Monthly Archives: settembre 2017

La Cultura ci salverà? Di quali istituzioni abbiamo bisogno per “uscire dall’età dell’ignoranza”?

quattroCultura in Italia: sagre della castagna o piazze del Sapere?

Pubblicato il: 25/08/2016, su Il Giornale delle Fondazioni.
di Antonella Agnoli

Riprendiamo da SPECIALE MECENATE ’90. Sesto contributo dello Speciale sull’innovazione delle politiche culturali in collaborazione con Mecenate ’90. La parola ad Antonella Agnoli, riferimento nazionale per le biblioteche che pone un forte interrogativo, al di là di ogni provocazione. Troppe strutture, troppi eventi non coordinati. “Di quali istituzioni abbiamo bisogno” per uscire “dall’età dell’ignoranza?” In Italia circa una persona su 5, non svolge alcuna attività culturale, anche se semplice e occasionale, cioè nell’ultimo anno non ha né letto un libro o un giornale, né visitato un museo, una mostra, un sito archeologico, né è andato a teatro, al cinema, a un concerto a uno spettacolo sportivo e nemmeno a ballare. Un invito ad una riflessione radicale sulle politiche culturali territoriali per superare la trappola dell’attrazione turistica ad ogni costo, del consenso di breve. Con “gli investimenti” pubblici “rivolti agli eventi si potrebbero fare funzionare meglio le strutture culturali per combattere la povertà educativa che affligge il nostro Paese”, puntando su “strutture presenti sul territorio con la stessa capillarità delle caserme dei vigili del fuoco. diverse da quelle esistenti (..) musei che sappiano innanzitutto aprirsi ai bambini (…) luoghi dove i cittadini possano fare esperienze” invece di ostinarci “a mantenere aperte realtà che non si parlano e non si coordinano (…). Abbiamo bisogno di innovazione, di sperimentazione”
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Abito a Bologna. Faccio parte del Consiglio d’amministrazione dell’istituzione Biblioteche. Inizierò quindi la mia riflessione sul rilancio della cultura in Italia con una proposta: chiudere Sala Borsa, la Cineteca, il MAMbo, il museo della Musica, la Pinacoteca. E, allargando lo sguardo a paesi e città vicine, propongo anche di rinunciare alla “Sagra del Tortellino tradizionale” (Castelfranco Emilia), di eliminare “Granarolo in festa” (Granarolo) e di abolire la “Sagra della castagna e del borlengo” (Labante). Sono poi convinta che la regione potrebbe sopravvivere anche facendo a meno della “Festa del villeggiante: una grande gara di briscola con premi di salumeria e tanta allegria” che si è svolta qualche giorno fa a Castel d’Aiano, sull’Appennino bolognese.

Forse l’idea di azzerare le istituzioni culturali della mia città, e di cancellare tutte le manifestazioni estive, è troppo provocatoria, ma abbiamo bisogno di riflettere su due cose: che politica turistico-culturale fanno gli enti locali e di quali istituzioni abbiamo bisogno.

Il punto di partenza è il fatto che da Bolzano a Pantelleria, dal Ministero al più piccolo comune, cultura e turismo si mescolano. La cultura deve essere “produttiva”, altrimenti non ce la possiamo permettere, ci dicono. Non a caso, come ha scritto Alessandro Leon sui queste colonne, negli ultimi anni c’è stata “una forte riduzione delle risorse pubbliche assegnate alla cultura, una diminuzione che non ha confronti con quella subita da altri settori dello Stato. La responsabilità di questo stato delle cose si situa nelle politiche economiche dell’Unione Europea ispirate alla cosiddetta austerità e risale all’accordo sottoscritto nel 1997 dai paesi membri dell’Unione europea e inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio pubbliche allo scopo di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria”.
Quindi i fondi diminuiscono e quelli che ci sono vengono usati o per pagare il personale esistente, con un sostanziale blocco delle assunzioni, o per iniziative che promettano un qualche ritorno sotto forma di maggiore afflusso di turisti. Nessuno osa criticare le sagre, per timore di essere considerato spocchioso, elitista e antidemocratico: in fondo chi sono io per decretare che a Turi avere una biblioteca aperta e funzionante è meglio della sagra della ciliegia Ferrovia, o che la gara di briscola è meglio dello spettacolo teatrale per bambini?
In realtà, io non ho nulla contro le gare di briscola purché facciano appello allo sforzo degli appassionati, senza chiedere un euro al Comune, e neppure un’ora di straordinario dei vigili, degli addetti alle pulizie delle strade e dei vigili del fuoco. Il problema nasce quando sindaci e assessori in cerca di facile popolarità si prestano ben volentieri a concedere piccoli contributi alle sagre, oltre all’occupazione del suolo pubblico e alle modifiche alla circolazione. Quelli sono soldi che andrebbero messi nel salvadanaio e usati per qualcos’altro.
A scanso di equivoci, dirò anche che gli eventi culturali, in particolare i premi letterari, sono sostanzialmente uno spreco di denaro pubblico, pochi fanno eccezione. So di dare un dispiacere ai 7000 e passa assessori alla Cultura dei comuni italiani che sponsorizzano un premio letterario, ma francamente credo che pochi di loro abbiano contribuito alla scoperta di un nuovo talento, alla nascita di un giovane scrittore. Vale la pena ricordare che secondo le ultime rilevazioni ISTAT in Italia circa una persona su 5, ossia il 18,5% della popolazione, non svolge alcuna attività culturale, anche se semplice e occasionale, e cioè nell’ultimo anno non ha né letto un libro o un giornale, né visitato un museo, una mostra, un sito archeologico, né è andato a teatro, al cinema, a un concerto a uno spettacolo sportivo e nemmeno a ballare. Una percentuale che sale al 28,2% al Sud, e cala al 12,1% nel Nord Est.
Con i soldi risparmiati sugli eventi si potrebbero fare funzionare meglio le strutture culturali per combattere la povertà educativa che affligge il nostro Paese. La povertà educativa ha cause complesse e lontane nel tempo ma certo non possiamo pensare di combatterla, e di continuare a tollerare l’analfabetismo funzionale di molti adulti, se non chiediamo al governo di cambiare rotta, di uscire dall’età dell’ignoranza in cui siamo precipitati. Abbiamo bisogno di strutture permanenti, di base, che siano aperte a tutta la popolazione, a cominciare dalla scuola elementare e dalle biblioteche di pubblica lettura. Questa è la vera scelta da fare, il vero programma per un rilancio della cultura in Italia: puntare su strutture presenti sul territorio con la stessa capillarità delle caserme dei vigili del fuoco.
Penso a strutture diverse da quelle esistenti, per esempio musei che sappiano innanzitutto aprirsi ai bambini. Perché i musei scandinavi sono pieni di pargoli che guardano, toccano, copiano, colorano le opere d’arte mentre da noi i bimbi sono visti come un fastidio e al massimo arrivano, annoiati, in gruppo con la maestra, a guardare da lontano teche polverose e quadri protetti dagli allarmi?

