Monthly Archives: ottobre 2017

Rapporto Ocse. Emergenza disuguaglianze in crescita vertiginosa

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Rapporto Ocse. Nell’Italia che invecchia crescono le diseguaglianze
Avvenire, 18 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. Sempre di segno negativo i primati dell’talia (e soprattutto degli italiani… Due aspetti sottolineati dall’Ocse: l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle diseguaglianze economiche.

Oggi giovedì 19 ottobre 2017

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- Approfondimenti su Unica.
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democraziaoggi loghettoSardegna: alla ricerca del partito perduto…
19 Ottobre 2017
Amsicora su Democraziaoggi.
Gente, sapete quale è il mio rovello da qualche tempo? Semplice. Individuare chi votare alle prossime regionali. Escludo il centrodestra. Facile, son di sinistra fin da quanto portavo i pantaloni corti. Che faccio cambio ora? E il PD? Deus s’indi campiri! E’ come votare quelli là. E poi non l’ho votato ai tempi del buon Bersani, […]
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eddyburgIl Rosatellum crea astensionismo
di SALVATORE SETTIS
Il Rosatellum crea astensionismo su il Fatto quotidiano, 18 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. «E se allontanare i cittadini dalle urne fosse invece, in una strategia perversa ma tutt’altro che fantapolitica, scopo primario di una legge come questa?»
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costat-logo-stef-p-c_2-2Cari Compagni/e, amici/e,
si è tenuta ieri, mercoledì 18 ottobre, la riunione ordinaria del Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria, che ha assunto le seguenti importanti decisioni.
Legge elettorale
La fiducia limita non solo il dibattito parlamentare, ma toglie voce anche a noi cittadini, impedendo che si dispieghi un ampio dibattito pubblico e una forte mobilitazione su una legge pessima e anticostituzionale. Pertanto, abbiamo deciso di essere presenti la settimana prossima con due iniziative:
Martedì 24 ottobre: dibattito su legge elettorale nazionale e regionale con Costantino Murgia, Tonino Dessì e Andrea Pubusa all’Hostel Marina con inizio alle 17 (seguirà locandina),
Data la grave accelerazione imposta dal governo e dal PD in combutta con le destre per far passare una legge che ci priva del diritto di scelta dei parlamentari, si invita alla massima mobilitazione e presenza;
Mercoledì 25 ottobre: presidio in via Garibaldi (spiazzo all’altezza di via Iglesias) dalle 17. Metteremo qualche manifesto e distribuiremo un volantino. Si pregano i compagni ed amici di dare la massima diffusione alla notizia e di assicurare la partecipazione.
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Lavoro e altre tematiche
Si è deciso di proseguire nell’approfondendo dei tanti spunti offerti dal Convegno del 4-5 ottobre u.s.: Lavoro/Ambiente, Scuola/Lavoro, Lavoro/Servizi sociali, Lavoro/Salute, Reddito di cittadinanza/Beni comuni, etc.
Su quei temi si punta ad iniziative pubbliche qualificate da calendarizzare. Come tappe di avvcinamento si è deciso:
– di fare un’iniziativa pubblica entro metà novembre in cui vengono presentati i risultati più significativi del ns. Convegno e di pubblicarne gli atti;
- di fare un dibattito pubblico entro l’anno con Nando dalla Chiesa su Economia e illegalità;
- di fare all’inizio dell’anno prossimo il Convegno Lavoro/Ambiente e, di seguito gli altri (Scuola/Lavoro; Reddito di cittadinanza e Beni comuni, Economia Sociale e Solidale, Salute e Sanità, etc.).
Come si vede, è un programma ambizioso, impegnativo e molto interessante, che punta – secondo le finalità del Comitato – a stimolare il dibattito pubblico in Sardegna su temi strettamente collegati alla Costituzione e allo Statuto sardo. Occorre pertanto essere presenti ed ampliare la partecipazione alle attività del ns. Comitato.
A Martedì in via Garibaldi per il presidio e cordiali saluti (Andrea Pubusa).
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Rapporto Ocse. Nell’Italia che invecchia crescono le diseguaglianze
Avvenire, 18 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. Sempre di segno negativo i primati dell’talia (e soprattutto degli italiani… Due aspetti sottolineati dall’Ocse: l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle diseguaglianze economiche.
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Argenti in Sardegna.
pasolini_porcugaias_argenti_isbnOggi, giovedì 19, alle ore 18 presso il salone del Banco di Sardegna, viale Bonaria 33
verrà presentato da Nicoletta Bazzano e Lucia Siddi un nuovo volume sugli argenti in Sardegna. Introduce e coordina i lavori Alessandra Paolini, docente di Storia dell’Arte dell’Università di Cagliari ed esperta in materia.
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- Pazza idea a Is Mirrionis.
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Materiali per il Lavoro

LAVORO E NUOVO MODELLO DI SVILUPPO
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TRA INCUBI E SOGNI
Daniele Doglio su Rocca

Spunti molto interessanti nei numeri 12 e 13 di Rocca da Roberta Carlini, Stefano Zamagni e Rosella De Leonibus in materia di lavoro che non c’è e degli impatti che questa brutta tendenza può avere sulle
nostre vite in prospettiva. E tuttavia pur condividendone ragione e sentimenti sento la necessità di ricondurre il tema della difesa del lavoro al di fuori della dimensione un po’ eroica e un po’ volontaristica in cui tutti e tre fondamentalmente lo collocano.
Già due anni fa avevo affrontato il tema della distruzione del lavoro umano come portato inevitabile della affermazione delle nuove tecnologie e in particolare delle applicazioni della Intelligenza Artificiale e della robotica (Rocca n. 10, maggio 2015). Il 70% di tutti i lavori attualmente esistenti negli Stati Uniti nei settori primario, secondario, terziario e perfino nel quaternario avanzato, è considerato «automatizzabile», cioè l’operatore umano è a rischio di essere sostituito con un robot o una procedura autonoma. E siccome più del 75% della forza lavoro occupata nella maggior parte delle nazioni industrializzate svolge funzioni semplici e ripetitive che possono essere eseguite da macchine, robot e computer sempre più avanzati, le implicazioni potrebbero essere immense, dal momento che non credo sia mai storicamente esistito il caso di una società che in condizioni di relativa normalità deve affrontare l’espulsione dalle attività produttive e di servizio di quote crescenti della sua popolazione.

