Monthly Archives: gennaio 2018
Cambiare la legge elettorale
Una proposta d’iniziativa popolare per cambiare la legge elettorale
24 Gennaio 2018
Alfiero Grandi su Democraziaoggi.
Legge elettorale. Alfiero Grandi (Coordinamento democrazia istituzionale): il nuovo Senato potrà subito cambiarla. Presentata una proposta di iniziativa popolare. Agli elettori: non votate i partiti che l’hanno voluta.
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Oggi riunione del Comitato CoStat, alle 18.30 in CSS, via Roma 72, Cagliari.
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Oggi mercoledì 24 gennaio 2018
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Sono in ansia: Luciano verrà ricandidato?
24 Gennaio 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
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Perdonare il papa.
Il punto di Raniero La Valle.
Perdonare il papa.
Ha detto un giurista ormai classico, Carl Schmitt, che i principali concetti politici dell’Occidente sono concetti teologici secolarizzati. È stato un guaio, sia perché molti di tali concetti teologici sono stati presi per il verso sbagliato (o magari erano di una cattiva teologia), sia perché la teologia, secolarizzandosi, si snatura. È così che dall’onnipotenza di Dio è venuta l’onnipotenza dello Stato, dalla trascendenza è scaturita la sovranità che non riconosce niente sopra di sé, dal dies irae del giudizio divino è venuta la vendicatività della giustizia penale e da Carlo Magno si è arrivati ad Hitler. L’altra conseguenza è che molti hanno perso la fede.
Papa Francesco sta facendo un’operazione del tutto diversa, nutre la fede del popolo di concetti teologici umanizzati. Cioè fa ciò che è il cristianesimo: Dio in forma umana, e dunque il crocefisso, la realtà guardata dagli uomini come divina. Ciò comporta la riforma della Chiesa e del papato. Sull’aereo nel primo viaggio di ritorno dal Brasile si era chiesto “chi sono io Francesco?”. Sull’aereo nell’ultimo viaggio da ritorno dal Perù si è dato una risposta: sono uno che può sbagliare, uno che con una parola infelice ho ferito le vittime che più voglio difendere, quelle degli abusi sessuali del clero; perché sentire che il papa dice “portatemi la prova” è uno schiaffo; a loro chiedo scusa, l’ho fatto senza volerlo, e mi fa tanto dolore.
È un piccolo episodio, giustamente amplificato dai media, ma umanizza un concetto teologico che, distorto, ha fuorviato la Chiesa: il papa come Dio in terra, l’arrogante amplificazione della dottrina dell’infallibilità, che non è il proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione ma è l’idea che la Chiesa non sbaglia mai, che, come scrisse Gregorio VII, “la Chiesa Romana non ha mai errato, né, secondo la testimonianza delle Scritture, mai errerà per l’eternità”, e che il papa è santo comunque, “per i meriti del beato Pietro”, ed è lui che decide della coscienza dei fedeli e abbatte il muro di Berlino, fino al “santo subito” ai funerali di Papa Wojtyla.
La teologia umanizzata di papa Francesco gli fa dire ai giovani di Lima che i cristiani non devono essere dei supereroi, che Dio non si scoraggia mai per i loro difetti e i loro peccati, “no se desanima”, che non c’è bisogno di truccarsi per piacergli, che Lui ha sempre scelto gente piena di difetti, “Mosè era balbuziente, Abramo un vecchio, Geremia molto giovane, Zaccheo uno piccoletto, i discepoli invece di pregare si addormentavano, la Maddalena, una peccatrice, Paolo, un persecutore di cristiani, Pietro, uno che lo ha rinnegato; e Lui non ha smesso di amarli, con i loro difetti, con la voglia di correggersi, ma così com’erano …”.
E la teologia umanizzata gli fa preferire una Chiesa “incidentata”, piuttosto che barricata in casa, e anche di “incidentare” se stesso, perché poteva benissimo non rispondere alla giornalista di Iquique che gli chiedeva conto della sua difesa del vescovo Barros, ma ha pensato che lei “aveva diritto” a una risposta perché era una fedele di quella diocesi di cui Barros era stato vescovo, e perciò si è preso il rischio di una risposta maldestra, la cui intenzione era però di non mancare di giustizia. E ad averli feriti, col parlare di “prove”, ha chiesto scusa ai discepoli abusati, e lo ha fatto con tenerezza, con misericordia. All’ordine dell’umano appartiene non l’essere infallibili e perfetti, ma l’essere giusti ed emendabili. E così anche per il papa. Così che si possa perdonare anche il papa.
