Monthly Archives: gennaio 2018

Tzacca stradoni ieri a Is Mirrionis

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Oggi a Is Mirrionis Tzacca stradoni

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- L’evento in fb.

Oggi sabato 27 gennaio 2018

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SOCIETÀ E: POLITICA » MAESTRI » JORGE MARIO BERGOGLIO
francesco-indios02Amazzonia, Papa a giovani indios: “Non rassegnatevi, studiate e lottate”
di PAOLO RODARI, su eddyburg.

La Santa Sede online 19 gennaio 2018. Un discorso pienamente politico, che parla dell’Amazzonia, ma si riferisce al mondo. È solo un papa della chiesa cattolica che parla, ma meriterebbe di guidare il mondo.
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img_4633Che ne dite? Meglio il metodo PD, il sorteggio o le parlamentarie?
democraziaoggi27 Gennaio 2018

Amsicora su Democraziaoggi.

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giorno-memoriaCome è nato e perché il giorno della memoria?
27 Gennaio 2018

Come è nato e perché il giorno della memoria? Ce lo racconta Furio Colombo in una intervista al Corriere della Sera del 13 febbraio 2017 | di Dino Messina.
Ripreso da Democraziaoggi.
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La DOTTRINA SOCIALE della CHIESA da ideologia della riconquista cristiana della società a critica degli esistenti assetti sociali sulla base dei valori evangelici

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È nata con la “Rerum novarum”
LA DOTTRINA SOCIALE NON PIÙ COME IDEOLOGIA

Nella riforma teologica promossa da papa Francesco la “dottrina sociale” si avvia a trasformarsi da ideologia della riconquista cristiana della società a critica degli esistenti assetti sociali sulla base dei valori evangelici. L’incoraggiamento ai movimenti popolari

