Monthly Archives: settembre 2017
Primo giorno di scuola
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Primo giorno di scuola, buon anno scolastico a tutti, alunni, insegnanti e genitori. Nessun suggerimento, gli insegnanti capaci sanno fare bene il loro “mestiere” e lo faranno certamente. Auspico semplicemente che la scuola aiuti tutti a comprendere la situazione attuale del paese, il contesto europeo e mondiale, i problemi reali delle persone. Mi auguro che la Scuola possa contribuire a fare comprendere i problemi del mondo per costruire una società migliore. Parlare delle diseguaglianze sociali, della fame e della miseria, della condizione dell’Africa, delle cause delle grandi migrazioni. Parlare della Pace e delle guerre in corso, della difesa dei diritti civili. Insegnare la democrazia e la libertà e il significato profondo del razzismo e del fascismo da combattere e contrastare. Non penso che debba fare tutto l’istituzione scolastica ma sono convinto che gli insegnanti capaci possono fare e faranno molto. Buon lavoro.
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Giovedì 14 settembre 2017
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Gli Editoriali di Aladinews. IUS SOLI: paure rinvii ipocrisie
di Fiorella Farinelli, su Rocca, ripreso da Aladinews.
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Gli Editoriali di Aladinews. Spostando il muro più in là. Roberta Carlini su Rocca, ripreso da Aladinews.
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SOCIETÀ E POLITICA » EVENTI » 2015-ESODOXXI
«Quanti posti ho?», dipende dalla febbre della politica
di GUIDO VIALE
«Immigrazione. L’assist del papa rinfocola la canea antiprofughi, ma Francesco ha voluto evidenziare che non c’è accoglienza senza integrazione. I posti vanno cercati in Europa». il manifesto, 13 settembre 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews.
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Alluvioni, le solite litanie…Almeno evitiamo i morti
14 Settembre 2017
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Se non ci fosse la tragedia delle morti, che tormenta le coscienze, verrebbe da dire: che noia! Dopo ogni disastro, spesso lacrime di coccodrillo. sempre le stesse cose. I fiumi deviati, che riprendono il proprio alveo, le case costruite nei dirupi o su terreni instabili, gli immobili abusivi e via ripetendo. E d’altronde, quando […]
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essere gramsci
testi di Antonio Gramsci e Tania Schucht
Teatro Massimo Cagliari:
Giovedì, 14 Settembre, 2017 – 21:00
Venerdì, 15 Settembre, 2017 – 21:00
Teatro Eliseo Nuoro:
Domenica, 19 Novembre, 2017 – 18:00
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IUS SOLI: paure rinvii ipocrisie
Ius soli affondato al Senato. Ius soli, la battaglia di civiltà che la sinistra non vuole combattere (su Il Fatto quotidiano). In argomento ripubblichiamo l’editoriale di Fiorella Farinelli su Rocca, ripreso alcuni giorni fa da Aladinews.
di Fiorella Farinelli, su Rocca.
«La cittadinanza negata tra malafede e viltà». Parole dure ma appropriate nel commento (1) di Massimo Livi Bacci, uno dei nostri più importanti demografi, al rinvio a settembre della discussione parlamentare sulla cittadinanza dei ragazzi figli di immigrati. Un rinvio che equivale a un affossamento quasi certo, considerato che in autunno, tra legge di stabilità e incombere della scadenza delle elezioni siciliane e nazionali, il clima politico sarà più che mai esposto a tensioni e scorribande anche interne alla maggioranza. Improbabile, dunque, che il testo, pure approvato alla Camera quasi due anni fa e atteso da tempo, veda la luce nell’ultimo miglio di questa legislatura, mentre sul profilo politico della prossima è al momento impossibile persino formulare ipotesi dotate di una qualche ragionevole credibilità. Protagonisti dell’ignobile pasticcio, da un lato la scarsa tenuta della coalizione di governo (sono stati i parlamentari di Alfano, gli stessi che alla Camera avevano votato senza troppi problemi il provvedimento, a minacciare la crisi se si fosse chiesta la fiducia al Senato), dall’altro l’ipocrisia di quelli di Grillo che, astenutisi la prima volta, hanno dichiarato che lo avrebbero fatto anche la seconda (ma l’astensione, al Senato, equivale a un voto contro). Coerenza? Sì, ma solo alla paura di perdere consensi nell’elettorato di destra, un must per una forza politica pigliatutto.
falso collegamento
Ma la viltà vera, quella che ha contato e conterà di più, è fatta soprattutto di altro. Di una diffusa e colpevole subalternità, anche nei media, alla malafede di quanti hanno alimentato un falso collegamento tra un più facile accesso alla cittadinanza delle «seconde generazioni» (un milione e mezzo di ragazzi, più di 800mila nelle nostre scuole, quasi tutti figli di immigrati stabilizzati, il 55,3% nati in Italia) e l’emergenza sbarchi. Come se la modifica della legge sulla cittadinanza varata nel lontano 1991 (quando gli immigrati stranieri in Italia erano poco più di 400.000 e pochissimi i figli nati in Italia o arrivati da bambini) dovesse di per sé gonfiare ulteriormente, e disastrosamente, l’ondata dei disperati. Come se, con quella legge, bastasse partorire sul pontile di Lampedusa o all’aeroporto di Fiumicino per entrare in Italia dalla porta principale e automaticamente, madre, padre, fratelli, sorelle, e chissà quanti altri congiunti ed affini. Con tutto quel che ne segue, i fantasmi di un’identità nazionale inquinata e compromessa, la minaccia ai valori e alla cultura del paese, l’incubo di una coesione sociale in frantumi. L’armamentario, strumentale ma di successo, delle vecchie e delle nuove destre.
