Monthly Archives: gennaio 2018

Giuanne Fiore: “Sas primas abbas”

img_4593img_4594

Oggi martedì 9 gennaio 2018

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
————————————————————-
——————————lunedì15 gennaio 2018—————————————
img_4588
———————————————————————
lampada aladin micromicroGli editoriali di Aladinews. angioy-a-ssDecadenza delle classi dirigenti e “dipendentismo”, ecco la nuova Questione sarda. 4 gennaio 2018: Pronto intervento di Paolo Fadda su SardiniaPost.
———————————————————————-
democraziaoggiPaolo, Franciscu, Christian, Piero, Giuseppe Luigi, Renato, Gigi e gli altri… ovvero l’opera buffa del centrosinistra nostrano
9 Gennaio 2018

Amsicora Su DemocraziaoggiI
————————————-

PROMESSE ELETTORALI: più soldi ai poveri ma chi paga?

vauro
Roberta Carlini su Rocca

Prima prometteva meno tasse per tutti. Poi ha annunciato un milione di posti di lavoro. Insieme ad altre promesse indirizzate a un elettorato anziano, moderato, preoccupato, come il miraggio delle dentiere gratis. Stavolta, il redivivo Berlusconi non ha ancora tirato fuori l’asso dalla manica per le elezioni politiche del 2018. Ma un indizio lo abbiamo, ed è interessante. A un certo punto nel finale convulso della legislatura, al termine della lunghissima fase preparatoria della campagna elettorale e prima che iniziasse la vera, brevissima, campagna per il 4 marzo, il leader ottantunenne del centrodestra ha accennato al «reddito di dignità» per coloro che sono sotto la soglia di povertà. È partita immediatamente la polemica, dal Movimento Cinque Stelle che lo accusa di plagio – i grillini da tempo hanno nel loro programma quello che chiamano il «reddito di cittadinanza» – al Pd che rivendica di aver già introdotto, con il governo Gentiloni, il Rei, reddito di inclusione sociale. Avremo una campagna elettorale tutta giocata su chi promette più soldi ai poveri?

toppe al malessere
Per cominciare, è opportuno segnalare uno spostamento semantico e di sostanza portato dal nuovo piano del discorso della politica economica. Prima si parlava di benessere – meno tasse, più lavoro – adesso di mettere toppe al malessere. A dieci anni dalla crisi – nel 2018 c’è un compleanno tondo, rispetto a quel 2008 nel quale gli effetti dello scoppio della bolla dei subprime si manifestarono drammaticamente anche da noi – non abbiamo ancora recuperato tutte le perdite, anzi il Pil resta sotto di sei punti. È vero che il livello di occupati è finalmente risalito, e in numeri assoluti siamo vicini alla soglia di dieci anni fa, ma è anche vero che questo recupero è fatto in gran parte di lavori brevi, a termine, intermittenti. Tant’è che le persone in qualche modo al lavoro sono di più, ma le ore di lavoro complessivamente effettuate nel Paese sono ancora molte di meno: per fare un confronto preciso, siamo «sotto» di 1,3 punti percentuali per numero di occupati ma di ben 5,8 punti se si guarda alle ore (i dati sono dell’Istat, e riferiti al primo semestre del 2008 e del 2017).
L’esplosione del part time, il più delle volte non scelto dai lavoratori ma subìto come unica possibilità per poter lavorare, e la diffusione di lavoretti che non coprono tutto l’anno ma solo alcune sue parti, spiegano perché le ore di lavoro non hanno seguito lo stesso andamento del numero degli occupati. A questo fenomeno va aggiunto il fatto che più persone cercano lavoro, dunque il tasso di disoccupazione è adesso quasi il doppio di quello di dieci anni fa. Infine, una elaborazione degli stessi dati Istat (fatta da chi scrive per Internazionale) mostra che le retribuzioni reali annue pro capite per occupato dipendente hanno subìto una perdita sensibile rispetto al 2007: nel 2016, eravamo sotto di 600 euro; in recupero, rispetto al livello minimo che fu raggiunto nel 2013, ma pur sempre sensibilmente sotto i livelli precedenti la crisi. Non solo la lunga crisi ha aumentato il numero dei poveri, in Italia ben più che in altri Paesi europei; ma – quel che è peggio – ha reso evidente che il lavoro non basta a contrastare la povertà. Non basta, perché è poco, non sufficiente per tutti coloro che lo cercano, e perché anche quando c’è può dare redditi insufficienti per una vita dignitosa.

la virata berlusconiana
I dati appena illustrati possono spiegare il perché di una svolta che, per l’uomo politico Berlusconi, è clamorosa. Ma come? Il miliardario del sorriso, delle squadre vincenti, della tv per tutti, dei lustrini e delle gag; il tycoon dell’ottimismo e della vita patinata; il cavaliere del nuovo miracolo economico, il dispensatore di illusioni che si mette a contatto con la vita dei poveri? I sondaggi, e il fiuto del comunicatore che non manca a quello che è ormai l’unico leader europeo e italiano sopravvissuto della foto di gruppo del ’94, devono aver suggerito la virata.
In cima alle preoccupazioni delle famiglie c’è la continuità del reddito, per se stessi o per i propri figli e nipoti. Intuito questo dato, il grande comunicatore è andato a pescare nella cassetta degli strumenti della destra e ha tirato fuori Milton Friedman, l’economista padre del monetarismo e grande oppositore dello stato sociale e della spesa pubblica, autore della proposta della «imposta negativa sul reddito». Secondo questa proposta, le tasse vanno ridotte per tutti ma, per coloro che sono così poveri da non dover neanche pagare le tasse, questo sgravio deve trasformarsi in un sussidio, un trasferimento monetario. Senza entrare nel merito dei costi e delle tecniche, dai microfoni di Radio 101 Berlusconi ha letto i termini fondamentali della sua proposta, ribattezzata «reddito di dignità»: dovrebbe portare le famiglie almeno alla soglia dei 1000 euro al mese, essere proporzionato al numero di figli e variare a seconda della zona del Paese in cui si vive.

