Monthly Archives: novembre 2017

Appello ai Presidenti: un’azione congiunta straordinaria per una vera riforma della legge elettorale sarda!

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Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria – Cagliari

Lettera aperta ai Presidenti Ganau e Pigliaru per una nuova legge elettorale

Onorevoli Presidenti Gianfranco Ganau e Francesco Pigliaru,
 la doppia preferenza è legge. La parità uomo/donna è sempre e in ogni campo una conquista civile che invera il principio di uguaglianza enunciato nell’art. 3 della nostra Costituzxione. Tuttavia, la doppia preferenza di genere s’inserisce in un corpo legislativo che viola gravemente e manifestamente quel principio, con l’iper premio di maggioranza e i due iper sbarramenti. Con la conseguenza che, nelle scorse elezioni anche chi ha riportato 75 mila voti non ha avuto diritto di tribuna nella nostra Assemblea regionale. Il risvolto di questa disciplina che stravolge la rappresentanza è l’altissimo astensionismo: la metà degli elettori sardi non si reca alle urne, in parte per l’usuale astensionismo, in altra parte perché non vota chi ritiene di non poter eleggere una persona che rappresenti le sue idee politiche.
 Vi chiediamo allora di trarre spunto dal voto sulla doppia preferenza per assumere un’iniziativa congiunta straordinaria che porti ad una riforma vera della legge elettorale in vista della prossma scadenza del 2019. Con una spinta forte delle due massime cariche regionali, che voi ricoprite, ogni resistenza può essere travolta. I punti da assumere a riferimento sono la sovranità popolare, la rappresentanza e l’equilibrio territoriale per fare una nuova legge elettorale, in sintonia con la Costituzione e lo Statuto.

Oggi mercoledì 22 novembre 2017

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democraziaoggi loghettoIl populismo serve alla social-democrazia?

Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi
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CITTÀ E TERRITORIO » SOS » BENI CULTURALI
La storia sepolta dagli affettati
di SALVATORE SETTIS
il Fatto Quotidiano, 21 novembre 2017, dipeso da EDDYBURG e da ALADINEWS. «”Cosa possiamo fare se un luogo che amiamo non sa più prendersi cura di sé?” Cosa dovremmo fare, se questo luogo si chiama Italia?». (p.d.)
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Bene la doppia preferenza per il rispetto della parità di genere, ma è necessario democratizzare l’intera legge elettorale regionale

Passata in Consiglio regionale a voto segreto e con la quasi unanimità dei votanti (solo due contrari e un astenuto) la norma che introduce la doppia preferenza nella vigente legge elettorale regionale sarda.
Un lavoro istituzionale interno delle poche elette e più ancora un’iniziativa esterna di opinione, condotta da molte donne, ben fatti – bisogna riconoscerlo – per un principio condivisibile.
Ma se nel prosieguo non sarà democratizzata l’intera legge elettorale regionale, la rappresentanza resterà oligarchica, il numero delle donne elette non è scontato che cresca secondo le aspettative e sconteremo piuttosto la delusione delle promotrici, delle elettrici e più in generale di un elettorato che non tornerà certo al voto grazie a questa sola modifica (Tonino Dessì su fb).
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Il Consiglio regionale ha approvato l’emendamento che introduce la doppia preferenza nella legge elettorale sarda. Pur nel giudizio positivo sul voto, dando atto di un lavoro istituzionale interno delle poche elette e più ancora un’iniziativa esterna di opinione, condotta da molte donne, ben fatti per un principio condivisibile, non possiamo sottacere che con l’attuale legge le donne che entrerebbero in Consiglio lo farebbero in forza di una disciplina gravemente lesiva del principio dell’uguaglianza del voto e della rappresentatività.
Auspichiamo, pertanto, che, partendo dall’emendamento di oggi, si vada speditamente ad una riforma integrale della legge elettorale sarda in vista della scadenza del 2019.
Al riguardo ribadiamo che se nel prosieguo non sarà democratizzata l’intera legge elettorale regionale, la rappresentanza resterà oligarchica, il numero delle donne elette non è scontato che cresca secondo le aspettative e sconteremo piuttosto la delusione delle promotrici, delle elettrici e più in generale di un elettorato che non tornerà certo al voto grazie a questa sola modifica
Pigliaru ha una specifica responsabilità in questa partita perché può orientare la maggioranza ad assumere una iniziativa legislativa in questa delicata materia. Tanto più che uno stimolo viene dalla nuova legge siciliana, che unisce al proporzionale un lieve premio di maggioranza e l’elezione diretta del Presidente. E’ un testo che presenta alcune criticità, ma è molto più equilibrato di quello vigente da noi, perché non ha iperpremi di maggioranza e rappresenta meglio la volontà del corpo elettorale. Continueremo la battaglia per una legge elettorale giusta.
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democraziaoggi loghettoPassa la doppia preferenza in una legge che rimane truffaldina
21 Novembre 2017