di Daniele Menozzi, chiesadituttichiesadeipoveri

logo76La Dottrina sociale della Chiesa, per quanto l’espressione venga utilizzata dal magistero pontificio solo durante il Novecento, nasce con la celebre enciclica Rerum novarum pubblicata da Leone XIII nel 1891. Essa intende avanzare una proposta cattolica per l’organizzazione della vita collettiva. Tale proposta si pone in antitesi sia all’assetto liberal-capitalistico, di cui si denunciano i gravi mali sociali determinati da un’industrializzazione regolata dalla sola legge del profitto; sia alla prospettiva socialista, che viene presentata come contraria alla natura umana perché non rispetta un pilastro costitutivo di ogni ben ordinato consorzio civile, il diritto alla proprietà privata. La dottrina sociale si basa sul presupposto che solo la Chiesa interprete esclusiva della legge naturale voluta da Dio per gli uomini, può indicare le norme per una convivenza prospera e pacifica.
Come ha dimostrato il teologo Marie-Dominique Chenu in un penetrante saggio del 1979, la dottrina sociale rappresenta l’ideologia con cui la Chiesa entra in concorrenza con le altre ideologie – il liberalismo e il socialismo – che si contendono il controllo dell’opinione pubblica nel mondo contemporaneo. Autoproclamandosi depositaria della verità anche in materia politica e sociale, la Chiesa si propone di ottenere il consenso necessario alla riconquista cristiana di una società che nei tempi moderni si era da essa allontanata. Il valore universale di una dottrina preoccupata soltanto del bene comune avrebbe dovuto permettere al laicato credente – cui veniva assegnato il ruolo di nuovo braccio secolare in sostituzione dell’ormai scomparsa figura del principe cattolico – di ottenere il consenso necessario per accedere al potere politico. Finalmente si sarebbe così restituito all’autorità ecclesiastica il ruolo direttivo di cui l’aveva privata la modernità secolarizzatrice.
Nel tempo sono mutate le indicazioni di Leone XIII per migliorare le condizioni di uomini travolti dai processi di pauperizzazione provocati dalla rivoluzione industriale. La dottrina sociale ha subìto un percorso di adeguamento alle profonde trasformazioni via via determinate dallo svolgimento storico. Basta pensare alla proclamazione della funzione sociale della proprietà privata. Tuttavia il carattere ideologico della dottrina sociale non è cambiato. Almeno fino al Vaticano II. L’assise ecumenica si è dovuta infatti confrontare con una domanda che metteva in questione la finalità stessa della dottrina sociale: l’allontanamento dalla Chiesa dell’uomo moderno, che aveva rivendicato l’emancipazione dalla tutela ecclesiastica nello stabilire le forme organizzative della collettività, non dipendeva proprio dalla pretesa ecclesiastica di determinarne gli istituti fondamentali? La risposta del concilio appariva in realtà piuttosto ambigua: proclamava infatti che l’uomo possedeva una iusta autonomia che la Chiesa doveva finalmente riconoscere. Ma dai testi conciliari risultava anche abbastanza evidente che a definire i limiti entro cui tale indipendenza era legittima veniva pur sempre chiamato il magistero.
Toccava a Paolo VI dare un contributo fondamentale all’approfondimento della questione. Nel 1971, in occasione degli ottant’anni della pubblicazione della Rerum novarum, emanava la lettera apostolica Octagesima adveniens, in cui aggiornava l’eredità dei predecessori. In primo luogo, anziché parlare di “dottrina sociale”, usava il sintagma “insegnamento sociale”, in modo che, depotenziando la qualificazione teologica degli interventi della Chiesa in tale materia, ne riconosceva il carattere contingente e variabile. Poteva così, sulla base delle esigenze pastorali del presente, formulare indicazioni innovative. Assegnava infatti alle comunità cristiane operanti all’interno delle diverse formazioni storico-culturali in cui vivevano i credenti il compito di definire le linee in ordine alla presenza della Chiesa nella società. Certo il ruolo di Roma non veniva cancellato: i fedeli erano invitati a prendere le loro decisioni tenendo conto della precedente elaborazione compiuta in materia dal magistero papale; ma era anche chiaro che la responsabilità primaria era ora affidata alle Chiese locali. Infine la proclamazione di un esclusivo possesso della verità veniva ridimensionata: i cattolici, pur mantenendo la dipendenza dai loro vescovi, avrebbero maturato le loro scelte in dialogo non solo con i cristiani separati, ma anche con tutti gli uomini di buona volontà.
Tuttavia lo sforzo probabilmente più significativo di Montini stava nel tentativo di intaccare il carattere ideologico dell’insegnamento sociale della Chiesa, ricordando che esisteva un criterio supremo alla luce del quale si dovevano vagliare tutte le sue espressioni: il Vangelo. Si trattava peraltro di una proposta senza realizzazioni concrete. I due pontificati successivi mostravano poi una netta inversione di tendenza: la locuzione “dottrina sociale” veniva formalmente reintrodotta nei testi del magistero romano e si ribadiva il suo nesso indissolubile con la legge naturale, di cui la Chiesa veniva proclamata unica depositaria autentica. D’altra parte la linea generale di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI può ricondursi al progetto di restaurare, sia pure in termini diversi da quelli del papato preconciliare – il crollo del comunismo sovietico eliminava una possibile via socialista alla soluzione dei problemi contemporanei – una società cristiana, di cui la Chiesa dettava le regole fondamentali. In questa prospettiva la dottrina sociale, pur aggiornata alla luce di un rapporto positivo con alcuni istituti della modernità, ritornava ad acquistare il ruolo ideologico assunto nei decenni precedenti al Vaticano II.
L’avvento di papa Francesco ha delineato un nuovo indirizzo. Se Bergoglio ripropone il sintagma “dottrina sociale”, lo introduce prevalentemente per mostrare che le sue prese di posizione sul rapporto tra Chiesa e società sono radicate nella tradizione, in modo da togliere fondamento alle critiche dei conservatori che mettono in dubbio persino la sua ortodossia. Non occorre ricordare che solo il cieco pregiudizio, dettato da inconsapevolezza storica, può portare a valutazioni come quelle di questi ambienti. Importa invece notare che i riferimenti di papa Francesco costituiscono uno sviluppo rilevante delle formulazioni di Paolo VI. Asserendo che la Chiesa non ha una ricetta per risolvere le grandi questioni che affliggono il mondo, anzi affermando che una ricetta non esiste, ma va trovata attraverso un paziente lavoro di analisi e discussione svolto da tutti gli uomini di buona volontà (cristiani e non cristiani), egli riconosce la piena autonomia delle elaborazioni in materia politica e sociale compiute da ogni soggetto impegnato nella vita pubblica. Questo riconoscimento non implica peraltro una rinuncia della Chiesa ad intervenire in questo ambito.
Lo testimoniano i discorsi finora tenuti ai movimenti popolari. Essi mostrano la volontà di Bergoglio di stimolarne lo sviluppo senza interferire nella loro autonomia. Partendo da un confronto tra Vangelo e società contemporanea, egli coglie nell’attuale idolatria del denaro una radicale contraddizione rispetto al modello di rapporti umani sintetizzato nelle beatitudini. Ne trae la prospettiva di dover sostenere tutti coloro, credenti o meno, che si dedicano a costruire processi di cambiamento di questa situazione. Non si sofferma su modalità operative, affidate alla loro piena responsabilità; si prodiga invece nell’incoraggiarli a partecipare alla vita pubblica al fine di ottenere un mutamento effettivo dei rapporti umani su scala planetaria. In quest’ottica la Dottrina sociale si avvia a trasformarsi da ideologia della riconquista cristiana della società e critica degli esistenti assetti sociali sulla base dei valori evangelici.
Daniele Menozzi
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 43 del 16/12/2017