Il discorso sulle strutture, tuttavia, esige qualche approfondimento: gli assetti attuali sono inadatti al mondo in cui viviamo, e non c’è solo il problema di iper-regolamentazione, giustamente messo in rilievo da Michele Trimarchi su questo speciale. La prima cosa da fare è creare grandi strutture multimediali, dove convivano arte e scienza, lettura e cinema, musica e teatro, attività fisica e sperimentazione.
A Bologna forse non sarebbe possibile costruire una nuova, grande struttura, un nuovo edificio al posto di Sala Borsa, della Cineteca, del MAMbo e del museo della Musica. Però sappiamo che le istituzioni esistenti sono troppo piccole, vecchie, asfittiche, soprattutto nei piccoli Comuni, e soprattutto non lavorano insieme: se vogliamo creare nuovi pubblici non dobbiamo puntare sull’ennesima mostra degli impressionisti, ma su luoghi dove i cittadini possano fare esperienze diverse, dal libro al quadro di Morandi, dal giornale alla scultura di Brancusi, dalla partitura di Ravel alla fotografia di Nick Brandt, dal fumetto di Zerocalcare al film di Bertolucci.
Non si tratta di una ricetta particolarmente originale, visto che già negli anni Settanta il Beaubourg a Parigi metteva insieme forme diverse di espressione culturale, con enorme successo, e che da allora i grandi musei e le grandi biblioteche hanno tutti cercato di ampliare la loro offerta. Noi ci ostiniamo a mantenere aperte strutture che non si parlano e non si coordinano fra loro, frammentate nel personale, negli orari, nei programmi. Abbiamo bisogno di innovazione, di sperimentazione ma soprattutto di istituzioni con una massa critica sufficiente per competere sul piano internazionale: i musei di paese fatti di due stanze, aperte tre pomeriggi la settimana non ci portano da nessuna parte. Questo è ovvio nelle piccole città e nei paesi ma rimane vero anche per Milano, Roma e Firenze.

Le istituzioni esistenti devono cooperare e fare sinergia tra loro, meglio se in sedi con offerte multiple: vorrei vedere la biblioteca insieme al teatro, al cinema, alla piscina.

Antonella Agnoli
Esperta in biblioteche

oggi martedì 5 settembre 2017

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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logo_il-giornale-delle-fondazioniVERSO UNA NUOVA GEOGRAFIA DELLE PROFESSIONI DELL’ARTE. È FINITA L’EPOCA DEI CURATORI?

Pubblicato il: 13/08/2017 – su Il Giornale delle Fondazioni.
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lampada aladin micromicroGli editoriali di Aladinews. IL PROCESSO DI INDUSTRIALIZZAZIONE IN SARDEGNA NEI DOCUMENTARI DAGLI ANNI ’50 AI GIORNI NOSTRI
di Antonello Zanda
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978885812734680x121Viviamo il tempo della retrotopia
di ZYGMUNT BAUMAN
«Il brano è tratto da Retrotopia, l’ultimo libro di Zygmunt Bauman il quale sostiene che nella società contemporanea l’utopia guarda a un passato che consideriamo più rassicurante». Robinson/la Repubblica, 3 settembre 2017 (c.m.c), ripreso da eddyburg.
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In Sardegna c’è chi spreca anche la bellezza
democraziaoggi5 Settembre 2017

Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
lampadadialadmicromicro13Per correlazione su Aladinews: https://www.aladinpensiero.it/?p=72032
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Verso il Convegno sul Lavoro promosso dal Comitato d’Iniziativa Sociale Costituzionale Statutaria, 4 e 5 ottobre 2017

