Monthly Archives: dicembre 2017
Oggi lunedì 18 dicembre 2017
—————————————
SA NOVENA DE PASCH’E NADALE 2017, dae su 16 a su 24 de custu mese, donnia die, in sa cresia de Sant’Austinu (via Baylle). Il testo della ‘Novena de Pasch’e Nadale’ si legge nel sito della Fondazione Sardinia alla voce PUBBLICAZIONI. Puoi seguire nello stesso sito anche la novena del 2010 in video ed apprendere musica e canzoni alla voce VIDEO.
- Approfondimenti.
.
————————————————
Iniziative per il Lavoro della Comunità di San Rocco
Report in progress sul sito degli Amici della Cittadella.
—————————————————–
Reddito di dignità per fermare l’esodo dei giovani
18 Dicembre 2017
Piero Bevilacqua Il Manifesto 8.12.2017, ripreso da Democraziaoggi.
———————————————
Domani
Dossier 2017 della Caritas diocesana di Cagliari. “Carità, giovani e lavoro. Per una società di pace e bene comune”
CONFERENZA STAMPA
Presentazione Dossier 2017 Caritas diocesana
“Carità, giovani e lavoro”
20 dicembre 2017
Mercoledì 20 dicembre 2017 alle ore 10, presso la Sala conferenze della Basilica magistrale di Santa Croce, a Cagliari (ingresso via Corte d’Appello 44), sarà presentato il Dossier 2017 della Caritas diocesana di Cagliari “Carità, giovani e lavoro. Per una società di pace e bene comune”.
E’ online il manifesto sardo duecentocinquantuno
Il numero 251
Il sommario
Rimpatri (Guido Viale), Chi ha ucciso la democrazia? (Fabio Tidili), Il vangelo secondo Mariani (Graziano Pintori), Turchia e dintorni. Ritratto degli eredi politici di Atatürk (Emanuela Locci), Effetto Catalogna, info-Stati e neoliberismo (Gianfranco Sabattini), Alghero, Calabona: scempi ambientali dovuti a interessi economici (Stefano Deliperi), L’antifascismo nel Sulcis Iglesiente (Red), c’entrano le celebrazioni del Grande Oriente d’Italia con l’Università? (Antonietta Mazzette).
TRUMP togliere ai poveri per dare ai ricchi
Premia e unisci i più ricchi, divide et impera sui più poveri. In pochi giorni, la presidenza Trump ha mostrato nel modo più plastico e chiaro possibile il suo contenuto. Con l’approvazione della riforma fiscale al Senato americano – adesso manca il passaggio al Congresso, ma appare scontato – e la denuncia dei trattati internazionali in materia di immigrazione, il tycoon-presidente ha cancellato l’impatto sull’opinione pubblica del grande scandalo del Russiagate. Questo andrà avanti e potrà ancora morderlo, ma intanto Trump incassa il consenso su due nodi di fondo del suo mandato. La mossa sugli immigrati è solo di immagine: non cambierà molto, per ora, ma fa credere all’elettorato americano, soprattutto quello impoverito e incattivito, che la presidenza vigila e protegge contro l’invasione di altri poveri che potrebbero concorrere su lavori e salari sempre più bassi. Il piano fiscale invece è la vera sostanza. E, come ci si poteva aspettare, va in direzione opposta a quella della protezione del ceto medio, quello che doveva tornare a far grande l’America. È il più grande taglio alle tasse della storia statunitense, e andrà tutto a beneficio di chi ha di più. Quel club di finanzieri, proprie- tari d’industria, affaristi che magari all’ini- zio non aveva puntato compattamente sul cavallo Trump, ma che ora si trova a in- cassare il premio di una scommessa an- che senza aver giocato.