il Rei governativo
Nello stesso momento nel quale uno degli uomini più ricchi d’Italia annunciava alla radio questi propositi, migliaia di persone si mettevano in fila ai patronati e ai Caf per chiedere l’accesso al Rei, il nuovo reddito di inclusione sociale. Nel primo mese l’Inps ha già ricevuto oltre 75.000 domande, per un assegno mensile che non supererà i 485 euro (per famiglie con più di cinque componenti) e al quale potrà accedere solo una minoranza delle famiglie povere, visto che, tra i requisiti, è richiesta la presenza di un minore, o un disoccupato con più di 55 anni, o un disabile o una donna in gravidanza, e un Isee inferiore ai 6.000 euro l’anno. Si calcola che ne beneficeranno 400.000 famiglie, mentre quelle sotto la soglia della povertà assoluta sono 1 milione e 619mila. Una limitazione spiegata dal governo sulla base dell’esiguità delle risorse disponibili. Infatti, secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio per raggiungere tutti coloro che sono al di sotto della soglia di povertà servirebbero dai 5 ai 7 miliardi l’anno.

ma chi pagherà?
Dunque, la misura ribattezzata da Berlusconi come «reddito di dignità» sarebbe, di fatto, un potenziamento del nuovo assegno introdotto dal governo uscente; e sarebbe doveroso, per chi la propone, indicare anche agli elettori come la finanzierà, visto che a quanto pare non c’è una differenza in linea di principio, sull’opportunità della misura, tra centrodestra e centrosinistra. Come si pagherà il reddito di dignità per i poveri? Aumentando le tasse ai ricchi? Oppure con nuovo debito pubblico? O ancora, con nuove tasse sugli stessi poveri? Oppure, come proponeva Milton Friedman e come è vero obiettivo di quella corrente di pensiero economico, abbattendo tutte le altre spese sociali, dalla salute alla casa alla previdenza, e dunque lasciando il reddito minimo come unico strumento di sicurezza sociale?

una questione politica
Non è questione contabile, ma politica. Dopo anni di promesse mancate e miracoli rinviati, gli elettori italiani dovrebbero ormai essere maturi e porre sempre la domanda: chi paga? Lo stesso vale se la stessa proposta viene dal partito dell’opposizione intransigente e extra-sistema, i Cinque Stelle. Il loro «reddito di cittadinanza» non è molto diverso, nella configurazione, dal Rei e neanche da quello accennato da Berlusconi. Anche se nella titolazione si rifà a tutt’altra scuola di pensiero, ossia alle proposte che dagli utopisti dell’800 hanno attraversato i secoli per giungere a noi e trovare nuova linfa negli ambienti avanzatissimi della rivoluzione tecnologica: dare un reddito basico e incondizionato a tutti, per il semplice fatto di esistere e far parte della nostra comunità di cittadini. Ne abbiamo parlato in un precedente numero di Rocca (n. 12/2017), si tratta di un’idea nobile che adesso torna in forme nuove e viene sperimentata in diverse parti del mondo. Ma non la nostra: la proposta dei Cinque Stelle limita comunque il reddito ai più bisognosi e lo condiziona alla volontà e disponibilità a lavorare. Dunque, è molto simile a un Rei riveduto e allargato. Anche in questo caso, la domanda principale da porsi, per capire la portata redistributiva della politica e la sua efficacia, è: chi paga?
La buona notizia è che, in tutti e tre i casi, c’è una misura specifica e la politica che si interroga su di essa. Le cattive notizie stanno nei dettagli essenziali: il finanziamento, che resterà vago, c’è da scommetterci, per tutta la campagna elettorale. Ma resta un’occasione mancata, in tutto il gran parlare che si fa oggi della questione del reddito: invece di viverla e discuterla come un aggiornamento del welfare state, alla luce delle nuove povertà ma anche delle nuove ricchezze che l’economia attuale genera, delle nuove forme di disoccupazione tecnologica e del dividendo sociale che la stessa tecnologia può generare, la stiamo affrontando in termini residuali e marginali, come un assegno per i poveri. Senza andare alla radice dei meccanismi che generano sempre maggiori povertà ed esclusioni.

Roberta Carlini
————————–
rocca-02-2018

Lunedì 15 gennaio – Punta de billete – Prendi nota – Save the date

img_4588

Oggi lunedì 8 gennaio 2018.

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
————————————————————-
Servitù militari. Accordo Pigliaru/Pinotti: una resa (2)
8 Gennaio 2018

Fernando Codonesu su Democraziaoggi.

Riprendiamo da Democraziaoggi la seconda parte dell’intervento di Fernando Codonesu, dedicata all’accordo Pigliaru/Pinotti delle settimane scorse. Ieri, l’antefatto altrettanto preoccupante: l’inconcludenza sull’argomento della legislatura appena finita.
———————

1968-2018 e 1948-2018

I 50 anni del ’68 e i 70 anni dello Statuto Sardo.
Anniversari.
Salvatore Cubeddu su Fondazione Sardinia.
————————————————————–
Online
rocca-02-2018
——————————————————————–

Oggi domenica 7 gennaio 2018

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
————————————————————-
Servitù militari. Accordo Pigliaru/Pinotti: peggio di una Caporetto (1)
7 Gennaio 2018
Fernando Codonesu
——————-
[Su Democraziaoggi] Fernando Codonesu, un esperto e autore di un documentato e stimolante saggio sull’argomento, invia un intervento sull’accordo sulle servitù militari fra Pigliaru e la Pinotti, e su quanto (non) è stato fatto nella XVII legislatura. Democraziaoggi pubblica la riflessione in due puntate: oggi la prima, il proseguo domani. Aladinews che aveva già pubblicato il saggio di Codonesu, ritiene importante riproporlo (anche in attuazione dei rapporti di collaborazione con Democraziaoggi).
—————————————-
img_4583

Decadenza delle classi dirigenti e “dipendentismo”, ecco la nuova Questione sarda

angioy-a-ssDecadenza delle classi dirigenti e “dipendentismo”, ecco la nuova Questione sarda
4 gennaio 2018 Pronto intervento
Paolo Fadda su SardiniaPost.

——————-
Che si sia di fronte nuovamente ad una “questione sarda”, come problema dell’arretratezza economica dalla nostra Isola, non vi possono essere molti dubbi. Certo, rispetto a quel che sostenevano in passato il Tuveri ed il Lei-Spano, appare forse mutata la sua sostanza, ma ne rimangono sostanzialmente immutate le distanze dalle regioni continentali in tema di progresso e benessere generali. In più sembrerebbe essersi ancor più aggravata la dipendenza dalle economie esterne per via d’una bilancia commerciale che vede le importazioni prevalere nettamente sulle esportazioni, determinando un’effettiva sudditanza dalle risorse e dai trasferimenti provenienti dall’esterno.

