Monthly Archives: agosto 2017

BOCCIATA LA SCUOLA (ITALIANA) IN SARDEGNA

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di Francesco Casula.

Fra tutte le venti regioni, gli alunni sardi, registrano i peggiori risultati: sono i più bocciati e i più rimandati. Nella scuola Secondaria di secondo grado il 28,6 per cento ha la sospensione di giudizio, cioè rimandato e, l’11,4 è stato bocciato. Solo il 60 per cento promosso.
Il numero più alto di alunni bocciati si registra nelle scuole professionali con il 17,3 per cento: significa che quasi uno su cinque ripete lo stesso anno, mentre il 31% è rimandato. Sale il dato nei Tecnici dove i rimandati sono il 32,8 per cento e il 14,4 per cento i non ammessi alla classe successiva.
Anche nelle Secondarie di Primo grado si registrano risultati negativi per l’anno scolastico appena terminato: in Italia la percentuale degli ammessi alla classe successiva è il 97,7, in Sardegna si sta sotto la media con il 97,2 e il 2,8 per cento di bocciati. E la dispersione scolastica è la più alta d’Italia: un ragazzo su quattro non arriva al diploma.
Gli studenti sardi sono più tonti di quelli italiani? O poco inclini allo studio e all’impegno? E i docenti sono più scarsi o più severi? Io non credo. Come non penso che svolgano più un ruolo determinante la mancanza o l’insufficienza delle strutture scolastiche (laboratori, trasporti, mense ecc.), anche se certamente influenzano negativamente i risultati scolastici.
E allora?
- segue –

Oggi martedì 22 agosto 2017

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. Avviso ai naviganti. Considerato il periodo estivo l’aggiornamento del sito potrebbe non essere ancora regolare. Ma il sito non ha chiuso per ferie. Comunque ancora Buone vacanze a tutti!

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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Barcellona. ” …L’Europa, che gli attentati vogliono colpire, è forse il meglio di questo orrendo mondo globale, ma non è innocente, non può essere riproposta semplicisticamente come punto d’approdo del processo di civilizzazione”.
ajunt_pcatalunya_555x312_0SOCIETÀ E POLITICA » EVENTI » 2015-LA GUERRA DIFFUSA
Non avere paura di farsi qualche domanda
di LUCIANA CASTELLINA il manifesto, ripreso da eddyburg e da aladinews.
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democraziaoggiI limiti del capitalismo contemporaneo
22 Agosto 2017

Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
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Movimento Pastori Sardi: avanti seguendo il programma tracciato!

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sedia di Vannitoladi Vanni Tola.
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IL MOVIMENTO PASTORI SARDI GUIDA LA LOTTA PER LA RIFORMA DEL PASTORALISMO.