Red su Democraziaoggi.
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Contro l’attuale indecente legge elettorale regionale! Proponiamone una nuova che garantisca piena rappresentatività delle elettrici e degli elettori della nostra isola. Con qualche miglioramento la legge siciliana può costituire una base utile per la Sardegna

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di Andrea Pubusa*
E’ in discussione in Consiglio regionale sardo la proposta della doppia preferenza di genere. Pur ritenendo assolutamente necessario dare rappresentanza adeguata alle donne nell’Assemblea sarda, non esito a dire che concorrere ad una truffa non è una conquista democratica. Lo è inserire meccanismi volti ad assicurare la parità uomo/donna nel contesto di una legge, che assicuri, in generale, la piena rappresentatività degli elettori e delle elettrici della nostra isola. L’attuale legge, pur con l’approvazione dell’emendamento in discussione, contiene un grave vulnus al principio democratico e di rappresentatività con l’iperpremio di maggioranza e l’alta soglia di sbarramento. Lo comprova l’attuale composizione del Consiglio, che non ha consentito neanche il “diritto di tribuna” a liste che hanno raccolto oltre 40mila (Pili) e 70mila (Murgia) voti. 
Occorre una costat-logo-stef-p-c_2riflessione e un impegno a tutto tondo per fare una nuova legge elettorale, in sintonia con la Costituzione e lo Statuto. E’ quanto sta facendo il Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria (già Comitato per il NO), che mercoledì scorso ha illustrato al Presidente del Consiglio Ganau le linee guida per una vera logo-siciliariforma elettorale.
 In proposito alcuni spunti vengono dalle recenti elezioni siciliane, svoltesi con una nuova legge elettorale
. Quali le novità? Dei 70 parlamentari regionali, 62 sono stati eletti con il sistema proporzionale, mentre nel cosiddetto “listino del presidente” sono sette gli eletti, presidente compreso. L’ultimo seggio viene assegnato di diritto al candidato presidente secondo classificato. C’è, dunque, un premio di maggioranza, pari a circa l’8%, senza però iperpremi come in Sardegna, dove Pigliaru col 40% dei voti ha il 60% dei seggi. L’attribuzione dei seggi – come detto – avviene su base provinciale con il metodo proporzionale e l’attribuzione dei più alti resti (con recupero sempre a livello provinciale) alle liste che abbiano superato lo sbarramento del 5% a livello regionale. E qui vengono le dolenti note perché le circoscrizioni sono molto disomogenee: si passa da Palermo, che ha eletto 16 deputati, a Enna con 2 seggi.
 Questa, in sintesi, la nuova disciplina elettorale siciliana. L’elemento che colpisce è che il sistema siciliano è proporzionale con scelta diretta del presidente da parte degli elettori. In Sardegna molti proporzionalisti ritengono le due cose incompatibili e sbagliano. Sono compatibili, il problema è la c.d. governabilità perché il presidente eletto deve poi trovare in consiglio la sua maggioranza, ma c’è un temperamento costituito dallo sciolgimento dell’Assemblea in caso di impossibilità di formare una maggioranza. 
Vediamo i punti a prima vista discutibili.
 Anzitutto lo sbarramento del 5% su base regionale per partito/coalizione con sistema proporzionale per l’elezione dei consiglieri su base provinciale. Il 5% è troppo alto? Può bastare il 3%? O soltanto l’avere un quoziente pieno almeno in un collegio? Secondariamente, è molto penalizzante l’elezione dei consiglieri su base provinciale. La lista Fava (100 passi), ad esempio, ha avuto un solo seggio con circa 100 mila voti, mentre il PD ne ha avuto 11 con circa 250 mila voti. C’è sproporzione, il principio di rappresentatività è palesemente violato. In un sistema correttamente rappresentativo Fava avrebbe dovuto avere almeno 3 seggi, se non 4. Quali i rimedi? Raccogliere i resti su base regionale? O disegnare circoscrizioni provinciali più omogenee per popolazione e seggi?
 Infine, non c’è premio ufficiale, ma ce n’è uno camuffato. Il listino del presidente, molto ampio (7 consiglieri). Con maggioranza a 36 (50%+1) la quota del listino rappresenta circa 1/5 della maggioranza teorica, l’8% circa. E’ troppo alta? Va ridotta? O completamente abolita?
 Insomma, la nuova legge siciliana è più equilibrata di quella truffaldina vigente in Sardegna (che rimarrà tale anche con più donne), ma presenta alcune criticità, soprattutto in relazione al principio di rappresentatività. Comunque offre interessanti spunti di riflessione per il movimento isolano che si batte per una nuova legge elettorale regionale, anche perché coniuga l’elezione diretta del presidente a ad un sistema proporzionale corretto nella distribuzione dei seggi, che – da noi – molti ritengono incompatibili. Con qualche miglioramento il testo siciliano può costituire una base utile per la Sardegna.
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* Articolo pubblicato su La Nuova Sardegna di oggi 21/11/2017
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Oggi martedì 21 novembre 2017