scenario inquietante
Circa tre mesi fa McKinsey (società di consulenza strategica internazionale molto ascoltata dai vertici politici e imprenditoriali) ha proiettato sull’argomento una luce ancora più inquietante stimando che il numero di posti di lavoro che saranno bruciati dalla innovazione digitale entro il 2037 sia pari a 1,2 miliardi! E siccome sappiamo che se una cosa è tecnicamente possibile e economicamente conveniente si farà senz’altro, non si tratta di ragionare sul se, ma di prendere atto che il genio è uscito dalla lampada: l’innovazione distrugge molto di più di quello che crea, e lo fa a una velocità imparagonabile con l’esperienza storica vissuta fin qui, dove il bilanciamento fra innovazione che elimina e innovazione che crea lavoro tendeva a pendere decisamente a favore di quest’ultima una volta esaurita la pars destruens.
Oggi con tutta la buona volontà è difficile credere che per ogni posto di lavoro nell’hi-tech se ne creino sei nei servizi come vuole la vulgata dei tecnologi. Piuttosto pare accertato che per ogni nuova macchina che
entra nei processi produttivi di posti se ne perdono sei. E poi c’è posto e posto. Quelli che si creano non assomigliano per niente all’idea che del lavoro abbiamo avuto fin qui. Il posto «digitale» richiama infatti forme di semi-imprenditorialità di cui condivide tutti i rischi, ma non necessariamente la propensione individuale al rischio, e quasi nessuno dei vantaggi come compensi elevati e una gestione creativa del tempo libero. Inoltre i lavori cancellati erano magari ripetitivi ma decentemente remunerati, mentre quelli nuovi sono sicuramente pagati meno. Un tema che comincia a preoccupare seriamente anche organismi internazionali come l’Ocse che stanno cercando di capire come si fa a garantire la crescita di economie che al 70% si basano sui consumi quando cala sistematicamente la quota dei salari, cioè il mezzo principale per acquistare i beni e i servizi da consumare. E se una fetta ampia (forse addirittura la maggioranza) della popolazione non lavora, chi consumerà i beni prodotti dalla parte che lavora? E se tutti si mettono a fare i surfisti a Cesenatico (non solo a Malibù come ci ricorda Carlini), chi garantirà le pensioni ai vecchietti in essere e ai giovani adulti?

problemi giganteschi
È uno scenario che pone tre problemi giganteschi. Uno è il semplice dato quantitativo esposto da McKinsey che spinge a cercare politiche del lavoro in grado di aumentare l’occupazione rallentando se non proprio contrastando la tendenza. L’altro è cosa far fare alla gente che non troverà più lavoro. Il terzo è come finanziare politiche attive, comprese naturalmente le forme di sostegno al reddito, che sappiano distinguersi dal puro assistenzialismo di massa, come sarebbe il cosiddetto «reddito di cittadinanza» elargito a tutti. Il tutto all’interno di un sistema che va verso lavori molto diversi da quelli che dalla rivoluzione industriale in poi hanno caratterizzato le società avanzate favorendo una crescita (moderata) del valore della quota lavoro rispetto al capitale, l’affermazione del suo valore socialmente identitario, lo spostamento progressivo verso la sua componente creativa dentro un capitalismo temperato dall’anelito all’eguaglianza che la cultura e le forze sociali liberali, socialiste e cristiane sono stati capaci di imporre. Anche quando ci fossero i nuovi posti di lavoro avranno caratteristiche qualitative molto basse, in linea con il carattere «diminutivo» della rivoluzione digitale che favorisce i lavori di tipo «banale», salvo per la piccola parte riservata a imprenditori e manager.

il lavoro ideale
Se le cose stanno così mi sembra che l’analisi sul che fare rischi sempre di partire da una definizione di «lavoro» che non è quella reale, vissuta dalla stragrande maggioranza dei cittadini delle nostre società. Zamagni illustra benissimo il carattere e le origini della dottrina sociale cristiana dove il lavoro viene prima di qualsiasi «diritto» perché è un «bisogno fondamentale» dell’uomo. D’altra parte è la riforma protestante che afferma l’idea della sacralità del lavoro che offre al credente la prova della benevolenza divina nei suoi confronti.

Ma quanti sono i cristiani che vivono così il proprio lavoro?
Roberta Carlini con l’economista inglese Atkinson chiede che le politiche di reddito di cittadinanza corrispondano a attività di partecipazione, una specie di volontariato salariato a spese della fiscalità generale, in ossequio al «nesso causale» di quella associazione in partecipazione che è la vita sociale.
De Leonibus richiama l’attenzione sulle componenti socio-psicologiche del lavoro umano e sui rischi a cui si va incontro svalutandole.
Dunque il lavoro che hanno in mente tutti e tre appare chiaro: costruttivo, creativo, di grande soddisfazione personale, di alto valore sociale, di piena realizzazione di sé, e insieme sufficientemente remunerato. Ma quanti sono i lavori così? quanti sono gli uomini che possono davvero sperare di perseguire la piena realizzazione? Quanti invece i lavori destituiti di qualsiasi interesse, fisicamente massacranti, sporchi, assordanti, ripetitivi, o semplicemente noiosi?
E che tipo di uomo hanno in mente? un uomo normale? un uomo etico che fa quello che «deve»? un superuomo? Quanti sono gli umani che vivono il lavoro come qualcosa di necessario a sopravvivere e basta? E soprattutto, da quando ci siamo lasciati alle spalle l’età della penuria (in Italia da meno di sessant’anni, ma facciamo sempre a tempo a ripiombarci se non stiamo attenti), quanti nelle giovani generazioni vivono il lavoro (full o part-time) come un semplice mezzo per «fare altro»? Viaggiare alla scoperta di mondi interiori, o anche «dentro i confini della nostra prigione» (per ricordare Marguerite Yourcenar); conoscere usanze, culture, studiare, ricercare… ma soprattutto «consumare» il tempo, semplicemente «vivere» in attesa di trovare qualcosa di meglio, di più rappresentativo di sé. Guardate quanti sono in Italia quelli che pur di «non» lavorare sperano di incrociare il loro destino con il mondo dello spettacolo attraverso i talent-show televisivi. Centinaia di migliaia a giudicare dalle selezioni. Molto meno quelli che confidano nella propria capacità di «intraprendere», e che per forza dovranno diventare molti di più. E allora non sarà che il futuro potrebbe essere fatto soprattutto di piccoli imprenditori di se stessi, creatori a rotazione in uno scenario lontano mille miglia da fabbriche e uffici post-fordisti?
Insomma pur condividendo l’imperativo di trovare una soluzione a un problema che è già gigantesco e che diventerà ingovernabi- le nel prossimo futuro, resto dubbioso di fronte a un approccio tutto innervato su un profilo solidaristico e sulla rigida difesa dei diritti acquisiti da imporre a una società che negli ultimi cento anni è stata capace di crescere grazie soprattutto ai consumi privati e non solo a investimenti pubblici di tipo strutturale e infrastrutturale.