Domani a Is Mirrionis Tzacca stradoni

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- L’evento in fb.

Cittadini al Centro

cittadini-al-centroRipartono i laboratori di Cittadini al Centro
Il progetto Cittadini al Centro seconda annualità propone un nuovo ciclo di cinque laboratori che si svolgeranno tra gennaio e marzo 2018 presso il Centro di Quartiere La Bottega dei Sogni nel quartiere de La Marina a Cagliari.
Il progetto è organizzato dall’Associazione Efys Onlus grazie ai contributi regionali per le Associazioni di Promozione Sociale. Tra i partner del progetto, l’Associazione Culturale Puntozero e l’Associazione Ciclofficcina Sella del Diavolo e la cooperativa sociale Il Giardino di Clara.
- segue per approfondimenti -

Rapporto Oxfam

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Valutiamo le proposte dei partiti e dei candidati con il metro della riduzione delle diseguaglianze economiche e sociali.
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-Approfondimenti.

Così non funziona

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Oggi venerdì 26 gennaio 2018

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——————————–Elezioni————————-
img_4633Liste, che impasse! La soluzione? Un bel sorteggio!
26 Gennaio 2018

Amsicora su Democraziaoggi.
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Elezioni: dopo il 4 marzo viene il 5.
24 Gennaio 2018

di BEPPE ELIA, Meic
L’avvio della campagna elettorale ha rivelato davvero l’incapacità della nostra classe politica (fatta salva qualche lodevole eccezione) a presentare progetti credibili e razionali. Leggo in questo turbinio di proposte mirabolanti non solo la mancata consapevolezza delle cause profonde circa il clima di preoccupazione e di disagio che respiriamo nelle nostre città, ma anche poco rispetto verso gli elettori, considerati persone facilmente convincibili ed anche un po’ ignoranti.

