Monthly Archives: marzo 2018
Oggi mercoledì 21 marzo 2018
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Ganau, non basta il maquillage a fermare i 5S!
21 Marzo 2018
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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E’ Primavera!
Primavera (Botticelli)
Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.
La Primavera è un dipinto a tempera su tavola (203 x 314 cm) di Sandro Botticelli, databile tra il 1478 e il 1482 circa. Realizzata per la villa medicea di Castello, l’opera d’arte è conservata nella Galleria degli Uffizi a Firenze.
Si tratta del capolavoro dell’artista, nonché di una delle opere più famose del Rinascimento italiano. Vanto della Galleria, si accostava anticamente con l’altrettanto celebre Nascita di Venere, con cui condivide la provenienza storica, il formato e alcuni riferimenti filosofici. Lo straordinario fascino che tuttora esercita sul pubblico è legato anche all’aura di mistero che circonda l’opera, il cui significato più profondo non è ancora stato completamente svelato.
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- Bomeluzo.
IL PAPATO SI RINNOVA ED È DI NUOVO PROTESTA
di Raniero La Valle
Scegliete oggi chi volete servire (Gs 24,15)
Notizie da
Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Newsletter n. 76 del 20 marzo 2018
QUESTI PAPI
Cari Amici,
per gli arruolati al partito antipapista la testimonianza dell’ex papa Benedetto XVI a sostegno di papa Francesco, a conferma della sua sapienza teologica e della continuità del suo pontificato con quello precedente, è arrivata come una sciagura. Così hanno cercato di azzerarla, svelando che nella lettera dell’ex papa c’era anche una riserva per uno dei teologi che aveva collaborato alla collana pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana per i primi cinque anni di pontificato. Ma per quanto la critica a uno degli autori della collana potesse essere fondata, ciò nulla toglie alla notizia principale, che sta nel rifiuto del precedente pontefice di prendere le parti o addirittura la guida della fazione anti-Bergoglio. La quale, dalla casamatta del blog dell’Espresso, annuncia ora per il 7 aprile a Roma una specie di Convenzione antagonista per pubblicare le Tesi di una nuova Protesta.
Tornando alla Chiesa, c’è da dire che questo strascico polemico seguito alla limpida presa di posizione dell’ex papa Benedetto, ha avuto il merito di portare alla ribalta, come oggetto di riflessione, la natura stessa del papato, anche al di là del giudizio sull’oggi. E ciò proprio perché è stato papa Benedetto a far cadere l’ostacolo che impediva un ripensamento della natura e del modo di esercizio del primato petrino, e perciò impediva la riforma del papato, condizione e volano della riforma della Chiesa.
L’ostacolo era che nel corso del secondo millennio cristiano il papato era stato fortemente mitizzato, quasi messo al posto di Dio. La manifestazione più vistosa nel Novecento se ne ebbe nella figura ieratica di Pio XII, il “Pastor Angelicus”; poi, dopo la parentesi di Giovanni XXIII, la mitizzazione giunse ai fasti di papa Wojtyla, che si disse avesse sconfitto da solo il comunismo e che le folle plaudenti volevano “santo subito!”.
Ma è in Paolo VI che il mito giunse alla sua massima crisi. Egli se ne era fatto custode, quando al Vaticano II aveva imposto (e aggiunto in via “previa”) una sua interpretazione restrittiva al documento conciliare sulla collegialità episcopale, per toglierne qualsiasi ombra che potesse offuscare la dottrina del primato e scolorire la figura del papa; e il 1 settembre 1966 in una sosta ad Anagni dove Bonifacio VIII aveva ricevuto il mitico schiaffo francese, rivendicò i meriti di quel ruvido papa “che più degli altri aveva affermato la più piena e solenne autorità pontificia” nel quadro concettuale “dei due poteri, uno spirituale l’altro temporale” disposti però su una “scala dei valori” per cui lo spirituale doveva prevalere sugli altri, e infiammò i fedeli così: “Questa comunità (la Chiesa) è organizzata e non può vivere senza l’innervazione di una organizzazione precisa e potente che si chiama la Gerarchia. Figlioli miei, è la Gerarchia che vi sta parlando, è il Vicario di Cristo che oggi è davanti a voi… Posso domandarvi, figlioli carissimi, questa grazia che voi certamente non mi rifiutate: amate il Papa, amate il Papa, perché senza alcun suo merito e senza certamente alcuna sua ricerca gli è capitata questa strana singolare vocazione di rappresentare Nostro Signore. Non guardate a noi, guardate il Signore di cui rappresentiamo…”, e la frase non finì per gli applausi. Ed è certamente per la forte coscienza di questa rappresentanza ricapitolata in lui che papa Montini compì i suoi gesti più estremi, come la Humanae Vitae, disattesa dalla Chiesa, o la decapitazione e riduzione al silenzio della Chiesa di Bologna.