Le tre relazioni portanti affidate a Silvano Tagliagambe (filosofo), Gianfranco Sabattini (economista), Domenico De Masi (sociologo).

costat-logo-stef-p-c_2-2Lavorare meno, lavorare meglio, lavorare tutti.
Il lavoro come fondamento della Repubblica

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de-masi-fto

Verso il Convegno sul Lavoro. Documentazione sull’Economia Sociale e Solidale (ESS)

essglobalAssi tematici:

1 – Un’altra visione dell’economia
2 – Ridefinire la ricchezza
3 – Riconciliare economia e ecologia
4 – Giustizia sociale, pace e solidarietà
5 – Finanza e monete al servizio della società
6 – Altri modi d’intraprendere, di produrre e di consumare
7 – Quali politiche pubbliche per un’economia solidale?
8 – Ridefinire l’economia a partire dal territorio
9 – Educazione, informazione e formazione nell’ESS
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Fonte: http://www.socioeco.org/bdf_axe-1_it.html

- segue –

Oggi lunedì 4 settembre 2017

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. LavoroDisuguaglianzeCheFare? Un intervento di Chiara Saraceno a commento del recente provvedimento governativo di introduzione del reddito minimo per i poveri. “… È anche importante che accanto al sostegno al reddito siano previste attività diversificate di integrazione sociale, che vedano coinvolti più attori locali: dalla formazione all’accompagnamento al lavoro, ai servizi di riabilitazione, al sostegno alla partecipazione sociale”.
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lampada aladin micromicroGli editoriali di Aladinews. IL PROCESSO DI INDUSTRIALIZZAZIONE IN SARDEGNA NEI DOCUMENTARI DAGLI ANNI ’50 AI GIORNI NOSTRI
di Antonello Zanda
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democraziaoggiIl 4 dicembre ha vinto Renzi? Ma va!
4 Settembre 2017

Gianfranco Sabattini, su Democraziaoggi.
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La città come bene comune

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La città che sale, di Umberto Boccioni.

LA CITTÀ COME BENE COMUNE
Data di pubblicazione: 11.09.2008, associazione Ottavo al colle, Roma Municipio XI.
di Edoardo Salzano.
Relazione al seminario internazionale “Quale futuro scegliamo: la metropoli neoliberista o una città comune e solidale?”, European Social Forum, Malmö, 19 settembre 2008

LA CITTÀ COME BENE COMUNE

Tre parole

In Europa cresce il movimento che rivendica la città come bene comune. Che cosa significa questa espressione? Interroghiamoci sulle tre parole che la compongono

Città

Nell’esperienza europea la città non è semplicemente un aggregato di case. La città è un sistema nel quale le abitazioni, i luoghi destinati alla vita e alle attività comuni (le scuole e le chiese, le piazze e i parchi, gli ospedali e i mercati ecc.) e le altre sedi delle attività lavorative (le fabbriche, gli uffici) sono strettamente integrate tra loro e servite nel loro insieme da una rete di infrastrutture che mettono in comunicazione le diverse parti tra loro e le alimentano di acqua, energia, gas. La città à la casa di una comunità.

Essenziale perché un insediamento sia una città è che esso sia l’espressione fisica e l’organizzazione spaziale di una società, cioè di un insieme di famiglie legate tra loro da vincoli di comune identità, reciproca solidarietà, regole condivise.

Bene

La città è un bene, non è una merce. La distinzione tra questi due termini è essenziale per sopravvivere nella moderna società capitalistica. Bene e merce sono due modi diversi per vedere e vivere gli stessi oggetti.

Un bene è qualcosa che ha valore di per sé, per l’uso che ne fanno, o ne possono fare, le persone che lo utilizzano. Un bene è qualcosa che mi aiuta a soddisfare i bisogni elementari (nutrirmi, dissetarmi, coprirmi, curarmi), quelli della conoscenza (apprendere, informarmi e informare, comunicare), quelli dell’affetto e del piacere (l’amicizia, la solidarietà, l’amore, il godimento estetico). Un bene ha un identità: ogni bene è diverso da ogni altro bene. Un bene è qualcosa che io adopero senza cancellarlo o alienarlo, senza logorarlo né distruggerlo.

Una merce è qualcosa che ha valore solo in quando posso scambiarla con la moneta. Una merce è qualcosa che non ha valore in se, ma solo per ciò che può aggiungere alla mia ricchezza materiale, al mio potere sugli altri. Una merce è qualcosa che io posso distruggere per formarne un’altra che ha un valore economico maggiore: posso distruggere un bel paesaggio per scavare una miniera, posso degradare un uomo per farne uno schiavo. Ogni merce è uguale a ogni altra merce perché tutte le merci sono misurate dalla moneta con cui possono essere scambiate.

Comune

Comune non vuol dire pubblico, anche se spesso è utile che lo diventi. Comune vuol dire che appartiene a più persone unite da vincoli volontari di identità e solidarietà. Vuol dire che soddisfa un bisogno che i singoli non possono soddisfare senza unirsi agli altri e senza condividere un progetto e una gestione del bene comune.