Sempre peggio

oxamsedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
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Valutiamo le proposte dei partiti e dei candidati con il metro della riduzione delle diseguaglianze economiche e sociali.
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In queste settimane la nostra attenzione è calamitata principalmente dalla campagna elettorale. Programmi, strategie, possibili alleanze, governabilità del Paese. Intanto un ideale meteorite ha sfiorato le nostre teste. Una notizia di una drammaticità straordinaria. Più dell’80% della ricchezza prodotta tra Marzo 2016 e marzo 2017, è finita tra le mani, o se preferite, nelle tasche dell’1% dalla parte più ricca della popolazione mondiale. Al 50% della parte più povera della popolazione mondiale, circa 3,7 miliardi di persone, non è arrivato nulla, dico nulla, della ricchezza prodotta nel mondo. Pensateci un attimo. Può questa riflessione rappresentare un criterio guida per sviluppare e orientare ciascuna delle nostre scelte di vita e dei nostri comportamenti, anche di quelli concernenti le scelte elettorali per il governo del paese? A mio parere sì. Il rapporto annuale dell’Oxfam, (Confederazione internazionale delle organizzazioni non profit), dal quale rileviamo la notizia riportata, ha documentato che le diseguaglianze economiche e sociali nel mondo si stanno ampliando, diventano sempre maggiori. L’aumento costante delle diseguaglianze economiche e sociali tra una parte minoritaria della popolazione mondiale e una massa sterminata di poveri, o meglio ciò che si ritiene di dover fare per contrastarlo, deve diventare il metro di paragone per valutare l’operato e i programmi futuri delle differenti forze politiche, per scelte ponderate e realistiche. Lo affermo pensando, per esempio, alla illogicità di alcune promesse elettorali quali l’abolizione per tutti della tassa sulla prima casa, la mancia elettorale di 500 euro elargita a tutti i giovani per affrontare spese concernenti la formazione culturale e altre proposte analoghe. Credete che vadano nella direzione di ridurre l’aumento delle diseguaglianze? Chi possiede un lussuoso attico nel centro storico di una grande città non pagherà nessuna tassa sulla propria abitazione esattamente come il salariato che, con un misero stipendio e un indebitamento pluridecennale, è riuscito ad acquistare le classiche due camere e cucina per la propria famiglia. Analoga considerazione può essere sviluppata relativamente ad altri comparti della vita sociale (prestazioni sanitarie, gratuità delle tasse scolastiche, prestazioni di servizi pubblici). Detta in questi termini la questione della crescente diseguaglianza sociale può apparire cosa semplice frutto di ragionamento esso stesso semplicistico. Proviamo allora ad andare un pochino più a fondo nella questione. La contraddizione principale della nostra esistenza è attualmente rappresentata dal fatto che viviamo in un mondo ricco e con enormi opportunità, ma nel quale si registrano livelli di povertà assoluta inaccettabili che sono la radice di gran parte delle tensioni sociali, dai conflitti regionali ai grandi movimenti migratori. Il citato rapporto dell’Oxfam indica quale causa fondamentale delle diseguaglianze «l’ottimizzazione dei costi» nei processi di delocalizzazione della produzione di beni (e servizi) che, in una logica di massimo profitto, significa corsa verso il basso sui diritti del lavoro nelle filiere e del valore dei prodotti. Un processo complesso che è favorito, e alimentato da un modello di finanza mirato esclusivamente alla ricerca del massimo valore da parte degli azionisti delle imprese, A questo aspetto fondamentale della produzione delle merci se ne aggiunge poi un’altro, quello della elusione fiscale. Cioè della tendenza prevalente a spostare i profitti lontano da dove il valore viene prodotto impedendo una sia pur minima distribuzione della ricchezza fra gli strati più deboli del sistema. Pensiamo a tanta manodopera di numerosi paesi che vivono ai limiti della sopravvivenza. Fra i numerosi esempi riportati nel Rapporto Oxfam si cita il settore tessile nel quale la corsa al ribasso e l’ottimizzazione dei costi ha prodotto situazione decisamente drammatiche. La corsa al ribasso dei costi e la ricerca di manodopera a costi sempre più bassi ha fatto si che in India, Cambogia e Indonesia un quarto dei lavoratori lavorino con stipendi al limite o al di sotto del salario minimo legale, quasi ai limiti della sopravvivenza. C’è poi un altro aspetto che ci interessa direttamente. Questi lavoratori di Paesi lontani, in un mondo sempre più globalizzato esercitano una formidabile concorrenza a basso costo nei confronti dei nostri lavoratori, dei quali diventano di fatto diretti concorrenti. Col tempo infatti i lavoratori meno specializzati dei nostri Paesi tendono ad accettare condizioni di lavoro sempre più difficili con peggioramenti marcati nelle condizioni di lavoro e soprattutto con riduzioni considerevoli dei salari. E’ fondamentale notare che la quota dei salari sul Pil, nei paesi ad alto reddito, diminuisce considerevolmente per i lavoratori a bassa e media qualifica mentre aumenta per i lavoratori con alta qualifica che, invece, mantengono ancora un elevato potere contrattuale con i datori di lavoro. Il malcontento di molti elettori italiani, la crescente propensione all’astensionismo elettorale sono la diretta conseguenza di questi problemi che molti faticano a comprendere in quanto disorientati dalle strategie propagandistiche delle forze populiste generalmente incentrate su ben altre considerazioni (invasione dei migranti, pericoli di stravolgimenti etnici, paura dell’integrazione, accuse generiche all’Unione Europea e alle proprie scelte generalmente condivise all’origine anche dal nostro Paese). Una delle soluzioni che il Rapporto Oxfam indica è il contrasto al duping sociale ed ambientale, una operazione che interessa allo stesso modo sia i lavoratori dei Paesi poveri che quelli dei Paesi con redditi elevati. Come farlo? Una soluzione potrebbe essere la riforma dell’Iva in Europa, una rimodulazione delle aliquote che penalizzi le filiere produttive che operano al di sotto di standard minimi per ostacolare la concorrenza al ribasso globale dei costi di produzione, che si traducono in un ostacolo per la competizione fra le aziende. Ma le soluzioni, tutte puntualmente indicate nel Rapporto, possono essere anche altre, il contrasto ai paradisi fiscali, la tutela dei diritti sindacali nei paesi poveri, la progressività fiscale, lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese che limiti la logica del massimo profitto a qualunque costo. E’ evidente quindi che la partita elettorale non si gioca sulla base di promesse altisonanti, ad effetto ma scarsamente efficaci quando non palesemente irrealizzabili. E’ il momento delle scelte concrete e realistiche che tengano conto delle effettive potenzialità di crescita e sviluppo, che devono necessariamente basarsi sulla riduzione delle diseguaglianze sociali ed economiche, tutelare il diritto alla salute e all’istruzione di chi vive in condizioni di disagio sociale, creare occasioni di pari opportunità per tutti. Il resto, le promesse elettorali, ricordiamolo, sono spesso soltanto promesse.
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La grande diseguaglianza della società servile.
di Marco Revelli.
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Da il manifesto, 23 gennaio 2018, ripreso da eddyburg. Ciò che stupisce non è l’enormità della situazione di sfruttamento nella quale miliardi di persone sono gettati, ma l’incapacità degli sfruttati a ribellarsi.
«Povertà globale. Il Rapporto Oxfam fotografa non solo le vette, straordinarie nel 2017, della ricchezza ma guarda il mondo anche dalle profondità globali degli abissi sociali»