Con la grande manifestazione del 2 Agosto a Cagliari, il Movimento Pastori Sardi conferma la sua indiscussa leadership tra le Associazioni dei lavoratori agricoli. Oltre quattromila persone in piazza con molti giovani, donne e bambini, la presenza di 60 Sindaci dei comuni a prevalente economia pastorale, hanno mostrato la grande capacità di mobilitazione e la notevole forza di persuasione che il Movimento riesce a esercitare nei confronti delle Istituzioni regionali. E il risultato politico ed economico non è mancato. Il Presidente della Regione Pigliaru, già alla conclusione della manifestazione, ha infatti dovuto assumere l’impegno ufficiale di reperire, entro il mese di Agosto, un ulteriore finanziamento di 35 milioni di euro per fronteggiare la gravissima e drammatica crisi della pastorizia che mette a repentaglio l’esistenza stessa di migliaia di aziende pastorali. Sapremo tra alcuni giorni se l’impegno assunto da Pigliaru sarà mantenuto ma diversi segnali autorizzano a pensare che lo sarà. Inizia cosi una nuova stagione di mobilitazione del Movimento Pastori per affrontare e risolvere i principali problemi del comparto: l’irrisorio prezzo del latte e della carne, la cronica siccità, la disponibilità di infrastrutture e servizi per le aziende pastorali – la cui mancanza limita le potenzialità produttive dell’allevamento – la organizzazione delle catene distributive dei prodotti. Disordinata e scomposta invece è apparsa la reazione delle altre Organizzazioni del settore agricolo, soprattutto della Coldiretti, che ha mal digerito l’innegabile successo del Movimento Pastori Sardi in termini di capacità di mobilitazione e di risultati conseguiti. Dapprima si è assistito a una serie di commenti che mettevano in dubbio la capacità e la volontà della Regione di mantenere gli impegni assunti con i Pastori. Successivamente si è passati ai toni forti, al tentativo di fare la voce grossa annunciando per il 5 Settembre una manifestazione dei lavoratori agricoli e precisando perfino che sarà una manifestazione “dura e combattiva”. E’ fin troppo evidente il tentativo della Coldiretti di recuperare, anche agli occhi dei propri associati, una credibilità notevolmente ridimensionata anche per il fatto che, pochi giorni prima della manifestazione dei Pastori, le Organizzazioni professionali agricole si erano dovute accontentare di risulti molto più modesti nell’incontro istituzionale del mese di Luglio.
Il Movimento Pastori Sardi, dal suo canto, mantiene la barra diritta seguendo il proprio programma con attenzione, prudenza e vigilanza. La prossima tappa sarà quella di verificare, entro il 25 Agosto, il mantenimento degli impegni assunti dalla Giunta. Successivamente si proseguirà con le manifestazioni pubbliche negli aeroporti programmate da tempo per sensibilizzare l’opinione pubblica nel merito della crisi della pastorizia sarda. E’ sempre più indispensabile però concorrere a ripensare e riorganizzare le politiche regionali per la pastorizia e l’agricoltura con una efficace azione di riforma dell’intero comparto. Per tale motivo, superata l’attuale fase emergenziale, il Movimento Pastori Sardi si proporrà come interlocutore principale della Regione con l’obiettivo di avviare una effettiva e duratura valorizzazione del comparto pastorale da realizzare con una legge ad hoc sul pastoralismo che riscatti il comparto da una condizione di precarietà perenne ed emergenza continua.
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——————Documentazione—————
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Per il Movimento Pastori Sardi resta valido il periodo di tregua fino al 25 agosto. Questo tempoil MPS lo ha detto più voltedeve servire alla politica per rendere concreta la promessa dei 35milioni di euro. Se, invece, il MPS si rende conto che nulla è stato fatto, lunedì 28 Agosto i pastori saranno all’aeroporto di Olbia e la prima settimana di settembre a Cagliari come già da tempo annunciato, naturalmente il MPS va avanti seguendo il programma già tracciato. Quei soldi servono a sfamare le pecore perciò servono adesso!
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Cagliari, 2 agosto 2017: Manifestazione dei pastori sardi. (Fotocronaca di Vanni Tola).
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mps-1_2- Pastori sardi su Aladinews.
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- La pagina fb del MPS.
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- L’articolo di Vanni Tola sulla pag. fb del MPS.
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65251_113969351998233_758825_nIl documento del MPS
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- Le pecore “beni comuni” dei sardi.pecore-300x221
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- La foto in testa è di Claudia Zuncheddu (da fb).
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Documentazione. LavoroDistribuzioneRedditoSardegnaCheFare? Verso il Convegno sul Lavoro promosso dal Comitato d’Iniziativa Sociale Costituzionale Statutaria.