Ma il mito si rovescia in tragedia quando Aldo Moro, nonostante la supplica montiniana alle Brigate Rosse che lo hanno rapito, viene ucciso. E nella preghiera agli agghiaccianti funerali di Stato che Moro aveva detto di non volere, Paolo VI si mostra sgomento perché lo scambio con Dio non ha funzionato, e lo interpella con un lamento che assomiglia più al “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” di Gesù, che alle rimostranze di Giona a Dio che si era pentito di voler distruggere Ninive e non l’aveva fatto. In tale lamento Paolo VI rompe nel grido e nel pianto la sua voce e si duole, quasi incredulo, con Dio: “Tu, o Dio della vita e della morte, Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, quest’uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico”; e tanto ne fu il dolore, che dopo pochi mesi Paolo VI morì.
E infine giunge Benedetto XVI, “il papa teologo”, che pone soavemente l’atto più eversivo del mito, con le sue dimissioni da papa, demitizzando in tal modo il papato. E proprio da lì comincia la riforma della Chiesa.
Ma in quale direzione? La disputa intorno alla lettera di Ratzinger su Bergoglio è stata su chi fosse il papa più teologo, o sul negare che Francesco fosse teologo. L’errore di questa disputa stava nel presupposto secondo cui il necessario predicato del papa è “professione teologo”. Certo deve saperne di teologia, però la professione di Pietro non era teologo, ma pescatore. Così lo prese Gesù, e con lui anche gli altri. Del resto anche come pescatori lasciavano a desiderare, e se non era per Gesù che faceva gettare le reti e distribuire i pesci, le folle restavano digiune.
Il papa non è lo scienziato di Dio, ma ne è il messaggero. Il termine stesso “teologia” del resto è esagerato. Non c’è una “scienza” di Dio, Dio non si può racchiudere nella nostra conoscenza, non sta lì, sta “in una brezza leggera”. Dice il vangelo di Giovanni: Dio nessuno l’ha mai visto, è il Figlio che lo svela, che lo racconta, che ne fa “l’esegesi”. Dunque a rigore c’è un solo teologo, che è Gesù, come un solo maestro, che è lui.
Perciò papa Francesco non deve passare al vaglio di un’accademia, e non sono su questo piano la continuità e le differenze col suo predecessore. Per questo è così affascinante la domanda su chi è veramente Francesco, e per quale forza sta cambiando, presso l’uomo moderno, l’idea stessa di religione.
Sono questi i temi dell’articolo che pubblichiamo, “Professione teologo o pescatore”, sui quali dovremmo continuare a discutere. Inoltre riprendendo il tema dell’innovarsi nel tempo dell’annuncio messianico cristiano, pubblichiamo un articolo di Carlo Molari sulla Parola che “non si conserva in naftalina”. Di papa Francesco pubblichiamo uno stralcio dell’ultimo discorso ai giovani.
Intanto, per la politica, la cosa più urgente da fare è di abolire, vista la perversione in corso, il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina (art. 11 della legge Bossi-Fini).
Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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Su la Repubblica.it 2018
LA CONTINUITÀ DELLA FEDE
di Enzo Bianchi
Poche righe, essenziali nella loro schietta semplicità, per far tacere uno «stolto pregiudizio» e riaffermare una verità profondamente cattolica. Benedetto XVI ha voluto mettere nero su bianco quello che il sensus fidei presente nel popolo di Dio aveva capito da subito e che invece i pochi ma agguerriti oppositori di papa Francesco si ostinano a negare: «La continuità interiore tra i due pontificati». Sottolineare i cambiamenti, gli accenti, le differenze, le novità degli ormai cinque anni del pontificato di papa Francesco non implica una critica né tantomeno una contrapposizione rispetto a Benedetto XVI: solo una lettura distorta del ministero petrino, infatti, non riesce a vedere come la continuità riguardi la fede professata, mentre gli stili, i modi di presiedere, di essere pastore e manifestare la sollecitudine per le urgenze dell’umanità possono e, in certa misura, devono essere diversissimi, perché i doni del Signore sono diversi tra loro.