da Ronald a Donald
L’entità del pacchetto fiscale di Donald Trump è impressionante: 1400 miliardi di dollari in dieci anni. La sua filosofia rical- ca quasi alla lettera quella di Ronald Rea- gan degli anni Ottanta: la riduzione delle tasse, diceva la Reaganomics, serve ad «af- famare la bestia» dello Stato, liberare in- dividui e imprese dalle sue grinfie, e l’eco- nomia così sarà libera di esprimere tutto il suo potenziale. Ne deriverà una crescita che finirà per «coprire» i buchi nel bilancio aperti dallo stesso taglio alle tasse. Quando i conservatori attuali dicono che almeno un terzo della misura si ripagherà da sé attraverso la maggiore crescita economica, sposano la stessa filosofia. Con Reagan, non funzionò. Il deficit pubblico americano salì e restò alto, dando poi l’avvio ad altre instabilità e altri pericoli. Ma soprattutto, oltre agli effetti sulle casse pubbliche, il dibattito sulla crescita che segue a un taglio delle tasse è importante perché è solo per questo tramite che sarebbe beneficiata la gente comune, quella che non ha in mano società e patrimoni e che dunque potrebbe essere premiata dalla misura di Trump solo se questa davvero portasse più posti di lavoro, e migliori, cioè pagati meglio.
Come potrebbe accadere questo? Come potrebbe, negli Stati Uniti usciti dalla crisi con una ripresa dell’occupazione ma con impoverimento della popolazione e aumento delle diseguaglianze sociali, funzionare quel meccanismo del «trickle down» (effetto sgocciolamento) che non funzionò all’epoca di Reagan? I due assi portanti del pacchetto fiscale sono la riduzione dell’aliquota sui profitti delle società, da 35 al 20%, e il condono per chi riporta in patria i capitali dall’estero. Liberando i capitali dalle tasse, oppure riportandoli indietro, si avrà una ripresa degli investimenti negli Stati Uniti, e per questo tramite di posti di lavoro: questa la tesi dei fautori della riforma. Alla quale però si controbatte che il problema principale dell’economia oggi non è la carenza di capitali: anzi, ha scritto sul New York Times Kimberley Clausing, economista del Reed College, «viviamo già in un mondo inondato di capitali». Il basso costo del denaro ha reso possibile questa «inondazione», ma non ha spinto le società a investire abbastanza. Allo stesso tempo, i profitti negli Stati Uniti sono tornati a un livello molto alto, vicino a quello della bolla pre-crisi. Dunque: il denaro costa poco e i profitti sono alti, questo dovrebbe creare già di per sé un clima favorevole agli investimenti. Ma, aggiunge Clausing, «perché le società facciano investimenti, serve una classe media benestante». Cioè gente che presumibilmente comprerà i loro prodotti.
chi paga per Trump
Qui la questione distributiva si intreccia inevitabilmente – com’è stato dall’inizio della crisi – con quella della stabilità e della crescita del sistema economico. E non sarà mitigata, né tantomeno risolta, dal piano fiscale, dato che – secondo i calcoli del Joint Committee on Taxation del Congressional Budget Office – a regime, nel 2027, chi guadagna tra i 40 e i 50.000 dollari l’anno avrà ottenuto un aggravio fiscale complessivo di 5,4 miliardi di dollari, mentre coloro che guadagnano più di 1 milione di dollari l’anno avranno un taglio di 5,8 miliardi. La classe medio-bassa sarà penalizzata anche da altre misure contenute nel pacchetto: la controfirma sanitaria, che toglierà la copertura assicurativa sulla salute a 13 milioni di persone; e il blocco delle tasse locali, che vorrà dire l’interruzione di programmi di welfare in Stati che hanno una sicurezza sociale maggiore (sono quasi tutti governati dai democratici, tra l’altro). A queste valutazioni va aggiunta anche quella più generale: chi pagherà per l’enorme aumento del debito pubblico? Per finanziarlo, in futuro si dovrà ricorrere a nuove tasse – dunque si sta spostando il peso da una generazione a un’altra – oppure all’aumento degli interessi sul debito: e in questo caso l’effetto positivo della riduzione fiscale sulle imprese sarà controbilanciato dal peso del costo del denaro.