welfareWelfare e crescita economica
20 Agosto 2017

Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi

Roberto Ciccone, docente di Economia politica, in “Il welfare promuove la crescita economica” (MicroMega, n. 4/2017) mette in evidenza gli effetti positivi, per il sistema economico, di alcune “componenti fondamentali dell’organizzazione moderna del welfare State”, per contrastare la tesi di chi sostiene la necessità di riformare in “senso riduttivo” lo Stato sociale realizzato, al fine di rilanciare la crescita delle economie avanzate, sollevandole dal peso divenuto largamente insostenibile del suo finanziamento.
L’autore limita l’analisi a quei segmenti dello Stato sociale che si riferiscono alla sanità, all’istruzione, alle pensioni, escludendo perciò le “politiche espressamente rivolte ai livelli di occupazione e alle condizioni di lavoro, le cui finalità – secondo Ciccone – possono farsi rientrare nel generale campo di interessi dello Stato moderno, al pari della giustizia e della difesa nazionale”.
Chi sostiene la necessità di una riforma riduttiva del welfare State rivolge le sue critiche, non alle tutele previste per le “fasce economicamente più deboli della popolazione”, ma a quei contenuti dello Stato sociale cosiddetti “universali”, estesi a tutta la popolazione, come la sanità e l’istruzione pubblica, o come il sistema pensionistico riservato alla popolazione lavoratrice in stato di quiescenza.
Sugli interventi in pro della popolazione economicamente più debole, “talvolta definiti Stato sociale minimo”, vi è, a parere di Ciccone, un ampio consenso, in considerazione del fatto che il loro mantenimento è “condizione di sopravvivenza” per chi ne fruisce. Gli interventi sui quali gli economisti divergono sono quelli “universali”, accessibili cioè all’intera popolazione. In ogni caso, precisa Ciccone, le proposte di revisione del welfare State, concernente i suoi contenuti universali (sanità, istruzione, pensioni), riguardano solo l’”entità delle prestazioni fornite […] e solo raramente il loro completo smantellamento”.
Una elemento comune a gran parte delle critiche che vengono rivolte al welfare State per i suoi contenuti universali è che gli oneri da esso riversati sul sistema economico “sarebbero diventati insostenibili”; il loro aumento sarebbe stato determinato da fenomeni che hanno investito la generalità dei Paesi economicamente avanzati, quali l’”aumento della quantità e qualità delle prestazioni del servizio sanitario, l’estensione degli anni di scolarizzazione obbligatoria, l’innalzamento della durata media della vita, e quindi del numero di pensioni che devono essere erogate nell’unità di tempo”. I maggiori oneri per il settore pubblico derivati da questi fenomeni avrebbero determinato, mediati dal “sistema fiscale e contributivo, un onere crescente sulla parte produttiva della società, imprese e lavoratori, con conseguenze negative per l’attività economica e la crescita”. La revisione del welfare State in senso riduttivo, perciò, sarebbe imposta dalla necessità di adeguare gli oneri gravanti sul sistema economico alle mutate circostanze che sottendono il funzionamento dei moderni Stati ad economia avanzata.
Ai fenomeni indicati, Ciccone aggiunge, quasi residualmente, l’accresciuta concorrenza sui mercati internazionali dei prodotti e la maggior facilità e rapidità di trasferimento dei capitali, generate dalla globalizzazione, sostenendo che “talvolta” questi ultimi fenomeni sono utilizzati dai critici dei contenuti universali del welfare State per un ulteriore sostegno della loro tesi; per i critici, infatti, come ricorda Ciccone, gli “oneri contributivi gravanti su imprese che operano in un Paese ad elevate prestazioni sociali nel comprometterebbero la capacità di ‘stare sul mercato’ o, più prosaicamente, costituirebbero incentivo a trasferire la produzione dove il capitale può ricevere una più elevata remunerazione”.
Strana questa valutazione riduttiva di Ciccone circa gli effetti della globalizzazione sulla capacita di tenuta dell’organizzazione del welfare State ad alte prestazioni sociali; in tal modo, egli sottovaluta che lo stare sul mercato internazionale è proprio una della cause, come sarà detto più avanti, che ostacola, nella prospettiva d’analisi adottata, la possibilità che il welfare possa essere utilizzato come “formidabile strumento della crescita economica, con essa della pace sociale”.