e il lavoro «merce»
D’altra parte mentre si sviluppava il preoccupante processo di precarizzazione degli ultimi anni anche da noi, come nei paesi più avanzati del nord del mondo, il lavoro si è andato «liberando» da logiche di tempo pieno e indeterminato, a favore di approcci frazionali che lo intendono come occupazione temporanea, a reddito anche basso, ed esclusivamente finalizzata a garantire percorsi di esperienza e di consumo mutevoli. Uno strumento, non un bisogno. Marxianamente, una «merce».
Ora è giusto aspettarsi dalla classe politica risposte e proposte per creare il numero di posti che servono a colmare il deficit mentre si attivano soluzioni intermedie di sostegno. Risposte e proposte che invece latitano. Ma la sensazione è che non sia possibile affrontare il problema con un empito volontaristico che alla scala del problema di cui si parla sarebbe immane.
Si fatica a immaginare il «che fare». Forse occorrerebbe richiamare in servizio anche qualche riflessione sull’ozio, «padre di tutti i vizi» secondo Catone, che pure era convinto fosse la migliore espressione della antica virtù romana dell’operosità. Da Seneca (De Otio) a Cesare Pavese (Lavorare stanca) fino a Bertrand Russell, che non essendo cristiano pensava che in questo mondo si lavora troppo, e che mali incalcolabili derivano dalla convinzione che il lavoro sia cosa santa e virtuosa. Perché «l’etica del lavoro», scriveva nel 1935 in Elogio dell’ozio, «è etica di schiavi, e il mondo moderno non ne ha bisogno».
Pensatori provocatori che han provato a cambiare la radicata convinzione che il lavoro sia uno strumento di identità personale e sociale di cui l’uomo non può fare a meno, e non invece solo un mezzo per procacciarsi un reddito con cui sopravvivere, vivere discretamente, vivere.

utopia per realisti
Ma niente paura, qualche buona notizia potrebbe venire da un giovane storico olandese (Rutger Bregman) che sta suscitando molto rumore in giro per il mondo con il suo libro Utopia per realisti, un fresco richiamo alle esauste cassandre della sinistra internazionale (soprattutto dopo la batosta tedesca) sulla necessità di rovesciare in opportunità i termini della crisi rilanciando la fondatissima idea che le utopie non sono che anticipazioni realistiche di quello che avverrà. Con tutta la capacità di anticipazione dimostrata dai tantissimi «sogni» che si sono realizzati si possono disegnare percorsi di uscita dalla crisi fondamentale del nostro tempo basandosi su un pensiero «nuovo» anche a costo di rivoluzionare tutti i processi formativi che abbiamo adottato fin qui. In fondo è vero che in pochissimo tempo l’umanità ha sconfitto l’uso sistematico della guerra, eliminato la schiavitù e il colonialismo rendendo possibile l’auto-determinazione di molti popoli, abbattuto la segregazione razziale, affermato l’eguaglianza di genere, consolidato il diritto di parola, arrestato la diffusione di malattie che per secoli hanno sterminato le popolazioni di interi continenti, ridotto drasticamente la fame nel mondo e in parte anche la povertà in molti paesi.
Opportunamente motivati e resi economicamente plausibili, tornano attuali in questa chiave temi come il reddito minimo per tutti, la settimana cortissima, l’investimento sociale e personale del tempo liberato in attività individualmente gratificanti e/o socialmente costruttive, nello studio e nella formazione, nell’aiuto agli altri, nella riflessione filosofica e nella produzione creativa, invece che soltanto nella frequentazione afasica dei tanti non-luoghi che la società cosiddetta dei consumi ha eretto per lo svolgimento dei riti dello shopping compulsivo. Ovviamente ci vuole una buona dose di ottimismo della volontà (avrebbe detto Gramsci), ma come scrive Bregman, è importante ricordarsi che Martin Luther King dichiarò di aver fatto non un incubo ma un sogno…
Daniele Doglio
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Oggi mercoledì 18 ottobre 2017

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- Approfondimenti su Unica.
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democraziaoggi loghettoCatalogna: nel ‘34 tragedia, oggi farsa?
18 Ottobre 2017
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Due grandi amiconi barbuti, che la sapevano lunga, dissero che tutti i grandi avvenimenti e i grandi personaggi della storia si presentano, per così dire due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. Sembra così anche per la Catalogna. Nel 1934 la dichiarazione di indipendenza si concluse in modo tragico. La sera […]
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ANPI – Lettera aperta a Prefetto, Questore, Sindaci di Cagliari e di Carbonia
18 Ottobre 2017
Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
Comitato provinciale di Cagliari e Sulcis

Lettera aperta a Prefetto, Questore, Sindaci di Cagliari e di Carbonia
Dagli organi di informazione […]

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eddyburgSOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » DEMOCRAZIA
don-ciottiDon Luigi Ciotti: «Il 60% dei poveri in Italia è escluso dal reddito di inclusione»
di ROBERTO CICCARELLI
il manifesto, 14 ottobre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews. «La povertà è un reato, un crimine di civiltà. La speranza si costruisce partendo dai poveri. Da lì si deve partire ad alta voce, per restituire l’economia alla vita, perché se così non è, non sappiamo che cosa farcene di questa economia»
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Fmi dice qualcosa moderatamente di sinistra. Raccomandazione ai governi perché s’impegnino per la riduzione delle disuguaglianze. Considerazioni su Reddito di Cittadinanza, Istruzione e Salute.

imf[Sintesi del Rapporto del Fondo Monetario Internazionale “Fiscal Monitor”]
Desigualdad: La política fiscal puede corregir la situación

di Vitor Gaspar e Mercedes García-Escribano

La desigualdad del ingreso en el mundo ha venido disminuyendo en las últimas décadas. Esto se debe a que el nivel de ingresos en países como China e India se ha aproximado al de las economías avanzadas. Pero no todo son buenas noticias. La desigualdad dentro de cada país ha aumentado, en especial en las economías avanzadas. Ahora que la recuperación económica mundial ha cobrado vigor y se ha generalizado, las autoridades económicas tienen la oportunidad de responder con reformas que aborden el problema de la desigualdad. La nueva edición del informe Monitor Fiscal muestra cómo la combinación adecuada de políticas puede cambiar esta situación.

El poder de la política fiscal

La política fiscal es responsable de gran parte de las diferencias entre países en materia de desigualdad.

En las economías avanzadas, la política fiscal compensa alrededor de una tercera parte de la desigualdad del ingreso antes de impuestos y transferencias —lo que suele denominarse desigualdad del ingreso de mercado—, y un 75% de ese efecto de compensación es atribuible a las transferencias. El gasto en educación y salud también incide en la desigualdad del ingreso de mercado a lo largo del tiempo, pues promueve la movilidad social, incluso entre generaciones. En las economías en desarrollo, la redistribución fiscal es mucho más deficiente debido a un gasto y a impuestos más bajos y menos progresivos.
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El diseño de la redistribución es importante

No existe una estrategia universal. La redistribución debe reflejar las circunstancias específicas del país, como presiones fiscales subyacentes, preferencias sociales y capacidad administrativa y fiscal del gobierno. Por otra parte, los impuestos y las transferencias no pueden considerarse de manera aislada. Los países necesitan financiar las transferencias, y la combinación de instrumentos alternativos de transferencias e impuestos que escojan los países puede incidir de forma muy diferente en la equidad.