Nell’esperienza europea ogni persona appartiene a più comunità. Alla comunità locale, che è quella dove è nato e cresciuto, dove abita e lavora, dove abitano i suoi parenti e le persone che vede ogni giorno, dove sono collocati i servizi che adopera ogni giorno. Appartiene alla comunità del villaggio, del paese, del quartiere. Ma ogni persona appartiene anche a comunità più vaste, che condividono la sua storia, la sua lingua, le sue abitudini e tradizioni, i suoi cibi e le sue bevande. Io sono Veneziano, ma sono anche italiano, e sono anche europeo, e anche membro dell’umanità: a ciascuna di queste comunità mi legano la mia vita e la mia storia.

Appartenere a una comunità (essere veneziano, italiano, europeo) mi rende responsabile di quello che in quella comunità avviene. Lotterò con tutte le mie forze è perchè in nessuna delle comunità cui appartengo prevalgano la sopraffazione, la disuguaglianza, l’ingiustizia, il razzismo, e perché in tutte prevalga il benessere materiale e morale, la solidarietà, la gioia di tutti. Appartenere a una comunità (essere veneziano, italiano, europeo) mi rende consapevole della mia identità, dell’essere la mia identità diversa da quella degli altri, e mi fa sentire la mia identità come una ricchezza di tutti. Quindi mi fa sentire come una mia ricchezza l’identità degli altri paesi, delle altre città, delle altre nazioni. Sento le nostre diversità come una ricchezza di tutti.

LA DIMENSIONE PUBBLICA NELLA CITTÀ EUROPEA

Nella storia

Nella città della tradizione europea sono sempre stati importanti gli spazi pubblici, i luoghi nei quali stare insieme, commerciare, celebrare insieme i riti religiosi, svolgere attività comuni e utilizzare servizi comuni. Dalla città greca alla città romana fino alla città del medioevo e del rinascimento, decisivo è stato il ruolo delle piazze: le piazze come il luogo dell’incontro tra le persone, ma anche come lo spazio sul quale affacciavano gli edifici principali, gli edifici destinati allo svolgimento delle funzioni comuni: il mercato e il tribunale, la chiesa e il palazzo del governo cittadino.

Le piazze erano i fuochi dell’ordinamento della città. Lì i membri delle singole famiglie diventavano cittadini, membri di una comunità. Lì celebravano i loro riti religiosi, si incontravano e scambiavano informazioni e sentimenti, cercavano e offrivano lavoro, accorrevano quando c’era un evento importante per la città: un giudizio, un allarme, una festa.

Dove la città era grande e importante, invece di un’unica piazza c’era un sistema di piazze: più piazze vicine, collegate dal disegno urbano, ciascuna dedicata a una specifica funzione: la piazza del Mercato, la piazza dei Signori, la piazza del Duomo. Dove la città era organizzata in quartieri (ciascuno espressione spaziale di una comunità più piccola dell’intera città), ogni quartiere aveva la sua piazza, ma erano tutti satelliti della piazza più grande, della piazza (o del sistema di piazze) cittadine.

Le piazze, gli edifici pubblici che su di esse si affacciavano e le strade che le connettevano costituivano l’ossatura della città. Le abitazioni e le botteghe ne costituivano il tessuto. Una città senza le sue piazze e i suoi palazzi destinati ai consumi e ai servizi comuni era inconcepibile, come un corpo umano senza scheletro.

Gli spazi comuni nel welfare state

Gli spazi comuni della città sono il luogo della socializzazione di tutti i cittadini. A differenza delle fabbriche (che nella società capitalistica diventano i luoghi della socializzazione dei lavoratori) gli spazi comuni della città sono il luogo della socializzazione di tutti: tutti i cittadini possono fruirne, indipendentemente dal reddito, dall’età, dell’occupazione. E sono il luogo dell’incontro con lo straniero.

Nel XIX e XX secolo il movimento di emancipazione del lavoro, che nasce dalla solidarietà di fabbrica, si estende a tutta la città. Il governo della città non è più solo dei padroni dei mezzi di produzione: cresce la dialettica tra lavoro e capitale, nasce il welfare state. I luoghi del consumo comune si arricchiscono di nuove componenti: le scuole, gli ambulatori e gli ospedali, gli asili nido, gli impianti sportivi, i mercati di quartiere sono il frutto di lotte accanite, tenaci, nelle quali le organizzazioni della classe operaia gettano il loro peso.

L’emancipazione femminile accresce ancora il ruolo degli spazi pubblici destinati ad alleggerire il lavoro casalingo delle donne. In Italia è negli anno 60 del secolo scorso che, parallelamente al superamento al consistente ingresso delle donne nel mondo del lavoro della fabbrica e dell’ufficio, nasce una forte e vittoriosa tensione per ottenere, nei piani attraverso cui si organizza la città, spazi in quantità adeguate per le esigenze sociali dei cittadini

Non solo gli spazi pubblici, anche la residenza: la casa come servizio sociale

Nella città moderna anche l’abitazione diventa un problema che non può essere abbandonata alle soluzioni individuali. C’è (c’è sempre stata) l’esigenza di assicurare all’insieme degli interventi individuali e privati un disegno complessivo, delle regole certe, che contribuiscano a rendere la città qualcosa di diverso da un’accozzaglia di elementi dissonanti: a questo serve la regolamentazione urbanistica ed edilizia.