un consenso miope
Dunque è discutibile, e molto discussa, la tesi per cui la riduzione delle imposte sulle società fa bene a tutti e non solo ai portafogli dei loro azionisti. Per incentivare gli investimenti, si potevano introdurre sgravi fiscali a questo mirati, non premiare i profitti che già si sono prodotti. Non c’è dubbio che, per chi ha in tasca azioni delle società, quello di Trump sia un bel regalo: ma anche i megamiliardari a un certo punto cominceranno a chiedersi se questa nuova era dell’economia, oltre a dar loro grandi premi nel breve periodo, potrà portare a possibilità di nuovi affari nel futuro: mentre la classe media è sempre più impoverita, la società polarizzata, e le infrastrutture pubbliche – quelle che servono anche a fare utili, dalle comunicazioni alla formazione all’istruzione – in condizioni pietose. Il consenso per Trump dei suoi pari, cioè della fascia più ricca della popolazione, rischia di essere molto miope. Ma che dire del consenso di chi è molto lontano nella scala sociale, e che pure, a stare ad alcune analisi del voto, ci aveva creduto? Qui subentra la seconda parte della strategia di Trump, quella dei messaggi d’odio e chiusura nei confronti dei più poveri tra i poveri, dei più marginali tra i marginali: gli immigrati, i loro figli, i nuovi entranti. Anche in questo caso, il «pensiero» economico che sta dietro alla strategia dei muri e dei respingimenti guarda solo a un pezzo del fenomeno; ignora il contributo che gli immigrati hanno da sempre dato a quel Paese, sin dalla sua costituzione, e anche in tempi recenti, con interi pezzi di economia che si reggono grazie alle braccia e alle menti venute da fuori, e anche grazie alla domanda aggiuntiva che questi portano. Ma anche in questo caso, uno sguardo più lungo, e un discorso appena più complesso, è per ora travolto dalla brutale semplicità delle promesse di Trump e della nuova destra autoritaria. I cui effetti redistributivi – togliere ai poveri per dare ai ricchi – si stanno però mostrando con altrettanta chiarezza. E forse potranno portare a una contro-reazione, al di là e al di qua dell’Atlantico.
Roberta Carlini su Rocca
————————————–
Le 10 regole del controllo sociale di Noam Chomsky
SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » DEMOCRAZIA
AG Altro Giornale.org, 10 dicembre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. Noam Chomsky, grande intellettuale statunitense, ha elaborato una lista delle 10 regole del controllo sociale, ovvero, strategie utilizzate per la manipolazione del pubblico attraverso i mass media.
[segue]
Oggi domenica 17 dicembre 2017
—————————————
SA NOVENA DE PASCH’E NADALE 2017, dae su 16 a su 24 de custu mese, donnia die, in sa cresia de Sant’Austinu (via Baylle). Il testo della ‘Novena de Pasch’e Nadale’ si legge nel sito della Fondazione Sardinia alla voce PUBBLICAZIONI. Puoi seguire nello stesso sito anche la novena del 2010 in video ed apprendere musica e canzoni alla voce VIDEO.
- Approfondimenti.
.
.
——————————
La storia non si cancella. Francesco Casula su Aladinews. Le 4 “Infamie” di Vittorio Emanuele III, di Francesco Casula su Aladinews.
La salma di Vittorio Emanuele III tornerà in Italia, Con il beneplacito di Mattarella. Una vergogna. Ma è stato “il padre della patria”. No, è stato il padre di 4 ciclopiche infamie. Che niente e nessuno potrà cancellare né dimenticare.