Per ammissione dello stesso Ciccone, la prospettiva dalla quale egli valuta le potenzialità positive del welfare State è “quella del ruolo con cui esso entra nella distribuzione del reddito tra capitale e lavoro”. Da quest’ultimo punto di vista, Ciccone sostiene che l’affermazione secondo cui gli effetti della sostenuta spesa sociale sarebbero oggi “prevalentemente negativi è propria di chi segue la teoria economica dominante, la teoria neoclassica”. La critica che egli formula contro questa affermazione è riconducibile, invece, all’impostazione teorica della distribuzione del reddito delle teoria classica, coniugata alla concezione keynesiana “del ruolo determinante della domanda per i livelli di produzione e occupazione”.
Il nucleo della teoria classica della distribuzione del prodotto sociale è – afferma Ciccone – “una spiegazione di natura storico-sociale dei salari reali”, concepiti come “panieri di beni” il cui contenuto è “determinato in primo luogo dalle circostanze che definiscono, nel dato stadio di sviluppo della società, i consumi irrinunciabili”, esprimenti il “minimo di sussistenza” necessario alla forza lavoro per la sua riproduzione; il minimo salariale irrinunciabile è integrato positivamente in funzione dei “fattori economici e istituzionali che nella fase storica considerata incidono sulla forza contrattuale dei lavoratori nei confronti della parte datoriale”, e quindi in funzione della capacità della forza lavoro di “ottenere un salario reale superiore” al minimo di sussistenza. In questa prospettiva, nella distribuzione del prodotto sociale, il salario si configura perciò come un “dato”, rispetto alla determinazione delle altre categorie di reddito.
Questa concezione del salario, a parere di Ciccone, consente di considerare il welfare State, per i servizi dei quali fruisce la forza lavoro, come parte integrante del paniere di beni che essa è “in grado di fare proprio. E cioè quale quota del loro salario reale”. In tal modo, il salario della forza lavoro “viene ad essere concepito come costituito dalla quota contrattata con il datore di lavoro e dalla quota costituita dagli istituti dello Stato sociale”. Secondo Ciccone, considerare il welfare come “salario sociale” aiuta meglio a vedere alcune sue importanti implicazioni, a vantaggio del capitale e della “pace sociale”.
Poiché il salario sociale erogato attraverso il welfare è finanziato mediante la leva fiscale, il suo costo è ripartito su “una platea di contribuenti” che trascende il numero delle imprese, dando così origine a un beneficio economico per il capitale. Inoltre, il fatto che il salario sociale sia erogato dallo Stato, la contrattazione del suo importo con la parte datoriale è sostituita da un processo politico meno antagonistico della contrattazione diretta, e perciò con reciproci vantaggi per la forza lavoro e i datori di lavoro, poiché il welfare State, in quanto forma di un processo politico-istituzionale, concorre ad attuare una “parte delle rivendicazione distributiva esercitata dai lavoratori”. Ma oltre a questi vantaggi, il salario sociale svolge – afferma Ciccone – “una strutturale forma di sostegno dell’economia capitalistica”, con particolare riguardo alla produzione e all’occupazione.
Con riferimento a questi ultimi aspetti, il salario sociale erogato dallo Stato concorre a sostenere l’espansione della domanda finale del sistema economico, propria di una redistribuzione del prodotto sociale a favore delle classi di reddito a più elevata propensione al consumo; poiché, quando il ciclo economico attraversa fasi congiunturalmente negative, il salario sociale non varia anche per quella parte delle forza lavoro che avesse perso la stabilità occupazionale, esso esercita un “effetto stabilizzatore di contrasto alla caduta di domanda aggregata e produzione complessiva nei periodi di depressione dell’attività economica”.
