposizione, che a questo punto della nostra storia non può che essere ricostruita a partire dalle lotte e dai diritti. (i.b.) [segue]
Oggi lunedì 18 giugno 2018
————Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Libri———
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Oggi lunedì allo Studium Franciscanum
Incontro
informale, senza relazioni, ma con brevi riflessioni nell’ambito di una riflessione collettiva.
Avvia il confronto Andrea Pubusa – CoStat
seguono i vostri interventi
insieme a quelli di Ettore Cannavera (Comunità La Collina – Serdiana), Davide Carta (PD), Andrea Contu (ARCI), Fernando Codonesu e Tonino Dessì (CoStat), sen. Gianni Marilotti e Pino Calledda (M5S), Giacomo Meloni (sindacalista CSS), Marco Mereu (FIOM), Roberto Mirasola (LeU), Luisa Sassu (ANPI), Franco Meloni (Amici sardi della Cittadella di Assisi), Carlo Dore jr. (Lib. e Giustizia), Michela Lippi (Eureka), Gaia Pitzalis (UniCa 2.0), esponenti delle comunità straniere a Cagliari.
Sono invitate le confessioni religiose.
Il dibattito pubblico sull’Aquarius è ricco di spunti polemici, dettati da logiche di schieramento. Vogliamo avviare un confronto, preoccupandoci solo del merito della questione dei migranti, che ha complesse implicazioni di carattere etico, giuridico e politico.
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Oggi Lunedì 18 giugno 2018, ore 17.45
Studium franciscanum
via Principe Amedeo n. 22 Cagliari
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In apertura sarà proiettato Eccomi “Flamingos”- The short film scritto e diretto da Sergio Falchi, che sarà presente.
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Anche su Democraziaoggi.
RIFLESSIONI ESSENZIALI: «La differenza più importante non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi pensa e chi non pensa ai grandi interrogativi dell’esistenza»
Una riflessione condivisa dal filosofo Norberto Bobbio e dal cardinale Carlo Maria Martini.
E’ online il manifesto sardo duecentosessantatre
Il numero 263
Il sommario
Una regione, un popolo, una lingua (Marinella Lőrinczi), Il sardo: una lingua e due macro varietà (Graziano Pintori), Cambiamo le regole sui tirocini in Sardegna: Chi controlla il promotore? (Marco Contu), Alla stretta finale l’esame del disegno di legge regionale sul governo del territorio (Stefano Deliperi), La ricerca di un nuovo equilibrio tra le grandi potenze del mondo (Gianfranco Sabattini), Turchia e dintorni. Come è nata la Turchia moderna? (Emanuela Locci), Frammenti d’amicizia. Ricordando Marc Porcu (Giovanni Dettori), No al Mater Olbia. Sì alla sanità pubblica e gratuita (red), La fortezza Europa ringrazia Salvini (Guido Viale), Qualcosa è cambiata. Assemblea con Felice Besostri (red), La femminilità negata (Daniela Spada), La pistola per l’elettroshock da strada (Piero Cipriano).
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DIBATTITO. Governo. L’Agenda Salvini
Non vedo l’ora di cominciare a lavorare, era il mantra ripetuto dal leader della Lega Matteo Salvini per tutta la campagna elettorale e poi nella lunghissima fase di incubazione del governo.
E da quando questo si è insediato, pare che l’ora finalmente sia arrivata, per il triplo lavoro del ministro dell’interno, vice-premier e segretario della Lega. Protagonista di un attivismo frenetico, che fa pensare che a lavorare lassù al governo ci sia solo lui: passa da un comizio all’altro, complici gli appuntamenti elettorali continui; da un’assemblea di categoria all’altra, prediligendo i commercianti; da una trasmissione tv all’altra, dove quasi sempre gli viene garantito lo status di ospite d’eccezione, senza contraddittorio; da una vittima all’altra, ovviamente dando solidarietà solo a quelle colpite dai nemici immigrati; e soprattutto da un social all’altro, continuando quella presenza pervasiva nella rete che ha caratterizzato il successo della sua campagna elettorale.