1. Vittorio Emanuele III e la Prima Guerra mondiale
La decisione di entrare in guerra fu presa esclusivamente dal sovrano, in collaborazione con il primo ministro Salandra, desideroso com’era di completare la cosiddetta “unità nazionale” con la conquista di Trento e Trieste, ancora in mano austriaca. Il conflitto fu, come noto, tremendo per le forze armate italiane, che andarono incontro ad una spaventosa carneficina, tra il fango, la neve delle trincee e tra indicibili stragi e sofferenze. [su Aladinews]
————————
Storia sarda
Toiedda Meloni, la rivoluzionaria di Ittiri
17 Dicembre 2017
Su Democraziaoggi.
———————
La storia non si cancella
Le 4 “Infamie” di Vittorio Emanuele III
di Francesco Casula
La salma di Vittorio Emanuele III tornerà in Italia, Con il beneplacito di Mattarella. Una vergogna. Ma è stato “il padre della patria”. No, è stato il padre di 4 ciclopiche infamie. Che niente e nessuno potrà cancellare né dimenticare.
1. Vittorio Emanuele III e la Prima Guerra mondiale
La decisione di entrare in guerra fu presa esclusivamente dal sovrano, in collaborazione con il primo ministro Salandra, desideroso com’era di completare la cosiddetta “unità nazionale” con la conquista di Trento e Trieste, ancora in mano austriaca. Il conflitto fu, come noto, tremendo per le forze armate italiane, che andarono incontro ad una spaventosa carneficina, tra il fango, la neve delle trincee e tra indicibili stragi e sofferenze.
Fu lo stesso Papa Benedetto XV a definire quella guerra una inutile strage. Ma in una enciclica del 1914 Ad Beatissimi Apostolorum Principis lo stesso papa era stato ancora più duro definendola una gigantesca carneficina.
Sarà il sardo Emilio Lussu, in una suggestiva testimonianza storica e letteraria come Un anno sull’altopiano a descrivere gli orrori di quella guerra. Egli infatti al fronte sperimenterà sulla propria pelle l’assurdità e l’insensatezza della guerra: con la protervia e la stupidità dei generali che mandano al macello sicuro i soldati; con i miliardi di pidocchi, la polvere e il fumo, i tascapani sventrati, i fucili spezzati, i reticolati rotti, i sacrifici inutili.
Una guerra che comportò oltre a immani risorse (e sprechi) economici e finanziari, lutti, con decine di migliaia di morti, feriti, mutilati e dispersi. A pagare i costi maggiori fu la Sardegna: “Pro difender sa patria italiana/distrutta s’est sa Sardigna intrea”, cantavano i mulattieri salendo i difficili sentieri verso le trincee, ha scritto Camillo Bellieni, ufficiale della Brigata” (Brigaglia, Mastino, Ortu, Storia della Sardegna, Editori Laterza, 2002, pagina 9).
Infatti alla fine del conflitto la Sardegna avrebbe contato bel 13.602 morti (più i dispersi nelle giornate di Caporetto, mai tornati nelle loro case). Una media di 138,6 caduti ogni mille chiamati alle armi, contro una media “nazionale” di 104,9.
E a “crepare” saranno migliaia di pastori, contadini, braccianti chiamati alle armi: i figli dei borghesi, proprio quelli che la guerra la propagandavano come “gesto esemplare” alla D’Annunzio o, cinicamente, come “igiene del mondo” alla futurista, alla guerra non ci sono andati.
In cambio delle migliaia di morti ci sarà il retoricume delle medaglie, dei ciondoli, delle patacche. Ma la gloria delle trincee – sosterrà lo storico sardo Carta-Raspi – non sfamava la Sardegna.
2. Vittorio Emanuele III, il Fascismo e le leggi razziali
Una delle massime responsabilità storiche di Vittorio Emanuele III fu l’aver favorito l’avvento e l’affermarsi del Fascismo. In seguito alla cosiddetta Marcia su Roma infatti, incaricò Benito Mussolini di formare il nuovo governo. Avrebbe potuto far intervenire l’esercito per combattere e disperdere gli “insorti”, invece, mentre le forze armate si preparavano a fronteggiare “le camicie nere”, Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto di stato d’assedio, di fatto aprendo la strada al fascismo e alle leggi razziali.
