Monthly Archives: gennaio 2018

Oggi giovedì 4 gennaio 2018

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I moti cagliaritani del 1906 (2)
4 Gennaio 2018

Cagliari: corrispondenza dalla storia (2)
Pubblicato il 25 Maggio 2011 su Democraziaoggi.

Francesco Cocco a domanda risponde, su Democraziaoggi.
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Oggi
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Su Democraziaoggi una recensione di Gianna Lai.
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Bombe sarde e negazionismo.

img_4560Bombe sarde e negazionismo.
di Raffaele Deidda.

Di norma si utilizza il termine negazionismo quando è palese il tentativo di qualcuno di negare un evento storico come un genocidio, una pulizia etnica o un crimine contro l’umanità. Si assiste invece, in questi giorni, al tentativo da parte di qualcuno di negare quanto innumerevoli e autorevoli associazioni, fra queste Amnesty International e Human Rights Watch, quotidiani e riviste internazionali (ultimo il New York Times, che ha pubblicato online un video reportage sulla vendita di armi all’Arabia Saudita) affermano da tempo in merito al ruolo di distruzione e di morte ricoperto dalle bombe prodotte a Domusnovas nello stabilimento della RWM Italia, facente capo alla tedesca Rheinmetall. Bombe utilizzate dall’Arabia Saudita anche contro i civili nella guerra in Yemen, dove è impegnata dal 2015 a sostegno dell’ex presidente Mansur Hadi.
Uno dei protagonisti di questa nuova forma di negazionismo è il giornalista Nicola Porro, vice-direttore vicario de Il Giornale. Secondo Porro il New York Times l’avrebbe “sparata grossa” sulle bombe di Domusnovas in Yemen, producendo una vera “bufala” basata sulle “denunce di un parlamentare del Movimento 5 stelle e di un consigliere regionale indipendentista”. A mero titolo di cronaca bisognerebbe precisare a Porro che Il parlamentare M5S da lui citato è il senatore Roberto Cotti e correggere la sua “bufala” in merito al “consigliere regionale indipendentista” . Si tratta di Mauro Pili, deputato e non consigliere regionale, oggi leader di Unidos ma eletto nel 2013 con il Popolo delle Libertà, il partito del padrone de Il Giornale per cui lavora Porro. Ci si chiede se il vicedirettore de Il Giornale, oltre a fare opera di negazionismo sulle bombe sarde in Yemen, abbia voluto anche negare il titolo di parlamentare a Mauro Pili, forse perché colpevole di non essere più in linea con il padrone di Forza Italia e di Il Giornale.
C’è da chiedersi anche se Porro sia a conoscenza del fatto che i componenti delle bombe prodotte in Sardegna e vendute all’Arabia Saudita sono assemblati dall’azienda Burkan Munitions Systems, già di proprietà dell’azienda tedesca Rheinmetall fino a quando la stessa Rheinmetall l’ha venduta nel 2012. La stessa Burkan ha definito le bombe da essa assemblate come “perfette per situazioni in cui è necessaria la massima esplosione e deflagrazione”. Una sorta di attestato di eccellenza delle bombe ”made in Sardinia”! Osservatori internazionali sostengono che dall’inizio della guerra sono state sganciate in più occasioni in territorio yemenita bombe costruite in Sardegna e la prova è data dal numero identificativo trovato sui resti delle bombe, che combacia con quelle prodotte da RWM. Bombe che nel paese più povero del Medio Oriente hanno causato la morte migliaia di persone, fra cui molte centinaia di bambini.
Il vice direttore vicario de Il Giornale supporta la sua tesi negazionista osservando: “I morti dello Yemen si attribuiscono agli armamenti italiani, quando esportiamo in Arabia Saudita poco meno dell’1,3 per cento dei suoi acquisti in armamenti, tre volte meno della Francia, ma anche della Spagna”. Ignorando forse che i dati di export di RWM Italia verso l’Arabia Saudita attengono a 19.675 nuove bombe autorizzate nel solo 2016 con una esportazione effettiva di 2.150 ordigni, per 32 milioni di euro, come afferma Francesco Vignarca, portavoce di Rete Disarmo. Sono questi i numeri che rappresentano poco meno del 1,3% delle esportazioni italiane di armi in Arabia Saudita e che non produrrebbero morte e devastazione? Porro sembra inoltre complimentarsi con la Farnesina e il Ministero della Difesa che “hanno subito risposto che è tutto legale e consentito dalle nostre stringenti leggi. E che le nostre esportazioni di armamenti in Arabia Saudita sono regolari, e che quel Paese non è sottoposto ad alcun embargo”.
E’ regolare anche il mancato rispetto della legge 185 del 1990 che vieta esportazioni d’armi verso paesi in conflitto armato, nella fattispecie verso un paese impegnato in un conflitto che sta massacrando il popolo yemenita? E’ poi eticamente corretto che Rwm Italia S.p.a, in quanto succursale della Rheinmetall, sia finanziata da alcuni fondi pensioni dello Stato di New York e da altri fondi assicurativi e d’investimento? Non desta alcun raccapriccio il constatare che c’è chi gode dei ricavi dei fondi maturati grazie alla produzione di bombe che massacrano intere popolazioni? Non inquietano e non fanno riflettere le parole di Papa Francesco: “La guerra è la scelta per le ricchezze: facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse. C’è una parola brutta del Signore: Maledetti”?
A quanto pare no, non inquietano. L’importante è negare e parlare di “bufale”, per confermare che la guerra è la scelta per le ricchezze. Senza sentirsi maledetti.