i contenuti della legge
Malafede, appunto, con in più gli equivoci suggeriti, e mai sufficientemente contrastati, da quella definizione di «ius soli» affibbiata impropriamente dall’esercito dei semplificatori – mondo politico, social, stampa – a una proposta di legge che dice invece tutt’altro. Nei giorni delle convulsioni politico-parlamentari, infatti, sono state poche e inascoltate le voci in difesa di un testo già attentamente smussato e affinato dai mille compromessi della Camera. E poche, e poco efficaci, le analisi di merito, travolte dal chiacchiericcio incompetente ed enfatico dei talk show. Non si è stati capaci – non si è voluto? – dimostrare puntigliosamente che la legge concede la cittadinanza solo ai figli degli immigrati nati in Italia con almeno un genitore in possesso di permesso di soggiorno a tempo indeterminato, con residenza legale da almeno 5 anni, abitazione appropriata, reddito sufficiente, test di lingua italiana superato, nessun problema con la giustizia. Ius soli, dunque, se proprio non si può rinunciare a una semplificazione improvvidamente introdotta dall’ex ministro Kyenge, ma indubbiamente assai selettivo o, come si dice in gergo parlamentare, «temperato». E poi, per chi sia arrivato in Italia prima dei 12 anni, il diritto alla cittadinanza (che dev’essere comunque richiesta dai genitori) a condizione di aver frequentato, e concluso positivamente se si tratta di scuola primaria, un ciclo scolastico di 5 anni.
Che c’entrano con tutto ciò gli sbarchi? Si tratta, con tutta evidenza, di bambini e ragazzi già «italianizzati» dalla scuola, dei compagni di classe e di vita dei nostri figli, di cui molti neanche conoscono il paese d’origine dei genitori, e con molti – purtroppo per loro e per le risorse culturali del nostro paese – che dimenticano la loro lingua materna o che non sanno leggerla e scriverla.
Un provvedimento molto cauto, dunque, che ha voluto escludere ogni automatismo, che guarda alla realtà dell’immigrazione stabilizzata (oltre 5 milioni di immigrati in regola, 160mila cittadinanze concesse, secondo la restrittiva legge del 1991, solo lo scorso anno) e di «seconde generazioni» destinate a essere parte crescente, e integrante, della nostra troppo scarsa popolazione giovanile. Che, soprattutto, è ispirato all’idea che eliminare le discriminazioni è un passo necessario per rinsaldare il legame della popolazione immigrata e dei suoi giovani con il nostro paese, per prevenire rancori e risentimenti pericolosi, per evitare che a meno diritti corrispondano anche meno doveri e responsabilità. Per evitare di costruire una società gerarchizzata, divisa tra quelli che hanno tutti i diritti – almeno sulla carta – e una sottoclasse di minus habentes. Si tratta di ragazzi che studiano da noi e che sono però esclusi dagli impieghi pubblici, che hanno bisogno di chiedere permessi speciali ogni volta che occorre avere il passaporto italiano, che lavorano o che tentano gli studi superiori. Non sarebbero maturi i tempi per muoversi in questa direzione, come sostengono gli alfaniani? È meglio pensarci su ancora un po’, come banalizzano i grillini? È più opportuno lasciar perdere per il momento, come pensano senza dirlo anche molti Dem? Quando può cominciare, secondo loro, il tempo delle politiche di integrazione a tutto tondo? E che cosa può provocare, nella testa e nel cuore di questi ragazzi, il tenerli ancora a lungo nel limbo della non cittadinanza?
dietro l’ennesimo rinvio
Dietro l’ennesimo rinvio, in verità, non ci sono solo i vincoli di circostanze politiche contingenti. C’è l’intollerabile ritardo, nel nostro paese, di idee e pratiche lungimiranti di integrazione. Le stesse – e qui il legame con gli sbarchi c’è, eccome – che impediscono che gli sbarcati vengano subito immessi in lavori socialmente utili, in percorsi di formazione linguistica e professionale efficaci, in una vita attiva e dialogante. Non basta tirarli fuori dall’acqua, e dai pericoli di morte, una volta salvati bisogna evitare la disperazione e il rancore, i sentimenti negativi che li espongono a tutti i rischi dell’emarginazione e della povertà. E noi, non bisognerebbe sottovalutarlo, con loro. Ma non ci siamo, non ci siamo ancora. L’immigrazione – non solo gli sbarchi – viene ancora vista da molti come un’emergenza da demonizzare, non come un dato di fatto – globale, storico – da fronteggiare con misure appropriate. O, ed è ancora peggio, come uno strumento di lotta politica, per conquistare consenso e potere. Non è una bella immagine della nostra classe politica, quella che viene fuori dalla vicenda del rinvio. La viltà sta anche nell’incapacità di trattare i problemi che ci sono con gli strumenti della democrazia, la cultura, la discussione aperta e franca, gli argomenti, il «corpo a corpo intellettuale», come si diceva una volta.