Si bien algunas políticas pueden tener efectos contradictorios sobre el crecimiento y la distribución, nuestras pruebas empíricas indican que es posible lograr un crecimiento inclusivo y sostenible con una combinación adecuada de políticas. La eficiencia y la equidad deben ir de la mano.

Atacar el problema de la desigualdad

Las autoridades tienen un abanico de opciones para lograr resultados eficientes y equitativos. Esta edición del Monitor Fiscal se centra en tres debates en materia de políticas: impuestos progresivos, ingreso básico universal y gasto público en educación y salud.

- Impuestos sobre la renta progresivos. La progresividad del impuesto sobre la renta personal disminuyó considerablemente en los años ochenta y noventa, y desde entonces se ha mantenido prácticamente sin cambios. La tasa máxima promedio del impuesto sobre la renta de los países de la Organización para la Cooperación y el Desarrollo Económicos (OCDE) descendió de 62% en 1981 a 35% en 2015. Asimismo, la progresividad de los sistemas tributarios es menor de lo que indican las tasas estatutarias, puesto que las personas más acaudaladas tienen más acceso a desgravaciones. Una conclusión importante es que algunas economías avanzadas pueden aumentar la progresividad sin perjudicar el crecimiento, siempre que la progresividad no sea excesiva.
- Ingreso básico universal (IBU). El ingreso básico universal —que se define como una transferencia monetaria por igual importe a todos los ciudadanos de un país— ha sido un tema muy debatido por los economistas durante décadas, y que ahora ha vuelto a suscitar interés debido a percepciones sobre los efectos de la tecnología y de la inteligencia artificial en el futuro del trabajo. El Monitor Fiscal no se manifiesta ni favor ni en contra del IBU, sino que aporta al debate datos y argumentos pertinentes. El ingreso básico universal puede tener un impacto significativo en la desigualdad y la pobreza, ya que cubre a todas las personas en la parte inferior de la distribución del ingreso. Pero la universalidad es costosa. Según estimaciones del Monitor Fiscal, un IBU equivalente al 25% de la mediana del ingreso per cápita le costaría a una economía avanzada promedio el equivalente a 6½% del PIB, y las estimaciones varían considerablemente según el país. Por lo tanto, el IBU ha de analizarse conjuntamente con su financiamiento, para que tenga un efecto neutro en el presupuesto. Las consideraciones clave para su introducción deben ser su congruencia con otras prioridades fiscales —para evitar el desplazamiento de la inversión en infraestructura, educación y salud, por ejemplo— y el método de financiamiento, que debe ser eficiente y equitativo. Un ingreso básico universal podría ser una opción si sirve para sustituir el gasto social ineficiente y no equitativo.
- Gasto en educación y salud. Pese a los avances logrados, en muchos países aún persisten brechas de acceso a educación y servicios de salud de calidad entre los diferentes grupos de ingresos. Por ejemplo, en las economías avanzadas, los hombres con estudios terciarios viven hasta 14 años más que los que tienen estudios secundarios o inferiores. Un gasto público más eficiente puede ayudar, por ejemplo, mediante una redistribución del gasto en educación o salud de los sectores acaudalados a los sectores pobres, sin modificar el gasto público total destinado a educación o salud. Según el informe, al reducir la brecha de desigualdad en la cobertura básica de salud se podría aumentar la esperanza de vida 1,3 años, en promedio, en los países emergentes y en desarrollo.
Esperamos haberlos persuadido de dos cosas: por un lado, la política fiscal puede contribuir a resolver el problema de la desigualdad, y por el otro, la equidad debe ir de la mano de la eficiencia.

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Prove di unità a sinistra sinistra

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La sinistra delle differenze.
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vitobiolchini blog occhialini1Un’idea di sinistra per la Sardegna? Chiudere le fabbriche del polo industriale di Portovesme.
di Vito Biolchini, presidente associazione Sardegna Sostenibile e Sovrana.
17/10/2017, su vitobiolchini.it.

Oggi martedì 17 ottobre 2017

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- Approfondimenti su Unica.
democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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copia-di-eu_direct_loc_4-5_ottobre_ok_001-2_2_2lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Lavoro e nuovo modello di sviluppo: a partire dal lavoro che manca e rischia di mancare ancor più nel futuro.
MATERIALI PER IL LAVORO
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democraziaoggiInsularità, referendum e venditori di orologi taroccati
17 Ottobre 2017
T. D. su Democraziaoggi.
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[L’inchiesta, su TiscaliNews] Dalla regione capitale dei disoccupati alla città più ricca d’Europa. Ecco perché giovani e 50enni stanno scappando dall’Italia
In Baviera ci sono 12 milioni di abitanti e il tasso di disoccupazione è pari al 3%. La Calabria, di abitanti ne conta quasi 2 milioni ed è la regione del Vecchio Continente che nel 2016 ha fatto registrare il maggior tasso di disoccupazione giovanile (58,7%). E c’è pure la sorpresa: gli esami sostenuti in Italia possono non essere sufficienti per equiparare una laurea italiana ad una tedesca
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“Fuga di cervelli ma anche di braccia”: gli emigrati sardi nel Rapporto Italiani nel Mondo
Su L’Unione Sarda online del 17 ottobre 2017.
lampadadialadmicromicro1Nostra correlazione.
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Antonio Gramsci

antoniogramsci_1-smallSOCIETÀ E POLITICA » ANTOLOGIA
Gli intellettuali
di ANTONIO GRAMSCI

Un mestiere difficile ed estremamente delicato, decisivo per le sorti del mondo e dell’umanità, che ciascuno di noi è chiamato a svolgere. Descritto in due pagine indimenticabili per aprire l’Antologia di eddyburg. Su eddyburg ripreso sa aladinews.

L’INTELLETTUALE ORGANICO

Quando si distingue tra intellettuali e non-intellettuali in realtà ci si riferisce solo alla immediata funzione sociale della categoria professionale degli intellettuali, cioè si tiene conto della direzione in cui grava il peso maggiore della attività specifica professionale, se nell’elaborazione intellettuale o nello sforzo muscolare-nervoso. Ciò significa che se si può parlare di intellettuali, non si può parlare di non-intellettuali, perché non-intellettuali non esistono. Ma lo stesso rapporto tra sforzo di elaborazione intellettuale-cerebrale e sforzo muscolare-nervoso non è sempre uguale, quindi si hanno diversi gradi di attività specifica intellettuale. Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare.