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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. DIBATTITO. Proposta di istituzione di un “servizio civico” che garantisca un reddito minimo alle famiglie in difficoltà.
Il servizio civico. Una proposta per garantire un reddito minimo alle famiglie in difficoltà generando dignità e coesione sociale.
di Vittorio Rinaldi, su LabSus
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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. DIBATTITO. Restituire il territorio alla proprietà del Popolo sovrano e laborioso. E come? Il pensiero di Paolo Maddalena. Contro l’ideologia neoliberale l’impegno diretto dei popoli.
Gianfranco Sabattini
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Rapporto 2017. Povertà sanitaria: Banco farmaceutico, una persona su tre costretta almeno una volta a rinunciare ad acquisto medicinali.
21 Novembre 2017

RED su Democraziaoggi.
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Zapatos Rojos

81876-zapatos-rojos-a-cagliari-in-piazza-garibaldi Zapatos Rojos a Cagliari contro il femminicidio e la violenza sulle donne
Su il manifesto sardo.
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Altre informazioni
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Il colpevole silenzio degli intellettuali

Un dibattito sempre attuale
Quali intellettuali in Sardegna?
Aristole e Platone1
di Piero Marcialis *
Si scalda (forse) il dibattito sugli intellettuali in Sardegna.
Non mi soffermo a dire che intellettuali siamo un po’ tutti, dallo scrittore all’artigiano, dal professore all’informatico.
Dicono che a dirigere l’Isola adesso ci sarebbero gli intellettuali. Perchè? Sono professori. Basta questo?
L’utopia di Platone, che siano i filosofi a dirigere lo Stato, ammesso e non concesso che sia una soluzione, stride al massimo dell’ironia quando vedi che a governare lo Stato ci sono i Renzi, ma il guaio vero è quando a governare un popolo in cerca della sua sovranità ci sono i renziani.
Noi che seguiamo le orme di Gramsci nel cercare di definire chi è, che cosa fa, l’intellettuale, e ne diamo una identità diffusa, nel produrre economico, culturale, politico, dobbiamo pure chiederci se in Sardegna questo “fare” intellettuale esista o no.
Nella politica, mentre ci scaldiamo al pensiero della Scozia e della Catalogna, stiamo immobili in attesa che lo Stato Italiano ci dica esso in che consiste la nostra autonomia, la nostra sovranità, la nostra indipendenza e, mentre passa inutile il tempo della nostra liberazione, avvertiamo che queste belle idealità si avvicinano allo zero assoluto.
In economia altri poteri esterni, assai poco intellettuali, e invece militari, statali, esotici miliardari e quant’altro, decidono essi la sparizione dell’agricoltura, il deserto, il controllo dell’ambiente e della salute.
E la produzione culturale?
Se è vero in generale che siamo avviati ad essere, in tutti i campi, piuttosto consumatori che non produttori, questo è drammaticamente evidente riguardo al produrre cultura.
Formazione, scuola, teatro, cinema, editoria, sono bloccati al consumo di produzioni esterne, alla semplice diffusione del pensiero altrove pensato, la maggior parte dei nostri operatori in questi campi sono convogliati e invogliati a formare, insegnare, inscenare, fotografare, editare, storie che riguardano vicende, tradizioni, cultura, linguaggi, di altri popoli. L’Università sarda non ha che esili rapporti con la Sardegna, potrebbe abitare altrove.
Qualche pattuglia impegnata, da “intellettuali organici”, a produrre oggetti propri della cultura sarda (dalla lingua alla storia, dalla tradizione ai problemi di oggi), che non abita in torri d’avorio (chiamiamolo avorio…) ma è scesa in strada, vive uno stato di dipendenza economica, di isolamento politico, di sospetto culturale.
Prendiamo anche solo il teatro. Inglesi, spagnoli, francesi, napoletani, veneziani, genovesi, lombardi, romani, e aggiungete tutti i popoli e nazioni che volete, hanno il loro teatro nazionale. Anche i sardi lo avrebbero, però…
Però è considerato di serie B. C’è un politico, un partito, un settore di maggioranza o di minoranza che si sia posto il problema di dare impulso all’affermazione di un teatro del popolo sardo? L’accoglienza che si fa al teatro “italiano”, spesso traduzione di altri teatri nazionali, è assolutamente di privilegio rispetto al teatro sardo, che sia traduzione o prodotto originale. Se il teatro in generale, in Italia e in Sardegna, versa in tristi condizioni, la situazione di chi vuol fare teatro sardo è addirittura di agonia: teatri chiusi, compagnie sciolte, riduzione a rappresentazioni senza scenografie, senza ausilio tecnico, monologhi e reading in locali “alternativi” (per forza) o per la strada.
Continuiamo così, facciamoci del male.
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* Su Aladinews del 23 novembre 2014.
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Alcune riflessioni perché il dibattito sul ruolo degli intellettuali si misuri concretamente con i problemi di oggi.
di Franco Meloni**
C’è un passo dell’articolo di Piero da cui traggo spunto per alcune brevi considerazioni. Riguarda l’Università sarda. Dice Piero: “L’Università sarda non ha che esili rapporti con la Sardegna, potrebbe abitare altrove”. Ed ha proprio ragione. Alcuni giorni fa su La Nuova Sardegna l’economista Andrea Saba auspicava nuove e diverse strade di sviluppo dell’economia, basate prima di tutto su quanto di nuovo si sta facendo nella realtà in controtendenza rispetto alle scelte del potere finanziario dominante. Andiamoci dentro queste esperienze perché la crisi “non si risolve a tavolino o nelle aule universitarie: richiede una forma continua di “learning by doing”, cioè di apprendimento dalla esperienza, di cui i governanti, a tutti i livelli, dovrebbero tenere conto per formulare politiche opportune”. Ecco, in tale approccio, che peraltro è quello proprio della ricerca scientifica, c’è l’invito a costruire “nuova teoria” che divenga base di efficaci nuove politiche economiche. A mio avviso tutto ciò richiede un impegno più consistente e più esplicito degli intellettuali, a partire da quelli pagati dalla collettività per questo compito, parlo pertanto degli universitari. Più volte abbiamo richiesto che l’Università smetta di chiedere aiuti al Paese, cosa evidentemente legittima, ma più importante e urgente è che essa si chieda cosa può fare per il Paese e quindi per la nostra Sardegna. E’ necessario pertanto che l’Università si approcci diversamente ai problemi dello sviluppo, che la smetta con la pratica dell’autoreferenzialità e che si renda aperta e disponibile. Qualcosa di diverso da quanto oggi succede nei nostri Atenei e in particolare in quello di Cagliari, seppure non si devono sottovalutare i numerosi fermenti innovativi che si agitano al suo interno di cui sono portatori soprattutto giovani ricercatori e che spero determinino presto il rinnovo della governance accademica. In tema: credo che occorra ormai ragionare come Università della Sardegna, senza annullare la storia dei due Atenei sardi, ma sapendo adeguare le Istituzioni alle nuove esigenze della Sardegna.
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** Su SardegnaSoprattutto.