Sulla base della prospettiva teorica adottata, Ciccone passa a criticare la tesi di chi sostiene la necessità che per rilanciare la crescita del sistema economico occorra ridimensionare il welfare State, al fine di ridurre l’insostenibilità del suo costo. Se ciò avvenisse, verrebbero meno tutti gli effetti positivi connessi all’erogazione del salario sociale, quali il sostegno della domanda e dell’occupazione, ma verrebbe meno anche la valutazione del fatto che l’alternativa allo Stato sociale non sarebbe solo una minore ridistribuzione del prodotto sociale, ma anche possibili “trasformazioni istituzionali”, che potrebbero originare instabilità politica e il possibile smarrimento della regola democratica, strumentale alla stessa determinazione del salario sociale.
Inoltre, secondo Ciccone, la critica fondata sull’affermazione che la riduzione del welfare sarebbe “imposta dalla mobilità globale dei prodotti e del capitale”, oltre a non trovare sufficienti conferme sul piano empirico, non avrebbe alcun fondamento anche riguardo alla competitività dei prodotti e alla profittabilità del capitale. La supposta esistenza di conflittualità tra lo Stato sociale e la competitività e profittabilità, rispettivamente dei prodotti e del capitale, è messa in discussione dal fatto che, secondo alcuni autori, il salario sociale costituisce un “fattore di crescita della produttività del lavoro”; ciò perché tale salario e il suo incremento favoriscono, sia i cambiamenti sociali richiesti dal progresso tecnologico, sia il permanere di lunghi periodi di pace sociale, sia incrementi di domanda e di produttività dei fattori produttivi quando le imprese operano in regine di rendimenti di scala crescenti.
Anche le pensioni, come il salario sociale erogato a favore della forza lavoro attiva, esercitano una funzione benefica sulla crescita e sull’occupazione del sistema produttivo; analogamente al salario sociale corrisposto alla forza lavoro ancora attiva, pure le pensioni sono erogate, in parte in forma monetaria e in parte in forma di servizi dello Stato sociale. Diversamente però dai salari, nelle pensioni anche la componente monetaria diretta è erogata dallo Stato, per cui l’intero importo pensionistico è determinato dalle istituzioni del welfare State e la tutela della forza lavoro in quiescenza dipende totalmente dalla forza della loro rappresentanza politica.
Considerata la diversa composizione delle pensioni rispetto ai salari, mentre una riduzione delle prestazioni dello Stato sociale in pro della forza lavoro attiva “colpirebbe” solo il salario indiretto, nel caso delle pensioni sarebbero “colpite” entrambe le componenti: quella monetaria diretta e quella sociale. La ragione prevalente per cui si sostiene la necessità di una riduzione delle prestazioni pensionistiche è fondata sull’aumento della speranza di vita, la quale automaticamente determina un aumento del numero delle pensioni. In conseguenza di ciò, i critici sostengono che l’aumento dell’onere pensionistico, comporti innanzitutto la crescita dell’incidenza negativa delle prestazioni pensionistiche sul PIL e/o sul numero degli occupati; in aggiunta, però, esso genera anche un’eccedenza strutturale delle entrate sulle uscite del sistema previdenziale.
Poiché il prolungamento della speranza di vita non è comprimibile, il contenimento delle prestazioni pensionistiche può essere realizzato, o con un aumento delle aliquote contributive della forza lavoro ancora attiva, oppure con una riduzione delle prestazioni pensionistiche; in entrambi i casi, la conseguenza sarebbe un aumento dell’incidenza del welfare State sul PIL e, dunque, sul numero dei lavoratori occupati. Poiché – secondo Ciccone – è plausibile assumere che i livelli di produzione e occupazione dipendano dal livello della domanda finale, un aumento della spesa pensionistica si traduce “in un aumento della domanda per consumi, e in un conseguente aumento di produzione e occupazione”.
E’ però possibile che l’aumento dell’occupazione, indotto dall’accresciuto onere delle pensioni, possa risultare proporzionalmente inferiore all’aumento della spesa pubblica; se ciò dovesse accadere, per equilibrare le entrate previdenziali con le uscite occorre aumentare le aliquote contributive. L’aumento degli oneri contributivi, conclude Ciccone, si accompagnerebbe ad “un generale aumento dell’attività economica, e quindi anche del volume dei profitti”; è perciò del tutto ingiustificato, conclude Ciccone, l’assunto che un eventuale aumento di contribuzione risulti negativo per il sistema sociale, sia dal punto di vista economico, che da quello sociale.