Il problema della creazione di un nuovo ceto intellettuale consiste pertanto nell’elaborare criticamente l’attività intellettuale che in ognuno esiste in un certo grado di sviluppo, modificando il suo rapporto con lo sforzo muscolare-nervoso verso un nuovo equilibrio e ottenendo che lo stesso sforzo muscolare-nervoso, in quanto elemento di un’attività pratica generale, che innova perpetuamente il mondo fisico e sociale, diventi il fondamento di una nuova e integrale concezione del mondo. Il tipo tradizionale e volgarizzato dell’intellettuale è dato dal letterato, dal filosofo, dall’artista. Perciò i giornalisti, che ritengono di essere letterati, filosofi, artisti, ritengono anche di essere i “veri” intellettuali. Nel mondo moderno l’educazione tecnica, strettamente legata al lavoro industriale anche il più primitivo o squalificato, deve formare la base del nuovo tipo di intellettuale. Su questa base ha lavorato l’”Ordine Nuovo” settimanale per sviluppare certe forme di nuovo intellettualismo e per determinarne i nuovi concetti, e questa non è stata una delle minori ragioni del suo successo, perché una tale impostazione corrispondeva ad aspirazioni latenti e era conforme allo sviluppo delle forme reali di vita. Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell’eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, “persuasore permanentemente” perché non puro oratore – e tuttavia superiore allo spirito astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane “specialista” e non si diventa “dirigente” (specialista + politico).

Da: Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi, Torino 1975, vol. III, pp. 1550-1551

IL LAVORO
DELL’INTELLETTUALE

Passaggio dal sapere al comprendere al sentire e viceversa dal sentire al comprendere al sapere. L’elemento popolare «sente», ma non comprende né sa; l’elemento intellettuale «sa» ma non comprende e specialmente non sente. I due estremi sono dunque la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra.

Non che il pedante non possa essere appassionato, tutt’altro: la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo o la demagogia appassionata.

L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato, cioè che l’intellettuale possa esser tale se distinto e staccato dal popolo: non si fa storia-politica senza passione, cioè senza essere sentimentalmente uniti al popolo, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo, comprendendole, cioè spiegandole e giustificandole nella determinata situazione storica e collegandole dialetticamente alle leggi della storia, cioè a una superiore concezione del mondo, scientificamente elaborata, il «sapere».

Se l’intellettuale non comprende e non sente, i suoi rapporti col popolo-massa sono o si riducono a puramente burocratici, formali: gli intellettuali diventano una casta o un sacerdozio (centralismo organico): se il rapporto tra intellettuali e popolo-massa, tra dirigenti e diretti, tra governanti e governati, è dato da una adesione organica in cui il sentimento passione diventa comprensione e quindi sapere (non meccanicamente, ma in modo vivente), allora solo il rapporto è di rappresentanza, e avviene lo scambio di elementi individuali tra governati e governanti, tra diretti e dirigenti, cioè si realizza la vita d’insieme che sola è la forza sociale, si crea il «blocco storico».

Da: Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Q II(XVIII), pp. 77-77 bis.

E’ online il manifesto sardo duecentoquarantasette.

pintor il manifesto sardoIl numero 247
Il sommario
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Domani, martedì 17 ottobre, a Cagliari l’assemblea delle 100 piazze per un programma (Red), Turchia e dintorni. La nuova Turchia di Erdoğan (Emanuela Locci), Per il futuro di Portoscuso ancora veleni. La salute degli abitanti non ha alcun valore (Paola Correddu), Pacubenes del mondo (Graziano Pintori), Vantaggi e pericoli dell’integrazione delle diversità in un’Europa a più velocità (Gianfranco Sabattini), Il Comitato Riconversione Rwm chiede azioni concrete (Arnaldo Scarpa e Cinzia Guaita), Si aprirà o no il confronto pubblico sul futuro del territorio della Sardegna? (Stefano Deliperi), Cagliari. Via XXIX novembre 1847 (Francesco Casula), Spagna-Catalogna, una partita a ping pong con la pallina che è una bomba (Maurizio Matteuzzi), Commissione Sanità. Dai tagli in Sanità alla compravendita degli ospedali (Claudia Zuncheddu), Promuovere l’impresa migrante. Quando l’Istituzione costruisce futuro (Mauro Tuzzolino), Mi hanno tagliato le labbra (Red).
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Antonio Gramsci

chentu-litteras-a-sos-de-domoChentu lìtteras a sos de domo
Antonio Gramsci

L’opera è una raccolta di cento lettere fra quelle scritte da Antonio Gramsci ai suoi famigliari durante la sua prigionia. La traduzione a cura di Gonario Francesco Sedda è stata realizzata nella variante nuorese-barbaricina. L’ortografia non cerca di riprodurre nessuna particolarità fonetica locale, ma piuttosto dà alla parlata locale la veste di un barbaricino medio facilmente raccordabile al logudorese. Il traduttore ha scelto le lettere e ha curato il glossario lemmatizzato di tutte le forme di base e flesse presenti nel testo tradotto.
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domus-de-janas-editore-home. Per acquistare il libro. Formato cartaceo: prezzo 25,00 € scontato -30% 17,50 €. Formato pdf: prezzo 12,50 € scontato -30% 8,75 €.

Tiu Franziscu

Grande lutto per la musica e la cultura sarda

img_3977Bulzi saluta tiu Franziscu Cubeddu, uno dei più importanti esponenti de su cantu a chiterra, Insieme al chitarrista Alfonso Merella è considerato il creatore del canto in Fa diesis. I funerali oggi alle ore 15,30 a Bulzi, nella chiesa di San Sebastiano.

Francesco Cubeddu è nato a Bulzi nel 1924, avrebbe compiuto 93 anni tra pochi giorni. Imparò a cantare fin da ragazzo seguendo le orme dei più grandi cantadores di quegli anni, Giovanni Gavino Degortes, Luigino Cossu e Antonio Desole. E’ stato protagonista di memorabili gare di cantu a chiterra in tutta la Sardegna arrivando perfino a registrare alcuni dischi per importanti case discografiche, cosa non usuale fra i cantadores sardi. Il suo esordio sui palchi è avvenuto nel paese di Perfugas all’età di 20 anni con una storica gara di canto alla quale parteciparono alcuni dei più famosi cantadores del tempo. Da allora è stato un crescendo di appuntamenti e di notorietà nelle piazze dell’isola e presso i circoli degli emigrati sardi nel mondo. Personaggio notissimo tra gli estimatori della musica tradizionale e del cuntu a chiterra in particolare, è considerato unanimemente uno dei più grandi cantadores di sempre. Si ricordano, tra gli altri brani eseguiti una memorabile versione di “sa disisperada”. Lascia la moglie e due figlie.
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Discografia:
- Saldigna mia, 33 giri, edito nel 1967 da Tank, Roma.
- Sardegna, 33 giri, edito nel 1970 da Amico, Milano.

Una pagina Facebook a lui dedicata:
https://www.facebook.com/Francesco-Cubeddu-di-Bulzi-1591851511029076/

Immagini tratte dal sito Francesco Cubeddu di Bulzi.

Fmi dice qualcosa moderatamente di sinistra. Raccomandazione ai governi perché s’impegnino per la riduzione delle disuguaglianze.

logo_global_economyv8_1xdialogo_1xDesigualdad: La política fiscal puede corregir la situación

Por Vitor Gaspar y Mercedes García-Escribano

(Versión en English)

La desigualdad del ingreso en el mundo ha venido disminuyendo en las últimas décadas. Esto se debe a que el nivel de ingresos en países como China e India se ha aproximado al de las economías avanzadas. Pero no todo son buenas noticias. La desigualdad dentro de cada país ha aumentado, en especial en las economías avanzadas. Ahora que la recuperación económica mundial ha cobrado vigor y se ha generalizado, las autoridades económicas tienen la oportunidad de responder con reformas que aborden el problema de la desigualdad. La nueva edición del informe Monitor Fiscal muestra cómo la combinación adecuada de políticas puede cambiar esta situación.