Poco interessa oggi sapere se lo abbia fatto per viltà, opportunismo e calcolo politico: fu comunque il re a nominare Mussolini capo del Governo, dando il via alla tragedia ventennale di quel regime la cui maggiore infamia furono le leggi razziali del 1938. Esse saranno firmate da un sovrano che accettava l’antisemitismo e la furia xenofoba dell’alleato tedesco, fiero di un Mussolini che l’aveva fatto re d’Albania ed imperatore d’Etiopia!
3. Vittorio Emanuele e la seconda guerra mondiale
La seconda guerra mondiale rappresenterà l’evento più drammatico che mai si sia verificato nella storia dell’umanità. Ma c’entra il re con la seconda guerra mondiale? Certo che sì: ecco come icasticamente si esprime nella bella Commedia s’Istranzu avventuradu, Bastià Pirisi: su Re nostru hat dadu manu libera ai cuddu ciacciarone de teracazzu de s’anticristu fuidu dae s’inferru… Sincapat qui sa corona de imperadore l’hat frazigadu su car¬veddu
Lo storico Franco della Peruta facendo una analisi complessiva scriverà: ”Il bilancio del conflitto appariva sconvolgente perché la guerra, l’ecatombe più micidiale degli annali del genere umano, tre volte superiore a quella della grande guerra, aveva fatto 50 milioni di vittime fra militari e civili…Alle perdite umane si sommarono quelle materiali”. (Franco Della Paruta, Storia del Novecento, Le Monnier, Firenze, 1991, pagine 249-250).
Anche la Sardegna pagò un grande tributo. Subirà infatti “numerosi bombardamenti dapprima di lieve entità, ma poi, dopo lo sbarco americano nell’Africa settentrionale, frequentissimi e massicci. Furono danneggiati circa 25 comuni, fra cui Alghero, Carloforte, Carbonia, La Maddalena, Sant’Antioco, Palmas Suergiu, Setzu, Olbia, Oristano, Milis e, più gravemente degli altri, Gonnosfanadiga, dove si ebbero 114 morti e 135 feriti. Presa di mira fu soprattutto Cagliari. Le tristi giornate del 17, 26, 28 febbraio 1943 e quella del 13 maggio (per citare le più terribili) non saranno mai dimenticate dai Cagliaritani, che hanno visto la furia devastatrice venire dal cielo e distruggere la loro città, sventrando interi rioni, sconvolgendo le vie, lasciandosi dietro una scia di cadaveri e di feriti nelle strade e nelle macerie. Migliaia di morti (che alcuni fanno ascendere a 7.000 e il 75% dei fabbricati distrutti o resi inabitabili, furono il tragico bilancio di quei giorni”. (Natale Sanna, Il cammino dei Sardi, volume terzo, Editrice Sardegna, Cagliari, 1986, pagine 487-488).
4. Vittorio Emanuele III e la fuga a Brindisi.
Persa la guerra e convinto ormai che il disastroso esito del conflitto potesse segnare non solo la fine del regime fascista ma anche quello della monarchia, Vittorio Emanuele arresta Mussolini (25 luglio 1943) e nomina nuovo capo del Governo il maresciallo Badoglio. Il giorno dopo l’Armistizio, il 9 settembre, insieme a Badoglio stesso abbandona Roma e fugge prima a Pescara e poi a Brindisi, nella zona occupata dagli alleati. L’ignominiosa fuga avrà conseguenze devastanti. E la Sardegna pagherà un altissimo tributo a questa fuga: 12.000 mila i soldati sardi IMI (fra i 750-800 mila militari italiani fatti prigionieri dai tedeschi dopo l’armistizio) verranno rinchiusi nei lager nazisti. E molti, lì moriranno.