Ha cominciato finalmente a lavorare? A vedere l’elenco degli impegni, si potrebbe rispondere che ha continuato a fare campagna elettorale, frantumando lo stile istituzionale del ministro dell’Interno in diverse occasioni, sia quando ha parlato dalla sede del suo partito con le bandiere della Lega alle spalle, che quando ha aperto casi internazionali dalla sede del Viminale e non della Farnesina. Con tutto ciò Salvini è riuscito a fare anche al governo quello che gli ha consentito di vincere le elezioni, portando la Lega da percentuali irrisorie al 17,5%: ha imposto la sua agenda. Ed è dentro quest’agenda che si deve guardare, per cercare di capire perché, e cosa ci aspetta.
Cominciamo da un numero: 5.634.577. Sono i voti conquistati dalla Lega alle politiche. Sono tanti, ma sono pur sempre meno di un quinto del totale che si è espresso. Non sono certo la maggioranza degli italiani, e sono poco più della metà di quelli avuti dal suo alleato di governo, il Movimento Cinque Stelle. Eppure quest’ultimo al governo balbetta, segue, rincorre, piazza uomini di bassa notorietà e assoluta inesperienza, che – come a Roma, travolta dagli scandali – devono affidarsi al vecchio sottobosco dell’amministrazione e dei faccendieri per risolvere ogni questione spicciola o grande che sia. L’ascesa della Lega pare irresistibile: il reddito di cittadinanza, bandiera pentastellata, quasi è sparito dal dibattito, mentre si parla solo di flat tax, condono, abolizione del contante. Tutte misure di politica economica che trovano gli applausi di un’Italia un po’ vecchia, quella delle piccole imprese, professionisti e lavoratori autonomi che si sentono schiacciati dal peso dello Stato e del fisco, e in un alleggerimento sperano – sia per vie legali che illegali – di sopravvivere e riprendersi. La bandiera più grande ed evidente, quella della flat tax, è solo agitata, non si sa quando si tradurrà in pratica: qualcuno dice subito, altri dicono che si procederà per gradi e ci si arriverà solo nel 2020. Certo è che la più grande redistribuzione fiscale della storia – dai poveri ai ricchi, dato che la flat tax avvantaggerebbe in misura più che proporzionale chi guadagna di più – costa moltissimo, e non si sa ancora come il governo pensa di trovare le relative risorse. Anzi, a ben vedere non c’è ancora neanche mezza idea di come trovare i soldi per coprire un’altra emergenza più stringente, ossia come evitare l’aumento dell’Iva che scatterà automaticamente, per il prossimo anno, in assenza di contromisure. Il ministro dell’Economia, il professor Giovanni Tria rimediato all’ultimo momento per sostituire l’ingombrante Paolo Savona, ha candidamente ammesso che deve ancora vedere i numeri. Strano, visto che di questa faccenda si parla e si sa da anni. Ma entro settembre una scelta andrà fatta. E molto probabilmente sarà un mix di entrate da condono e nuovo deficit, più qualche taglio (sulla carta) da spending review, a finanziare la cancellazione degli aumenti dell’Iva. Si aprirà allora un fronte delicato, con la presidenza della Repubblica e con l’Europa: le entrate da Iva sono strutturali, quelle da sanatoria fiscale sono una tantum, dunque non si potrebbe «coprire» una perdita di gettito destinata a durare nel tempo con un’entrata che dura solo un anno; mentre l’extra-deficit, come già fecero Renzi e Gentiloni, va contrattato con la Commissione Europea. Turbolenze in arrivo, insomma, ancor prima che si metta mano alla montagna della flat tax. Ed ecco allora che la turbopartenza di Salvini può servire ad alzare i toni e spostare il discorso sul terreno che per il leader della Lega è più consono e popolare: la difesa da un nemico esterno. Non a caso nel «governo del cambiamento» il leader leghista ha preteso per sé il Viminale: è sul terreno interno, sull’ideologia prima che sulla pratica dell’ordine pubblico, che vuole continuare la sua ascesa per egemonizzare del tutto la destra italiana, sbaragliando gli altri, e nel frattempo nascondere il fatto che tutti gli altri «cambiamenti» scritti nel programma e agitati in piazza sono irrealizzabili, pure promesse elettorali. È quello che è successo nella cinica gestione della vicenda della nave Aquarius, nella quale Matteo Salvini ha continuato a fare il capo dell’opposizione che urla nelle piazze invece che il ministro dell’Interno che gestisce e risolve i problemi. Dipingere un’invasione che non c’è; usare oltre 600 persone come ostaggi per lanciare e imporre una svolta politica e internazionale; giocare la battaglia della riforma delle regole europee urlando sui social invece che sedendo ai tavoli istituzionali; cercare alleanze con gli antieuropei (Ungheria) e risse con i fondatori dell’Europa (Francia); calpestare i diritti umani e i valori civili dopo aver agitato un vangelo e un rosario nelle piazze… L’elenco è lungo, ma più ancora che l’indignazione dovrebbe sollevare la domanda: perché tutto ciò non trova freni, né dall’opposizione né dai suoi stessi alleati di governo, che anzi si affrettano a seguire l’agenda Salvini?