El poder de la política fiscal

La política fiscal es responsable de gran parte de las diferencias entre países en materia de desigualdad.

En las economías avanzadas, la política fiscal compensa alrededor de una tercera parte de la desigualdad del ingreso antes de impuestos y transferencias —lo que suele denominarse desigualdad del ingreso de mercado—, y un 75% de ese efecto de compensación es atribuible a las transferencias. El gasto en educación y salud también incide en la desigualdad del ingreso de mercado a lo largo del tiempo, pues promueve la movilidad social, incluso entre generaciones. En las economías en desarrollo, la redistribución fiscal es mucho más deficiente debido a un gasto y a impuestos más bajos y menos progresivos.
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El diseño de la redistribución es importante

No existe una estrategia universal. La redistribución debe reflejar las circunstancias específicas del país, como presiones fiscales subyacentes, preferencias sociales y capacidad administrativa y fiscal del gobierno. Por otra parte, los impuestos y las transferencias no pueden considerarse de manera aislada. Los países necesitan financiar las transferencias, y la combinación de instrumentos alternativos de transferencias e impuestos que escojan los países puede incidir de forma muy diferente en la equidad.

Si bien algunas políticas pueden tener efectos contradictorios sobre el crecimiento y la distribución, nuestras pruebas empíricas indican que es posible lograr un crecimiento inclusivo y sostenible con una combinación adecuada de políticas. La eficiencia y la equidad deben ir de la mano.

Atacar el problema de la desigualdad

Las autoridades tienen un abanico de opciones para lograr resultados eficientes y equitativos. Esta edición del Monitor Fiscal se centra en tres debates en materia de políticas: impuestos progresivos, ingreso básico universal y gasto público en educación y salud.

- Impuestos sobre la renta progresivos. La progresividad del impuesto sobre la renta personal disminuyó considerablemente en los años ochenta y noventa, y desde entonces se ha mantenido prácticamente sin cambios. La tasa máxima promedio del impuesto sobre la renta de los países de la Organización para la Cooperación y el Desarrollo Económicos (OCDE) descendió de 62% en 1981 a 35% en 2015. Asimismo, la progresividad de los sistemas tributarios es menor de lo que indican las tasas estatutarias, puesto que las personas más acaudaladas tienen más acceso a desgravaciones. Una conclusión importante es que algunas economías avanzadas pueden aumentar la progresividad sin perjudicar el crecimiento, siempre que la progresividad no sea excesiva.
- Ingreso básico universal (IBU). El ingreso básico universal —que se define como una transferencia monetaria por igual importe a todos los ciudadanos de un país— ha sido un tema muy debatido por los economistas durante décadas, y que ahora ha vuelto a suscitar interés debido a percepciones sobre los efectos de la tecnología y de la inteligencia artificial en el futuro del trabajo. El Monitor Fiscal no se manifiesta ni favor ni en contra del IBU, sino que aporta al debate datos y argumentos pertinentes. El ingreso básico universal puede tener un impacto significativo en la desigualdad y la pobreza, ya que cubre a todas las personas en la parte inferior de la distribución del ingreso. Pero la universalidad es costosa. Según estimaciones del Monitor Fiscal, un IBU equivalente al 25% de la mediana del ingreso per cápita le costaría a una economía avanzada promedio el equivalente a 6½% del PIB, y las estimaciones varían considerablemente según el país. Por lo tanto, el IBU ha de analizarse conjuntamente con su financiamiento, para que tenga un efecto neutro en el presupuesto. Las consideraciones clave para su introducción deben ser su congruencia con otras prioridades fiscales —para evitar el desplazamiento de la inversión en infraestructura, educación y salud, por ejemplo— y el método de financiamiento, que debe ser eficiente y equitativo. Un ingreso básico universal podría ser una opción si sirve para sustituir el gasto social ineficiente y no equitativo.
- Gasto en educación y salud. Pese a los avances logrados, en muchos países aún persisten brechas de acceso a educación y servicios de salud de calidad entre los diferentes grupos de ingresos. Por ejemplo, en las economías avanzadas, los hombres con estudios terciarios viven hasta 14 años más que los que tienen estudios secundarios o inferiores. Un gasto público más eficiente puede ayudar, por ejemplo, mediante una redistribución del gasto en educación o salud de los sectores acaudalados a los sectores pobres, sin modificar el gasto público total destinado a educación o salud. Según el informe, al reducir la brecha de desigualdad en la cobertura básica de salud se podría aumentar la esperanza de vida 1,3 años, en promedio, en los países emergentes y en desarrollo.
Esperamos haberlos persuadido de dos cosas: por un lado, la política fiscal puede contribuir a resolver el problema de la desigualdad, y por el otro, la equidad debe ir de la mano de la eficiencia.

Oggi lunedì 16 ottobre 2017 con Anpi e CoStat

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democraziaoggi loghettoQuestione democratica e Rosatellum. Oggi Convegno a Cagliari
16 Ottobre 2017, su Democraziaoggi.
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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. «Terra, casa, lavoro. Discorsi ai movimenti popolari» di papa Francesco.
SOCIETÀ E POLITICA » MAESTRI » JORGE MARIO BERGOGLIO
Terra, casa, lavoro. Perché sentiamo nostro il messaggio del papa
di LUCIANA CASTELLINA su il manifesto.
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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Ripensare la Sardegna. Un Nuovo Piano di Rinascita della Sardegna Possibile e Auspicabile. Di Roberto Mirasola.
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15 Ottobre 2017
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Non ci sono risorse per l’accoglienza dei migranti, per la difesa del suolo, per gli spazi pubblici, per la salute, per la scuola, per la cultura, per l ‘università, per l’assistenza ai vecchi e ai disabili, per i parchi pubblici. Sapete a quanto ammontano le spese militari in Italia? 63 milioni di euro al giorno, di cui 15 milioni per armamenti. Su eddyburg.
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Lavoro e nuovo modello di sviluppo: a partire dal lavoro che manca e rischia di mancare ancor più nel futuro

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Lavoro e nuovo modello di sviluppo: a partire dal lavoro che manca e rischia di mancare ancor più nel futuro
di Carlo Eduardo Carra, su Rocca 21/2017.