L’analisi di Ciccone è troppo ottimistica perché risulti credibile. Le ipotesi o le premesse sulle quali egli fonda tutto il suo discorso non trovano però riscontro nella realtà. Nei sistemi economici avanzati, a causa della loro integrazione nel mercato globale e della libertà con cui è possibile muovere internazionalmente i capitali, il problema che non si riesce contrastare è la disoccupazione strutturale irreversibile, indotta dalla necessità per le imprese di conservarsi competitive; fatto, questo, che porta le imprese stesse a sostituire nelle loro combinazioni produttive capitale in luogo della forza lavoro.
Può darsi che la proposta di Ciccone possa avere possibilità di successo in un sistema economico come quello italiano, dove, la dimensione delle imprese e i settori produttivi di eccellenza, rendono sensibile l’intero sistema produttivo a politiche sociali sul tipo di quelle che egli suggerisce. Nel lungo periodo, però, è plausibile prevedere che anche per l’Italia si debba affrontare un radicale cambiamento dell’organizzazione dello Stato sociale, in quanto del tutto inadeguato per contrastare la disoccupazione tecnologica irreversibile.

Oggi lunedì 21 agosto 2017

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. Avviso ai naviganti. Considerato il periodo estivo l’aggiornamento del sito potrebbe non essere ancora regolare. Ma il sito non ha chiuso per ferie e a settembre riprenderà in pieno la propria attività. Comunque ancora Buone vacanze a tutti!
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GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501419JERRY
E così ieri è morto Jerry Lewis.
Era però da molti anni che ci mancava.
Gli dobbiamo tante risate, fino a cinquant’anni fa.
Non era solo un comico.
Non credo che i giovanissimi lo sappiano.
Ci divertiva e credo che anche lui si divertisse.
I suoi ultimi anni, purtroppo, non sono stati divertenti.
Grazie Jerry.

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lampada aladin micromicroGli Editoriali di Aladinews. Turismo, quale turismo? Dibattito.
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eddyburgSOCIETÀ E POLITICA » EVENTI » 2015 – LA GUERRA DIFFUSA
Non avere paura di farsi qualche domanda
di LUCIANA CASTELLINA su eddyburg.
«La nostra orgogliosa riaffermazione «non abbiamo paura» ha certamente un senso molto positivo, ma non basta…». il manifesto, 20 agosto 2017, ripreso da aladinews (c.m.c.)
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CITTÀ E TERRITORIO » CITTÀ OGGI » BOLOGNA
L’urbanistica dopo Làbas
di PAOLA BONORA
Dopo lo sgombero dei centri sociali dagli edifici ex militari bolognesi è il momento di riaprire una discussione seria sulla utilizzazione più ragionevole di questa ampia categoria di spazi pubblici inutilizzati. La Repubblica, ed. Bologna, 20 agosto 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews.
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democraziaoggiL’autonomia di Laconi, il pensiero fuori tempo di un crociano di sinistra
21 Agosto 2017
Gian Giacomo Ortu, du Democraziaoggi.
Un omaggio a Renzo Laconi è cosa sempre gradita, ma certo il volume curato da Pier Sandro Scano e Giuseppe Podda («Renzo Laconi, un’idea di Sardegna», Aipa Edizioni) si presenta con un’impostazione per così dire «antiquaria», rivisitando […]
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Barcellona. ” …L’Europa, che gli attentati vogliono colpire, è forse il meglio di questo orrendo mondo globale, ma non è innocente, non può essere riproposta semplicisticamente come punto d’approdo del processo di civilizzazione”.

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Non avere paura di farsi qualche domanda
di LUCIANA CASTELLINA su eddyburg.
«La nostra orgogliosa riaffermazione «non abbiamo paura» ha certamente un senso molto positivo,ma non basta…». il manifesto, 20 agosto 2017, ripreso da eddyburg e da aladinews (c.m.c.).

Brava Ada Colau a convocare subito una manifestazione a Piazza de Catalunya, nemmeno 24 ore dopo l’orribile massacro. Bravi i barcellonesi che a centinaia di migliaia hanno risposto all’appello gridando «no tinc por». E bravi i cittadini globali che si sono uniti a loro, piangendo per la ferita inferta alla città simbolo dell’accoglienza e dell’inclusione, ma anche per le proprie vittime: impressionante la cifra di 35 nazionalità. Hanno espresso, oltre alla pena per i corpi maciullati, la protesta per l’insulto che è stato fatto a quello che viene chiamato il «nostro libero modello di vita».