L’ultimo rapporto Oxfam sullo stato sociale del pianeta è piombato come un pugno sul tavolo dei signori di Davos. Dice che l’1% della popolazione mondiale controlla una ricchezza pari a quella del restante 99%. E questo lo riportano tutti i media. Ma dice anche di più. Dice, per esempio, che tra il marzo del 2016 e il marzo 2017 quell’infinitesimo gruppo di super-privilegiati (un paio di migliaia di maschi alfa, meno di 1 su 10 sono donne) si è accaparrato l’86% della nuova ricchezza prodotta, mentre ai 3 miliardi e 700 milioni di donne, uomini e bambini che costituiscono il 50% degli abitanti della terra non è andato nemmeno un penny (alla faccia della famigerata teoria del trickle down, cioè dello “sgocciolamento” dei soldi dall’alto verso il basso). Dice anche che lo scorso anno ha visto la più grande crescita del numero dei miliardari nel mondo (all’incirca uno in più ogni due giorni). E dell’ammontare della loro ricchezza: 762 miliardi, una cifra che da sola, se redistribuita, permetterebbe di porre fine alla povertà estrema globale non una ma sette volte!

E poi dice, soprattutto, che quella mostruosa accumulazione di ricchezza poggia sul lavoro povero, svalorizzato, umiliato di miliardi di uomini e soprattutto di donne, e anche bambini. E’, biblicamente, sterco del diavolo.

Anzi, non si limita a dirlo con l’aridità delle statistiche, confronta anche le vite dei protagonisti: quella, per esempio, di Amancio Ortega (il quarto nella classifica dei più ricchi), padrone di Zara, i cui profitti sono stati pari a un miliardo e 300 milioni di dollari, e quella di Anju che in Bangladesh cuce vestiti per lui, 12 ore al giorno, per 900 dollari all’anno (quasi 1 milione e mezzo di volte in meno) e che spesso deve saltare il pasto.