Quel che assimila comunque le due condizioni sta proprio in quel comune riferimento ai ritardi su quel che avviene all’al di là del mare, come raffronto, subordinazione ed inferiorità. Perché, ora come allora, si è determinata quella distanza che gli economisti di scuola anglosassone definiscono backwardness, cioè arretratezza economica.

Un ritardo che era già stato affrontato un secolo fa con le leggi “speciali” del ministro Cocco-Ortu e, successivamente, con la legislazione “straordinaria” della Casmez e della Rinascita: un obiettivo, peraltro, lasciato incompiuto, o mancato, anche perché punteggiato da frequenti fermate e deviazioni. Per cui oggi è certamente corretto sostenere che continui a permanere una “questione sarda” da affrontare, in modo da colmare quell’attardamento che penalizza e mortifica l’Isola nei confronti delle economie continentali.

Proprio Pietrino Soddu, autorevole politico della stagione della Rinascita, ha sottolineato recentemente, in un suo lucido intervento, come continui a permanere l’attualità della “questione”, come segnale del forte distacco esistente, in termini di progresso, tra la Sardegna ed il resto del Paese. Perché, a suo giudizio, nell’Isola si va aggravando «la dipendenza mentre è diminuita l’autonomia in tutti i campi, con la perdita del controllo dell’apparato bancario e del sistema informativo, e con il progressivo indebolimento delle classi dirigenti e della specificità delle sue strutture economiche. Con il pericolo di divenire sempre più una passiva destinataria delle decisioni altrui».

Infatti, a causa della perdita di questi fondamentali asset socio-economici, la “questione” va assumendo, per noi sardi, il carattere di un handicap di natura strutturale che, se non affrontato decisamente, continuerà a condizionare pesantemente il nostro futuro prossimo venturo. Proprio perché oggi, assai più di ieri e ieri l’altro, ha posto di fronte i fattori più antichi e resistenti della tradizione isolana (quelli che si identificano in “su connottu”) con i grandi mutamenti di una incalzante modernità avvenuti nel mondo. Una contrapposizione che ha provocato, e continua a provocare, dei gravi ritardi nell’inserimento dell’economia sarda nel grande scacchiere di mercati divenuti sempre più globali e competitivi. Quasi che l’economia sarda intenda affrontare i suoi competitors economici forniti di micidiali bazooka e kalashnikov con i soli suoi antiquati fucili “modello ’91” e le inutili “guspinesi”. O che la nostra massima velocità verso il progresso sia rimasta quella lumacosa del nostro “pendolino” in raffronto con quella delle gazzelle continentali del tipo “freccia rossa” o TGV francese!

Infatti, l’economia sarda continua a soffrire di una cronica lentezza nell’innovarsi e nel progredire. Perché continua a ricercare un ritorno ad antiche felicità aurorali (mai esistite) nella mitica e fantasiosa Ichnusa, in alternativa all’esigenza di dover realizzare innovativi modelli di civiltà assai più prodighi di benessere sociale. Basti pensare che il reddito medio di un sardo è oggi poco più della metà d’un lombardo e che il nostro Pil per abitante (cioè la capacità di produrre ricchezza) diventa sempre più distante da quello medio del Paese, avendo allungato il distacco di oltre 10 punti percentuali sul dato degli anni ’80.

C’è stata invero della crescita sul fronte dei consumi, ma al di fuori del sistema produttivo, come andamento in progressione del redditi individuali, per via principalmente dell’espansione abnorme del pubblico impiego, passato da 1,5 a 3,4 dipendenti ogni 10 sardi, e della distribuzione commerciale, che ha più che doppiato i suoi organici, sfiorando il 47 per cento. Un’evidente dicotomia rispetto ad agricoltura e industria che avrebbero visto invece diminuire di un terzo abbondante i propri addetti, oggi a non più di 1,9 occupati ogni 10 sardi. A conferma di quel “dipendentismo” strisciante che pare essere oggi il maleficio principale della nostra “questione”.

I germi che l’hanno provocato sono essenzialmente due: il primo può essere individuato nell’isolamento geografico, cioè nelle forti diseconomie che penalizzano di un buon 25-30 per cento il reddito delle imprese produttrici sarde nei confronti dei loro competitors continentali; il secondo, ma non proprio un second-best, nel progressivo decadimento delle sue classi dirigenti, ovunque siano situate: nella politica, negli affari, nel sindacato e nella cultura. Ci sarebbe poi, come aggiunta, il fatto che i centri decisionali degli attuali agenti di sviluppo, da quelli finanziari a quelli industriali, siano locati ormai tutti al di fuori dell’isola. Per cui oggi i problemi sardi vengono affidati a soluzioni assunte a Modena o a Milano, come a Roma o a Zurigo o Mosca, da personaggi spesso molto “distratti o disattenti”, di fatto lontani, anche per proprio interesse, da quel che serve all’Isola.

È anche questo l’effetto di quel “dipendentismo” vizioso che va caratterizzando e mortificando l’economia isolana, e che è la controfaccia, o l’opposto, di quelle capacità d’autogoverno e di autosviluppo che erano state il sogno, e la speranza, di una pattuglia di grandi nostri conterranei, da Attilio Deffenu a Camillo Bellieni e a Emilio Lussu. E che s’era poi realizzato con quell’Autonomia “speciale” conquistata poi, tra non poche difficoltà e diffidenze, proprio ottant’anni or sono all’interno della Costituzione repubblicana.

Per risolvere la “questione” occorrerebbe quindi fare ricorso ad una nuova ingegneria politica dello sviluppo, che sia capace di rimuovere quei vincoli a cui s’è fatto prima riferimento. Innanzitutto affrontando il problema dell’insularità che non è soltanto un problema di mobilità facilitata per persone e merci: è un problema, anche e soprattutto, di sottocultura, nel senso che richiede, per superarlo, di un’infusione massiccia di conoscenze, di risorse e di virtuose “connection” con centri esterni di produzione e di ricerca.