Col suo ritorno a Roma ha coinciso anche il primo intervento del cardinale Bassetti, ossia della Chiesa italiana in formato Francesco, in una campagna elettorale politica. È stato un intervento generalmente ritenuto ineccepibile, contro il razzismo e contro le falsità della politica, con un forte appello a sposare la politica come vocazione, non per il potere, ma per servire il bene comune. (Segue)
Silvia Nicolai nel Coordinamento nazionale per la Costituzione
Il coordinatore del Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria di Cagliari ci informa che, anche grazie all’iniziativa del 15, Silvia Niccolai è stata inserita nel Coord. naz del Comitato. E’ un acquisto importante, che ringiovanisce il quadro dirigente,
Complimenti e Auguri di buon lavoro da parte di Aladinews!
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Oggi martedì 23 gennaio 2018
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“Potere al popolo” è nel mio cuore. E nella testa?
23 Gennaio 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
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Lavorare meglio, lavorare tutti: lo propone anche il cardinale
Ricostruire, ricucire, pacificare: in questi verbi la consegna pastorale del Card. Bassetti alla Chiesa italiana all’inizio dei lavori del Consiglio Permanente, in corso a Roma fino al 24 gennaio. Tra i temi toccati dal Presidente della CEI le prossime elezioni politiche e la recente legge sulle DAT; il lavoro, la famiglia e i giovani; le migrazioni internazionali e l’impegno per la pace nel Mediterraneo. Di seguito riportiamo la parte del discorso del presidente della Cei card. Gualtiero Bassetti riguardanti la tematica del lavoro, con specifico riferimento alla recente Settimana sociale dei cattolici italiani, tenutasi a Cagliari a fine ottobre u.s. [dal sito della Cei]. La tematica del lavoro ha trovato particolare approfondimento anche nell’apposito convegno promosso dal Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria, tenutosi a Cagliari nei giorni 4 e 5 ottobre scorso.
Lavoro, famiglia, giovani
Nel contempo, sono grato anche al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che nel suo discorso di fine anno, ha sottolineato
con forza che il lavoro resta la priorità per l’Italia. Ormai da molto tempo anche come Chiesa italiana stiamo insistendo su questo
tema, considerandolo una delle «priorità irrinunciabili». Da Cagliari, dove lo scorso ottobre abbiamo vissuto la 48ª Settimana sociale
dei cattolici italiani, siamo ripartiti con alcune proposte concrete sul lavoro. Quest’esperienza, ampiamente positiva, non va sprecata,
ma rafforzata e fatta crescere insieme con tutti coloro che vorranno impegnarsi in questo campo. Gli obiettivi sono grandi e impellenti:
creare lavoro, combattere la precarietà e rendere compatibile il tempo di lavoro con il tempo degli affetti e del riposo. Come ha detto
Francesco, «il lavoro è sacro», fornisce «dignità» ad ogni «persona umana» e alla «famiglia». Vorrei riassumere questi obiettivi con
un’affermazione ambiziosa: lavorare meglio, lavorare tutti.
Il lavoro è dunque una priorità ma è soprattutto una vera emergenza sociale. Un’emergenza resa ancora più impellente dai dati
relativi alla disoccupazione giovanile: sono troppi i nostri ragazzi che vengono ingiustamente mortificati nel loro talento e
duramente provati nelle loro aspettative di vita, costringendoli spesso ad un’amara e dolorosa emigrazione. È un grido di dolore e di aiuto quello che viene dai nostri giovani. Che va raccolto e va fatto nostro. Come faremo nel prossimo Sinodo dei Vescovi.
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Oggi lunedì 22 gennaio 2018
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SCRITTO PER EDDYBURGEDDYBURG » POSTILLE » PER COMPRENDERE
Le periferie : priorità nazionale: non è questo il modo
di SERGIO BRENNA
Una valutazione fortemente critica del modo in cui la camera dei deputati intendeva affrontare il problema delle periferie, vitale per la città d’oggi. Che deciderà il Parlamento che eleggeremo il 4 marzo? con postilla, su eddyburg.
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Compagnucci e compagnuccie del PD, coraggio!, dopo il 4 marzo, il sole sorgera’ ancora
21 Gennaio 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
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Quanto sarebbe bello “Il Viaggio della Costituzione”, con altri accompagnatori! Presa di posizione dell’ANPI
22 Gennaio 2018
Red su Democraziaoggi.
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Candidati M5S: chi son costoro?