la sconfitta di «Italia sono anch’io»
Ci sono poi anche altri aspetti che bisognerebbe considerare. A uscire sconfitta da questa vicenda, oggi, non è solo la parte dei Dem che aveva più puntato su questa proposta di legge anche in termini identitari, quelli cioè di una forza politica consapevole dei problemi e capace di trovare soluzioni di compromesso in grado di far evolvere positivamente le politiche sociali e culturali sull’immigrazione. Ad essere sconfitta è stata anche quella vasta parte del mondo cattolico impegnata in prima fila nelle azioni di accoglienza e di integrazione dei migranti, la miriade di associazioni, organizzazioni, parrocchie che hanno sostenuto la campagna «Italia sono anch’io» delle seconde generazioni con cui quattro anni fa è stato dato impulso, anche con una raccolta imponente di firme, alla proposta di legge oggi rinviata. Una realtà diffusa che però non ha avuto ascolto presso le forze politiche, come se quelle voci fossero diventate, nell’Italia di oggi, voci insignificanti e irrilevanti. Come se quell’agire sociale, culturale, politico che tramite il volontariato contagia e forma parti significative della società civile venisse considerata una risorsa del paese solo per tappare i buchi delle politiche istituzionali, non per sedere ai tavoli delle decisioni istituzionali e della grande politica. Un tema che è stato toccato in qualche intervento sulla stampa di esponenti di prima fila del mondo cattolico, a partire da Andrea Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio (2). Un tema vero, che dovrebbe finalmente interrogarci tutti.
Fiorella Farinelli
Note
(1) www.neodemos.info, 2 agosto 2017.
(2) Il rinvio dello ius soli è una sconfitta per i cattolici, Corriere della Sera 20 luglio 2017.
Mercoledì 13 settembre 2017
[RAS] Ovicaprino, approvata in Consiglio legge che finanzia comparto per 47 milioni: 45 destinati direttamente ai pastori e 2 al bando indigenti per acquisto pecorini sardi. L’erogazione dei 45milioni sarà gestita direttamente da una task force costituita ad hoc con personale dell’Assessorato dell’Agricoltura e dell’Agenzia regionale Argea Sardegna.
MPS [La lotta paga]. Grande soddisfazione per questo importante risultato! È legge: 45milioni di euro per combattere l’emergenza del settore ovicaprino!
Adesso auspichiamo che l’Assessorato all’Agricoltura si adoperi in maniera celere affinché i pastori ottengano al più presto i mezzi per affrontare la nuova annata.
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Su pag fb MPS
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Gli Editoriali di Aladinews. IUS SOLI: paure rinvii ipocrisie
di Fiorella Farinelli, su Rocca, ripreso da Aladinews.
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Gli Editoriali di Aladinews. Spostando il muro più in là. Roberta Carlini su Rocca, ripreso da Aladinews.
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SOCIETÀ E POLITICA » EVENTI » 2015-ESODOXXI
L’Africa, una nostra prigione a cielo aperto
di BARBARA SPINELLI
barbara-spinelli.it blog, 12 settembre 2017. L’intervento di Barbara Spinelli alla seduta Plenaria del Parlamento europeo sulla militarizzazione dell’Africa. (p.d.), ripreso da eddyburg e da aladinews.
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E se le stuprate fossero state nere immigrate?
13 Settembre 2017
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
E se le ragazze stuprate dai carabinieri fossero state nere e del Burkina Faso? Cosa sarebbe successo? Cosa avrebbero detto i media? E, ancor prima, il fattaccio sarebbe diventato di dominio pubblico? Le poverette avrebbero avuto il coraggio di denunciare l’accaduto? Avrebbero potuto contare sul loro ambasciatore in Italia? Ecco l’ambasciata USA, anche senza intervenire, per il solo fatto di esserci e di avere il notorio peso che ha sugli affari nostrani, ha giocato un ruolo? Ha avuto un peso? I carabinieri sarebbero stati inchiodati, se non si fosse paventato un intervento di Lew Eisenberg, l’attuale inquilino di via Veneto? (…).
Mercoledì 13 settembre 2017
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Gli Editoriali di Aladinews. IUS SOLI: paure rinvii ipocrisie
di Fiorella Farinelli, su Rocca, ripreso da Aladinews.
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Gli Editoriali di Aladinews. Spostando il muro più in là. Roberta Carlini su Rocca, ripreso da Aladinews.
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Legge urbanistica, il vero scandalo non sono i 300 metri violati ma un modello di sviluppo già fallito (e identico a quello del centrodestra)
- Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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Verso i Convegni sul Lavoro, in ottobre a Cagliari
Itinerario regionale verso la 48esima Settimana Sociale.
Incontro di Cagliari: «giovani, lavoro, formazione, nuove tecnologie».
Intervento di Franco Meloni, Esperto di politiche di formazione universitaria.
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- Il contributo scritto consegnato alla Presidenza (ripreso da Aladinews).