A seguire vi è la debolezza e l’inadeguatezza delle classi dirigenti, ed è certamente il problema più grave. S’impone la volontà di dover cambiare, o almeno di tentare attraverso alcuni passaggi: selezionando innanzitutto delle élite che abbiano alto il senso della responsabilità civica e del rigore etico prima che il tornaconto privato e l’ossequio verso i politici; facendo sì che le selezioni premino competenze e meriti e non favori clientelari o furbizie varie; riportando ancora nella società economica dell’isola il primato del profitto da attività d’impresa nei confronti delle rendite da contributi e aiuti pubblici; liberando infine le imprese dall’infeudamento politico e dalle tagliole burocratiche degli aiuti c.d. “a bando” e dalle rendite di posizione più o meno clientelari.

La “questione sarda” in questo XXI secolo consiste proprio nell’aggravarsi di quella condizione di dipendenza (che è l’opposto dell’autonomia proclamata in statuto) che penalizza oggi l’isola e precarizza il suo futuro: per affrontarla e superarla occorre agire su più fronti, ad iniziare da quel che appare come il male più pericoloso: la mediocrità delle sue élite di comando, della politica, dell’economia, delle libere professioni e della cultura.

Soddu ritiene che occorra prendere atto che si sia ormai giunti ad una fase che chiama “post-autonomistica”, nel senso che negli ultimi sessant’anni la Sardegna è profondamente cambiata, e con essa dovrebbe modificarsi radicalmente anche l’impostazione ed i contenuti della politica regionale. Per cui ritiene necessario che le classi dirigenti prendano atto delle mutazioni avvenute ed agiscano di conseguenza, adottando soluzioni coerenti con le nuove esigenze ed i nuovi contenuti dettati dal progresso. Propone quindi la necessità di aprire un negoziato con lo Stato per definire un nuovo “patto costituzionale” che possa rappresentare il superamento dell’attuale Statuto del 1948. Fondato quindi su «nuove norme, regole, procedimenti, strumenti e soprattutto istituzioni pensate e costruite secondo il principio di una “sovranità federale”, di una “sovranità condivisa”, per poter partecipare pienamente alla “seconda modernizzazione” in corso nel mondo».

Si possa condividere o meno quest’indicazione, quel che appare necessario ed urgente è la predisposizione di una nuova “cassetta degli attrezzi” istituzionali, in modo da poter intervenire per risollevare le malconce sorti di questa nostra Sardegna. Perché lo scenario nazionale ed internazionale che si ha davanti in questo 2018 è ben differente da quello del 1948, e le “specialità autonomistiche” di allora paiono ben poca cosa di fronte alle complessità sociali ed economiche di questa seconda modernizzazione in atto nel mondo. All’interno di questo scenario, una nuova ed importante responsabilità compete alle nostre classi dirigenti, dovunque siano collocate: a loro spetta l’ideazione e la predisposizione di idonee proposte operative che affrontino decisamente, e sconfiggano definitivamente, quell’antico maleficio, che incombe sulla Sardegna, d’essere sempre più colonia: ieri politica ed oggi economica. Serva e suddita, comunque, di decisioni, di voleri e di interessi esterni.

Paolo Fadda

Economista, saggista, già dirigente del Banco di Sardegna

Oggi sabato 6 gennaio 2018

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
————————————————————-
Migranti: domande scomode e risposte difficili (ricordando Francesco Cocco)
democraziaoggi6 Gennaio 2018

Lucia Pagella su Democraziaoggi.
—————————————

70° della Costituzione Dalla Resistenza alla Costituente. La Costituzione fra passato e futuro

costat-logo-stef-p-c_2Anpi logo naz
.

. Introduce Andrea Pubusa – giuspubblicista
Università di Cagliari

Ricordo di Francesco Cocco e Vincenzo Pillai
dell’ANPI e del Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria di Cagliari

. Gianni Fresu – storico
Universidade de Uberlandia (Brazil)

. Silvia Niccolai – costituzionalista
Università di Cagliari

Massimo Villone
Costituzionalista
Presidente Naz. Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

Interventi programmati
Luisa Sassu, sulle “Madri costituenti”;
Tonino Dessì, sulle “Autonomie nella Costituzione”.

Lunedì 15 gennaio 2018 ore 17
Fondazione di Sardegna
via S. Salvatore da Horta, 2 – Cagliari

Unione Europea: le eredità del 2017

img_4645
di Umberto Allegretti su Rocca
Un bilancio dell’anno appena trascorso per quanto riguarda l’Unione Europea non può esser pieno di molte ombre e di qualche luce, ombre e luci talora fra loro commiste. Le questioni si affollano e qui sceglieremo di accennare solo ad alcune che riteniamo particolarmente importanti.
La tela di fondo di tali questioni è data dal problema delle istituzioni europee come tali, che hanno certamente bisogno di pro- fonde ristrutturazioni. Un’Europa «sociale», un completamento dell’Unione sui vari aspetti del problema economico, una sua incisività sulla politica mondiale, rappresentano i settori, o alcuni dei settori, che avrebbero necessità, nell’attuale quadro mondiale, di una struttura dell’Unione più democratica, più efficace, meno «sovranista» più capace di affrontare i problemi gravissimi posti dalla situazione del pianeta in un’età di squilibrio e di guerra. Il problema istituzionale è affrontabile, come è stato notato, su due piani: con una migliore applicazione delle possibilità che già il Trattato di Lisbona prevede, e con una revisione di aspetti importanti del Trattato.

le cose da cambiare
Nella prima direzione, oggetto di importanti proposte nel discorso sullo stato dell’Unione pronunciato il 13 settembre davanti al Parlamento europeo dal Presidente della Commissione Juncker – la cui azione complessiva appare tuttora, salvo errore, rispetto ad altri organi europei quella più incisiva sulle proposte e i comportamenti dell’Unione –, si dovrebbe pensare di attuare una serie di passaggi dell’Unione a politiche più efficaci previste dal Trattato ma finora scartate. Per esempio, sarebbe possibile già ora applicare le possibilità di cosiddette «passerelle», che consentirebbero di passare in seno al Consiglio dalla necessità dell’unanimità degli Stati al voto a maggioranza qualificata, come nei settori della politica estera e delle politiche fiscali. Come pure di passare, per quanto riguarda il ruolo del Parlamento, dalla procedura di semplice parere a quella codecisionale.