Ma questo non basta. Il prezzo dei terreni edificabili cresce senza tregua man mano che la città si estende, che aumentano le sue dotazioni di infrastrutture e servizi. L’aumento del valore dei suoli dipende dalle decisioni e dagli investimenti della collettività, ma in quasi tutti gli stati capitalisti esso (la rendita) va nelle tasche dei proprietari. Questo incide pesantemente sui prezzi delle costruzioni, in particolare delle abitazioni.

Nasce la necessità di governare il mercato delle abitazioni con interventi dello stato: case ad affitti moderati per i ceti meno ricchi, regolamentazione anche del mercato privato. Nascono vertenze nelle quali risuona lo slogan “la casa come servizio sociale”. Con questa parola d’ordine non si chiede che l’abitazione venga offerta gratuitamente a tutti i cittadini, ma che la questione delle abitazioni sia regolata da attori diversi dal mercato, incidendo sulla rendita e garantendo un equilibrio tra prezzo dell’alloggio e redditi delle famiglie.

LA CITTÀ COME BENE COMUNE
NELLA FASE ATTUALE DEL CAPITALISMO

Il primato dell’individuo sulla società

Oggi le cose stanno cambiando. Nei secoli appena passati sono accaduti eventi che hanno profondamente indebolito il carattere comune, collettivo della città. Si discute sulle cause del cambiamento. Ci si domanda perché hanno prevalso concezioni dell’uomo, dell’economia, della società che hanno condotto al primato dell’individuo sulla comunità, che hanno schiacciato l’uomo sulla sua dimensione economica (di strumento della produzione di merci), che hanno reso la politica serva dell’economia.

Le due componenti dell’uomo che ne caratterizzano l’individualità (quella privata, intima, e quella sociale, pubblica) avevano forse trovato un equilibrio, che si rifletteva nell’organizzazione della città: la vita si svolgeva nell’abitazione e nella piazza, nello spazio privato e in quello pubblico, senza barriere tra l’uno e l’altro. Oggi, con Richard Sennett, constatiamo con angoscia “il declino dell’uomo pubblico”. E nella città lo vediamo pienamente rappresntato.

E non trascuriamo le ragioni strutturali, a partire dal suolo urbano. Il suolo su cui la città era fondata era considerato patrimonio della collettività in molte regioni europee: il libro di Hans Bermpulli, La città e il suolo urbano, lo racconta in modo molto efficace. Nel XIX secolo, con il trionfo della borghesia capitalistica, in molti paesi dell’Europa è stato privatizzato. La speculazione sui terreni urbani ha portato a costruire sempre più edifici da vendere come abitazioni o come uffici, invece che servizi per tutta la cittadinanza, e a destinare sempre meno spazi agli usi collettivi.

Devastante è stata l’espansione della motorizzazione privata nelle aree densamente popolate, dove sarebbe stato preferibile adoperare mezzi di trasporto collettivi. Le automobili hanno cacciato i cittadini dalle piazze e dai marciapiedi.

Il bisogno dei cittadini di disporre di spazi comuni è stato strumentalmente utilizzato per aumentare artificiosamente il consumo di merci. Le aziende produttrici di merci sempre più opulente e meno utili hanno costruito degli spazi comuni artificiali: dei Mall o degli Outlet centers o altre forme di creazione di spazi chiusi: piazze e mercati finti, privatamente gestiti, frequentati da moltitudini di persone che, più che cittadini (quindi persone consapevoli della loro dignità e dei loro diritti) sono considerati clienti (quindi persone dotate di un buon portafoglio).

In Italia si è abbandonato ogni tentativo di ridurre il peso della rendita immobiliare. Si sono stretti legami forti tra rendita finanziaria e rendita immobiliare. Le grandi industrie (come la FIAT e la Pirelli) hanno dirottato i loro investimenti dall’industria alla speculazione immobiliare. Da oltre un decennio si è interrotto qualsiasi impegno dello Stato nel campo dell’edilizia sociale. Una proposta di legge presentata dai partiti che attualmente governato prevede addirittura di lasciare ai promotori immobiliari la realizzazione e gestione delle attrezzature pubbliche, e la stessa pianificazione urbanistica, che dovrebbe limitarsi ad accettare i progetti urbanistici presentati dalla proprietà immobiliare.

Tutto questo avviene nel quadro di una fortissima spinta verso le soluzioni individuali. Non solo si riduce il welfare state, ma si convincono i cittadini (attraverso il monopolio dell’informazione televisiva e l’onnipresenza della pubblicità) che raggiunge il benessere chi si arrangia per conto suo, calpestando le regole ed evitando di pacare le tasse. In Italia, negli ultimi venti anni, il declino dell’uomo pubblico è avvenuto in modo crescente.

Il modello della città del neoliberalismo

Come ha scritto Jean-François Tribillon, nel modello neoliberale
“- lo spazio urbano è costituito da mercati sovrapposti (i mercati dei suoli, degli alloggi, del lavoro, dei capitali, dei servizi …),scandito dai servizi collettivi (trasporti, polizia, sicurezza, amministrazione generale…) e dalla regolamentazione urbana;
- i gruppi sociali si collocano nello spazio urbano nei luoghi assegnati loro dalle dinamiche economico-sociali o dai processi di sfruttamento/oppressione di cui sono oggetto;
- lo spazio urbano è disseminato da attrezzature dell’economia globale: sedi delle grandi imprese, complessi alberghieri, centri congressi, banche internazionali…: questi feudi dell’economia globale costituiscono una città nella città, autonoma e dominatrice”.