I GIOVANI, il LAVORO, la NECESSITA’ di INVESTIRE in ISTRUZIONE/EDUCAZIONE
Il 10 dicembre dello scorso anno presso il Seminario arcivescovile, il Vescovo di Cagliari ha convocato ventidue esponenti del mondo dell’Università, del Sindacato, della Comunicazione, delle Associazioni impegnate socialmente, delle Imprese, delle Organizzazioni della Cooperazione e del Terzo Settore, nel percorso di preparazione alla Settimana Sociale dei Cattolici italiani che si terrà a Cagliari dal 26 al 29 ottobre 2017 sul tema “Il lavoro che vogliamo: dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale”, con specifico riferimento alla situazione sarda. All’incontro ha partecipato il direttore di Aladinews. Di seguito riportiamo il suo intervento che si è articolato in due filoni di riflessione.
I GIOVANI, IL LAVORO, LA NECESSITA’ DI INVESTIRE IN CULTURA
di Franco Meloni
Prima riflessione
I GIOVANI E LA DISOCCUPAZIONE. LE SOLUZIONI NASCONO DALLA PARTECIPAZIONE
Quasi come un bollettino medico di un malato grave, i rapporti trimestrali dell’andamento dell’occupazione in Sardegna segnalano variazioni sui relativi dati, ora positive ora negative, che sostanzialmente confermano uno stato complessivo di perdurante infermità. Tra i dati, tutti disponibili sui siti dell’Istat e della Regione Sarda (Sardegna Statistiche), quello più disastroso si riferisce alla disoccupazione giovanile, stabilizzato sul 56,4% ( riferito alla popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni.), che assegna alla Sardegna un posto tra le peggiori regioni dell’Unione europea (precisamente l’ottavo, in Italia al secondo posto dopo la Calabria) (1). Le serie storiche dei dati riferiti alla Sardegna mostrano una situazione di “ritardo di sviluppo” non riconducibile semplicemente all’attuale grave crisi dell’intero sistema economico a livello nazionale ed europeo, che, peraltro ne determina un aggravamento. Siamo infatti sempre più vittime dei nuovi equilibri a livello globale che si basano sulla progressiva diminuzione dell’occupazione, sulla perdita di tutele contrattuali, su un basso livello dei salari e su una distribuzione inequa del reddito, caratterizzata dall’acuirsi della forbice economica tra alti salari/rendite (concentrati nelle mani di pochi), mancanza di reddito o redditi di sussistenza (la maggioranza). Ne consegue l’aumento della povertà che colpisce sempre più vasti settori della popolazione, aggredendo anche i ceti medi, fino a qualche anno fa non colpiti. Come si è già osservato, questa situazione è generalizzata in quasi tutti gli stati a livello planetario. Limitando la nostra attenzione a quelli dell’Unione Europea, possiamo osservare diversi gradi di gravità nelle diverse regioni in cui sono articolati, in Sardegna tra i più accentuati.
Che fare allora? Per dirla con uno slogan di altri tempi, che potrebbe suonare massimalista: si può uscire dalla crisi solo se si esce dal capitalismo in crisi. Micca facile!
Se questa è la portata dei problemi, cosa possiamo fare noi, specificamente in Sardegna, che siamo piccoli e quasi irrilevanti nel mondo globalizzato? La risposta è che non dobbiamo rassegnarci, dobbiamo invece per quanto è possibile, come è realisticamente possibile, praticare al nostro livello soluzioni diverse o parzialmente diverse da quelle dominanti, che ogni giorno ci impongono con sistemi più o meno coercitivi. Come? Innanzitutto facendo resistenza sulla base dei nostri interessi di cittadini e di lavoratori. Cioè, dobbiamo partire da questi e non dalle “compatibilità” del sistema dominante. Usciamo dall’astratezza. Il lavoro è un diritto? Certo, ma è un diritto negato a vasti strati della popolazione. E allora organizziamo le leghe per il lavoro (o chiamatele come vi pare), appoggiandoci alle organizzazioni dei lavoratori (per quanto siano coinvolgibili) e alle Istituzioni più vicine ai cittadini, come i Comuni (per quanto sappiano rappresentare anche i ceti più deboli). E con queste organizzazioni difendiamo il lavoro esistente e creiamo nuovo lavoro, utilizzando tutte le possibili opportunità, per esempio quelle fornite dai fondi pubblici, specie europei, spesso inutilizzati o spesi male. Ma, si dirà, è una vecchia ricetta, che non ha dato in passato grandi risultati. E’ vero, ma il fatto nuovo, la carta vincente, è il coinvolgimento delle persone, che non devono delegare, se non in certa misura, ad altri la risoluzione dei loro problemi. E devono attivarsi in prima persona nei confronti di quanti detengono il potere, a tutti i livelli, per rivendicare politiche per il popolo. In sostanza, si tratta di praticare in tutti i campi la “partecipazione dal basso”, anche a piccoli gruppi, con il criterio delle isole che a poco a poco assumono la dimensione di arcipelaghi. Tutto ciò è riduttivo? Può darsi, ma è quanto si può fare, da subito, nella fiducia che solo il popolo salva il popolo. L’impostazione di questo nuovo protagonismo popolare, che non ci preoccupiamo possa essere irriso come “populismo”, ha un grande e credibile suggeritore: Papa Francesco, che nel solco della dottrina sociale della Chiesa, ci esorta a non rassegnarci e ad assumere iniziative creative con e per il popolo, che spiega con chiarezza nella parte dell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium dedicata alla Crisi e alla Dimensione sociale dell’Evangelizzazione.