problemi istituzionali
Altre variazioni rispetto alle pratiche attuali richiederebbero peraltro – come notato in un articolo dell’autorevole Paolo Ponzano, già alto funzionario europeo e ora, oltre a una forte esperienza all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, docente al Collegio europeo di Parma – elementi di modifica dei Trattati e sono perciò più difficili da attuare. Anche se bisogna tenere conto della forte azione propulsiva del Presidente francese Macron, che si è inoltrato nei suoi discorsi nella delineazione di solidi irrobustimenti del lato in qualche misura «federalista» rispetto a quello «sovranista» che ora prevale in seno all’Unione, ma il cui seguito avrebbe bisogno dell’intesa prima di tutto con una Germania attualmente in una per lei inconsueta difficoltà di
governabilità.

oltre le divisioni socio-economiche
È sempre più chiaro che esistono attualmente in seno all’Unione differenze di linea considerevoli tra gli Stati membri favorevoli ad avanzamenti o suscettibili di divenirlo e altri, tra cui quelli del Nord-Europa ma soprattutto quelli dell’area ex-socialista. Se questo spinge alcuni ad auspicare una netta delimitazione nel futuro fra due Europe, altri, forse a ragione, preferiscono in nome di un’unificazione del Continente decisa a cavallo del secolo XX e del XXI, tollerare le attuali differenze e lavorare pazientemente per superare le divisioni. Purché lo si faccia con la decisione necessaria, per esempio non esitando ulteriormente (alcuni segni sembrano ora esserci) ad adottare sanzioni previste dal Trattato nei confronti di quei paesi – Ungheria, gli altri paesi di Visegrad e ora in maniera particolarmente preoccupante la più vasta Polonia – che mostrano di alterare al loro interno, ma con effetti debordanti i loro confini, i fondamentali principi dello stato di diritto, come l’indipendenza della magistratura e della giurisdizione costituzionale e che rifiutano di accettare la loro pur tenue porzione di accoglienza dei migranti.

le diverse politiche sociali e fiscali
Non si tratta però di meri problemi «istituzionali». Bisogna che ci si decida ad avanzare – in questo favoriti dall’uscita dall’Unione, ancora peraltro a mezza strada, della Gran Bretagna – verso politiche sociali valide per tutta l’Unione e verso politiche fiscali comuni, essendo ormai più che palese l’impossibilità e l’ingiustizia di fiscalità così diverse tra gli Stati membri, quali quelle che fra l’altro hanno permesso finora – anche qui qualche segno positivo si sta aprendo – all’Irlanda e allo stesso Lussemburgo già governato da Juncker di offrire possibilità di elusione delle tasse a grandi multinazionali, come quelle agenti nel campo informatico o alla Ryanair o a evasori singoli o societari dei nostri stessi paesi. Potrebbe la ripetuta proposta di un Ministro delle finanze europeo quanto meno per la zona euro, fornire uno strumento per andare in una direzione di contenimento di queste disparità?

Europa Africa
L’autorevolezza della politica dell’Unione verso l’esterno, finora scarsissimamente esistente come politica unitaria, dipende anche dalla capacità dell’Unione di governare le sue tensioni interne. Un esempio clamoroso e tra i più preoccupanti è quello della politica verso il continente africano. Che un compito di aiuto all’Africa da parte dell’Europa sia doveroso e opportuno per la stessa Europa è assolutamente evidente. Ma si sono fatti in questo anno dei veri passi avanti in questa direzione? Da tempo si parla di un cosiddetto Piano Marshall per l’Africa. Ma l’aiuto finanziario ai paesi della fame come quelli del Sahel, che poi generano le massicce migrazioni cui assistiamo ormai da anni, ha veramente decollato? I poco più di tre miliardi di euro promessi e, per quel che si può sapere, non ancora erogati a pro’ di questi paesi – e che certo hanno bisogno di garanzie di corretta spesa, per la quale si son fatte peraltro buone proposte di vigilanza da parte di organismi Onu – non sono certo una misura sufficiente. Meno ancora lo è il puntare primariamente sull’azione contro il fattore, preoccupante ma derivato, di lotta contro il terrorismo che può alimentarsi in quei paesi, preoccupazione che ci pare abbia malamente dominato il recente vertice Europa-Africa di Abidjan. E come vantarsi, in questa situazione, di esser riusciti a contenere il numero degli sbarchi in Italia – a parte lo scandalo dei «campi» in Libia – come fanno il pur ben disposto governo italiano attuale e il suo ministro? In sintesi, un’Europa della solidarietà e della pace non può limitarsi ai problemi interni dell’Unione, ma deve sboccare in una capacità di azione internazionale che avrebbe in Africa, oltre che in Medio Oriente, il suo campo di prova più necessario.

unione monetaria
In presenza di questi e altri problemi, e in attesa fra l’altro della conclusione delle trattative per un nuovo governo tedesco, la Commissione ha elaborato un pacchetto di proposte sul rafforzamento dell’unione monetaria nel quale ha cercato di accontentare un po’ tutti: inserzione del Fiscal Compact nel diritto europeo ma con la fles- sibilità già concessa all’Italia e ad altri paesi, completamento dell’unione bancaria ma con la riduzione dei rischi nei paesi dove le banche hanno troppi titoli di Stato nel loro portafoglio, creazione di fondi di stabilizzazione macro-economica ma con impegni paralleli di convergenza, e altro. Queste, per ora, le prospettive per il nuovo anno, piene anch’esse di luci e di ombre.
Umberto Allegretti
UNIONE EUROPEA
————————————————-
rocca-02-2018

Oggi venerdì 5 gennaio 2018

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
————————————————————-
lampada aladin micromicroGli editoriali di Aladinews. Bombe sarde e negazionismo.
di Raffaele Deidda.
————————————————–
Molto dura la Confederazione Sindacale Sarda contro la Giunta Pigliaru, il Governo italiano, la classe dirigente sarda (Sindacati compresi) nel suo complesso. Dalla parte distruzione alla possibile ri-costruzione.

CSS loghettoLa Sardegna respinga i doni avvelenati dei finti Re Magi
Quest’anno diffidate dei finti Re Magi Gentiloni – Calenda – Pinotti che vengono In Sardegna a portare a noi sardi doni taroccati e avvelenati che i nostri politici guidati dal Presidente della Giunta…
ALADINPENSIERO.IT
————————————————–
I moti cagliaritani del 1906 (3)
democraziaoggi-loghetto5 Gennaio 2018

Cagliari: corrispondenza dalla storia (3)
pubblicato il 26 Maggio 2011 su Democraziaoggi.