Un potere sempre più concentrato e globalizzato risiede nei luoghi selezionati nelle città globali. I cittadini sono tendenzialmente ridotti a sudditi: il padrone è il Mercato, dove i forti schiacciano sistematicamente i deboli.

Il Mercato non deve essere disturbato: le regole sono un impaccio, devono essere ridotte al minimo: solo a far funzionare la città così come serve a chi comanda. La politica si riduce alla tecnicità disincarnata della gestione dell’esistente.

L’emarginazione, la segregazione, la rimozione diventano pratiche di pianificazione. I servizi collettivi sono finalizzati a garantire contro ogni tentativo di ribellione.

La distribuzione dell’informazione o organizzata per accrescere il consenso per il potere e per impedire che voci alternative possano farsi sentire.

Le conseguenze sociali

La realizzazione del modello neoliberalista, se arricchisce i ricchi, colpisce tutti quelli che ricchi non sono.

È colpito il lavoro dipendente, nelle fabbriche e negli uffici, dove il postfordismo ha dato luogo (come ha raccontato nella sua relazione Oscar Mancini) a un mercato del lavoro dove non solo i diritti, ma anche la condizione materiali dei lavoratori si sono fortemente indeboliti. Si riduce la sicurezza del lavoro, si riducono i salari, si riduce la solidarietà nel luogo del lavoro.

E’ colpita la condizione delle donne, cui le attrezzature e i servizi promossi dal welfare state urbano fornivano strumenti essenziali per ridurre il peso del lavoro casalingo: dagli asili nido alla scuola, dall’assistenza ai malati e agli anziani alla ricreazione e allo sport.

È colpita la condizione dei giovani, che in un mondo dominato dall’individualismo, dall’assenza di motivazioni ideali e di solidarietà, in una società che non dà alcuna certezza di futuro, in una città privata della presenza di spazi pubblici adeguati, sono abbandonati alle tentazioni della fuga da se stessi mediante la droga e l’alcool, la trasformazione dello stress e della depressione nel vandalismo e nella violenza.

È colpita la condizione degli anziani, ai quali da una parte è tolto lo spazio per comunicare ai giovani le proprie esperienze e il proprio sapere, e dall’altra parte patiscono di diventare un peso per la faiglia, alla cui assistenza sono costretti a ricorrere.

È colpita la condizione delle giovani coppie e di chi, per ragioni di lavoro, deve abbandonare la residenza originaria, ed è costretto dal mercato inmnmobiliare ad abitare in luoghi lontani dal posto di lavoro e a impiegare parte consistente del suo tempo in mezzi di trasporto spesso inadeguati.

Sono colpiti, il generale, tutti i cittadini, ai quali la società neoliberale toglie via via gli spazi di partecipazione consapevole al governo, privilegiando la governabilità sulla democrazia, l’accordo discreto con i potenti alla trasparenza delle procedure,

COME RESISTERE, COME REAGIRE

Tre direttrici d’azione

Per resistere, per reagire, per iniziare a preparare una città diversa da quella che il capitalismo dei nostri tempi ci prepara, dobbiamo orientare l’azione lungo tre direttrici:

1. dobbiamo lavorare sulle idee, sulla conoscenza, sulla consapevolezza delle persone: informazione e formazione del maggior numero possibile di cittadini;

2. dobbiamo sostenere, incoraggiare e promuovere azioni dal basso per difendere i beni comuni là dove sono minacciati e per conquistarne di nuovi;

3. dobbiamo individuare e proporre esempi positivi, che dimostrino che una città diversa è possibile, che il potere e la partecipazione dei cittadini ad esso possono essere adoperati per rendere migliore e più giusto l’ambiente della vita dell’uomo.

La città come bene comune è la concezione
che permette di soddisfare il diritto alla città

Il tema della “città come bene comune” deve essere proposto come il centro di una concezione giusta e positiva di una nuova urbanistica e di una nuova coesione sociale, e come obiettivo dei conflitti urbani. La “città come bene comune” è una città che si fa carico delle esigenze e dei bisogni di tutti i cittadini, a partire dai più deboli. È una città che assicura a tutti i cittadini un alloggio a un prezzo commisurato alla capacità di spesa di ciascuno. È una città che garantisce a tutti l’accessibilità facile e piacevole ai luoghi di lavoro e ai servizi collettivi.

È una città nella quale i servizi necessari (l’asilo nido e la scuola, l’ambulatorio e la biblioteca, gli impianti per lo sport e il verde pubblico, il mercato comunale e il luogo di culto) sono previsti in quantità e in localizzazione adeguate, sono aperti a tutti i cittadini indipendente dal loro reddito, etnia, cultura, età, condizione sociale, religione, appartenenza politica, e nella quale le piazze siano luogo d’incontro aperto a tutti i cittadini e i forestieri, libere dal traffico e vive in tutte le ore del giorno, sicure per i bambini, gli anziani, i malati, i deboli.