Lavoro, reddito e crescita sono le tre ruote dell’ingranaggio che ha fatto girare l’orologio della storia economica e sociale negli ultimi secoli. Questo modello di trasmissione circolare – il lavoro produce reddito,
il reddito crea consumi, i consumi alimentano la crescita, la crescita crea lavoro – sembrava destinato a perpetuarsi nel tempo e, con la globalizzazione liberista, ad estendersi al mondo intero.
In realtà così è stato fino a quando la libera circolazione di merci e persone si è estesa ad aree geografiche sterminate ed ha coinvolto miliardi di persone.
A quel punto, però, il circolo «virtuoso» dello sviluppo che crea sviluppo si è inceppato e la fase espansiva della globalizzazione ha subìto una battuta d’arresto.
Da allora la teoria della crescita infinita ha sempre meno sostenitori mentre crescono le ragioni dei teorici della decrescita e di coloro che sostengono che siamo entrati in una stagnazione di lunga durata se non addirittura secolare.
Comunque la si pensi rispetto a questi schieramenti non c’è dubbio che siamo di fronte a nuovi scenari ed a nuovi problemi: la disoccupazione ha assunto dimensioni enormi destinate ad aumentare ulteriormente e velocemente; la distribuzione dei redditi è contrassegnata da diseguaglianze crescenti e sempre più insostenibili; il modello di sviluppo mostra i suoi limiti ed i cambiamenti climatici ne mettono in discussione le stesse fondamenta.

il ruolo della politica e della cultura
Come rispondere a queste novità ed ai problemi che ne discendono?
Questi sono i grandi interrogativi ai quali sono chiamati a rispondere la politica e la cultura dei nostri tempi.
Naturalmente i problemi di cui parliamo non nascono improvvisamente oggi, ma erano già presenti nelle analisi della evoluzione del capitalismo sviluppate dai più grandi economisti. Che il progresso tecnologico avrebbe generato straordinari incrementi di produttività e quindi ridotto le ore di lavoro necessarie, lo avevano detto Marx prima e Keynes dopo. Quest’ultimo, estrapolando le tendenze allora in atto, aveva calcolato che «tra cento anni» il problema economico del mondo sarebbe stato risolto ed aveva avanzato la profezia che il lavoro si sarebbe ridotto a tre ore settimanali.
I cento anni scadono tra poco, nel 2028, ed anche se nel nostro dibattito il tema della riduzione delle ore di lavoro è sempre più di attualità, siamo ancora ben lontani dall’avverarsi di quella profezia.
La causa principale del fallimento di quelle previsioni è nota: l’autore si muoveva dentro il modello di sviluppo industriale, quindi dentro una ipotesi di crescita illimitata nella quale avrebbero potuto trovare spazio sia il miglioramento dei salari che la riduzione dell’orario di lavoro.
La storia, invece, ha preso un’altra strada ed il lavoro, i redditi, il modello di sviluppo da fattori positivi di evoluzione sono diventati nodi aggrovigliati da sciogliere.

nodi aggrovigliati
Cosa ha determinato questo mutamento? Due fenomeni innanzitutto.
Il primo è che è saltata la relazione lineare tra lavoro e reddito. In particolare: si è offuscato il confine tra lavoro dipendente e lavoro autonomo (vedi ad esempio fenomeno delle false partite Iva); si è attenuata la divisione tra lavoro e non lavoro (in termini di sicurezza, tipologia contrattuale e durata del lavoro esistono ormai tantissime sfumature intermedie che producono un andirivieni tra i due mondi); aumentano sempre di più i lavori che possono essere svolti sia con una retribuzione che gratuitamente per piacere o sensibilità sociale e crescono i casi in cui lo stesso lavoro può essere svolto sia da persone «occupate» che da persone «non occupate». In questo contesto lo stesso mondo dei disoccupati appare meno semplice di come viene definito e comprende anche soggetti che pur restando classificati, socialmente e statisticamente, come disoccupati, creano ricchezza per la collettività, si formano, svolgono attività creative, accrescono, così, il «capitale umano» della collettività.
Insomma la relazione tra lavoro e reddito si è riconfigurata in un ventaglio di forme diverse di lavoro e di remunerazione che vede intrecci, sovrapposizioni, sostituzioni dinamiche di ruoli e funzioni.
È in questo mondo dalle mille sfumature che avanza l’idea di un reddito di cittadinanza, erogato a prescindere dalla prestazione lavorativa come diritto naturale di ogni cittadino.
Il secondo fenomeno è rappresentato dal fatto che la crescita, che costituiva la fase terminale ed iniziale dell’ingranaggio, non appare più garantita ed inarrestabile. Se negli anni sessanta il Pil cresceva mediamente sopra il 4%, negli anni settanta esso è cresciuto del 3%, negli anni ottanta del 2% e, con la crisi del 2008, i tassi di crescita si stanno stabilizzando attorno all’1-2%. L’affacciarsi alla storia di una fase non più di crescita, ma di sostanziale stagnazione di lungo periodo cambia radicalmente le fondamenta stesse della evoluzione profetizzata. Non si tratta di cancellare quelle intenzioni e quelle speranze liberatorie insite nella riduzione delle ore di lavoro e nel miglioramento del reddito, ma di ricollocarle nella concretezza della fase storica che stiamo vivendo e che vivremo. Insomma la riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione ed il diritto ad un reddito a prescindere dal lavoro debbono diventare obiettivi fatti propri dalle forze politiche e capaci di mobilitare aree consistenti di popolazione soprattutto in presenza di vincoli di bilancio sempre più rigidi che limitano e spesso paralizzano stati nazionali ed enti locali.
Questo è il grande problema dei nostri tempi: come rideclinare gli obiettivi di «meno ore a parità di salario» nel nuovo scenario dell’economia reale e finanziaria e, soprattutto, nella competizione tra aree sviluppate ed aree arretrate che si svolge sul terreno del contenimento del costo del lavoro e che va, quindi, in direzione opposta a quella auspicata presentando addirittura nuove forme di schiavismo con orari più lunghi e salari più bassi.

tre macro scelte e alcune proposte
Per contribuire al dibattito aperto su Rocca penso si debba lavorare all’interno di tre macro scelte:
a- Assumere la redistribuzione di quello che c’è e che si produce come asse centrale e prioritario: se prima si puntava a distribuire meglio i benefici della crescita, oggi dobbiamo operare sulla redistribuzione dei redditi e delle ricchezze esistenti. Compito, questo secondo, più difficile del primo, ma ineludibile.
b- Utilizzare al meglio le scarse risorse esistenti evitando di disperderle in mille rivoli magari rivolti alla ricerca di consensi di strati sociali ed elettorali. Bisogna, al contrario, concentrare le risorse su pochi e precisi obiettivi. Occorre, quindi, delineare una proposta organica di entrate e di spese nella quale sia visibile la relazione tra obiettivi di spesa e reperimento di risorse.
c- Quanto detto non significa affatto rinunciare all’idea dello sviluppo e della crescita. Significa solo che non si può aspettare una ripresa quasi automatica del modello di sviluppo passato che assicuri le risorse necessarie a perseguire gli obiettivi di riduzione degli orari e mantenimento dei redditi reali. Al contrario, significa che occorre investire per un modello di sviluppo che segni una discontinuità rispetto al passato, che non affidi alla spontaneità del mercato e delle sue leggi i settori produttivi sui quali puntare per una nuova fase di sviluppo, che rilanci una «funzione pubblica di orientamento» degli investimenti verso settori produttivi con capacità espansive e generatrici di occupazione. Volendo articolare con maggiore dettaglio queste linee generali vorrei sottoporre al dibattito in corso alcune proposte, naturalmente non tutte nuove, che siano coerenti con i tre macro obiettivi delineati.