Francesco Cocco a domanda risponde, su Democraziaoggi.
——————————————————
vitobiolchini blog occhialini1Verso le elezioni/1 – Bombe di Domusnovas, i candidati da che parte stanno? L’esposto del Comitato Riconversione RWM.
Vito Biolchini su vitobiolchini.it
—————————————————————–
Il Centro-sinistra e le liste… in frode alla legge
5 Gennaio 2018
Su Democraziaoggi, Amsicora.
———————————————-/

La caduta delle tutele dei lavoratori è inarrestabile? Qualche segnale di inversione, come in un glorioso passato “dal silenzio alla parola”

images-oneryanair-squarelogo-1438176710344
Il baraccone

di Gianni Loy°
Sembra cronaca. Ma potrebbe essere storia. Una storia che, ripetendosi, riporta alla mente i corsi ed i ricorsi di vichiana memoria.
La cronaca di questi giorni ci informa che la potente Ryanair, dopo l’ultima offensiva dei suoi piloti ed assistenti di volo, ha capitolato. Almeno nel senso che, dopo le ripetute minacce nei confronti dei dipendenti che avessero osato scioperare, ha riconosciuto il sindacato: siederà al tavolo delle trattative.
Amazon, al contrario, continua a rifiutarsi di trattare con i lavoratori che, però, hanno deciso di incrociare le braccia e di organizzarsi sindacalmente.
Sono soltanto i fatti più recenti, e più eclatanti, delle ultime settimane che lasciano intravedere qualche elemento di rottura rispetto al progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro e del trattamento retributivo cui si assiste, a volte persino con rassegnazione, ormai da anni.
E’ accaduto che nella gerarchia dei valori degli Stati e delle organizzazioni sovranazionali (per fortuna non tutte poiché l’Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ed il Consiglio d’Europa, (da non confondersi con l’Unione europea) remano in altra direzione, ai diritti dell’impresa viene riconosciuta sempre maggiore importanza nella gerarchia dei valori. Allo stesso tempo, i diritti fondamentali della persona, soprattutto quelli legati allo status di lavoratore, e quelli connessi con l’attività sindacale (organizzazione collettiva, sciopero) vengono retrocessi ad un ruolo subalterno rispetto alla libertà d’impresa ed alla libertà di circolazione di merci e lavoratori, orami collocati sullo stesso piano.
Dal punto di vista sociale, siamo in presenza di un conclamato fenomeno di pauperizzazione che esalta l’acuirsi dei divari, concentra il potere nelle mani di pochi, all’interno di uno scenario ormai privo di confini, e vede ridursi il potere della politica ad amministratrice degli interessi di quanti detengono il potere.
Le organizzazioni che, tradizionalmente, avevano favorito l’affermarsi dei diritti di quella composita associazione di movimenti, che si ispiravano alla classe operaria, sono state ridotte al silenzio, eppure hanno contato, e come, nella storica affermazione dei diritti dei lavoratori, penetrati nel cuore della legislazione degli Stati civilmente più evoluti. Diritti che, laddove incardinati nel sistema giuridico, sono stati gradualmente depotenziati, se non abrogati, in nome della nuova religione iperliberista cresciuta tra le macerie del muro di Berlino.
Il silenzio, in questi ultimi anni, non è stato assoluto. Tuttavia, ciò che prima era rappresentato da partiti di massa, oggi è nelle mani di formazioni assai più limitate, (che, in ogni caso, della storia del movimento operaio mantengono pervicacemente, la vocazione alla frammentazione). Organizzazioni, in definitiva, paragonabili piuttosto alle avanguardie che alle organizzazione di massa.
L’organizzazione capitalista, facendo tesoro delle nuove tecnologie, sia in senso materiale che organizzativo, ha resuscitato la plebe, le masse sfruttate ed incapaci di reazione, oggi costituite soprattutto dallo sterminato esercito di precari. Si tratta di lavoratori nuovamente esposti al rischio di perdere in qualunque momento la fonte di sussistenza ed esposti perciò al ricatto che, allo stesso tempo, costituiscono il nerbo di un novello esercito di riserva.
Hanno ripreso ad espandersi gli spazi dell’assistenza e della beneficienza, sia quelli organizzati dallo Stato, sia quelli, spontanei, che fioriscono dai buoni intenti di chi ancora pensa che tutti, indipendentemente dalla proprie condizioni, abbiano diritto ad una vita dignitosa.
E poiché lo Stato non è più in grado, non può o non vuole, farsi carico delle nuove povertà, ecco che fioriscono, soprattutto sotto l’egida delle organizzazioni religiose, le iniziative di contrasto contro le povertà estreme.
Tornano alla mente i tempi nei quali l’assistenza non era ancora entrata a far parte dei doveri istituzionali dello Stato, dei tempi nei quali, prima che incominciasse la storia del movimento operaio, solo la carità provvedeva a alleviare le pene di un proletariato sfruttato senza ritegno.
Sono molti, in definitiva, gli elementi di similitudine tra il clima della prima rivoluzione industriale e quello che ci introduce alla quarta rivoluzione industriale, quella delle intelligenze artificiali e della robotica.
In comune la distribuzione del rischio che, allora come, oggi, ricade prevalentemente sul lavoratore. E’ il lavoratore, infatti, che poteva, e può, esser facilmente espulso dal processo produttivo tutte le volte che la sua prestazione non risulti conveniente per il datore di lavoro. In comune la subordinazione personale, oggi paludata sotto forma di evanescenti tipologie contrattuali che, equivocamene intitolate all’autonomia, annullano, di fatto, ogni libertà individuale.
In comune l’avversione per le forme associative: allora, costituire un sindacato o scioperare poteva persino costituire un reato. Oggi non si arriva a ciò, ma i lavoratori, e non soltanto quelli precari, sono sempre più esposti al rischio, o al ricatto, di perdere qualche beneficio, o persino il posto di lavoro, par l’affiliazione ad un sindacato o per il solo fatto di aderire ad uno sciopero.
Oggi, come allora, è ancora una volta la Chiesa, un Papa, che leva la propria voce a difesa della dignità del lavoro e dei lavoratori, ed ancor più delle lavoratrici.
Oggi come allora, quando gli Stati proclamavano la loro estraneità rispetto al fenomeno e pretendevano che fosse regolato soltanto dal diritto civile: laissez faire, lasciate passare, gli Stati si ritraggono progressivamente dall’impegno (talvolta esplicitamente assunto in sede costituzionale) di “immischiarsi” nelle vicende del lavoro per limitare il potere eccessivo della parte forte del rapporto di lavoro.
Certo, si diceva, e si ripete, l’importante è che il rapporto sia regolato da un contratto. Mi vengono alla mente le parole di un dipendente di Amazon: come potrei realmente contrattare, da solo, le condizioni del mio contratto di lavoro, avendo di fronte a me, come controparte, l’uomo più ricco del mondo?
Queste contraddizioni, queste difficoltà, i lavoratori del secolo scorso le hanno affrontate e superate, grazie alla capacità di auto organizzarsi, riunirsi in sindacato, intraprendere forme di lotta che, gradatamente, sono state capaci di controbilanciare lo strapotere padronale.
Nella cronaca di questi giorni trova anche qualche similitudine positiva. Quelle masse di lavoratori precari che sembravano destinati a chinare la testa per sempre a costituire la nuova plebe del XXI secolo, danno segni di ribellione, incominciano ad organizzarsi. Non importa se sotto l’egida dei sindacati storici o di altre organizzazioni, incominciano ad organizzarsi ed a porre in essere forme di lotta, riscoprono la tradizionale arma dello sciopero che, piaccia o non piaccia, continua a costituire, in molti casi, uno dei pochi strumenti di lotta efficaci.
Proprio come nel passato, incominciano ad individuare i punti deboli della controparte. Riprendono a sollecitare l’attenzione di una opinione pubblica distratta, cioè dei consumatori. Chiedono la parola. Aspirano a ripetere quel processo di affrancamento che la classe operaia ha posto in essere proprio passando “dal silenzio alla parola”, secondo l’efficace sintesi di un acuto osservatore della storia operaia e sindacale (Le Goff).
La decisione di Ryanair di accettare il confronto con i sindacati, o meglio la capacità dei piloti ed assistenti di volo di riuscire ad imporglielo, ha un grande valore simbolico. Potrebbe trattarsi (unitamente ad analoghi segnali provenienti da una nuova classe di sfruttati che sembrava incapace di ribellione) dell’avvio di un nuovo processo di affrancamento, di un “ricorso storico”.
Non tragga in inganno il fatto che gli artefici siano i piloti, categoria un tempo costituita da previlegiati in possesso grande forza contrattuale. Oggi non lo sono più. In ogni caso, anche caso gli inizi della storia, le categorie più professionalizzate, quelle dotate di forza contrattuale, hanno dato un fondamentale contributo alle conquiste della classe operaia.
Una piccola, grande conquista, che ci fa credere, e ci fa sperare, che un popolo che da sempre sta sulla breccia, calpestato e diviso, fottuto e deriso, sia capace di buttarsi, non a testa bassa ma a testa alta, per mandare all’aria il baraccone, più moderno, tecnologicamente più avanzato, ma sempre baraccone.