Oggi lunedì 20 novembre 2017

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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. DIBATTITO. Proposta di istituzione di un “servizio civico” che garantisca un reddito minimo alle famiglie in difficoltà.
Il servizio civico. Una proposta per garantire un reddito minimo alle famiglie in difficoltà generando dignità e coesione sociale.
di Vittorio Rinaldi, su LabSus
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Da Ostia un segnale per il Paese?
20 Novembre 2017

democraziaoggi
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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eddyburgSOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » SINISTRA
Come riprendere il percorso virtuoso del Brancaccio
il manifesto, 18 novembre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. Un appello a quanti «credono che la sinistra possa, costruire le condizioni per una assemblea nazionale della sinistra unita, alternativa e profondamente rinnovata, realmente aperta ai cittadini e a quanti si riconoscano nel progetto».
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…facciamo appello innanzitutto a Tomaso e Anna, a coloro che hanno condiviso quel percorso, ai partiti della sinistra alternativa a questo governo, inclusi quelli che non stanno nel percorso del 2 dicembre, e a tutte quelle persone che credono che la sinistra possa svolgere un ruolo in questo Paese e in Europa, a rivederci per costruire le condizioni per una assemblea nazionale della sinistra unita, alternativa e profondamente rinnovata, realmente aperta ai cittadini e a quanti si riconoscano nel progetto.

Rocco Albanese, Marco Barbieri, Piero Bevilacqua, Sandra Bonsanti, Stefano Brugnara, Alberto Campailla, Anna Caputo, Luciana Castellina, Sergio Cofferati, Massimo Cortesi, Andrea Costa, Vezio De Lucia, Luigi Ferrajoli, Daniele Lorenzi, Giorgio Marasà, Federico Martelloni, Walter Massa, Filippo Miraglia, Andrea Ranieri, Bia Sarasini, Salvatore Settis, Francesco Silos Labini, Domenico Rizzi