È QUESTA LA FORZA del rapporto Oxfam di quest’anno: che non si limita a guardare il mondo sul suo lato “in alto” – a descriverne il luminoso polo della ricchezza -, ma di misurarlo anche “in basso”. Di rivelarci la condizione miserabile e oscura del mondo del lavoro, dove uno su tre è un working poor, un lavoratore povero, in particolar modo una lavoratrice povera. E dove in 40 milioni lavorano in “condizione di schiavitù” o di “lavoro forzato” (secondo l’ILO “i lavoratori forzati hanno prodotto alcuni dei cibi che mangiamo e gli abiti che indossiamo, e hanno pulito gli edifici in cui molti di noi vivono o lavorano”).

IL SISTEMA ECONOMICO globale, plasmato sui dogmi del neo-liberismo – l’unico dogma ideologico sopravvissuto – si conferma così come quella maga-macchina globale (descritta a suo tempo perfettamente da Luciano Gallino) che mentre accumula a un polo una concentrazione disumana di ricchezza produce al polo opposto disgregazione sociale e devastazione politica (consumo di vita e consumo di democrazia). Allungando all’estremo le società, espandendo all’infinito i privilegi dei pochi, anzi pochissimi, e depauperando gli altri, erode alla radice le condizioni stesse della democrazia. La svuota alla base, cancellando il meccanismo della cittadinanza stessa: da società “democratiche” che eravamo diventati (di una democrazia incompiuta, parziale, manchevole, ma almeno fondata su un simulacro di eguaglianza) regrediamo a società servili, dove tra Signore e Servo passa una distanza assoluta, e dove al libero rapporto di partecipazione si sostituisce quello di fedeltà e di protezione. O, al contrario, di estraneità, di rabbia e di vendetta: è, appunto, il contesto in cui la variante populista e quella astensionista si intrecciano e si potenziano a vicenda, come forme attuali della politica nell’epoca dell’asocialità.

IN REALTÀ NESSUNO dei suggerimenti che il Rapporto avanza figura nell’agenda (quella vera, non gli specchietti per le allodole) dei governi di ogni colore e continente: non la tassazione massiccia delle super-ricchezze così da ridurre il gap (anzi, le flat tax che vanno di moda stanno agli antipodi), né la riduzione degli stipendi dei “top executives”, per ridurli almeno a un rapporto di 1 a 20 rispetto al resto dei dipendenti; men che meno la promozione delle rappresentanze collettive dei lavoratori, o la riduzione del precariato. Figurano, certo, nel démi-monde della politica governante, preoccupazioni formali, dichiarazioni d’intenti o di consapevolezza, promesse e moine, puntualmente e platealmente smentite dalla pratica (Oxfam porta gli esempi della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale, che mentre denunciano i pericoli del dumping salariale o dell’evasione appoggiano evasori e tagliatori di buste paga e di teste, e naturalmente di Donald Trump, che mentre lisciava il pelo ai blue collar riempiva la propria amministrazione di multimiliardari e di uomini delle banche).

COME DIRE CHE L’IPOCRISIA è diventata la forma attuale della post-democrazia. E che con questo qualunque sinistra che voglia rifondarsi non può non fare i conti.

CoStat

costat-logo-stef-p-c_2Comunicazione del coordinatore
Cari compagni/e, amici/e,
nella riunione di ieri (24 gennaio) Fernando Codonesu ha delineato i prossimi impegni per dare sviluppo al Convegno sul lavoro dell’ottobre scorso.
Si è pensato a due iniziative, una su Lavoro e Scuola e una su Ambiente e Lavoro. (Segue)

Oggi giovedì 25 gennaio 2018

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img_4660La Cina, potenza protesa al dominio del mondo?
25 Gennaio 2018

Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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democraziaoggi-loghettoE bravo Massimino!
25 Gennaio 2018
Amsicora su Democraziaoggi.
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img_4630Corso Sucania
2° giornata: 25 gennaio 2018,
dalle ore 15 alle ore 19
LE MIGRAZIONI COME FENOMENO
ECONOMICO Interventi:
-Dott. Andrea Corsale, Università degli Studi di Cagliari “La geografia della popolazione e delle
migrazioni nel mondo attuale” -Prof.ssa Monica Iorio,
Università degli Studi di Cagliari “Immigrazione ed economia” -Prof. Roberto Cherchi,
Università degli Studi di Cagliari, “Diritti fondamentali e cittadinanza” -Prof. Enrico M. Mastinu, Università degli Studi di Cagliari,
“Immigrazione e welfare”
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lampada aladin micromicroGli editoriali di Aladinews. img_4645
img_4633di Roberta Carlini, su Rocca.
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unique-forms-of-continuity-in-space-umberto-boccioniReddito di cittadinanza, reddito minimo garantito e reddito d’inclusione. Facciamo chiarezza.
Su Il Fatto quotidiano.
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Sempre peggio

oxamsedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
Valutiamo le proposte dei partiti e dei candidati con il metro della riduzione delle diseguaglianze economiche e sociali.
In queste settimane la nostra attenzione è calamitata principalmente dalla campagna elettorale. Programmi, strategie, possibili alleanze, governabilità del Paese. Intanto un ideale meteorite ha sfiorato le nostre teste. Una notizia di una drammaticità straordinaria. Più dell’80% della ricchezza prodotta tra Marzo 2016 e marzo 2017, è finita tra le mani, o se preferite, nelle tasche dell’1% dalla parte più ricca della popolazione mondiale. Al 50% della parte più povera della popolazione mondiale, circa 3,7 miliardi di persone, non è arrivato nulla, dico nulla, della ricchezza prodotta nel mondo. Pensateci un attimo. Può questa riflessione rappresentare un criterio guida per sviluppare e orientare ciascuna delle nostre scelte di vita e dei nostri comportamenti, anche di quelli concernenti le scelte elettorali per il governo del paese? A mio parere sì. Il rapporto annuale dell’Oxfam, (Confederazione internazionale delle organizzazioni non profit), dal quale rileviamo la notizia riportata, ha documentato che le diseguaglianze economiche e sociali nel mondo si stanno ampliando, diventano sempre maggiori. L’aumento costante delle diseguaglianze economiche e sociali tra una parte minoritaria della popolazione mondiale e una massa sterminata di poveri, o meglio ciò che si ritiene di dover fare per contrastarlo, deve diventare il metro di paragone per valutare l’operato e i programmi futuri delle differenti forze politiche, per scelte ponderate e realistiche. Lo affermo pensando, per esempio, alla illogicità di alcune promesse elettorali quali l’abolizione per tutti della tassa sulla prima casa, la mancia elettorale di 500 euro elargita a tutti i giovani per affrontare spese concernenti la formazione culturale e altre proposte analoghe. Credete che vadano nella direzione di ridurre l’aumento delle diseguaglianze? Chi possiede un lussuoso attico nel centro storico di una grande città non pagherà nessuna tassa sulla propria abitazione esattamente come il salariato che, con un misero stipendio e un indebitamento pluridecennale, è riuscito ad acquistare le classiche due camere e cucina per la propria famiglia. Analoga considerazione può essere sviluppata relativamente ad altri comparti della vita sociale (prestazioni sanitarie, gratuità delle tasse scolastiche, prestazioni di servizi pubblici). Detta in questi termini la questione della crescente diseguaglianza sociale può apparire cosa semplice frutto di ragionamento esso stesso semplicistico. Proviamo allora ad andare un pochino più a fondo nella questione. La contraddizione principale della nostra esistenza è attualmente rappresentata dal fatto che viviamo in un mondo ricco e con enormi opportunità, ma nel quale si registrano livelli di povertà assoluta inaccettabili che sono la radice di gran parte delle tensioni sociali, dai conflitti regionali ai grandi movimenti migratori. Il citato rapporto dell’Oxfam indica quale causa fondamentale delle diseguaglianze «l’ottimizzazione dei costi» nei processi di delocalizzazione della produzione di beni (e servizi) che, in una logica di massimo profitto, significa corsa verso il basso sui