22 Gennaio 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
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Oggi domenica 21 gennaio 2018
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L’Onu: “Le donne guadagnano il 23% meno degli uomini. È il più grande furto della storia”
la Stampa, 20 gennaio 2018, ripreso da eddyburg e da aladinews. Quando si parla di sfruttamento si ricordano i proletari, i colonizzati, gli schiavi; mai si ricorda il gruppo sociale più ampio del mondo: le persone di genere femminile. Eppure, sono più numerose di quelle che appartengono all’altro genere.
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Madri costituenti: un insegnamento per il futuro
21 Gennaio 2018
Luisa Sassu su Democraziaoggi.
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venerdì 19 gennaio 2018 su eddyburg
SOCIETÀ E: POLITICA » MAESTRI » JORGE MARIO BERGOGLIO
Papa in Cile: all’Università Cattolica, si insegni la grammatica del dialogo e dell’incontro
di JORGE MARIA BERGOGLIO, su Eddyburg ——————————————–
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POLITICA Il voto del 4 marzo Elezioni 2018, il MoVimento 5 Stelle e i “Venti punti per l’Italia” – See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/elezioni-2018-MoVimento-5-Stelle-programma-Venti-punti-M5S-Luigi-Di-Maio-2b4fc264-0074-4c7e-994c-54d8ae5e0f38.html
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Campagna elettorale. I partiti e L’Europa.
di Roberta Carlini, su Rocca.
Non è facile scavare nel merito delle proposte di una campagna elettorale di rara bruttezza, molto al di sotto del livello dell’alfabetizzazione dell’elettore medio che già – si sa, purtroppo – non è alto. Ma volendosi cimentare nell’impresa, è necessario partire dall’Europa, o meglio dai patti siglati con l’Unione europea che impegnano il nostro paese, condizionano la sua politica economica e catalizzano da anni, e soprattutto dall’inizio della crisi economica, lo scontento dei cittadini. Non solo in Italia, e non solo nei Paesi che sono allo stesso tempo principali imputati e vittime della Commissione europea: l’ondata di protesta e di agitata ricerca di vie d’uscita è stata anzi finora più forte nei Paesi forti, dalla Gran Bretagna alla Germania alla Francia, che in quelli deboli come la Spagna, il Portogallo, l’Italia e la Grecia.
L’Unione europea si è spaventata per Tsipras, e lo ha punito e costretto a tradire il patto con i suoi elettori; ma è stata squassata più che dagli indisciplinati greci dai sudditi di sua maestà britannica che hanno votato a favore della Brexit. E l’ondata di partiti nazionalisti, xenofobi e razzisti ha tracimato nel cuore politico europeo, a partire da Austria, Germania e Francia; per non parlare del blocco nero di Ungheria, Repubblica Ceca, Polonia.
non confondere le acque
Dunque, l’Unione europea attraverso gli uomini-chiave delle sue istituzioni fa bene a preoccuparsi se un candidato alla guida di una delle regioni più ricche d’Europa, la Lombardia, fa dichiarazioni apertamente razziste; ma sa bene che il fenomeno non è isolato, semmai accomuna la locomotiva della produzione italiana ad altre regioni opulente del vecchio continente. Questo non è un motivo per abbassare la guardia, o fare spallucce; ma dovrebbe consigliare ai dirigenti europei di essere molto attenti a non mischiare i piani: per esempio, a non accomunare nello stesso discorso e nello stesso giorno gli attentati ai diritti e principi fondamentali sui quali l’Europa è costruita alle questioni di politica economica, le dichiarazioni sulla razza e quelle sul bilancio pubblico.
Anche perché, così facendo, si alimenta ancora di più il populismo che si vuole combattere: Pierre Moscovici, commissario Ue agli affari economici, ha stigmatizzato come «scandalose» le dichiarazioni di Fontana, candidato del centrodestra alla regione Lombardia, sulla difesa della razza bianca e allo stesso tempo ha duramente criticato chi, come il candidato pentastellato Luigi Di Maio propone di fare nuovo debito pubblico, anche superando il tetto del 3% nel rapporto tra deficit e Pil. Dando a tutti costoro la possibilità di gridare alla lesa maestà e di confondere le acque. Gli elettori italiani devono in primo luogo decidere se votare qualcuno che ha «la difesa della razza bianca» tra i suoi valori di riferimento; e poi, chiarite le posizioni sui princìpi fondamentali, valutare gli schiersmenti sulle proposte economiche, sull’azione di governo concreta che si vorrà sviluppare.
la gara a scaricare l’Europa
Andando nel merito di quest’ultima: non I Cinque stelle, che hanno sempre detto che dovrà decidere il popolo, non insistono neanche più sul referendum. Anche perché sanno che non è realizzabile, visto che la nostra Costituzione non consente referendum su materie regolate da trattati internazionali. E allora? La gara tra gli schieramenti è a scaricare l’Europa. Prima tutti facevano mostra di un alto tasso di europeismo, adesso c’è solo il piccolo partito radicale che ha l’Europa – con il segno più: + Europa – nel suo simbolo e nel suo programma.