Pd e M5s nell’irrilevanza
L’opposizione, apparentemente, non esiste. Usati come un taxi elettorale da cui poi scendere per andare al governo con gli ex nemici dei Cinque Stelle, gli alleati del centro-destra sono in rotta. I Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni stanno già a metà sul carro del vincitore, e la svolta di destra estrema impressa nei primi giorni del governo ne facilita il balzo. Forza Italia è in liquefazione, con il tramonto del padrone patriarca che, nonostante la riabilitazione giudiziaria, non pare sia destinato a un’ennesima rimonta, anche per motivi anagrafici. Dall’altro lato, si è tentati di non parlare del Pd per non infierire. Ha fatto notizia l’accorato discorso di Graziano Delrio alla Camera, nel giorno della fiducia al governo Conte. Ma dovrebbe far notizia il fatto che sia stato l’unico all’altezza della drammaticità del momento, mentre tutto il suo partito, dopo essere stato incomprensibilmente alla finestra nella fase delle trattative per il governo, ha ridacchiato, dileggiato, scherzato, e al massimo della sua espressione ha prodotto critiche del tipo: «vedremo se sono capaci di farlo». Mentre bisognerebbe mettere in campo tutte le forze possibili per impedire loro di fare quello che hanno promesso, e in effetti cominciato a fare, ai danni solo dei più deboli, nell’esordio del governo. Su questo, contano certo i rapporti di forza in parlamento. Ma il Pd ha pur sempre preso 6 milioni di voti, più della Lega. Perché si dissolve nell’irrilevanza? Perché è stato costruito per il governo ed è dunque inservibile se esce dalle stanze del potere? Perché Renzi non molla la presa? Perché si sta ancora leccando le ferite di una sconfitta – in ogni caso – superannunciata? Perché spera di avere tempo per preparare un astuto contrattacco?
Tutte queste spiegazioni possono essere vere. Ma ce n’è un’altra più generale: da che parte stare. Molte delle misure che adesso rivelano una destra ferocemente e compiutamente coerente hanno trovato incubazione dalle parti del centrosinistra. L’idea per cui basta ridurre le tasse, e tutto il resto seguirà. Il salvataggio in mare visto come fastidio e non come necessità. L’immigrazione raccontata come un’invasione. Persino la chiusura dei porti, vagheggiata a suo tempo dal ministro Minniti. Su tutti questi temi, non si vuole dire che «la sinistra» (o meglio il Pd) ha fatto come la destra. Né che non fosse giusto e politicamente intelligente capire le ragioni, e le paure anche irrazionali, di una larga parte dell’elettorato. Ma che non c’è una contro-proposta, un’altra idea radicata nei valori della solidarietà e dell’eguaglianza. In assenza di un’alternativa, concedere piccoli assaggi di vera destra non è servito a niente: meglio andare all’originale, e ai suoi detentori.