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(1) Tre regioni italiane, la Calabria col 65,1%, la Sardegna col 56,4% e la Sicilia col 55,9%, figurano tra i dieci territori Ue col tasso di disoccupazione giovanile (riferito alla popolazione di età compresa tra i 15 e i 24 anni.) più elevato nel 2015, precedute solo dalle due ‘encalve’ spagnole in terra africana, cioè Ceuta (dove la disoccupazione giovanile è al 79,2%) e Melilla (72%). La Sardegna si trova in ottava posizione e la Sicilia è nona. Oltre alle tre italiane, nelle ‘top ten’ ci sono quattro regioni spagnole e tre greche. La media europea è al 20,4%. Il territorio che invece presenta la percentuale più bassa di disoccupazione giovanile è quello tedesco di Oberbayern (3,4%), seguito da altre nove regioni tedesche, tra queste Freiburg al secondo col 4,7%, e Mittelfranken col 5,2%. Fonte: http://www.giornaledicalabria.it/?p=47346
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Seconda riflessione
INVESTIAMO IN CULTURA, A PARTIRE DALL’ISTRUZONE E DALL’EDUCAZIONE
La presente riflessione sulla Cultura attiene soprattutto alla sua componente fondamentale “istruzione/educazione”, riferita alla situazione sarda. In questa direzione: se è vero che vogliamo che la Cultura e in essa la sua componente essenziale dell’istruzione/educazione possa operare per dare sviluppo e benessere alla Sardegna dobbiamo innanzitutto prendere atto della situazione e operare per migliorarla, riconoscendo evidentemente quanto di buono già si fa.
I pochi dati esposti nelle tabellle sotto riportate sono sufficienti a dare conto della situazione dell’istruzione in Sardegna confrontabili con i dati complessivi dell’Italia. Ci accorgiamo che i valori sono complessivamente bassi in Italia, e, ancora di più, in Sardegna, specie se confrontati con i dati dei più virtuosi paesi dell’Europa e del Mondo.
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Popolazione residente di 15 anni e oltre per titolo di studio – Sardegna e Italia
Anno 2015 – Valori assoluti in migliaia e percentuali *
*Tratto da Sardegna in cifre 2016, Tab. 18.10 (pubblicazione del Servizio Statistiche della RAS.
Mettiamo in evidenza come in Sardegna vi siano ben 300mila persone con la sola licenza elementare o con nessun titolo di studio (il 20,6% della popolazione presa in considerazione). Anche se il livello delle conoscenze non è misurato totalmente dai titoli formali, il dato è comunque significativo e pertanto preoccupante, considerato che comunque segnala l’inadeguatezza della preparazione delle persone rispetto alle esigenze delle attività lavorative e della vita associativa.
Se poi ci riferiamo in particolare ai giovani, è pertinente definire la situazione disastrosa. Al riguardo citiamo ancora una volta il Rapporto Crenos 2016, che afferma che il tasso di abbandono scolastico è tra i più elevanti in Italia, e la percentuale di giovani inattivi, in costante crescita. Nel 2014, il 29,6% dei ragazzi e il 17% delle ragazze in età 18-24 anni ha abbandonato gli studi e oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 24 anni (30,6 per i ragazzi e 24,7% per le ragazze) non studia e non lavora (i c.d. NEET – Not in Education, Employment and Training).
Giustamente i recenti rapporti Caritas sulle povertà hanno inserito questi giovani tra i nuovi poveri, segnalando la necessità di robusti interventi risolutivi. I quali, peraltro, sono chiaramente proposti da più parti, ma praticati in misura decisamente insufficiente. Tra gli interventi di carattere istituzionale in corso di realizzazione è giusto ricordare per la Sardegna il Progetto Iscol@, l’efficacia del quale non è ancora possibile verificare.
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Riteniamo utile a questo punto riepilogare dette proposte, che si articolano in sette ambiti di intervento (dando atto che provengono da operatori ed esperti dell’ambito Caritas, Cnos-Fap dei Salesiani e della pastorale giovanile Cei, e che per i Neet si avvalgono delle elaborazioni del prof. Dario Nicoli, docente di sociologia dell’Università Cattolica di Brescia).
1. Lavoro e inserimento lavorativo:
- attivare, anche attraverso incentivi economici, percorsi di inserimento lavorativo, attraverso l’avviamento d’impresa ed esperienze formative e lavorative;
- rilanciare l’istituto dell’apprendistato, in raccordo con il sistema delle imprese e i centri di formazione professionale.
2. Formazione professionale:
- prevedere un uso integrato degli strumenti disponibili: tirocini, voucher formativi, alternanza scuola-lavoro, apprendistato, ecc., per puntare alla crescita personale e professionale;
- sostenere la partecipazione ai corsi Iefp (istruzione e formazione professionale), finalizzati al conseguimento di qualifiche spendibili a livello nazionale e comunitario.
3. Scuola-educazione:
- fare in modo che la formazione scolastica sia più aderente alle necessità del mondo del lavoro, trasmettendo la cultura positiva del lavoro;
- costruire percorsi educativi, formali e informali, di aggiornamento a tutoraggio, con attenzione alle esigenze dei giovani in condizione di povertà o disagio sociale.