diritti del lavoro nelle filiere e del valore dei prodotti. Un processo complesso che è favorito, e alimentato da un modello di finanza mirato esclusivamente alla ricerca del massimo valore da parte degli azionisti delle imprese, A questo aspetto fondamentale della produzione delle merci se ne aggiunge poi un’altro, quello della elusione fiscale. Cioè della tendenza prevalente a spostare i profitti lontano da dove il valore viene prodotto impedendo una sia pur minima distribuzione della ricchezza fra gli strati più deboli del sistema. Pensiamo a tanta manodopera di numerosi paesi che vivono ai limiti della sopravvivenza. Fra i numerosi esempi riportati nel Rapporto Oxfam si cita il settore tessile nel quale la corsa al ribasso e l’ottimizzazione dei costi ha prodotto situazione decisamente drammatiche. La corsa al ribasso dei costi e la ricerca di manodopera a costi sempre più bassi ha fatto si che in India, Cambogia e Indonesia un quarto dei lavoratori lavorino con stipendi al limite o al di sotto del salario minimo legale, quasi ai limiti della sopravvivenza. C’è poi un altro aspetto che ci interessa direttamente. Questi lavoratori di Paesi lontani, in un mondo sempre più globalizzato esercitano una formidabile concorrenza a basso costo nei confronti dei nostri lavoratori, dei quali diventano di fatto diretti concorrenti. Col tempo infatti i lavoratori meno specializzati dei nostri Paesi tendono ad accettare condizioni di lavoro sempre più difficili con peggioramenti marcati nelle condizioni di lavoro e soprattutto con riduzioni considerevoli dei salari. E’ fondamentale notare che la quota dei salari sul Pil, nei paesi ad alto reddito, diminuisce considerevolmente per i lavoratori a bassa e media qualifica mentre aumenta per i lavoratori con alta qualifica che, invece, mantengono ancora un elevato potere contrattuale con i datori di lavoro. Il malcontento di molti elettori italiani, la crescente propensione all’astensionismo elettorale sono la diretta conseguenza di questi problemi che molti faticano a comprendere in quanto disorientati dalle strategie propagandistiche delle forze populiste generalmente incentrate su ben altre considerazioni (invasione dei migranti, pericoli di stravolgimenti etnici, paura dell’integrazione, accuse generiche all’Unione Europea e alle proprie scelte generalmente condivise all’origine anche dal nostro Paese). Una delle soluzioni che il Rapporto Oxfam indica è il contrasto al duping sociale ed ambientale, una operazione che interessa allo stesso modo sia i lavoratori dei Paesi poveri che quelli dei Paesi con redditi elevati. Come farlo? Una soluzione potrebbe essere la riforma dell’Iva in Europa, una rimodulazione delle aliquote che penalizzi le filiere produttive che operano al di sotto di standard minimi per ostacolare la concorrenza al ribasso globale dei costi di produzione, che si traducono in un ostacolo per la competizione fra le aziende. Ma le soluzioni, tutte puntualmente indicate nel Rapporto, possono essere anche altre, il contrasto ai paradisi fiscali, la tutela dei diritti sindacali nei paesi poveri, la progressività fiscale, lo sviluppo della responsabilità sociale delle imprese che limiti la logica del massimo profitto a qualunque costo. E’ evidente quindi che la partita elettorale non si gioca sulla base di promesse altisonanti, ad effetto ma scarsamente efficaci quando non palesemente irrealizzabili. E’ il momento delle scelte concrete e realistiche che tengano conto delle effettive potenzialità di crescita e sviluppo, che devono necessariamente basarsi sulla riduzione delle diseguaglianze sociali ed economiche, tutelare il diritto alla salute e all’istruzione di chi vive in condizioni di disagio sociale, creare occasioni di pari opportunità per tutti. Il resto, le promesse elettorali, ricordiamolo, sono spesso soltanto promesse.
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L’Istituto Gramsci della Sardegna ha rinnovato il Consiglio direttivo

logo-isituto-gramsci-della-sardegnaEcco il nuovo Consiglio direttivo dell’Istituto Gramsci della Sardegna, eletto nel corso dell’assemblea del 23 gennaio (11, di cui 7 donne e 4 uomini, riportati in ordine alfabetico):
- Antonello Angioni,
- Franco Boi,
- Carmen Campus,
- Francesca Congiu,
- Virginia Marci,
- Alessandra Marchi,
- Pietro Maurandi,
- Lucetta Milani,
- Sabrina Perra,
- Lilli Pruna,
- Antonio Sassu.
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Crasi: “sas primas abbas”

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