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Giornata Mondiale Povertà
di MARCO POZZA
Huffington post e la Nuova Venezia, 19-20 novembre 2017, articoli ripresi da eddyburg. «Siamo alla vigilia delle celebrazioni della Giornata Mondiale dei Poveri. Non la giornata mondiale della povertà, non la giornata mondiale contro la povertà». Articoli dei sacerdoti Camillo Ripamonti e Marco Pozza.(m.p.r.)
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Report su povertà ed esclusione sociale in Sardegna 2017

Caritas Sardegna logo

La Delegazione regionale della Caritas presenta il
Report su povertà ed esclusione sociale in Sardegna 2017
(CONFERENZA STAMPA) Martedì 21 novembre 2017, alle ore 9.30, presso la sede del Consiglio Regionale a Cagliari (via Roma 25), la Delegazione regionale Caritas presenterà, durante una conferenza stampa, i nuovi dati su povertà ed esclusione sociale in Sardegna.
Verranno esaminate le problematiche emergenti relative alla povertà e ai bisogni rilevati sul territorio regionale nel 2016, sulla base dei dati forniti dai Centri d’ascolto delle Caritas diocesane della Sardegna, strumenti privilegiati di incontro e osservazione del disagio.

Documentazione.

cagliari-comune-mappa-veraOnline sul sito del Comune di Cagliari l’Atlante demografico aggiornato al 31 dicembre 2016
Il dataset contiene i dati rappresentati nell’Atlante demografico del Comune di Cagliari aggiornato al 31 dicembre 2016. Nel volume, giunto alla sua settima edizione, sono riportate ampie raccolte di dati, con relative elaborazioni statistiche, alcune delle quali sono il risultato di nuovi studi sulla struttura fisica, demografica, economica e sociale della città, con una sezione specifica dedicata alla popolazione straniera.
- Presentazione.
- L’Atlante 2016 (PDF).

Legge elettorale sarda. Pubusa: guardiamo alla Sicilia. Quasi come Lussu per lo statuto sardo

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ape-innovativaRicordate la vicenda della formazione dello statuto sardo quando Emilio Lussu e Mario Berlinguer, preoccupati dei ritardi della Consulta sarda nella redazione del testo statutario, proposero al governo di estendere alla Sardegna lo statuto che era stato ottenuto dalla Sicilia? Ma, nonostante la disponibilità governativa di accedere a tale richiesta, i consultori sardi rifiutarono sdegnosamente l’idea di uno statuto “concesso dall’alto”. Pertanto non se ne fece nulla. Sapete come andò a finire: il 31 gennaio 1948 – in articulo mortis, cioè allo scadere definitivo del suo mandato – l’Assemblea Costituente approvò lo Statuto proposto dalla Consulta sarda, dotato di minori competenze rispetto a quelle riconosciute alla regione Sicilia.

Tale vicenda mi è tornata in mente rispetto alla pressante richiesta del Comitato d’Iniziativa costituzionale e statutaria di dotare la Sardegna di una nuova legge elettorale, che sostituisca quella indecente attualmente vigente. Stiamo parlando evidentemente di due questioni diverse, ma con analogie nel metodo proposto e nelle conclusioni, che così sintetizziamo: Cari consiglieri regionali sardi, se non ce la fate a proporre una legge elettorale che garantisca la rappresentatività democratica dei sardi, adottate la legge siciliana, con alcune importanti correzioni che la facciano corrispondere sostanzialmente a tale scopo. Infatti la legge elettorale siciliana, con alcune importanti modifiche, può corrispondere nella sostanza alle indicazioni contenute nell’apposito documento di principi formulato dal Comitato d’Iniziativa costituzionale e statutaria, a cui rimando.

Per spiegare in dettaglio questa proposta di seguito riporto gli interventi di Andrea Pubusa e di Gianni Pisanu, rispettivamente coordinatore e componente del CoStat.
(segue)

Oggi domenica 19 novembre 2017

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democraziaoggiDalli a Ventura! Quanta ipocrisia!
19 Novembre 2017

Amsicora su Democraziaoggi.
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Ettore Cannavera nominato dal Presidente Sergio Mattarella Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana

ettore-cannaveraDon Ettore Cannavera, 73 anni, fondatore della comunità la Collina di Serdiana, nominato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana “per la sua preziosa opera di sostegno a persone in condizioni di marginalità e in particolare a giovani e minori coinvolti in percorsi di reinserimento sociale”.
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lampada aladin micromicroTe lo merito proprio caro Ettore! Complimenti, Auguri e Buon proseguimento del tuo prezioso lavoro, che da sempre anche noi sosteniamo con convinzione.
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DIBATTITO. Restituire il territorio alla proprietà del Popolo sovrano e laborioso. E come? Il pensiero di Paolo Maddalena.

unique-forms-of-continuity-in-space-umberto-boccioniContro l’ideologia neoliberale l’impegno diretto dei popoli

Gianfranco Sabattini*

Paolo Maddalena, già giudice costituzionale, in “Contro il liberismo la Costituzione!” (MicroMega, n. 5/2017), sostiene che per capire le condizioni in cui versano le società democratiche ad economia di mercato, al fine di uscire dalla situazione di crisi sul piano “ordinamentale ed economico”, occorre volgere “lo sguardo al passato e riflettere, sia pur fugacemente, sulle origini della ‘comunità politica’ o ‘Stato’, che dir si voglia”.