Lo stesso virus – l’assenza di un’idea portante, di una identità precisa: di una ideologia – colpisce anche la storia di successo dei Cinque Stelle, i cui 10 milioni di voti pesano pochissimo rispetto a quelli della Lega perché Di Maio & co non sanno come spenderli. Hanno ricevuto un enorme capitale, e già gli sta sfuggendo dalle mani. L’onestà, unica bandiera riconoscibile, oltre a essere una pre-condizione e non og- getto della politica, gli è anche miseramente caduta dalle mani nella vicenda romana. Il reddito di cittadinanza, da utopia per il mondo nuovo, è diventato un sussidio di disoccupazione solo un po’ più largo di quelli attuali, e forse comunque non si potrà fare. Cosa resta dell’enorme esperimento che ha portato una forza solo dieci anni fa inesistente a conquistare il potere? Forse se lo stanno chiedendo molti di coloro che, credendoci, li hanno eletti.
Roberta Carlini
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La disumanità come carta vincente
«Ero straniero e non mi avete accolto», ha detto l’altro ieri il cardinale Ravasi citando il Vangelo e denunciando la mancanza dell’umano nella politica. Se questo è vero – ed è tragicamente vero – ne viene di conseguenza che solo una nuova immersione della politica nell’umanità può rovesciare la terribile fase che stiamo attraversando. Solo un’affermazione senza reticenze e con orgoglio anche nel discorso pubblico di parole e valori quali bontà, solidarietà, integrazione, pietà, comunione può dipingerla di colori nuovi e liberarla da quelli cupi della paura e del respingimento dell’altro. Si tratta di rimettere in moto un processo di rieducazione che non è impossibile. Avere davanti ai propri occhi, e questa volta con assoluta chiarezza, una politica senza umanità può aiutare a costruirne una diversa.
di Ritanna Armeni
E’ possibile fare politica staccandola completamente dall’umanità? E’possibile agire – pensare di agire – per il benessere dei cittadini, per la loro sicurezza, muovendosi contro altri essere umani, che si trovano in una situazione di pericolo, forse di morte?
Questo interrogativo si pone sempre con l’arrivo dei barconi carichi d’immigrati nei porti italiani. Uomini e donne che hanno bisogno di aiuto ma che, con la loro presenza – molti sostengono –, intaccano benessere e sicurezza dei cittadini italiani. Quest’anno si pone con più forza e drammaticità che nel passato per un motivo molto semplice. Per la prima volta l’Italia ha un governo che fa dei respingimenti in mare l’asse portante della sua politica; per la prima volta il vero vincitore delle elezioni del 4 marzo, il capo della Lega Matteo Salvini, vuole dimostrare senza possibilità di equivoci all’Italia e all’Europa che dall’«invasione» dei diversi, dei neri, dei poveri ci si può difendere. Che un nuovo ordine può essere imposto. Che l’inumano può governare.
Per farlo ha bisogno di operare un rovesciamento culturale che fino a qualche tempo fa sembrava impossibile: rescindere ogni legame fra i sentimenti (solidarietà, pietà, fratellanza, istinto alla protezione dei deboli, benevolenza, compassione) e l’agire pubblico (le leggi, gli interventi, le disposizioni per l’ordine).
Per separare l’uomo e la donna dalla propria umanità occorre educarli all’indifferenza, liberarli da ogni empatia con i sofferenti, renderli prigionieri delle proprie ansie e paure, impedir loro di uscire dal ghetto delle proprie sofferenze per dare uno sguardo, almeno uno sguardo, a quelle altrui. L’abbiamo visto solo qualche giorno fa con l’Aquarius, la nave con 629 migranti che il governo italiano ha respinto e che è stata salvata solo grazie all’apertura dei porti spagnoli.
Le motivazioni dell’atto (e della sua disumanità) sono state tutte «politiche». Dare una lezione all’Europa che finora ha colpevolmente voluto ignorare la difficile situazione delle coste italiane e questo è di certo vero. Alcuni paesi europei per evitare l’invasione hanno eretto muri e militarizzato le frontiere. Poi – si è detto – occorre evitare che, insieme ai migranti, sbarchino, anche terroristi. Che dobbiamo riservare le poche risorse che ci sono agli italiani, aiutare prima i poveri di casa nostra. Ci sono i terremotati, i disoccupati. E, infine, che è impossibile condividere servizi sociali già insufficienti.