E però c’è qualcosa che non mi convince nella ormai ripetuta proclamazione dei nostri valori, non sono certa che la nostra idea di libertà sia davvero così acriticamente proponibile ad un mondo in cui la maggioranza degli esseri umani ne sono stati privati.

So bene che a proporre questo discorso si entra su un terreno scivoloso, quasi si volesse negare l’importanza dei diritti e delle garanzie individuali che la Rivoluzione francese ci ha conquistato, così come il sistema democratico-borghese che accorpa oramai quasi tutto l’occidente. Non vorrei scambiarlo con nessun altro sistema attualmente vigente, quale che sia la sua denominazione. Per questo, del resto, penso si debba difendere un’idea di Europa che lo salvaguardi dal vortice terrificante che attraversa il mondo.

E però non posso non chiedermi se questo modello, questa idea di libertà, possono davvero risultare convincenti per chi ne vive la contraddizione, per chi abita l’altra faccia del modello: una moltitudine di esseri umani, quelli che disperatamente attraversano il Mediterraneo e vengono respinti; chi vive nelle desolate periferie urbane e patisce una discriminazione di fatto (no, non «legale», per carità!); chi abita i villaggi del Sahel o mediorientali.
La nostra orgogliosa riaffermazione «non abbiamo paura» ha certamente un senso molto positivo: vuol dire non sopprimeremo la libertà, non ricorreremo ad antidemocratiche misure di polizia, non ridurremmo per garantirci sicurezza le nostre libertà. È un messaggio importante ed è bello che a Barcellona sia stato riaffermato a Piazza de Catalunya. Ma non basta, e, anzi, ripeterlo, se non ci si aggiunge qualche cos’altro, rischia di essere controproducente.

Siamo tutti consapevoli che la disfatta che l’Isis sta subendo sul territorio non rappresenta affatto la fine della minaccia terrorista. Che, anzi, lo smantellamento delle sue roccaforti potrebbe rendere anche più intenso il ricorso alle azioni di gruppo, o persino individuali, che colpiscono senza possibilità di prevedere come e dove. Sappiamo oramai anche che è ben lungi dall’essere esaurito il reclutamento di giovani jihadisti pronti a morire. Che provengono dall’Oriente, dal Sud, ma sempre più spesso anche dalla strada accanto. Contro di loro non c’è polizia che tenga, una sicurezza militare è impossibile.

La sola ancorché ardua via da imboccare sta innanzitutto nell’interrogarsi su cosa muove l’odio di questi ragazzi. Non l’abbiamo fatto abbastanza. Non ci riproponiamo la domanda con altrettanta forza quando ribadiamo la superiorità della nostra idea di libertà. E così questo nostro atto di coraggiosa resistenza rischia di suonare inintellegibile a chi di quella libertà gode così poco. Perché chiama in causa non solo il nostro orrendo passato coloniale, le responsabilità per le rapine neocoloniali del dopoguerra, il razzismo di fatto, le sanguinose, offensive guerre che continuiamo a produrre con la scusa di portar la democrazia. Queste sono responsabilità di governi che anche noi combattiamo, anche se dovremmo farlo con maggiore vigore. (Ha ragione Ben Jelloun che si è chiesto perché non abbiamo portato dinanzi alla Corte per i delitti contro l’umanità il presidente Bush, il maggiore artefice dell’esplosione jihadista).