Ed è una città nella quale le scelte di governo sono condivise dai cittadini, in cui essi partecipano alla gestione del potere non solo nel momento dell’elezione ma in ogni momento significativo delle scelte. Devono essere garantiti la trasparenza del processo delle decisioni sulla città e sul suo funzionamento, e la possibilità dei cittadini a esprimersi e ad avere risposte alle loro proposte. Tutto ciò richiede ai cittadini di imparare a conoscere gli obiettivi, gli strumenti, le procedure, le risorse mediante cui si agisce nella città: quelli che sanno (i tecnici, i sapienti) devono impegnarsi a fornire le loro conoscenze liberamente.

Realizzare e far funzionare una simile città è l’unico modo per realizzare, per tutti, il diritto alla città, nei due aspetti dell’appropriazione dell’uso della città (valore d’uso e non valore di scambio), e di partecipazione piena al suo governo.

Regole chiare, trasparenti, condivise
Controllo dell’uso del suolo e delle urbanizzazioni

La prima condizione perché ciò possa avvenire è che le trasformazioni della città (sia quelle che comportano opere sia quelle che si verificano solo con cambi d’uso e di proprietà) avvengano sulla base di regole chiare, definite in modo trasparente, applicate senza deroghe e favoritismi. Esse devono essere definite con la condivisione della maggioranza degli abitanti, i quali devono intervenire in quanto cittadini e non in quanto proprietari di terreno o di edifici.

La seconda condizione è che il governo cittadino abbia il pieno controllo sull’uso del suolo, delle urbanizzazioni, del loro uso, e che possa impiegare gli incrementi di valore degli immobili, derivanti dalle decisioni e dagli investimenti della collettività, alla realizzazione e al funzionamento delle opere che servono a tutti i cittadini.

Il governo pubblico delle trasformazioni del territorio, la pianificazione urbanistica, è il momento di sintesi della lotta per il diritto alla città e per la costruzione della città come bene comune.

Un punto di partenza

Per iniziare la costruzione di una città più giusta occorre combattere a partire dalle esigenze più sentite dalla popolazione: la difesa degli spazi pubblici minacciati dalla privatizzazione e dall’abbandono del welfare, la conquista o la difesa di un alloggio a prezzi compatibili con il reddito, la tutela del paesaggio e del patrimonio culturale sono già l’argomento di molte lotte nella città e nel territorio. Occorre appoggiare, incoraggiare e promuovere le iniziative, aiutarle a mettersi in rete, a condividere obiettivi e strumenti.

In tutte le città d’Europa sono nati movimenti, associazioni, comitati che rivendicano una maggiore quantità e qualità di spazi comuni per rendere la città vivibile. Anche negli stessi Stati Uniti d’America si sono manifestate tendenze culturali e sociali per contrastare le conseguenze degli eccessi dell’individualismo. In molte città europee i fenomeni di degrado degli spazi comuni sono stati contrastati realizzando ampie zone pedonali, limitando il traffico automobilistico nelle città, sviluppando il trasporto collettivo, le piste ciclabili, i percorsi pedonali. Dove ciò non è accaduto la vita è diventata molto difficile soprattutto per le persone più deboli: i bambini, gli anziani, le donne.

Da questo insieme di esperienze nascono proposte interessanti sui requisiti che devono caratterizzate spazi pubblici vivibili: per il loro disegno e la loro forma, la loro connessione con la città e con il quartiere, le funzioni in essa ospitate (le più molteplici e varie, e prevalentemente finalizzate all’uso comune), sulle comodità e sugli arredi.

Le iniziative e le vertenze devono essere utilizzate non solo in vista dei loro obiettivi concreti e immediati. Esse devono aiutare a far crescere la consapevolezza del diritto alla città e della necessità e possibilità di concepire e realizzare la città come un bene comune.
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Oggi domenica 3 settembre 2017

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papa-francesco-11-800x415Il creato ferito dal mercato selvaggio
di Luca Kocci
il manifesto 2.09.2017 Clima, By sardegnasoprattutto/ 3 settembre 2017/ Città & Campagna/. Il messaggio congiunto delle due chiese. Papa Francesco e il patriarca di Costantinopoli: «La natura non è proprietà privata» Il pianeta considerato come «possesso privato», sfruttato dal mercato per il «profitto illimitato» dei pochi, incuranti del diritto ad una vita dignitosa dei tanti. In occasione della terza Giornata di preghiera per la cura del creato, papa Francesco e il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo firmano insieme un messaggio ecologista in difesa dell’ambiente.
La sintonia fra i due su questo tema è nota da tempo – Bartolomeo è stato fra gli ispiratori della Laudato si’, l’enciclica ambientalista di Francesco –, ma è la prima volta che le massime autorità cattolica e ortodossa sottoscrivono un documento di questo tipo, in un tempo in cui i cambiamenti climatici mostrano i loro effetti devastanti sulla Terra e sui popoli, il presidente Usa Donald Trump dichiara il disimpegno sull’Accordo sul clima di Parigi e il pianeta pare sempre più a rischio per le violenze strutturali a cui il capitalismo selvaggio lo sottopone per assicurare profitto, benessere e potere ad una minoranza autoproclamatasi padrona. [...]