Ai tempi in cui l’uomo viveva di caccia e di raccolta non si poteva parlare di civiltà; questa nasce “circa diecimila anni fa con l’insediamento di aggregati umani su territori delimitati da confini, entro i quali si cominciarono a rispettare delle regole comuni e a dar vita così alle prime ‘città Stato’”, con cui sono nati tre “concetti giuridici fondamentali che tuttora sono gli elementi costitutivi degli Stati costituzionali: il “popolo”, il “territorio” e la “sovranità”.

Didatticamente, Maddalena ricorda che il “popolo” è costituito dall’insieme degli individui che si riconoscono come “aggregato unitario e permanente nel tempo”, sulla base dell’dea che ciascun individuo “possa agire – secondo le parole di Maddalena – in giudizio”, per difendere le condizioni della propria esistenzialità e di quelle della comunità di appartenenza, senza “fare ricorso al concetto di rappresentanza”. Il “territorio” è costituito dal suolo compreso entro i confini della comunità costituitasi come organizzazione politica permanente; esso è proprietà collettiva del popolo, implicante, a parere di Maddalena, sensibile ai problemi di salvaguardia dell’ambiente, un “rapporto di cura e di tutela, poiché […] è dal territorio che provengono i mezzi di sussistenza” per l’intero popolo. La “sovranità”, infine, è l’insieme di poteri esercitati dallo Stato per “dettare le regole del vivere civile […], e cioè l’’ordinamento giuridico’”. All’interno delle antiche comunità, quando la proprietà collettiva del territorio apparteneva al popolo, per la cessione di una parte di essa ai privati (in linea di principio, incluso tra questi lo stesso Stato) occorreva un’”esplicita dichiarazione del popolo stesso”.

I tre elementi, osserva Maddalena, che compongono le basi dell’organizzazione politica della comunità sono tra loro strettamente interconnessi; la considerazione dell’interconnessione è indispensabile per considerare la natura fondativa dei tre elementi costitutivi dello Stato. Di ciò si può avere immediata contezza, sol che si consideri il fatto che la proprietà collettiva del territorio è parte della sovranità, “per cui il popolo che è sovrano, è anche ‘proprietario collettivo’ del territorio”.

Il collegamento tra la titolarità della sovranità e il territorio è stato conservato nei secoli, finanche nel Medioevo, se si considera che quando la sovranità si è “spostata dal popolo al sovrano”, anche il territorio è diventato bene patrimoniale del sovrano. Il rapporto tra sovranità e territorio è stato scisso al tempo di Napoleone dopo la Rivoluzione francese, una rivoluzione borghese che ha assegnato la sovranità allo Stato e la proprietà del territorio, incluse le risorse in esso presenti, ai privati.

La scissione – afferma Maddalena – è stata un “gravissimo errore, poiché il territorio fu distolto dal fine fondamentale di giovare a tutti e finì per essere soggetto al volere dei singoli proprietari privati, mentre lo stesso diritto di proprietà privata ebbe il sopravvento sulla proprietà collettiva del popolo, come dimostra la cultura giuridica borghese ancora oggi persistente”. In linea di principio, la scissione è stata superata dalle Costituzioni moderne, soprattutto da quelle che sono state scritte all’indomani della fine del secondo conflitto mondiale.

La Costituzione repubblicana italiana, ad esempio, ricorda Maddalena, ha riportato il territorio e le risorse in esso presenti nel “dominio del popolo”, statuendo che la proprietà può essere pubblica e privata, distinguendo perciò una forma di proprietà che appartiene solo al popolo (la cosiddetta proprietà collettiva demaniale) ed un’altra che può appartenere, a titolo privato, allo Stato, ad altri enti pubblici o a singoli cittadini. La Costituzione repubblicana ha anche sottolineato che “l’utilità pubblica deve essere perseguita anche dal proprietario privato, la cui tutela viene meno qualora […] egli si comporti in modo tale che il ‘bene’ oggetto del suo dominio non persegua la funzione sociale che gli è propria”, cioè la cura degli intessi dei singoli componenti del popolo e di quelli dell’intera comunità. La nostra vigente Costituzione, perciò, “pone il principio fondamentale – afferma Maddalena – secondo il quale i beni, e in primis il territorio, devono giovare a tutti”.