Le motivazioni della politica, come si vede, sono già esplosive. Se si calano nella difficile situazione economica e sociale del paese, se si condiscono con una buona dose di paura per il diverso, la deflagrazione è immediata.
L’Aquarius è solo l’ultimo dei casi in cui l’inumano diventa politico. Perché da tempo – come ha denunciato il politologo Marco Revelli – «senza quasi trovare resistenza, con la forza inerte dell’apparente normalità, la dimensione dell’inumano è entrata nel nostro orizzonte».
Esso – precisa ancora Revelli – «non è la mera dimensione ferina della natura contrapposta all’acculturata condizione umana. Non è il mostruoso che appare a prima vista estraneo all’uomo». L’inumano è il momento in cui l’altro diventa cosa «indifferente, sacrificabile o semplicemente ignorabile». Il momento in cui la sua vita «non è oggetto primario, ma oggetto di calcolo». Quel che sta avvenendo nelle acque del Mediterraneo e quello che è prevedibile accada nei prossimi mesi, è esattamente questo. La vita degli uomini e delle donne è oggetto di calcolo economico e politico. È con la minaccia di morte di centinaia di persone che si pongono condizioni all’Europa. Sono i disperati del mare che garantiscono la linea della fermezza. Sono loro i testimoni che i partiti al governo fanno il bene degli italiani salvaguardano la loro sicurezza e il loro benessere.
Non sarebbe onesto né veritiero dire che questo processo di disumanizzazione della politica si manifesta ora per la prima volta. Solo qualche mese fa un altro governo – questa volta di centro sinistra – e un altro ministro degli interni – di sinistra – con un accordo con le tribù libiche e un attacco alle organizzazioni umanitarie che agivano nel Mediterraneo, ha bloccato in campi della Libia alla mercé di miliziani, torturatori e stupratori, migliaia di uomini e di donne che avevano la colpa di tentare di arrivare sulle nostre coste nella speranza di un futuro migliore. Lo racconta con crudezza un bel film
che forse in pochi hanno visto: «L’ordine delle cose» di Andrea Segre. Anche in questo caso la vita di molti è entrata nel calcolo.
Ma quell’azione ampiamente «disumana» e largamente condivisa dai mass media era coperta, almeno, dall’ipocrita affermazione di voler difendere gli immigrati dallo sfruttamento degli scafisti, dalle carrette della morte che offrivano false speranze. Oggi invece l’inumano non usa infingimenti, non cerca pretesti, non dà motivazioni che coprano la realtà. Anzi la politica se ne mostra orgogliosa, fa della disumanità la sua carta vincente.
«Ero straniero e non mi avete accolto», ha detto l’altro ieri il cardinale Ravasi citando il Vangelo e denunciando la mancanza dell’umano nella politica. Se questo è vero – ed è tragicamente vero – ne viene di conseguenza che solo una nuova immersione della politica nell’umanità può rovesciare la terribile fase che stiamo attraversando. Solo un’affermazione senza reticenze e con orgoglio anche nel discorso pubblico di parole e valori quali bontà, solidarietà, integrazione, pietà, comunione può dipingerla di colori nuovi e liberarla da quelli cupi della paura e del respingimento dell’altro. Si tratta di rimettere in moto un processo di rieducazione che non è impossibile. Avere davanti ai propri occhi, e questa volta con assoluta chiarezza, una politica senza umanità può aiutare a costruirne una diversa.
Ritanna Armeni
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Oggi domenica 17 giugno 2018
Gli Editoriali di Aladin AladiNews Aladinpensiero.
————Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Libri———
[Card. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana] Il fenomeno migratorio e noi
“La santità non riguarda solo lo spirito, ma anche i piedi, per andare verso i fratelli, e le mani, per condividere con loro. Le Beatitudini evangeliche insegnino a noi e al nostro mondo a non diffidare o lasciare in balìa delle onde chi lascia la sua terra affamato di pane e di giustizia; ci portino a non vivere del superfluo, a spenderci per la promozione di tutti, a chinarci con compassione sui più deboli. Senza la comoda illusione che, dalla ricca tavola di pochi, possa “piovere” automaticamente il benessere per tutti”.