Labsus

labsusIL PUNTO DI LABSUS
La “società della cura”, un progetto fondato sull’empatia
Gregorio Arena – 2 gennaio 2018

Da sempre al centro della nostra riflessione sulla sussidiarietà ci sono i cittadini attivi ed i beni comuni, perché quando la Costituzione afferma che i soggetti pubblici devono favorire “le autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento di attività di interesse generale” (art. 118, ultimo comma) noi interpretiamo tale disposizione nel senso che, fra le attività di interesse generale, rientra anche il prendersi cura dei beni comuni.
(Segue)

Oggi mercoledì 3 gennaio 2018

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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democraziaoggiI moti cagliaritani del 1906 (1)
3 Gennaio 2018 su Democraziaoggi.
Cagliari: corrispondenza dalla storia (1)
Pubblicato il 24 Maggio 2011
Francesco Cocco a domanda risponde. Su Democraziaoggi.

… Iniziamo una sorta di corrispondenza di Democraziaoggi dalla storia, chiacchierando nel cortile della sua casa a Villanova, davanti ad un buon bicchiere di birra, con un conoscitore sopraffino della storia di Cagliari, Francesco Cocco. Partiamo dai drammatici avvenimenti del […]

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mercoledì 3 gennaio 2018

SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » DE HOMINE
Non c’è posto per loro
di ALEX ZANOTELLI

il manifesto, 3 gennaio 2018, ripreso da eddyburg. Più ancora che una vibrante denuncia, una veemente invettiva del pacifico monaco che esprime la rabbia di tutti gli oppressi del mondo. Ma i politicanti del mondo “sviluppato” fanno orecchie da mercante
Link a questo post su eddyburg e su aladinews.
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Nell’ultimo quarantennio l’economia-mondo è cresciuta – pur tra crisi e scossoni – anche a tassi elevati, ma la nuova ricchezza prodotta non si è ripartita equamente, anzi: è stata ampiamente monopolizzata dalla sempre più esigua minoranza che sta in alto

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La lotta di classe dopo la lotta di classe*
1 gennaio 2018

di Marco Revelli

La lotta di classe dopo la lotta di classe. Con questa formula, nel 2012, Luciano Gallino ci invitava a rileggere i decenni successivi agli anni Settanta per capire forme e cause di una tragedia sociale annunciata. «Non è affatto venuta meno la lotta di classe» – ci diceva uno dei pochi sociologi contemporanei rimasto fedele alla funzione della propria disciplina come coscienza critica della società. Semmai ha cambiato verso, non più dal basso verso l’alto ma viceversa, dal momento in cui il mondo del privilegio aveva dichiarato guerra al mondo del lavoro per riprendersi il terreno perduto, e molto di più. Per ristabilire brutalmente le distanze sociali. E aveva stravinto.

Ora i numeri gli danno platealmente ragione. Il più sistematico e approfondito studio sulle ineguaglianze sociali su scala globale, sintetizzato nel World Inequality Report 1918 (di cui il manifesto si è già occupato venerdì scorso) mostra con chiarezza le dimensioni di quella vittoria e di quella sconfitta. Gli oltre 100 ricercatori sparsi nei cinque continenti (coordinati da un gruppo di cinque autorità scientifiche tra cui Thomas Piketty) che costituiscono il World Inequality Lab e ne alimentano il gigantesco database, ci dicono che nell’ultimo quarantennio l’economia-mondo è cresciuta – pur tra crisi e scossoni – anche a tassi elevati, ma la nuova ricchezza prodotta non si è ripartita equamente, anzi: è stata ampiamente monopolizzata dalla sempre più esigua minoranza che sta in alto.