La narrazione della storia sulla nascita dell’organizzazione politica delle comunità serve, a parere dell’ex giudice costituzionale, ad evidenziare come, da un lato, l’economia sia sorta con la formazione delle prime comunità politiche e, da un altro lato, che le convenzioni universalmente accettate [il diritto, come sottolinea Maddalena] abbiano sempre prevalso sull’economia, fino al punto di stabilire quali beni potevano essere oggetto di compravendita e quali altri non potevano esserlo, come, ad esempio, i beni demaniali, o beni comuni; i beni, cioè, in grado di assicurare per la loro stessa natura il “soddisfacimento dei bisogni primari dell’essere umano”. Anche per i beni che possono costituire oggetto di atti di scambio, il loro uso è sempre subordinato al soddisfacimento del benessere dei cittadini; essi sono il territorio, le risorse in esso dislocate e i servizi della forza lavoro dell’uomo. Nell’insieme, tali beni costituiscono i “fattori produttivi”, sui quali è fondata l’”economia reale e, quindi, il progresso della società”.

Per attivare i rapporti economici e favorire la circolazione dei fattori produttivi è stato necessario introdurre la moneta, originariamente strumento di mediazione degli scambi e che, successivamente, è divenuta anche strumento di misura del valore delle risorse e dei beni scambiati, nonché riserva di valore. Essa, nel tempo, è sempre stata una convenzione accettata da tutti e sino a quando ha svolto le tre funzioni indicate (di intermediazione, di misura del valore e di riserva di valore) è sempre stata lo “specchio” della ricchezza reale del sistema economico; in altre parole, come sottolinea Maddalena, ha sempre costituito “il corrispettivo della reale ricchezza nazionale a essa sottostante”.

Perché la moneta potesse svolgere correttamente le funzioni indicate, è stato necessario assicurare, attraverso un’autorità specifica (la Banca centrale), un suo razionale governo, affinché ne circolasse una quantità sufficiente ad assicurare un equilibrio “tra il valore dei beni in commercio e la quantità della moneta necessaria alla loro circolazione”, in condizione di stabilità dei prezzi, al fine di evitare sue indesiderate variazioni di valore e i conseguenti fenomeni dell’inflazione o della deflazione.

In un sistema economico perfettamente funzionante – afferma Maddalena – la moneta emessa e regolata dalla Banca centrale per conto dello Stato, “in quanto corrispondente alla reale ricchezza nazionale sottostante, è proprietà collettiva del popolo e va distribuita in modo che possa circolare tra i cittadini secondo il fondamentale principio di uguaglianza, sancito dal secondo comma dell’art. 3 della Costituzione”. Questo sistema, che l’ex giudice costituzionale definisce “naturale”, implica perciò uno “stretto legame tra beni reali e moneta”. Negli ultimi decenni, a seguito del prevalere dell’ideologia neoliberista, il sistema è stato alterato, facendo venir meno l’”equilibrio tra merci e danaro circolante”.

Con il venir meno di questo equilibrio, si è assistito alla crescente finanziarizzazione dei mercati, che ha determinato la “trasformazione del sistema economico”, nel quale gli aspetti produttivi sono stati sacrificati in pro di quelli finanziari; in corrispondenza di questi, il capitale a disposizione della comunità ha cessato d’essere considerato come “un insieme di beni reali”, per divenire un “accumulo di danaro” per lo più fittizio. In tal modo, la trasformazione del sistema economico ha comportato che l’attività produttiva fosse trasformata in attività speculativa; così, la moneta ha smarrito la sua originaria essenza di strumento di intermediazione negli scambi, per divenire un “diritto di prelievo” dalla ricchezza nazionale, determinando il “passaggio da un sistema economico produttivo a un sistema economico predatorio”, che ha cessato di produrre benessere per tutti, promuovendo, al contrario, un disagio esistenziale per molti e una crescente concentrazione della ricchezza prodotta a vantaggio di pochi.

Al fine di promuovere la crescente finanziarizzazione dell’economia, l’ideologia neoliberista ha sostenuto la validità del ricorso alla “creazione del danaro dal nulla”, da parte di soggetti privati, sino ad esporre la collettività al rischio di subire gli esiti negativi dell’instabilità del sistema economico, fuori da ogni possibilità di controllo. Alla creazione di nuova moneta dal nulla si è anche aggiunta la cartolarizzazione dei diritti di credito, nel senso che è stato consentito che i diritti della banca potessero circolare come titoli monetari; così, è accaduto che il valore della quantità dei mezzi monetari in circolazione sia divenuto un multiplo del valore del prodotto interno lordo globale, cioè del valore della ricchezza prodotta ogni d’anno nel mondo. Il punto di arrivo del processo di finanziarizzazione dei mercati è stata una crisi generalizzata che ha colpito tutti Paesi democratici ad economia di mercato.