Nella sempre lucida e attenta sollecitudine per la Chiesa che lo anima anche dopo la rinuncia al ministero petrino, Benedetto XVI ha ritenuto urgente e doveroso far sentire la sua voce per il bene del popolo di Dio e la sua unità attorno al vescovo di Roma: come pastore che non cessa di avere a cuore il suo gregge, ha usato la sapienza teologica sua e degli autori dei saggi sul pensiero di papa Francesco per «opporsi e reagire» a fronde pretestuose di chi confonde la trasmissione del messaggio evangelico da una generazione all’altra con la nostalgia per forme che hanno perso l’aderenza alla sostanza dell’annuncio cristiano.
Così, nella lettera che Benedetto XVI indirizza al prefetto della Segreteria della Comunicazione del Vaticano non vi è cedimento alla bassa polemica dei detrattori di Bergoglio, bensì la conferma di come ogni vescovo di Roma presiede alla carità usando al meglio la policroma varietà di carismi che ha avuto in dono. Tra le righe si può tuttavia leggere anche una velata ironia da parte di Benedetto XVI che ricorda come la pretesa contrapposizione tra i due papi finisca non solo per negare autorevolezza teologica a Francesco, ma anche per considerare il suo predecessore « un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano oggi».
Questa profonda lettura della continuità del magistero papale — che in termini di fede altro non significa che la certezza che lo Spirito santo non abbandona mai il popolo di Dio — era del resto emersa nell’intervista che Benedetto XVI aveva concesso ad Avvenire due anni fa e su un tema, quello della misericordia, che tanto preoccupa gli odierni «profeti di sventura». Papa Francesco è entrato nella «continuità interiore» dell’annuncio della misericordia proclamato solennemente da papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura del Concilio, riaffermato da Paolo VI e da Giovanni Paolo II e ribadito dal cardinal Ratzinger prima e dopo la sua elezione al soglio di Pietro: Benedetto XVI, come papa Francesco, sa guardare all’umanità con occhi profetici, discernendola in attesa di chi la guardi, se ne prenda cura, la perdoni, la rialzi, le dia speranza. Questo magistero pontificio, in piena continuità, vuole incontrare gli uomini e le donne di oggi che sono in attesa soprattutto di misericordia perché questa sembra mancare nelle relazioni umane, sembra affievolirsi e non far più parte della grammatica umana. Ciò non significa negare o sottacere il retroterra teologico e accademico diverso tra i due papi, né la diversità di approccio nel rinnovare la tradizione cristiana, nell’applicare l’aggiornamento auspicato da papa Giovanni e dal Concilio. La differenza non deve fare paura, bensì mostrare la bellezza delle diverse sfaccettature che la Chiesa assume nel corso della storia e nel suo essere comunione che abbraccia comunità di fede sparse nei cinque continenti. Con buona pace di chi semina zizzania e si diletta a contrapporre la «formazione teologica o filosofica» alla capacità di comprensione della «vita concreta del cristiano» di oggi e di sempre. E con profonda gratitudine per «tutte le differenze di stile e di temperamento » che caratterizzano Benedetto XVI e Francesco.
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Oggi a Cagliari. Ricordo di Luigi Crespellani, il Sindaco della ricostruzione
Il Consiglio comunale di Cagliari ricorda oggi Luigi Crespellani, il Sindaco della ricostruzione che s’impegnò come amministratore pubblico a ricostruire la città, distrutta dai bombardamenti. Crespellani fu anche il primo presidente della Regione Autonoma della Sardegna e poi senatore della Repubblica. Oggi, martedì alle 17,30, dopo l’intervento introduttivo del presidente del Consiglio comunale Guido Portoghese, la commemorazione ufficiale sarà svolta dall’ex presidente della Regione Pietro Soddu, dall’ex docente di Diritto pubblico Umberto Allegretti e dalla figlia di Luigi, Teresa Crespellani.
Oggi martedì 20 marzo 2018
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Il PD sardo vuol fare la plastica facciale. Fuzionerà?
20 Marzo 2018.
Amsicora su Democraziaoggi.
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4 FEBBRAIO, 2018 IN POLITICA E CULTURA BY OFFICINA
Gorz. Tra marxismo ed ecologismo
L’Officina dei Saperi pubblica (e Aladinews riprende) l’introduzione del libro di Emanuele LEONARDI: Lavoro, Natura, Valore. André Gorz tra marxismo e decrescita, Orthotes, Napoli-Salerno, 2017. Da “effimera. Critiche e sovversioni del presente“.
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Kurdi
Un popolo oppresso e dimenticato
Erdoğan, il dittatore turco massacra i Kurdi.
di Francesco Casula
I Kurdi, fra i principali protagonisti nel combattere e sconfiggere l’Isis, vengono oggi ricompensati con il massacro da parte del dittatore turco (pare alleato proprio con assassini dell’Isis).