Quel sistema economico globale che Gallino aveva definito «finanz-capitalismo», per segnalare la rottura con il capitalismo industriale novecentesco, ha funzionato come una gigantesca macchina che ha centralizzato e verticalizzato la ricchezza, premiando chi già più aveva, rendendo i ricchi sempre più ricchi. E riservando alla massa sterminata di chi sta sotto le briciole, secondo una logica che con gli statuti della modernità progressiva ha sempre meno a che fare, richiamando piuttosto scenari di tipo feudale, o l’esempio biblico del ricco epulone.

Le cifre sono impressionanti: nel 2016 il 10% più ricco (il primo «decile», in linguaggio tecnico) si è arricchito a un ritmo superiore al doppio rispetto al 50% più povero. Con percentuali diverse, certo, tra aree geo-economiche: in Medio Oriente si sono accaparrati il 61% del reddito disponibile, nell’Africa sub-sahariana il 55% (poi ci si chiede come mai di lì i poveri debbano fuggire), negli Stati uniti e in Canada il 47%, in Europa «solo» il 37%. Ma con un tratto di tendenza omogeneo. Non solo: nemmeno quel 10% che sta al top mostra una dinamica egualitaria, per così dire, perché l’1% che sta sul limite superiore di quel decile fa registrare incrementi della propria ricchezza incomparabili con l’altro 9%. E lo 0,1% che costituisce il livello superiore di quell’1% a sua volta guarda infinitamente dall’alto gli altri che svettano al di sotto.

Di contro, spicca nel Rapporto il destino della classe media globale (concentrata soprattutto tra Stati uniti ed Europa, e comprendente anche buona parte della ex classe operaia beneficiata dalle politiche keynesiane del Novecento «social-democratico»), la vera sacrificata di questo modello di economia. Sono le famiglie che stavano in fasce di reddito intermedie (diciamo tra i 35 e i 90.000 dollari annui) e che sono state letteralmente «schiacciate» (squeezed, dicono gli autori, che vuol dire anche «spremute», «strizzate»). Del fenomeno c’è anche una rappresentazione grafica, piuttosto impressionante: si chiama The elephant curve perché la linea del grafico disegna il profilo di un elefante, in crescita nella parte posteriore, quella relativa ai redditi più bassi che, soprattutto nei paesi emergenti si sono avvantaggiati un po’ con la globalizzazione nel trentennio a cavallo del passaggio di secolo avendo comunque posizioni di partenza molto basse (hanno intercettato le briciole, appunto), poi in brusca caduta nelle fasce di reddito centrali (le «classi medie»), fino appunto al nono decile, e infine – è appunto la proboscide – in esponenziale crescita, che si fa addirittura verticale in corrispondenza dell’ultima frazione di punto (il percentile corrispondente al 99,999%, cioè i più ricchi tra i ricchi).

Chi si interroga sulle ragioni del diffondersi dei cosiddetti «populismi» tra quelle stesse classi medie che a lungo erano state il fattore di stabilizzazione nelle democrazie occidentali, dovrebbe studiarsi con attenzione questo elementare disegno. Così come dovrebbe meditare a fondo sulle proiezioni offerte dal Rapporto in cui si dice che nel prossimo trentennio la ricchezza dell’1% più ricco (e soprattutto quella dello 0,1% e più ancora quella dello 0,01%) crescerebbe ulteriormente fino a raddoppiare in valore percentuale (sfiorerebbe il 40% della ricchezza globale) mentre quella della middle global class continuerebbe a diminuire lungo un piano inclinato che – testualmente – potrebbe portare a «various sorts of political, economic, and social catastrophes», a meno che non intervengano decisioni politiche in grado di invertire questa tendenza e cambiare questo modello.

Questa nuova, perversa forma di accumulazione che ha come involucro ideologico il dogma neo-liberista e come pratica il dominio del capitale finanziario si rivela così radicalmente tossica nei confronti non solo delle classi meno privilegiate, ma della possibilità stessa di una qualche forma di società sostenibile. Di societas nel senso etimologico del termine: insieme di individui e gruppi associati tra loro, capaci di gestire i propri legittimi conflitti in una forma non distruttiva e in un contesto condiviso.
La sua logica interna è la frantumazione sistematica, la creazione su scala allargata delle linee di frattura: di ciò che i politologi e i sociologi chiamano cleavages, dislivelli di potere, ricchezza, controllo delle risorse per superare i quali sono occorsi secoli di mediazione e di elaborazione politica e istituzionale.