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democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Il coraggio della partecipazione.
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lampadadialadmicromicro13xxxSPOPOLAMENTO: “Nell’arco di cinque anni (2011-2015) la popolazione sarda residente diminuisce di 12.125 individui. L’Isola perde abitanti e, diversamente dal passato, i flussi migratori non riescono a compensare il calo demografico dovuto alla dinamica naturale (nascite e decessi)”. Di questo dobbiamo parlare e non solo parlare. Su Aladinews.
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democraziaoggiLegge elettorale: un punto di partenza per la sinistra
3 Settembre 2017

Alfiero Grandi, vice presidente Coordinamento democrazia costituzionale, su Democraziaoggi.
Riprendiamo la riflessione sulla legge elettorale con due interventi di Alfiero Grandi, il secondo già apparso su “Il Fatto Quotidiano” del 18 agosto.
La sinistra sta cercando una prospettiva unitaria, dovrebbe partire dai fondamentali. Se c’è accordo su questi il passo avanti è possibile.
Partiamo dal referendum del 4 dicembre 2016. […]

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lampada aladin micromicroGli editoriali di Aladinews. IL PROCESSO DI INDUSTRIALIZZAZIONE IN SARDEGNA NEI DOCUMENTARI DAGLI ANNI ’50 AI GIORNI NOSTRI
di Antonello Zanda
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OGGI sabato 2 settembre 2017

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linkiesta-logoAndrea Garnero: «I robot non ci ruberanno il lavoro. Ma senza formazione saranno comunque guai»
Parla l’economista Ocse: «Più che della distruzione di posti di lavoro, mi preoccupererei della velocità del cambiamento. Reddito di cittadinanza? Meglio una riforma del welfare fatta bene. Il taglio al cuneo fiscale per le nuove assunzioni? Palla in corner all’ultimo minuto»
di Francesco Cancellato su Linkiesta.
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eddyburgSOCIETÀ E POLITICA » CAPITALISMO OGGI » CRITICA
Economisti e istituzioni di primo piano ora ammettono che la globalizzazione aumenta la disuguaglianza
di MALACHIA PAPEROGA
«È urgente ormai interrogarsi su quando un aumento del libero scambio generi benefici, e a vantaggio di chi, e quando invece gli effetti deleteri siano molto superiori ai vantaggi». vocidall’estero, 30 agosto 2017 (c.m.c), ripreso da eddyburg e da aladinews.
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democraziaoggiForestali, il legislatore incompetente
2 Settembre 2017
Massimo Villone, Il Manifesto del 18.8.2017, ripreso da Democraziaoggi.
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E’ online Rocca numero diciotto

Online Rocca N.18 del 15 settembre 2017
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E’ online il manifesto sardo numero duecentoquarantaquattro

pintor il manifesto sardoIl numero 244
Il sommario
Candidature estemporanee (Marco Ligas), Scomode verità giudiziarie (Ottavio Olita), E’ in corso la procedura di valutazione ambientale strategica sul deposito unico delle scorie nucleari (Stefano Deliperi), Uscire dall’euro non conviene all’Italia (Gianfranco Sabattini), Stato, regione, stato sardo e federalismo interno (Francesco Casula), Il viaggio (Massimo Dadea), Antonio Sini. Un ricordo (Graziano Pintori), Il destino degli ospedali sardi nelle mani dei Politici. Il rischio delle discriminazioni sulla salute (Claudia Zuncheddu), La legge sul biotestamento (Nicola Carboni e Carlo Loi), Prove tecniche di ordinaria disumanità e nuovo colonialismo (Marco Revelli), Fascisti del web (Cristiano Sabino), Legge elettorale, fermiamo la deriva (Alfiero Grandi).

Oggi venerdì 1° settembre 2017

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labsusLABSUS PAPERS RICERCHE
La sicurezza delle città tra luci e ombre: un saggio di Vincenzo Antonelli
Redazione Labsus – 28 agosto 2017
Labsus pubblica come “Labsus Paper” il saggio di Vincenzo Antonelli, professore di Diritto Amministrativo presso la Facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, su La sicurezza delle città tra luci e ombre che stimola la riflessione sul problema attuale e di difficile soluzione della sicurezza urbana. Il saggio prende spunto dal decreto legge del 20 febbraio 2017, n. 14, il cosiddetto decreto “Minniti”, convertito con la legge n. 48 del 18 aprile 2017.
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eddyburgCITTÀ E TERRITORIO » CITTÀ QUALE FUTURO » PER COMPRENDERE
Le leggi assurde rovinano le città

di SALVATORE SETTIS
«Tre ministeri (Beni culturali, Ambiente, Agricoltura) legiferano pestandosi i piedi tra loro, per non dir poi delle Regioni e dei Comuni, che ignorano spesso le norme statali». il Fatto Quotidiano, 29 agosto 2017 (p.d.), ripreso da eddyburg.
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La-Stampa-it_logoImprese a caccia di 117.560 tecnici. “Mancano però le competenze specifiche”
La denuncia nel Rapporto di Confartigianato: “Così la decontribuzione rischia di essere inutile”
Su La Stampa online.
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democraziaoggiLucio Garofalo, su Democraziaoggi.
Ischia, sismi, ricostruzioni e informazione
1 Settembre 2017

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pintor il manifesto sardoUscire dall’euro non conviene all’Italia
1 settembre 2017
Gianfranco Sabattini su il manifesto sardo
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vitobiolchini blog occhialini1Via Roma e Legge Urbanistica: Il Vero Obiettivo è di Escludere I Cittadini da ogni Processo Decisionale.
Vito Biolchini, su vito Biolchini.it———————————-