Ucsi. Andrea Pala nuovo presidente regionale
COMUNICATO STAMPA
Assemblea regionale elettiva di Ucsi Sardegna
Unione cattolica della stampa italiana
Andrea Pala è stato eletto presidente regionale dell’Ucsi Sardegna. L’assemblea dei soci, convocata sabato 16 dicembre nella sala stampa del Seminario regionale, lo ha eletto nuovo responsabile dell’associazione e subentra a Mario Girau. Pala, 37 anni, è giornalista delle testate della diocesi di Cagliari, Radio Kalaritana e il settimanale Il Portico.
- segue -
SA NOVENA DE PASCH’E NADALE 2017
SA NOVENA DE PASCH’E NADALE 2017, dae su 16 a su 24 de custu mese, donnia die, in sa cresia de Sant’Austinu (via Baylle). Il testo della ‘Novena de Pasch’e Nadale’ si legge nel sito della Fondazione Sardinia alla voce PUBBLICAZIONI. Puoi seguire nello stesso sito anche la novena del 2010 in video ed apprendere musica e canzoni alla voce VIDEO.
——————————
Con l’avvicinarsi del Natale, fervono i preparativi per la tradizionale novena, che avrà inizio oggi, sabato 16 dicembre e si protrarrà ogni sera fino al 24 dicembre, vigilia di Natale.
Seguendo una tradizione ormai decennale, anche quest’anno in diverse parrocchie dell’isola, la novena verrà celebrata in lingua sarda, secondo il rito gregoriano. Si tratta di un’iniziativa inaugurata ormai da diversi anni nella chiesa di S. Eulalia, con grande partecipazione, e successivamente ripresa in altri centri.
- La novità di quest’anno è costituita dal fatto che la novena, a Cagliari, sarà celebrata nella Chiesa Sant’Agostino, in via Baylle, a partire dalle ore 18.00, e sarà officiata da mons. Gianfranco Zuncheddu.
————–
Sul sito della Fondazione Sardinia.
Oggi sabato 16 dicembre 2017
————————-
Accattonaggio, un’emergenza inventata da chi non sa dare risposte
16 Dicembre 2017
Sara Porru su Democraziaoggi.
——————————————————————————–
Sabato 16 dicembre
————————-E’ in libreria————————-
I movimenti degli anni Settanta fra Sardegna e Continente. Ricordando Riccardo Lai
Autore/i Federico Francioni, Loredana Rosenkranz
Anno di edizione 2017
ISBN 978-88-7356-930-5
Collana Convegni & Incontri
Pagine - (illustrato)
Supporto e-book Prezzo € 4,99 – Novità
I movimenti degli anni Settanta fra Sardegna e Continente
Attraverso richiami alle vite vissute, alle amicizie, agli affetti, alle relazioni che si confrontavano in anni intensi e tumultuosi, le parole di chi interviene si offrono allo sguardo presente con sincera ricerca della verità e a volte con dolente scetticismo. Nei contributi di questo volume non emerge un nostalgico ripiegamento sul passato, tanto meno l´assurda convinzione di aver capito tutto; si fa spazio, al contrario, l´esigenza critica di cogliere quanto è ancora vivo di quel decennio e vale la pena di raccontare.
Alzare lo sguardo. Poi, sorvolare o guardare a terra?
di Alberto MAGNAGHI, da “Dialoghi Mediterranei”, n. 28, 2017
Gli interessi della politica e della finanza globale sono sempre più stellarmente lontani dai mondi e dai luoghi di vita, soprattutto da quando come scriveva André Gorz nel 1981: “ogni politica […] è falsa se non riconosce che non può esserci più la piena occupazione per tutti e che il lavoro dipendente non può più restare il centro dell’esistenza, anzi non può più restare la principale attività di ogni individuo”.