*Gianni Loy, riproposizione dell’editoriale del 22 dicembre 2017.
——————————–
comunitasanrocco Nel blog “Amici della Cittadella di Assisi” gli interventi nell’incontro-dibattito sul Lavoro, tenutosi a Cagliari il 15 dicembre 2017, promosso dalla Comunità di San Rocco.

La Sardegna respinga i doni avvelenati dei finti Re Magi

CSS loghettoQuest’anno diffidate dei finti Re Magi Gentiloni – Calenda – Pinotti che vengono In Sardegna a portare a noi sardi doni taroccati e avvelenati che i nostri politici guidati dal Presidente della Giunta Francesco Pigliaru ricevono reverenti e festanti.
L’IMBROGLIO DELL’EX-ALCOA
Vogliono farci credere di aver risolto definitivamente la Vertenza ALCOA e non dicono di aver utilizzato 200 milioni di euro dei contribuenti per comprare – tramite l’Agenzia governativa Invitalia – una fabbrica obsoleta, regalando alla multinazionale americana i fondi delle mancate bonifiche e della multa milionaria non pagata dall’Azienda alla Comunità Europea sulla sovrattassa energetica. Una fabbrica, i cui impianti sono fermi da 5 anni e, se mai riprenderà a funzionare, avrà produzioni fuori mercato per gli alti costi energetici, rivelandosi una grande truffa milionaria a favore delle multinazionali l’americana Alcoa e la subentrante svizzera Syder Alloys e dello stesso ministro Calenda suo grande comis.
Anche la Regione Sardegna ci metterà del suo con 8 milioni di euro per coprire i costi della cassa integrazione nelle more del riavvio dell’impianto.
LE BONIFICHE DI FURTEI A SPESE NOSTRE
Ma la generosità della Giunta Pigliaru è illimitata e non si dimentica dei disastri ambientali provocati dalle Aziende in fuga come la Sardinia Gold Mining, la Medoro, la Sardgold e Bufalo Gold che a Furtei hanno devastato 530 ettari di terreno alla ricerca dell’oro utilizzando l’arsenico. Ebbene la Regione sborsa 56 milioni di euro di soldi nostri per le bonifiche senza imputare i danni ai veri colpevoli contro il Principio europeo: “Chi inquina deve pagare”.
L’EURALLUMINA
La politica industriale di questa Giunta, che aveva promesso una svolta verso una nuova fase di sviluppo, è un vero disastro, tutta rivolta al passato nel recupero di industrie decotte ed impattanti per l’ambiente come l’Eurallumina, dove si butteranno 170 milioni di euro di soldi pubblici nella costruzione di una centrale a carbone a 400 metri dalla cittadina di Portoscuso per rimettere in moto una fabbrica tra le più inquinanti d’Europa col conseguente aggravio del disastro ambientale già in atto con la sopraelevazione del bacino dei fanghi rossi e la ripresa delle polveri rosse che il vento spingerà verso la meravigliosa città di Carloforte, compromettendone l’attività turistica e la pesca.
LA CHIMICA VERDE
Questo Governo, guidato prima da Renzi ed ora da Gentiloni, supportato dalla Giunta Regionale Pigliaru, dalla Confindustria Sarda e dai Sindacati CGIL/CISL/UIL/UGL rilancia per Portotorres ed il Nord Sardegna Il Progetto della la Chimica Verde che è un vero mega impianto che brucia i cardi che andranno a ricoprire centinaia di migliaia di ettari di terreni sottratti all’agricoltura.
La Sardegna viene confermata come Piattaforma energetica europea e la nostra classe politica plaude e questa scelta, nascondendo la realtà per la nostra isola di mega pattumiera nel Mediterraneo dove i rifiuti di mezza Europa, tra cui quelli industriali nocivi e a rischio radioattività verranno scaricati impunemente nella nostra terra.
LE BONIFICHE A LA MADDALENA A SPESE NOSTRE
Ci costeranno 50,4 milioni di euro le bonifiche dell’ex-Arsenale de La Maddalena e nessun euro verrà imputato alle mancate bonifiche dell’era Berlusconi/Bertolaso, anzi la Protezione Civile corrisponderà 21 milioni di euro alla Mita Resort di proprietà della Mercegaglia.
LA FABBRICA DI BOMBE DI DOMUSNOVAS E LE SERVITU’ MILITARI
La ministra Pinotti continua a negare che in Sardegna a Domusnovas si producono le bombe che l’Italia vende all’Arabia Saudita per distruggere le popolazioni inermi dello Yemen. Dobbiamo convincerci che produrre bombe e strumenti di morte NON E’ LAVORO. Il recente Accordo sulle Servitù Militari, che vengono confermate e rafforzate nell’isola portandosi dietro una scia di veleni e di morti, è l’ultimo dono subdolo-pieno di bugie ed inganni.