La geografia sociale del nuovo mondo è spaventosamente segnata da queste sconnessioni frattali. Basta dare un’occhiata alla mappa delle “diseguaglianze territoriali” che il Commissariat général à l’égalité des territoires (Cget) ha presentato in questi giorni al governo francese. Rappresenta un quadro della Francia in cui tutti i dislivelli territoriali si sono accentuati nell’ultimo trenta-quarantennio: quello centro-periferia e in particolare città-campagna (sempre cruciale per i francesi), con le zone rurali che arretrano e i poli urbani che concentrano servizi e occasioni d’impiego. Ma anche quello all’interno dei poli urbani, in cui convivono “concentrazioni di ricchezza” e “sacche di povertà”. E quello geo-economico che vede l’area centrale del paese svuotarsi di imprese e di risorse e la fascia atlantica-occidentale riempirsi, secondo un moto centrifugo simile a quello che caratterizza il paesaggio sociale americano. La «lotta di classe dopo la lotta di classe» è anche questo: un caleidoscopio di conflitti multiformi e complessi, in attesa di una cultura politica capace di ricondurli a un asse antagonistico efficace.

* [da Il Manifesto, La lotta di classe dopo la lotta di classe – La «curva dell’elefantino», ovvero la ricchezza monopolizzata dalla minoranza. Articolo ripreso da il manifesto sardo]
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[Marco Revelli]

Anni Settanta – Documentazione movimento di lotta dei quartieri

Sant’Elia guida la lotta dei quartieri. Assemblea Cine Adriano 4 marzo 1973 – Manifestazione Popolare 6 aprile 1973. Numero unico del Partito di Unità Proletaria.
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Oggi martedì 2 gennaio 2018

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Gramsci, prima di Torino, è passato a Montevecchio
2 Gennaio 2018
Scritto il 28 Novembre 2015
Francesco Cocco. Pubblicato su Democraziaoggi.
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SOCIETÀ E POLITICA » CAPITALISMO OGGI » PROPOSTA
Possiamo osare
di PAOLO CACCIARI

comune-info, 27 dicembre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. Un denso commento delle relazioni tra mondi di intelletto e di vita (decrescita ed ecofemminismo) che s’intrecciano senza confondersi (c.m.c)
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Online il manifesto sardo duecentocinquantadue

pintor il manifesto sardoIl numero 252
Il sommario
La sinistra e la voglia di unità (Ottavio Olita), Il gatto, la volpe e lo smilzo, e l’isola dei balocchi (Massimo Dadea), Il baraccone (Gianni Loy), Disastri ambientali di Furtei e di La Maddalena: c’è ben poco da gioire (Stefano Deliperi), Turchia e dintorni. La stretta di Erdoğan sulla libertà di stampa (Emanuela Locci), L’incubo della realizzazione del sogno europeo (Gianfranco Sabattini), Giaime Pintor e il romanzo vero della sua vita (Claudio Natoli), La lotta di classe dopo la lotta di classe (Marco Revelli), Il pareggio di bilancio è lo squilibrio dell’economia (Federico Palomba), Grazie The New York Times, ora riconvertiamo la RWM (Red), I 70 anni della Costituzione (Graziano Pintori).

L’impresa giovanile di Gulp. Documentazione di pregio.

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Auguri. Buon 2018

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democraziaoggiFelice 2018!
1 Gennaio 2018 da Democraziaoggi
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Oggi lunedì primo gennaio 2018. Auguri

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Accordo sulle servitù militari e Commissione uranio: ecco perché è peggio di una Caporetto”, di Fernando Codonesu
31/12/2017 sul blog vitobiolchini.it.
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Nella foto: truppe italiane che portano ricchezza in Sardegna
(!)
Fernando Codonesu sa di cosa parla: già componente della Commissione Tecnico Mista di Esperti per l’attività di caratterizzazione del PISQ (Poligono Interforze del Salto di Quirra) promossa dal Ministero della Difesa nel periodo 2008-2011, è stato consulente della Commissione parlamentare di inchiesta sull’uranio impoverito fino all’elezione a Sindaco del Comune di Villaputzu, con una giunta civica di centro sinistra, nel mese di giugno 2012. È autore del volume “Servitù militari: modello di sviluppo e sovranità in Sardegna” (Cuec 2013), in cui tra le altre cose, dimostra chiaramente, dati alla mano, come le servitù abbiano impoverito i nostri territori. Codonesu ha inviato al blog questa riflessione sull’accordo firmato dal presidente Pigliaru e sull’attività della Commissione uranio presieduta dal deputato Pd Giampiero Scanu. Grazie Fernando per il tuo impegno e per la generosità con cui condividi con noi queste tue amare https://www.vitobiolchini.it/2017/12/31/accordo-sulle-servitu-militari-e-commissione-uranio-ecco-perche-e-peggio-di-una-caporetto-di-fernando-codonesu/a-caporetto-di-fernando-codonesu/”>riflessioni.
*** Vito Biolchini su vitobiolchini.it ***
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Gramsci sardo
1 Gennaio 2018
democraziaoggiFrancesco Cocco

Per ricordare Francesco Democraziaoggi ripropone in questi giorni ancora festivi alcuni suoi scritti, gia’ pubblicati sullo stesso blog.