Nel centrodestra, Berlusconi tiene basso il discorso e fa mostra di moderatismo, mentre i suoi alleati di Lega e Fratelli d’Italia incolpano Bruxelles di tutti i mali, a partire dall’immigrazione.
Il M5S, come s’è detto, ha sostituito la parola d’ordine del referendum sull’euro con quella dello sfondamento del 3%, ossia della regola di bilancio imposta più di un quarto di secolo fa a Maastricht.
Il Pd è caratterizzato da un europeismo riluttante: da un lato rivendica la sua fedeltà all’Unione e i buoni rapporti con Bruxelles (e Francoforte, sede della Bce) di uomini come Gentiloni e Padoan; dall’altro Renzi, populista dall’interno del potere, tiene bassissima la bandiera europea (che aveva eliminato dallo sfondo di palazzo Chigi nella campagna elettorale per il referendum costituzionale), e rivendica le passate sfide, la richiesta di flessibilità sui conti, i pugni sul tavolo. E anche alla sua sinistra, Liberi e Uguali chiede una profonda riforma dell’Europa – non una fuoriuscita unilaterale – ma si guarda bene dal fare di un europeismo federalista la sua cifra e bandiera.
mutamento dello scenario europeo
Si capisce bene il perché di tutto ciò: si corre per vincere, e il «brand» dell’Europa è al momento perdente. Ma qualsiasi governo si insedierà alla guida del Paese dopo il 4 marzo, dovrà fare i conti con una procedura d’infrazione per deficit eccessivo rinviata dallo scorso autunno alla primavera; con la compatibilità dei suoi atti con le regole firmate a livello internazionale; con le stabilità o instabilità dei mercati finanziari ai quali si va a chiedere di sottoscrivere debito pubblico, e con le mosse di politica monetaria della Bce.
Non solo. Dovrà fare i conti con il mutamento dello scenario europeo, innescato dalla possibile scelta di un governo di grande coalizione in Germania nel cui programma Spd e Cdu-Csu hanno messo al primo posto la riforma della governance europea.
A guardare sotto gli slogan e dentro i programmi, c’è poca traccia di tutto ciò. Le promesse elettorali, dal reddito di cittadinanza o dignità dei Cinque stelle e di Berlusconi, alla costosissima flat tax, alle mance a destra e a manca, se realizzate porterebbero allo sforamento dei tetti imposti dalla Commissione. Ma attenzione:
anche se non esistesse l’Europa né il suo patto di stabilità – che ha aggiornato gli originari parametri di Maastricht, imponendo non solo i rispetto di quei tetti ma anche le regole per il percorso di rientro dagli squilibri – la nostra Costituzione, prima ancora che il buon senso contabile, impone di mettere delle coperture a fronte di ogni spesa.
fare nuovo deficit non è una bestemmia
È legittimo, anzi doveroso, avanzare proposte per stimolare l’economia, migliorare il welfare state, coprire i bisogni delle persone in difficoltà; ma bisogna dire con quali risorse pubbliche pagare tutto ciò. Fare nuovo deficit non è una bestemmia né una violazione di leggi naturali, ma bisogna essere sicuri del fatto che queste spese (o minori entrate) porteranno benefici all’economia e il debito rientrerà in futuro, invece che accelerare.
Su questo, l’esperienza del governo Renzi dovrebbe aver insegnato qualcosa. Nonostante la comoda vulgata dell’Europa cattiva e arcigna, molto extra-deficit è stato concesso all’Italia, sotto il nome di “flessibilità”, ed è stato usato per togliere la tassa sulla prima casa per tutti, anche i più abbienti, e per incentivare le assunzioni stabili, senza però, in quest’ultimo caso, riuscire nell’obiettivo. A volte si ha l’impressione che l’Europa sia un perfetto alibi per trovare un cattivo di turno su cui scaricare il malcontento, evitando di prendersi la responsabilità di scelte che possono essere anche sbagliate: nel qual caso, sarebbe bene fermarsi a riflettere e cambiare indirizzo. Per esempio, mirando le spese in deficit agli investimenti, in infrastrutture fisiche o sociali, capaci di generare nuovo reddito e dunque nuove entrate anche per lo Stato.