redistribuzione del lavoro
Il lavoro è e resta un momento fondamentale per la costruzione dell’identità personale. Quando esso viene negato il tempo libero rischia di diventare tempo vuoto. Senza escludere politiche di sviluppo che saranno proposte in seguito, si dovrebbe puntare ad allargare la platea del lavoro ad orario ridotto per scelta volontaria (in Italia il part-time scelto è di gran lunga inferiore a quello dei principali paesi europei). Per questo si deve perseguire la riduzione degli orari di lavoro per creare nuova occupazione facendo politiche volte a far diventare il contratto di lavoro a tempo ridotto un normale contratto di lavoro, incentivando i contratti a tempo ridotto e disincentivando quelli più del normale. Allo stesso obiettivo di redistribuzione po- trebbero contribuire altre misure come ad esempio: abbassare l’età pensionabile e flessibilizzare l’uscita per consentire all’azienda nuove assunzioni; riarticolare l’imposizione fiscale e contributiva sulla base dell’orario di lavoro con aliquote più basse per orari ridotti, più alte per orari normali, molto più alte per il lavoro straordinario; detassare i contratti «aziendali» di solidarietà; istituire i «contratti territoriali di solidarietà» per consentire che nelle aziende sane si possano ridurre gli orari e concordare nuove assunzioni nel territorio; creare un «Fondo di sostegno alla redistribuzione del lavoro» i cui oneri do- vrebbero essere considerati investimenti da escludere, quindi, dai vincoli di bilancio. Naturalmente l’insieme di questi obiettivi richiede risorse, quindi maggiori entrate.

recupero evasione fiscale e progressività
Abbiamo alle spalle un lungo periodo in cui le politiche pubbliche sono state concentrate sulla spesa pubblica da tagliare e sulla pressione fiscale da diminuire. Le conseguenze di queste politiche sono state l’austerità che ha bloccato ogni possibilità di ripresa e di espansione e l’abbassamento delle aliquote fiscali sui redditi alti (mentre sono salite quelle sui redditi bassi).
È chiaro che con i livelli di evasione e di prelievo sulle diverse fasce di reddito esistenti, politiche come quelle accennate non sono perseguibili. Ancora di più, naturalmente, se dovessero prendere corpo ipotesi, come quella della aliquota unica e bassa, che non potrebbero che abbassare ulteriormente le entrate.
Anche per contrastare queste tendenze e la cultura che le supporta occorre che sugli obiettivi indicati di maggiore occupazione e redditi si realizzi una vasta condivisione che crei la controtendenza necessaria. Ed occorre rilanciare un principio base della nostra costituzione, quello della progressività fiscale, da applicare sia ai redditi che ai grandi patrimoni.
Solo da questa inversione culturale e politica possono derivare risorse consistenti da destinare alle politiche sul lavoro e sui redditi.

nuovo modello di sviluppo
Il nostro è un paese con caratteristiche positive (storiche, culturali, ambientali…) accanto alle quali convivono aspetti negativi spesso strettamente correlati (vetustà ed abbandono di centri storici, dissesti ambientali, abusivismo diffuso…). Questi aspetti apparentemente contradditori potrebbero costituire un motore sincronizzato di ripresa economica agendo su settori strategici, come ad esempio la manutenzione abitativa ed ambientale, che hanno effetti moltiplicativi sia verso i settori produttivi direttamente collegati (edilizia, chimica, metallurgia, legno…) che sull’intera economia (turismo, redditi, consumi…).
In Italia, inoltre, c’è un elevato tasso di risparmio. Non è perciò azzardato pensare ad un grande progetto paese che in- centivi organismi pubblici possessori di capitali immobiliari e privati cittadini ad investire nella manutenzione con incentivi e crediti pluriennali commisurati agli incrementi di valore ed ai benefici nel tempo.
Si tratta in questo senso di potenziare politiche di incentivi avviate facendole diventare più efficaci e potenziando le risorse ad esse destinate. Attorno ad una scelta strategica di questa natura si potrebbero sviluppare altre politiche integrative (vedi le più recenti proposte avanzate da Sbilanciamoci) come nuova spesa pubblica per servizi e conoscenza, investimenti in piccole opere, ricostruzioni, tagli e revisioni di spese sbagliate (come ad esempio gli incentivi del jobs act), finanziamento in deficit (moneta fiscale), tassazione delle transazioni finanziarie, tassa sulle grandi società dell’economia digitale, tassa di successione, politiche fiscali mirate sull’ambiente (sviluppo di beni e modi di produzione a basso impatto ambientale, mobilità integrata, riparazione e manutenzione dei beni esistenti), sviluppo delle tecnologie Ict puntando alla condivisione piuttosto che ai diritti di proprietà, welfare ed assistenza, incentivi a produrre apparecchi elettromedicali, laboratori, ecc. Ed infine la valorizzazione appena avviata con stanziamenti simbolici dei piccoli comuni che sono, nel nostro paese, un possibile serbatoio di futuro e non solo un residuo del passato.
Insomma bisognerebbe, penso, andare oltre i vizi ideologici di schierarci, per il lavoro o per il reddito, per rispondere all’emergenza o per pensare al futuro, e delineare un progetto organico, pluriennale dentro il quale collocare risposte diverse e distribuite nel tempo a problemi diversi e complessi.
Solo con un disegno di queste dimensioni si può coltivare l’ambizione di un nuovo circolo virtuoso nel quale lavoro, reddito e modello di sviluppo riprendano a girare ed a produrre futuro.
Aldo Eduardo Carra

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Oggi domenica 15 ottobre 2017

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Come al solito la donnina saggia del grande Altan coglie il punto: lavorano indefessi a una legge elettorale che respingerà moltissimi dalle urne. E’ il massimo di disprezzo per la democrazia, oppure una gran furbata per restare al potere? Forse l’uno e l’altro insieme. Su eddyburg ripreso da aladinews.
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democraziaoggi loghettoLegge elettorale, Zagrebelsky: “Non è più dei cittadini, ma dei partiti. Rischiamo l’ennesima riforma incostituzionale”.
15 Ottobre 2017
Su Democraziaoggi.
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Non ci sono risorse per l’accoglienza dei migranti, per la difesa del suolo, per gli spazi pubblici, per la salute, per la scuola, per la cultura, per l ‘università, per l’assistenza ai vecchi e ai disabili, per i parchi pubblici. Sapete a quanto ammontano le spese militari in Italia? 63 milioni di euro al giorno, di cui 15 milioni per armamenti. Su eddyburg.
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