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MigrantiCheFare? Domani, lunedì 18 Dibattito a Cagliari
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Parliamone assieme lunedì allo Studium Franciscanum
Incontro
informale, senza relazioni, ma con brevi riflessioni nell’ambito di una riflessione collettiva.
Avvia il confronto Andrea Pubusa – CoStat
seguono i vostri interventi
insieme a quelli di Ettore Cannavera (Comunità La Collina – Serdiana), Davide Carta (PD), Andrea Contu (ARCI), Fernando Codonesu e Tonino Dessì (CoStat), sen. Gianni Marilotti e Pino Calledda (M5S), Giacomo Meloni (sindacalista CSS), Marco Mereu (FIOM), Roberto Mirasola (LeU), Luisa Sassu (ANPI), Franco Meloni (Amici sardi della Cittadella di Assisi), Carlo Dore jr. (Lib. e Giustizia), Michela Lippi (Eureka), rappresentante di Unica 2.0, esponenti delle comunità straniere a Cagliari.
Sono invitate le confessioni religiose.
Il dibattito pubblico sull’Aquarius è ricco di spunti polemici, dettati da logiche di schieramento. Vogliamo avviare un confronto, preoccupandoci solo del merito della questione dei migranti, che ha complesse implicazioni di carattere etico, giuridico e politico.
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Domani Lunedì 18 giugno 2018, ore 17.45
Studium franciscanum
via Principe Amedeo n. 22 Cagliari
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In apertura sarà proiettato Eccomi “Flamingos”- The short film scritto e diretto da Sergio Falchi, che sarà presente.
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DIBATTITO. MigrantiCheFare?
DIBATTITO. Carlo Freccero: “I migranti non sono il nuovo proletariato. Così la sinistra del politicamente corretto si estingue”
17 Giugno 2018
di Carlo Freccero – su il manifesto, 12 giugno, ripreso da Democraziaoggi.
Per stimolare la riflessione sulle sorti della sinistra, pubblichiamo questo articolo di Carlo [...].
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Troppe situazioni esplosive. E l’Italia deve cambiare rotta. Nicola Melis su L’Unione Sarda di oggi domenica 17 giugno 2018.
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MigrantiCheFare?
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Parliamone assieme lunedì allo Studium Franciscanum
Incontro
informale, senza relazioni, ma con brevi riflessioni nell’ambito di una riflessione collettiva.
Avvia il confronto Andrea Pubusa – CoStat
seguono i vostri interventi
insieme a quelli di Ettore Cannavera (Comunità La Collina – Serdiana), Davide Carta (PD), Fernando Codonesu (CoStat), Andrea Contu (ARCI), Tonino Dessì (CoStat), sen. Gianni Marilotti e Pino Calledda (M5S), Giacomo Meloni (sindacalista CSS), Marco Mereu (FIOM), Roberto Mirasola (LeU), Luisa Sassu (ANPI), Franco Meloni (Amici sardi della Cittadella di Assisi), esponenti delle comunità straniere a Cagliari.
Sono invitate le confessioni religiose.
Il dibattito pubblico sull’Aquarius è ricco di spunti polemici, dettati da logiche di schieramento. Vogliamo avviare un confronto, preoccupandoci solo del merito della questione dei migranti, che ha complesse implicazioni di carattere etico, giuridico e politico.
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Lunedì 18 giugno 2018, ore 17.45
Studium franciscanum
via Principe Amedeo n. 22 Cagliari
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In apertura sarà proiettato Eccomi “Flamingos”- The short film scritto e diretto da Sergio Falchi, che sarà presente.
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Oggi sabato 16 giugno 2018
Gli Editoriali di Aladin AladiNews Aladinpensiero.
————Avvenimenti&Dibattiti&Commenti&Libri———
Migranti Che Fare? Incontro-dibattito lunedì 18 giugno a Cagliari, ore 17.30, Studium Franciscanum. Anche su Democraziaoggi.
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In argomento, tra le molte riflessioni contenute nella nostra News, quelle recenti di Gianfranco Sabattini e di Ritanna Armeni (Rocca).
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