E l’Europa sta a guardare. E i nostri politici non fiatano. E la stampa italica è più interessata a cianciare sulle alleanze e sulle formele elettorali che sul dramma Kurdo.
I Kurdi rappresentano storicamente un popolo sottoposto a un tragico destino: senza diritti, deportati, incorporati coattivamente in una miriade di Stati stranieri: Iraq, Iran, Siria, Turchia e persino Libano e in alcune regioni asiatiche dell’ex URSS.
Senza Stato, con più di 30 milioni di abitanti, il popolo kurdo dal lontano 1924 ha subito una politica di discriminazione razziale che non ha esempi né precedenti in nessuna altra parte del mondo.
Gli Stati che lo opprimono, con tutti i mezzi a loro disposizione, come la stampa, la radio-TV, l’esercito, la polizia, la scuola, l’università, hanno condotto e continuano a condurre una politica mirante non solo a negare i loro diritti inalienabili, sanciti da tutte le Convenzioni internazionali e dall’Onu ma ad eliminare la loro stessa esistenza fisica.
Per quasi un secolo i kurdi non esistono: né come popolo, né come etnia, né come lingua, né come cultura.
In modo particolare in Turchia, dove non li chiamano neppure con il loro nome ma “Turchi della montagna” – ma anche gli altri Stati che li hanno incorporati non sono da meno, pensiamo solo ai massacri da parte del dittatore criminale Saddam Hussein – il popolo kurdo è soggetto a distruzione sistematica da parte di tutti i governi che si sono succeduti dal 1924.
Secondo alcuni storici dal 1924 al 1941 la politica degli stati oppressori è stata nei confronti dei kurdi di vero e proprio “etnocidio”: penso in modo particolare a J. P. Derriennic ((Le moyen Orient au XX siecle, pagina 68).
Ma non basta. Il dramma dei Kurdi è certamente quello di essere martoriati e “negati” negli Stati in cui sono attualmente incorporati ma anche quello di essere cancellati dall’attenzione dell’opinione pubblica mondiale, dai media, dalla scuola.
A questo proposito mi sono preso la briga di analizzare e visionare, in modo rigoroso e puntuale ben 32 testi scolastici di storia estremamente rappresentativi e attualmente in adozione nelle Scuole italiane, rivolti ai trienni delle scuole superiori (Licei, Magistrali, Istituti tecnici e professionali).
Ebbene, dal mio studio e dall’indagine risulta che su 32 testi – che diventano 96 perché ogni pomo contiene tre volumi, uno per ciascuna classe del triennio – ben trenta non dedicano neppure una riga al problema kurdo: di più, il termine kurdo non viene neppure nominato!
Eppure si tratta di storici non solo noti e prestigiosi ma di ispirazione e orientamento prevalentemente cattolico, liberale, progressista ma soprattutto di sinistra. Ne ricordo solo alcuni, quelli piiù noti: G. Candeloro e R. Villari, F. Della Peruta e G. De Rosa, A. Desideri e M. Themelly, A. Giardina e G. Sabbatucci, A. Brancati e T. Pagliarani, A. Camera e R. Fabietti, A. Lepre e M. Bontempelli, C. Cartiglia e M. Matteini, F. Gaeta, P. Villani, G. De Luna.
Ahi, ahi, che brutti scherzi combinano ai “nostri” le categorie storiche statoiatriche, centralistiche, eurocentriche e occidentalizzanti!
Sottoposti alla disintegrazione etnica-culturale (minoranze curde esistono in Libano e nelle regioni asiatiche dell’ex URSS), alla deportazione di massa da parte turca e iraqena, alla colonizzazione, i Kurdi sono stati costretti ad emigrare per evitare persecuzioni e disoccupazione. Alla loro storia nuoce non poco il fatto di abitare territori ricchi di petrolio e dunque di essere al centro di contese regionali e internazionali.
Col trattato di Sèvres fra l’impero ottomano e le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale (1918-1920), la Turchia si impegnò a favorire la formazione di un Kurdistan autonomo nella parte orientale dell’Anatolia e nella provincia di Mossul, presupposto dell’indipendenza. Il disegno delle potenze imperialistiche mirava a farne uno stato cuscinetto fra Russia e Turchia.
Ma la vittoria della rivoluzione Kemalista e il trattato di Losanna cancellarono i diritti del popolo kurdo. Ricordo che tale rivoluzione fu guidata da Ataturk, celebrato dai “nostri” storici e dall’Occidente in modo entusiastico, quando in realtà fu il più grande persecutore e massacratore del popolo kurdo.
Non ci ricorda vagamente, mutatis mutandis, il nostro popolo?