Nel caso dell’Italia, gli effetti dalla crisi sono stati appesantiti dalle condizioni restrittive poste alla possibilità di attuare politiche pubbliche anti-crisi da parte dei Paesi partner europei economicamente forti, interessati questi ultimi, solo alle prospettive di arricchimento che la globalizzazione, sulla base della finanziarizzazione, offriva loro, nonostante l’approfondirsi e l’allargarsi della crisi. Malgrado il perdurare delle difficoltà, afferma Maddalena, i nostri governi hanno continuato “ad affermare di voler seguire le prescrizioni europee”, trascurando il possibile rischio finale. Sono state, infatti messe in ballo – afferma Maddalena, forse esagerando – “l’appartenenza agli italiani del territorio italiano e la stessa probabilità di sopravvivenza dell’intero popolo”. Come sventare questo Pericolo?

Maddalena avanza una proposta, in parte condivisibile e in parte molto “piena di desiderio”, sebbene possa toccare la sensibilità di chi ha a cuore un forte senso di giustizia e una forte aspirazione alla stabilità e alla pace sociale. Intanto, malgrado le critiche e le riserve che Maddalena non manca di formulare nei confronti dell’Europa, egli è del parere che non si debba rinunciare al “disegno europeo”, ma si debbano rivedere i Trattati, almeno da Maastricht in poi; in secondo luogo, e principalmente, si tratta di “stabilire se e come è possibile dare attuazione alla nostra Costituzione”; in particolare, a quella parte dedicata ai “Rapporti economici”, nei quali sarebbe descritto un “vero e proprio programma di governo, che, per essere fondato su principi keynesiani, è certamente in grado di fare riemergere il nostro Paese dalla grave recessione nella quale è stato spinto dagli opposti principi neoliberisti”.

Ciò sarebbe tanto più necessario, in quanto l’invadenza della finanza internazionale, “in ossequio al pensiero neoliberista”, ha connotato di sé l’intero spazio comunitario, per cui, nell’attesa che i Trattati europei siano riformati, occorre riflettere come attuare i principi sanciti dalla Costituzione repubblicana, con l’obiettivo di “rispondere agli errori del pensiero neoliberista globalizzato”, riportando nel pubblico ciò che, con la distruzione dell’economia pubblica, è stato privatizzato.

Nella prospettiva di un ricupero degli obiettivi fissati nella Costituzione occorre che i cittadini s’impegnino concretamente a “fermare una volta per tutte la creazione del danaro dal nulla, e cioè la finanziarizzazione dei mercati, le privatizzazioni, le liberalizzazioni […], al fine di ricostruire quel patrimonio, che è stato così selvaggiamente depauperato”. In altre parole, occorre che il popolo italiano – afferma Maddalena – reagisca, assumendo “come principio inderogabile la nazionalizzazione delle banche e delle imprese salvate dal fallimento con danaro pubblico”, a tutte le sopraffazioni delle quali è stato sinora vittima; con ciò, mirando a costituire delle cooperative per prendere “nelle loro mani le sorti dell’economia nazionale”, per il ricupero del lavoro, uno dei fattori produttivi dei quali il popolo italiano è stato spogliato.

Se del discorso complessivo di Maddalena si può essere coinvolti dalla semplicità e spigliatezza con cui egli ha descritto la situazione di crisi economica ed istituzionale nella quale versa da anni il Paese, ben al di là di quelli che sono ormai trascorsi dall’inizio della Grande Recessione, poco convincente risulta in sostanza il nucleo centrale della sua proposta. E’ vero che i Trattati europei sono in netto contrasto con i principi fondamentali della nostra Costituzione; ma non è meno vero che, se si pretendesse di contrastare le modalità di funzionamento dell’economia moderna con “cooperative di lavoro”, per consentire agli operai, oltre che prendere nelle loro mani le sorti dell’economia nazionale, di ricuperare le opportunità di lavoro che con la finanziarizzazione dei mercati sono state distrutte, presumibilmente il Paese andrebbe incontro a un numero di problemi di gran lunga maggiore rispetto a quello che Maddalena, con la sua proposta, pensa possano essere risolti. Il lavoro è stato, sì, perso; esistono però seri dubbi che ora la promessa costituzionale del lavoro per tutti possa essere “onorata” attraverso la trasformazione del sistema economico in un prevalente sistema di cooperative.
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* [Gianfranco Sabattini su il manifesto sardo]

Oggi sabato 18 novembre 2017

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Gianni Pisanu del Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria su Democraziaoggi.
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Mondeggi, i terreni agricoli agricoli sono del popolo
di ANNA FAVA

il Fatto quotidiano, 17 novembre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. Una iniziativa esemplare di utilizzazione comune di un bene comune, abbandonato dalle istituzioni e restituito alla produzione di beni per la vita quotidiana.
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