IL RIGASSIFICATORE DI GIORGINO
Alle porte della Città di Cagliari, ad appena 300 metri dallo storico Villaggio dei pescatori di Giorgino ed a 500 metri dove sorgerà il Campus Universitario viene progettato un mega impianto della capacità di 22 mila metri cubi di gas con 18 serbatoi criogenici alti 6 metri. Questo impianto viene definito dai responsabili della Ditta ISGAS a “zero rischi”, ma non rispetta le leggi che ne vietano la costruzione vicino ai centri abitati nè viene applicato il principio europeo della precauzione. Le Autorità regionali, il Sindaco di Cagliari e tutti gli Enti presenti nell’area, compresa l’Autorità Portuale devono essere richiamati a responsabilità diretta.
IL DISASTRO NELLA SANITA’ PUBBLICA
La chiusura di molte strutture sanitarie nei territori e la diminuzione di numerose prestazioni mediche e di Servizi sanitari gridano vendetta ed i sardi si ricorderanno della Riforma sanitaria fallita al momento del Voto. Ormai tanti sardi sono costretti a rinunciare a cure e medicinali sempre più costosi e questo è un aspetto che aggrava la povertà già molto diffusa nella nostra isola.
DISOCCUPAZIONE GIOVANILE
La disoccupazione giovanile in Sardegna è al 53.6 % secondo i recenti dati Eurostat e finché questo dato si manterrà costante nessun piano di sviluppo potrà essere considerato serio né può essere credibile il Piano per il lavoro – LavoRas - recentemente approvato all’interno della Manovra Regionale 2018 senza vincoli, che, al netto dei 100 milioni di euro residui del Piano Sulcis, prevede una dotazione di ulteriori 27 milioni e 960 mila euro. Vigileremo sui destinatari di questo investimento e conteremo ad uno ad uno i nuovi posti di lavoro.
VERTENZE ANCORA APERTE
I lavoratori della Miniera di Bauxite di Olmedo, la Keller di Villacidro, il sugherificio Ganau di Tempio, la CLEA di Olbia, la Saipem di Arbatax, la Legler di Macomer, i lavoratori Ati-Ifras del Parco Geominerario per citare le vertenze più importanti in campo industriale che attendono riposte da numerosi anni. Guardiamo ai settori in crisi nell’edilizia, nell’agricoltura, nell’allevamento, nella pastorizia, nella pesca, nel settore del commercio e dell’ambulantato. Poniamo mano al settore trasporti da e per la Sardegna, migliorando il trasporto interno dove manca una rete ferroviaria efficiente e veloce.
CONCLUSIONI
Povera Sardegna, governata da una Giunta di basso profilo, subalterna, a capo chino e col cappello in mano verso un Governo nazionale che amico non è.
Occorre un colpo di reni, una rivolta pacifica e civile di popolo che ci aiuti a cambiare pagina per perseguire una via di sviluppo ecocompatibile, liberando la Sardegna dalle servitù militari e industriali. Riprendiamoci la nostra terra, riscoprendo la nostra vocazione agropastorale con investimenti mirati e produttivi nell’agroalimentare ed industrie di trasformazione. Riscopriamo la bellezza della nostra terra, investendo in turismo e cultura, in ricerca, in tecnologia e innovazione . Facciamo della Sardegna un’isola di pace, aperta all’Europa ed al mondo e l’indipendenza con i suoi valori identitari sia il suo orizzonte.
APPELLO
SABATO 6 GENNAIO ALLE ORE 10.00 CI TROVEREMO TUTTI SOTTO IL PALAZZO DELLA GIUNTA REGIONALE IN VIALE TRENTO PER REGALARE AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA PIGLIARU SACCHI DI CARBONE PER LE SUE INADEMPIENZE VERSO IL POPOLO SARDO.
—————–

Sardegna

pablo-e-amiche Sardegna

SARDINIAN JOB DAY 2018 24-25 Gennaio 2018
Molto più di una fiera lavoro
job2018
(Comunicato RAS) Il 24 e 25 gennaio alla Fiera di Cagliari torna il Sardinian Job Day, l’evento della Regione Sardegna sulle politiche attive per il lavoro.
All’interno della manifestazione sono previsti convegni con rappresentanti politici ed esperti delle politiche del lavoro a livello nazionale, migliaia di opportunità lavorative offerte dalle più importanti aziende sarde e non, più di 100 tra seminari e laboratori sulle professioni emergenti e sulle tecniche di ricerca attiva del lavoro, oltre 200 stand di aziende disposte a raccontarsi e a ricevere i CV, un’area interamente dedicata all’alternanza scuola-lavoro e una al lavoro all’estero.