4. Orientamento, accompagnamento e tutoraggio:
- avviare azioni di orientamento già a partire dalla scuola media, tramite metodologie e strategie attive di orientamento professionale;
- rivolgere attenzione particolare ai territori maggiormente trascurati da progettualità investimenti, garantendo relazioni positive con genitori e famiglie.
5. Cultura, risorse e territorio:
- valorizzare la presenza dei luoghi positivi di aggregazione (oratori, istituzioni di istruzione e formazione professionale, scuole popolari, associazioni, società sportive, ecc.), creandoli laddove mancano;
- sviluppare reti territoriali tra soggetti del sistema educativo e del sistema economico, integrando politiche di istruzione, formazione e lavoro.
6. Attenzione – supporto alla persona:
- progettare interventi personalizzati di recupero dei Neet in prospettiva educativa, puntanti sulla ripresa dell’iniziativa e dell’intraprendenza personale;
- favorire esperienze di abitazione-coabitazione autonoma o altre soluzioni di “sgancio” dalla famiglia di origine, anche prevedendo forme di alleanza tra giovani.
7. Welfare – assistenza sociale:
- necessità di sostegno al reddito per favorire lo studio dei ragazzi in situazione di povertà economica;
- politiche per le famiglie, attraverso agevolazioni fiscali, borse di studio e sostegni per l’acquisto di testi o strumenti didattici.
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Riflessione finale
C’è moltissimo da fare e le energie attualmente in moto sono notevoli ma non sufficienti e pertanto da incrementare. Comunque dobbiamo riconoscere che sono in atto moltissimi interventi ascrivibili alle Istituzioni (civile e religiose), al Terzo Settore e al Volontariato libero e gratuito. Ed è proprio dalle buone pratiche che bisogna continuamente ripartire: riconoscendole, valorizzandole e diffondendole. Ma anche sapendole distinguere dalle cattive pratiche che sfruttano in modi delinquenziali le situazioni di disagio sociale e che pertanto vanno combattute senza complicità e reticenze. In conclusione: occorre sempre più lavorare “in rete”, con apertura e capacità collaborativa nei confronti di tutte le organizzazioni di qualsiasi ispirazione, purché democratiche, praticando gli obbiettivi con spirito di solidarietà intergenerazionale.
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Verso i Convegni sul Lavoro nel mese di ottobre a Cagliari
Itinerario regionale verso la 48esima Settimana Sociale.
Incontro di Cagliari: «giovani, lavoro, formazione, nuove tecnologie».
Intervento di Franco Meloni, Esperto di politiche di formazione universitaria.
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- Il contributo scritto consegnato alla Presidenza (ripreso da Aladinews).
Verso i Convegni sul Lavoro
DOCUMENTAZIONE.
MCL: un documento per la Settimana Sociale
(12/09/2017) Il Movimento Cristiano Lavoratori ha predisposto un documento di lavoro per portare avanti l’impegno con cui risponde alla sfida della 48a edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani. “Il percorso in preparazione di questa edizione delle Settimane Sociali del Movimento Cristiano Lavoratori – si legge nel testo – è stato un’occasione per verificare, seguendo le indicazioni del Comitato Organizzatore, la bontà delle riflessioni sul lavoro e, allo stesso tempo, per far emergere tante esperienze presenti nel territorio”. Un percorso segnato da due eventi particolarmente significativi: il primo è stato la Winter School, organizzata con il Centro di Dottrina Sociale dell’Università Cattolica, “Il lavoro anzitutto. Verso la 48a Settimana Sociale dei Cattolici Italiani”; il secondo è stato l’annuale Seminario di studi del MCL che si è svolto venerdì 8 e sabato 9 settembre a Senigallia su “Il lavoro che vogliamo. Libero, creativo, partecipativo e solidale. Attraverso il lavoro, lo sviluppo dell’Italia e la crescita dell’Europa”. MCL documento Settimane Sociali
Martedì 12 settembre 2017
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Gli Editoriali di Aladinews. IUS SOLI: paure rinvii ipocrisie
di Fiorella Farinelli, su Rocca, ripreso da Aladinews.
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Gli Editoriali di Aladinews. Spostando il muro più in là. Roberta Carlini su Rocca, ripreso da Aladinews.
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Scuola, emergenza democratica.Torniamo alla Costituzione
12 Settembre 2017
Gianna Lai su Democraziaoggi.
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L’Ars aderisce all’appello sullo Ius Soli
12 Settembre 2017
L’ARS – ASS. PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA – ADERISCE ALL’APPELLO IUS SOLI proposto da Ginevra Bompiani e da altre personalità del mondo della cultura e della politica. Condivide e sostiene l’iniziativa “Ero straniero” promossa dai Radicali e altre associazioni (http://www.radicali.it/campagne/immigrazione/) per una profonda modifica delle norme che regolano l’immigrazione nel nostro paese, superando la “Bossi – Fini”.
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Spostando il muro più in là
Da un po’ di tempo le indagini e gli scritti sulla diseguaglianza si sono concentrati sulla fascia altissima della popolazione, quella che è stata battezzata del «top 1%»: il centesimo più alto della scala della ricchezza, le cui fortune sono cresciute esponenzialmente negli anni prima della crisi per poi sopravvivere – e riprendere allegramente – dopo la grande recessione degli anni Dieci.