Nello sgomento crescente di questa distanza fra economia, politica e benessere, si verifica una tacita intesa nelle comunicazioni, sia superficiali che profonde tra le persone, quando i corpi sono vicini (prossimi per Gorz, di contatto per Choay, conviviali per Illich): allontanare sullo sfondo ciò il cui senso ormai sfugge (i flussi globali della finanza, del lavoro eterodiretto, della guerra) e parlare lingue e saperi locali per curare e rafforzare attività autonome e reti solidali. Parafrasando ancora Gorz (Les chemins du paradis, Galilée, 1983): ridurre, contrarre, allontanare le attività lavorative necessarie (lavorare meno, lavorare tutti, esito opposto alla disoccupazione di massa da automazione), espandere, ampliare, sviluppare le attività autonome, sottratte alla schiavitù del lavoro eteronomo; con il mio linguaggio: liberare il “tempo proprio” contro il “tempo nemico” (Un’idea di libertà, DeriveApprodi, 2014), facendo crescere soggettività per la “società del tempo liberato”.
Non avviene ovviamente dappertutto. Le macerie di cui parla Aldo Bonomi e i luoghi urbani, dolorosamente non più riconosciuti da Marco Revelli, hanno invaso le vite di una moltitudine di persone.
Ci sono tuttavia luoghi più intensi dove, per particolari eventi catastrofici o per peculiari processi di crescita di “coscienza di luogo” (i due percorsi sono sovente intrecciati), il distacco dal mondo dei flussi globali è più radicale e si manifesta in un formidabile brulichio di società locale, la “coralità produttiva” di cui parla Giacomo Becattini nel suo ultimo libro La coscienza dei luoghi (Donzelli, 2015), che si da in forme famigliari, cooperative, comunitarie o associative, autorganizzate alla scala locale, sovente emergenti dal “sommerso carsico” rievocato da Bonomi. Naturalmente in ogni luogo ci sono sia flussi globali che macerie e nuove tessiture comunitarie. Bisogna saper guardare, riconoscere, denotare e forse, con nuove forme delle politica, aiutare a crescere queste tessiture, a far rete.
Ma dove guardare?
I luoghi privilegiati dello sguardo sono laddove, oltre ad “andare in basso”, ci si è spostati “a lato”, nelle aree “interne” e “marginali”: le montagne, le colline, le valli, le campagne profonde e i Sud. Dove si sente di più la desertificazione prodotta dal movimento di “deportazione”, centralizzazione e concentrazione metropolitana: per sottrazione di ferrovie minori, di banche e università del territorio, di piccoli esercizi commerciali, di cooperative autentiche, di piccoli presidi ospedalieri, di tribunali, di piccoli comuni, di piccole e medie imprese, di istituti di ricerca e così via, in una inesauribile corsa verso il centro, il grande, l’accorpato, il lontano, l’inarrivabile. Ma proprio verso questi “deserti” marginali e periferici è iniziato il controesodo.
La crescita di “coscienza di luogo” è partita dall’affinare lo sguardo nel deserto e nelle macerie, dal riguardare a terra, alla terra, magari a cultivar desuete, reinterpretate; lo sguardo a terra è contagioso, i patrimoni (ambientali, paesaggistici, agroforestali, culturali, artigianali, artistici) come “molle caricate nei secoli” (Becattini, 2015) si moltiplicano, se solo ci si guarda intorno: dalle nuove coltivazioni multifunzionali, ai metabolismi energetici urbani e rurali, alle arti e i saperi contestuali della pietra, del legno, del ferro, alle reti solidali di produzione e consumo, alla cura dei borghi, dei paesi, delle piccole città e delle loro reti, all’ospitalità diffusa, alla cura dell’ambiente e del paesaggio come beni comuni territoriali.