Se si presentassero con proposte simili, e non con demagogia antieuropea e mance per gli elettori, i partiti in campo potrebbero sfidare un establishment europeo che nelle principali capitali ammette le sue difficoltà; e partecipare al processo di riforma che – forse – sarà innestato dal nuovo governo tedesco, e da un rinnovato asse con la Francia di Macron. A meno di non lasciare, come nel passato, che la guida franco-tedesca decida per noi, che mentre a parole facciamo finta di insultarli e sfidarli nei fatti ci accodiamo, e speriamo di ricevere qualche briciola nel traino.
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Per connessione: da Aladinews del 5 gennaio 2018
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di Umberto Allegretti su Rocca
Un bilancio dell’anno appena trascorso per quanto riguarda l’Unione Europea non può esser pieno di molte ombre e di qualche luce, ombre e luci talora fra loro commiste. Le questioni si affollano e qui sceglieremo di accennare solo ad alcune che riteniamo particolarmente importanti.
La tela di fondo di tali questioni è data dal problema delle istituzioni europee come tali, che hanno certamente bisogno di pro- fonde ristrutturazioni. Un’Europa «sociale», un completamento dell’Unione sui vari aspetti del problema economico, una sua incisività sulla politica mondiale, rappresentano i settori, o alcuni dei settori, che avrebbero necessità, nell’attuale quadro mondiale, di una struttura dell’Unione più democratica, più efficace, meno «sovranista» più capace di affrontare i problemi gravissimi posti dalla situazione del pianeta in un’età di squilibrio e di guerra. Il problema istituzionale è affrontabile, come è stato notato, su due piani: con una migliore applicazione delle possibilità che già il Trattato di Lisbona prevede, e con una revisione di aspetti importanti del Trattato.
le cose da cambiare
Nella prima direzione, oggetto di importanti proposte nel discorso sullo stato dell’Unione pronunciato il 13 settembre davanti al Parlamento europeo dal Presidente della Commissione Juncker – la cui azione complessiva appare tuttora, salvo errore, rispetto ad altri organi europei quella più incisiva sulle proposte e i comportamenti dell’Unione –, si dovrebbe pensare di attuare una serie di passaggi dell’Unione a politiche più efficaci previste dal Trattato ma finora scartate. Per esempio, sarebbe possibile già ora applicare le possibilità di cosiddette «passerelle», che consentirebbero di passare in seno al Consiglio dalla necessità dell’unanimità degli Stati al voto a maggioranza qualificata, come nei settori della politica estera e delle politiche fiscali. Come pure di passare, per quanto riguarda il ruolo del Parlamento, dalla procedura di semplice parere a quella codecisionale.
problemi istituzionali
Altre variazioni rispetto alle pratiche attuali richiederebbero peraltro – come notato in un articolo dell’autorevole Paolo Ponzano, già alto funzionario europeo e ora, oltre a una forte esperienza all’Istituto Universitario Europeo di Fiesole, docente al Collegio europeo di Parma – elementi di modifica dei Trattati e sono perciò più difficili da attuare. Anche se bisogna tenere conto della forte azione propulsiva del Presidente francese Macron, che si è inoltrato nei suoi discorsi nella delineazione di solidi irrobustimenti del lato in qualche misura «federalista» rispetto a quello «sovranista» che ora prevale in seno all’Unione, ma il cui seguito avrebbe bisogno dell’intesa prima di tutto con una Germania attualmente in una per lei inconsueta difficoltà di
governabilità.
oltre le divisioni socio-economiche
È sempre più chiaro che esistono attualmente in seno all’Unione differenze di linea considerevoli tra gli Stati membri favorevoli ad avanzamenti o suscettibili di divenirlo e altri, tra cui quelli del Nord-Europa ma soprattutto quelli dell’area ex-socialista. Se questo spinge alcuni ad auspicare una netta delimitazione nel futuro fra due Europe, altri, forse a ragione, preferiscono in nome di un’unificazione del Continente decisa a cavallo del secolo XX e del XXI, tollerare le attuali differenze e lavorare pazientemente per superare le divisioni. Purché lo si faccia con la decisione necessaria, per esempio non esitando ulteriormente (alcuni segni sembrano ora esserci) ad adottare sanzioni previste dal Trattato nei confronti di quei paesi – Ungheria, gli altri paesi di Visegrad e ora in maniera particolarmente preoccupante la più vasta Polonia – che mostrano di alterare al loro interno, ma con effetti debordanti i loro confini, i fondamentali principi dello stato di diritto, come l’indipendenza della magistratura e della giurisdizione costituzionale e che rifiutano di accettare la loro pur tenue porzione di accoglienza dei migranti.