Un altro «1 per cento» spunta se si leggono le statistiche su altri movimenti, non del denaro ma degli umani. 65 milioni di persone vivono forzatamente fuori dalla propria terra di origine: tra loro, ci sono i rifugiati e richiedenti asilo (24 milioni), ma anche gli sfollati interni (41 milioni), coloro che non hanno attraversato le frontiere ma si sono dovuti spostare in un’altra zona del proprio Paese.
l’altro 1%
In un Rapporto intitolato appunto «Forcibly displaced», l’Unhcr sottolinea che si tratta dell’1% della popolazione del mondo; possiamo vederli come specularmente opposti all’1% dei ricchissimi, che risiedono in tutt’altra parte del mondo. Infatti – si legge nello stesso Rapporto – la stragrande maggioranza di rifugiati e sfollati è ospitata nei Paesi che una volta avremmo definito «Terzo mondo», i Paesi in via di sviluppo del Sud globale. Per la precisione, i Paesi in via di sviluppo ospitano l’89% dei rifugiati e il 99% degli sfollati interni.
Il «bottom 1%», la fascia più sfortunata e disperata della popolazione mondiale, trova rifugio per la grandissima parte tra i suoi simili, in Paesi a reddito basso o bassissimo, spesso senza infrastrutture né risorse naturali, e con istituzioni statuali molto deboli. È un trend storico che si è man mano affermato, e le inedite vicende del 2015 e 2016, con l’eccezionale afflusso in Europa di persone in fuga dalle guerre di Siria e Iraq, non hanno spostato che in minima parte le dimensioni del fenomeno: però questa minima parte, essendo piombata su di noi, ossia in quella parte del mondo dove vive e prospera l’1% ricchissimo, ha generato uno strano effetto ottico per cui, se oggi si va a chiedere in giro dove si pensa che fuggano i disperati del mondo, ci sarà risposto che vengono tutti qui, in Europa o negli Stati Uniti o in Canada. Invece non è così.
Tornando ai numeri dell’Unhcr – che è l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati – si vede che del problema rifugiati si fanno carico soprattutto i Paesi più vicini alla zona dove è esplosa la crisi che li ha costretti a fuggire. L’arrivo dei profughi è spesso, per questi Paesi, un vero e proprio choc demografico, che ha anche un impatto economico notevole, sia in termini di costi che di nuova domanda e attività lavorative. Nella lista dei primi dieci Stati ospitanti al mondo, c’è un solo Paese ricco – la Germania, dopo l’eccezionale arrivo dei profughi siriani – con circa mezzo milione di rifugiati (dati a metà 2016): ma Berlino è al penultimo posto, in una classifica che vede in testa la Turchia, con quasi 2,8 milioni di rifugiati, seguita da Pakistan, Libano, Iran, Etiopia, Giordania, Kenya, Uganda. Al nono posto, appunto la Germania e infine il Ciad.
Ma se guardiano, invece che al numero assoluto dei rifugiati, al loro peso sulla popolazione, la classifica cambia completamente: al primo posto il Libano, con 173 rifugiati ogni 1000 abitanti. Segue la Giordania, con 89 rifugiati per 1000 abitanti, lo staterello finto dell’isola di Nauru, nell’Oceania, diventato una prigione per profughi (50 per 1000), poi la Turchia (35 per 1000), il Ciad, il Sud Sudan, la Svezia, Gibuti, Malta e la Mauritania.
e noi?
L’Italia, con meno di 150mila rifugiati a metà 2016 – che, come hanno calcolato su Cartadiroma.org, potrebbero riempire solo metà del Circo Massimo, oppure due stadi come l’Olimpico e San Siro – ha un rapporto con la popolazione del 2,4 per mille. Parliamo di coloro che hanno ottenuto asilo, quelli che sono tutelati prima di tutto dalla nostra Costituzione e dalla Convenzione di Ginevra del 1951.
Poi ci sono i richiedenti asilo, che aspettano anni in un limbo pericoloso e limaccioso; e tutti gli altri, chi si sposta per fuggire a povertà, carestia, disastri ambientali, o anche «solo» per migliorare la pro- pria vita. Tutti costoro si confondono, nei numeri degli sbarchi e dei morti nel Me- diterraneo. E la loro confusione è un alibi per il rifiuto indiscriminato: vorremmo accogliere chi fugge dalla guerra, si sente dire spesso, ma non i rifugiati «falsi», i migranti economici. Ma nel dire questo si dimenticano due fatti. Il primo è che la crescita dell’immigrazione in Italia – siamo adesso a 5 milioni di stranieri residenti, l’8,3% del totale della popolazione – è stata quasi completamente fatta da migranti economici, che dunque adesso fanno un pezzo della nostra economia, del nostro lavoro e welfare, e del nostro sistema previdenziale (nella voce delle entrate, come ha ricordato Boeri).