Attraversando questi cantieri comunitari di società locali si ha la sensazione che l’ansia collettiva che le percorre sia quella di rafforzarne l’autonomia, l’autodeterminazione, l’autogoverno: ovvero allontanare, per non esserne soffocati, i poteri esogeni, le centrali di decisione dei partiti, della finanza, della guerra, attraverso la costruzione di mondi locali di produzione e di consumo in grado di riprodurre la vita nelle forme scelte da ogni comunità e ricostruire da qui le relazioni con il mondo. Questi cantieri sono stati avviati da montanari per scelta, da giovani neocontadini e allevatori, da neoartigiani: un popolo colto, connesso in rete, cosmopolita, attrezzato con tecnologie appropriate, un occhio a terra e uno al cielo; soggetti per cui l’emancipazione concreta oscilla a spirale fra la coppia erranza/attraversamento e neoradicamento/comunità; ai quali dunque è connaturato proiettarsi in un mondo di comunità solidali federate, piantate a terra su economie sociali, solidali, fondamentali, circolari, ecologiche.
Per me, “continuare a cercare” significa dunque ragionare e agire in forme di ricerca-azione, di conricerca con queste “comunità di luogo” in costruzione, da cui può avvenire una rinascita della politica, quel “non ancora” della comunità concreta di Olivetti di cui abbiamo discusso con Aldo Bonomi e Marco Revelli ne Il vento di Adriano (DeriveApprodi, 2015).
Ma a che punto sono in Italia queste esperienze comunitarie di autonomia e autogoverno?
Su questo Osservatorio delle buone pratiche della Società dei territorialisti/e sta organizzando le proprie energie (insieme ad altri centri di ricerca-azione) per denotare, comunicare e relazionare esperienze territoriali, disegnando una controgeografia che indichi la strada ai viandanti ricostruttori di luoghi dove valga la pena vivere.
Si parla di lavoro alla Comunità di San Rocco
———————————————
Interessante incontro-dibattito nella Comunità di San Rocco sulla tematica del Lavoro. Dopo la breve relazione introduttiva di Franco Meloni che ha dato conto delle conclusioni della Settimana dei cattolici tenutasi a Cagliari dal 26 al 29 ottobre u.s. e del Convegno promosso dal Comitato d’Iniziativa costituzionale e statutaria, tenutosi nei giorni 4 e 5 ottobre, ambedue le iniziative sullo stesso tema, sono intervenuti nell’ordine: Gianni Loy, Mario Girau, Francesco Piras, Angelo Corda, Rosanna Figus, Concetta Laddomada, Tito Aresu, Stefano Farris, Gianni Pisanu, Giovanna Puddu. Ha concluso Tito Aresu. Di tutti gli interventi daremo conto nei prossimi giorni.
(Comunità di San Rocco News)
SA NOVENA DE PASCH’E NADALE 2017
SA NOVENA DE PASCH’E NADALE 2017, dae su 16 a su 24 de custu mese, donnia die, in sa cresia de Sant’Austinu (via Baylle). Il testo della ‘Novena de Pasch’e Nadale’ si legge nel sito della Fondazione Sardinia alla voce PUBBLICAZIONI. Puoi seguire nello stesso sito anche la novena del 2010 in video ed apprendere musica e canzoni alla voce VIDEO.
——————————
Con l’avvicinarsi del Natale, fervono i preparativi per la tradizionale novena, che avrà inizio il 16 dicembre e si protrarrà ogni sera fino al 24 dicembre, vigilia di Natale.
Seguendo una tradizione ormai decennale, anche quest’anno in diverse parrocchie dell’isola, la novena verrà celebrata in lingua sarda, secondo il rito gregoriano. Si tratta di un’iniziativa inaugurata ormai da diversi anni nella chiesa di S. Eulalia, con grande partecipazione, e successivamente ripresa in altri centri.
La novità di quest’anno è costituita dal fatto che la novena, a Cagliari, sarà celebrata nella Chiesa Sant’Agostino, in via Baylle, a partire dalle ore 18.00, e sarà officiata da mons. Gianfranco Zuncheddu.
————–
Sul sito della Fondazione Sardinia.