le diverse politiche sociali e fiscali
Non si tratta però di meri problemi «istituzionali». Bisogna che ci si decida ad avanzare – in questo favoriti dall’uscita dall’Unione, ancora peraltro a mezza strada, della Gran Bretagna – verso politiche sociali valide per tutta l’Unione e verso politiche fiscali comuni, essendo ormai più che palese l’impossibilità e l’ingiustizia di fiscalità così diverse tra gli Stati membri, quali quelle che fra l’altro hanno permesso finora – anche qui qualche segno positivo si sta aprendo – all’Irlanda e allo stesso Lussemburgo già governato da Juncker di offrire possibilità di elusione delle tasse a grandi multinazionali, come quelle agenti nel campo informatico o alla Ryanair o a evasori singoli o societari dei nostri stessi paesi. Potrebbe la ripetuta proposta di un Ministro delle finanze europeo quanto meno per la zona euro, fornire uno strumento per andare in una direzione di contenimento di queste disparità?
Europa Africa
L’autorevolezza della politica dell’Unione verso l’esterno, finora scarsissimamente esistente come politica unitaria, dipende anche dalla capacità dell’Unione di governare le sue tensioni interne. Un esempio clamoroso e tra i più preoccupanti è quello della politica verso il continente africano. Che un compito di aiuto all’Africa da parte dell’Europa sia doveroso e opportuno per la stessa Europa è assolutamente evidente. Ma si sono fatti in questo anno dei veri passi avanti in questa direzione? Da tempo si parla di un cosiddetto Piano Marshall per l’Africa. Ma l’aiuto finanziario ai paesi della fame come quelli del Sahel, che poi generano le massicce migrazioni cui assistiamo ormai da anni, ha veramente decollato? I poco più di tre miliardi di euro promessi e, per quel che si può sapere, non ancora erogati a pro’ di questi paesi – e che certo hanno bisogno di garanzie di corretta spesa, per la quale si son fatte peraltro buone proposte di vigilanza da parte di organismi Onu – non sono certo una misura sufficiente. Meno ancora lo è il puntare primariamente sull’azione contro il fattore, preoccupante ma derivato, di lotta contro il terrorismo che può alimentarsi in quei paesi, preoccupazione che ci pare abbia malamente dominato il recente vertice Europa-Africa di Abidjan. E come vantarsi, in questa situazione, di esser riusciti a contenere il numero degli sbarchi in Italia – a parte lo scandalo dei «campi» in Libia – come fanno il pur ben disposto governo italiano attuale e il suo ministro? In sintesi, un’Europa della solidarietà e della pace non può limitarsi ai problemi interni dell’Unione, ma deve sboccare in una capacità di azione internazionale che avrebbe in Africa, oltre che in Medio Oriente, il suo campo di prova più necessario.
unione monetaria
In presenza di questi e altri problemi, e in attesa fra l’altro della conclusione delle trattative per un nuovo governo tedesco, la Commissione ha elaborato un pacchetto di proposte sul rafforzamento dell’unione monetaria nel quale ha cercato di accontentare un po’ tutti: inserzione del Fiscal Compact nel diritto europeo ma con la fles- sibilità già concessa all’Italia e ad altri paesi, completamento dell’unione bancaria ma con la riduzione dei rischi nei paesi dove le banche hanno troppi titoli di Stato nel loro portafoglio, creazione di fondi di stabilizzazione macro-economica ma con impegni paralleli di convergenza, e altro. Queste, per ora, le prospettive per il nuovo anno, piene anch’esse di luci e di ombre.
Umberto Allegretti
UNIONE EUROPEA
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Documentazione movimento dei comitati di quartiere anni ’70.
https://www.aladinpensiero.it/?p=32130
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Cittàquartiere, periodico del Coordinamento dei Comitati e Circoli di quartiere di Cagliari. Maggio-giugno 1978.
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Cittàquartiere, periodico del Coordinamento dei Comitati e Circoli di quartiere di Cagliari. Marzo 1978.