Il secondo, più recente, è che noi stessi siamo migranti economici: adesso, non nell’epoca dei bastimenti e di Marcinelle. Nel 2016 hanno lasciato l’Italia per trasferirsi in altri Paesi 157.000 persone, 115.000 delle quali di nazionalità italiana: cosa sono, se non migranti economici, i nostri concittadini che vanno a fare gli ingegneri a Zurigo, i pizzaioli a Londra, i ricercatori a Parigi? Se è giusto chiudere la porta ai migranti economici, fa bene anche Teresa May a sbatterla in faccia ai ragazzi italiani in cerca di fortuna.
il rifiuto fatto legge
Con questo non vogliamo dire che non esista differenza tra rifugiati, richiedenti asilo e migranti «semplici»; ma che proprio le differenze tra i vari status, le diverse condizioni e aspirazioni, dovrebbero portarci a politiche specifiche. Invece adesso sono accomunati da un’unica legge: il rifiuto.
Non c’è modo per entrare legalmente in Europa, né per chi cerca asilo né per chi cerca lavoro. E la mancanza di varchi legali e ufficiali – come corridoi umanitari, o chiamate per lavoro, o persino i ricongiungimenti familiari che quasi tutti i Paesi stanno inasprendo – ha alimentato quel mercato unico e nero del trasporto clandestino che a parole si dice di voler combattere.
Con l’estate del 2017, però, una svolta c’è stata. Si sono ridotti gli sbarchi in Italia, sia a luglio che ad agosto; e sul finire del mese più caldo quattro capi di governo di un’Europa stanca, insicura e litigiosa su tutto hanno trovato un grande accordo e armonia di intenti, nello spostare la propria frontiera a Sud, nel meridione della Libia, in Ciad, in Niger, in Mali: incaricando i Paesi titolari di quei confini di contenere i flussi migratori. Macron, Gentiloni, Merkel e Rajoy, i leader del nucleo forte dell’Europa, gli eredi dei padri fondatori, hanno concordato nel vertice di Parigi l’outsorcing dei rifugiati e degli immigrati, sperando così di allontanare il malcontento, le tensioni, le paure.
Non è una novità: è stato questo il «modello Merkel», dato che, dopo aver dato una grande prova di maturità e solidarietà con le porte aperte ai rifugiati siriani che si erano messi in fila sulla rotta balcanica, la Germania ha chiuso le frontiere ricacciando i profughi in Turchia, e pagando fior di quattrini (e riconoscimenti) a quel governo per tenerseli. Sarà questo, in contesti istituzionali ben più problematici di quello turco – che già di per sé qualche problema lo pone, per il rispetto della democrazia e dei diritti umani – il modello della nuova frontiera d’Europa, della cintura di sicurezza africana. Già sperimentato nei mesi di luglio e agosto, con le sue crudeltà: ma i reportage sulle condizioni inumane dei campi di «accoglienza» in Libia, così come le notizie sui metodi delle brigate paramilitari che hanno tenuto a bada i migranti nella regione di Sabratha, non hanno la stessa diffusione delle micronotizie che, da una parte all’altra dell’Italia, testimoniano le difficoltà e i problemi quotidiani della presenza degli stra- nieri ma allo stesso tempo li montano e li esasperano.
il nuovo modello europeo
Spogliandoci per un attimo dalla nostra prospettiva eurocentrica ed egocentrica, dovremmo però ragionare sugli effetti del nuovo modello europeo, quello che sposta il muro più in là. Interrogarci sulla sua efficacia: la chiusura della rotta balcanica dopo l’accordo turco ha riaperto quella libico-siciliana, e a catena la chiusura di quest’ultima sta riaprendo quella spagnola; ma riusciremo mai a controllare tutto, in mare e in terra?
Sarebbe bene indagare sulle rischiosissime condizioni istituzionali e politiche: quali poteri, partiti, fazioni e tribù stiamo sostenendo? In sé, come ci dicono i numeri citati all’inizio di questo articolo, lasciare i Paesi più poveri e istituzionalmente fragili a gestirsi da soli il problema delle persone rifugiate, sfollate e migranti non è un fatto nuovo. La novità è la benedizione ufficiale dell’Europa democratica, ricca e illuminista su questa realtà. Ma anche ammesso che dentro i nuovi centri di raccolta-detenzione davvero si faccia una trasparente valutazione su chi ha diritto a chiedere asilo, e a questi si dia un biglietto per l’Europa (ipotesi che, nelle condizioni date, pare lontanissima dalla realtà), dobbiamo chiederci: e tutti gli altri? Saranno assistiti dall’Unhcr, rimandati indietro con la forza, rimarranno a vegetare in enormi campi che, come già in tante parti dell’Africa, sono venuti a creare delle città di fatto, senza storia e senza futuro?
Roberta Carlini
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MIGRAZIONI
spostando
il muro più in là
Roberta Carlini su Rocca n. 18/2017

Lunedì 11 settembre 2017
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Gli Editoriali di Aladinews. IUS SOLI: paure rinvii ipocrisie
di Fiorella Farinelli, su Rocca, ripreso da Aladinews.
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Macron, niente più che un’illusione
11 Settembre 2017
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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Intervista a Emma Bonino: “Il modello Minniti ci si ritorcerà contro. L’accordo rafforza le milizie libiche e chiude gli occhi sui lager dei migranti”
di Umberto De Giovannangeli
L’Huffington Post7 settembre 2017. L’ex ministra degli Esteri critica Alfano e il governo per “l’impotenza politica” sullo ius soli. “Preoccupata per la legge elettorale, a rischio tenuta democratica“. Ripreso da SardegnaSoprattutto e da Aladinews.
By sardegnasoprattutto / 10 settembre 2017/ Società & Politica/
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