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Kurdi. Ritorna il Newroz in Sardegna, la festa del popolo kurdo
Oggi lunedì 19 marzo 2018
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Il reddito di cittadinanza, molti ne parlano a sproposito. Istruzioni per l’uso
19 Marzo 2018
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » POLITICA
Oggi le priorità definiscono la coalizione
di UGO MATTEI E ALBERTO LUCARELLI
Il Fatto Quotidiano, 17 marzo 20018, ripreso da eddyburg e da aladinews. Due autorevoli esponenti della sinistra che ancora non c’è indicano il modo sensato per uscire dall’impasse politica e istituzionale. Mattarella avrà il coraggio necessario?
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Ma la sinistra ha un futuro in Sardegna?
di Franco Mannoni By sardegnasoprattutto/ 19 marzo 2018/ Società & Politica/
Portovesme, bacino fanghi bauxite.
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19 marzo San Giuseppe
Giuseppe il falegname ***************** . (Aladinews 19 marzo 2015)
Oggi si ricorda S.Giuseppe. Grande simbolica figura.
Un uomo, falegname, che interpreta e mette in azione i messaggi dei suoi sogni. Prima sposa la fidanzata incinta di un figlio non suo, e la mette così al riparo dal disprezzo e da una pena spietata; poi, secondo sogno, emigra in terra straniera per fuggire il dominio di un tiranno, e salva così il futuro del figlio. Infine, dopo averlo cresciuto e avergli dato un mestiere, si accorge che quel figlio, a dodici anni (!) è capace di confrontarsi coi presunti sapienti del paese. E si toglie di scena, perchè il suo compito è finito.
Rappresenta l’umanità più vera: quella che parla poco e fa, che lavora, che rispetta la donna, che si sottrae all’oppressione, che cresce i figli e pensa al loro futuro, che si ritira in disparte senza onori e ricompense. Ricordiamoci di loro, sono i migliori. [segue]
E’ online il manifesto sardo duecentocinquantasette
Il numero 257
Il sommario
Mi sono rimessa la gonna a fiori (Elisabetta Spanu), Ma che cosa ne vogliamo fare di Portoscuso? (Stefano Deliperi), La rivolta degli inascoltati (Ottavio Olita), Proprietà transitiva e parallele (Graziano Pintori), Quarant’anni fa un golpe come in Cile (Ottavio Olita), I limiti della conservazione nella circolazione della moneta cartacea (Gianfranco Sabattini), Turchia e dintorni. Cose che accadono dentro e fuori la Turchia (Emanuela Locci), Saleh Muslim: “La resistenza dei curdi è giusta” (Simona Deidda), La storia del movimento delle donne in Palestina (Terza parte: Dal 1990 ad oggi) (Valentina Brau), Sanità sarda nel caos (Claudia Zuncheddu), We are Afrin. Sit-in a Cagliari per chiedere il cessate il fuoco (Red), Percorsi di resistenza (Davide Pinna), Per una costituente sarda di nuova democrazia popolare (Cristiano Sabino).
Gli ultimi Editoriali di Aladinews
La nuova questione settentrionale, di Roberta Carlini, Rocca, ripreso da Aladinews.
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La verità che rende liberi.“Quello che io chiedo al partito è uno sforzo di verità, perché la verità, cari amici, è più grande di qualsiasi tornaconto. Datemi da una parte milioni di voti e toglietemi dall’altra parte un atomo di verità, e io sarò comunque perdente” (Aldo Moro) UN ATOMO DI VERITÀ
di Raniero La Valle
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Reddito minimo garantito: reddito incondizionato (RdC) o reddito di inclusione sociale? Un dibattito tra la babele terminologica, le teorie e le esperienze in attuazione. “…Si possono distinguere, schematicamente, due tipi di reddito minimo garantito: il reddito di base garantito ai soli bisognosi, previo accertamento della mancanza di un reddito sufficiente a sopravvivere e/o di altre condizioni, e quello invece conferito a tutti quale oggetto di un diritto fondamentale, e perciò universale, recuperato poi dalle persone abbienti con un adeguato prelievo fiscale”.
Non è assistenzialismo. L’UTOPIA CONCRETA DEL REDDITO MINIMO GARANTITO
Comunque lo si voglia chiamare esso va giudicato nella nuova situazione di un lavoro che non è più disponibile a tutti. Ci sono ragioni etico-politiche (il diritto alla vita), economiche, sociali e costituzionali per le quali questo istituto, presente nella maggior parte degli Stati europei, dovrebbe entrare nella naturale organizzazione di un Paese democratico, di Luigi Ferrajoli, su Aladinews.
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