E però c’è qualcosa che tocca a noi, proprio a noi di sinistra, fare: ripensare il nostro stesso, superiore modello di democrazia, ripensarlo con gli occhi dell’altro, dell’escluso, sforzarsi di capire la rabbia che induce al martirio. Non per giustificarlo, per carità, e neppure per chiudere gli occhi sulle occultate manovre di potere che guidano e finanziano il terrorismo. Ma – ripeto – per capire e impegnarsi a ripensare il nostro stesso modello di civiltà, all’individualismo che la caratterizza, tant’è che la democrazia la decliniamo sempre più in termini di diritti e garanzie personali, non come rivendicazione di un potere che deve riuscire a liberare l’intera umanità. Penso che questo bisognerebbe gridarlo nelle piazze, aggiungendo un impegno politico al «non abbiamo paura».

L’Europa, che gli attentati vogliono colpire, è forse il meglio di questo orrendo mondo globale, ma non è innocente, non può essere riproposta semplicisticamente come punto d’approdo del processo di civilizzazione.
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Turismo. Quale turismo?

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Il pessimo affare del turismo senza regole
di MANUEL CASTELLS

Una critica apparentemente ragionevole del sociologo agli effetti economici del «turismo a buon mercato». Ma il problema non colpisce solo l’economia, e non sembra risolubile con qualche regola in più. Internazionale, 18-24 agosto 2017, ripreso da eddyburg, con postilla (i.b.)

Quest’anno il numero dei turisti in Spagna si avvicinerà agli ottanta milioni, con un aumento dell’11 per cento rispetto al 2016. La Catalogna ne ha ospitati quasi il venti per cento. Nel 2015 l’industria turistica rappresentava l’11,1 per cento del Pil e il 12 per cento dell’occupazione. Oggi 2,8 milioni di persone lavorano in questo settore. Il turismo traina l’economia spagnola e il paese è avvantaggiato, perché le altre possibili mete nel Mediterraneo sono diventate più rischiose e perché i cittadini europei spendono sempre più per i viaggi (questo, paradossalmente, non vale per i cittadini spagnoli: il 40 per cento di loro quest’anno infatti non è andato in vacanza).

Si tratta di un turismo a buon mercato, con una spesa media di 129 euro al giorno, molto più bassa rispetto a Francia o Italia. È anche diminuita la permanenza media, che è scesa a 7,9 giorni. Il settore sta passando sempre di più dalle mani dei tour operator e delle grandi catene alberghiere a quelle dei siti internet come Airbnb, che gestiscono pernottamenti non sempre in regola con la complicità di proprietari e inquilini speculatori in rotta con i vicini.

La saturazione è evidente: alle Baleari quest’anno sono attese due milioni di persone, quando i residenti delle isole sono in tutto 1,1 milioni. Una situazione che ha delle ripercussioni sui servizi pubblici (in primo luogo sulla sanità), che non riescono a soddisfare le necessità di questa popolazione stagionale. C’è un rincaro di affitti e prezzi, per la distorsione tra la domanda globale e l’offerta locale. I residenti sono costretti ad abbandonare le loro città e a volte la convivenza civile è messa in crisi dai turisti che esagerano con l’alcol e le droghe.

Questo spiega le reazioni dei cittadini in diverse località di villeggiatura, soprattutto in Catalogna e alle Baleari, i territori più sottoposti a questa pressione incontrollata. Non sono reazioni violente. Il lancio di coriandoli non provoca feriti e nessuno slogan scritto sui muri da persone esasperate si è tradotto in aggressioni. Paragonare questa protesta, come ha fatto il Partito popolare, alla kale borroka (le azioni di guerriglia urbana degli indipendentisti baschi) è un’offesa a chi in passato ha sperimentato sulla sua pelle le violenze dei separatisti dell’Eta.

È eloquente che i popolari, sempre più al centro delle critiche, vedano in qualsiasi protesta un potenziale reato. In realtà, considerando il mondo in cui viviamo, le iniziative simboliche di protesta contro il turismo senza limiti sono servite a risvegliare la coscienza civile e politica, facendo capire che siamo di fronte a un problema serio.

Per molti i disagi sono il prezzo da pagare per un’attività economica che dà da vivere a molte aree del paese. In realtà, i vantaggi sono discutibili. Chi pensa che questo tipo di turismo faccia bene alla Spagna ha un’idea obsoleta dell’economia, in cui contano solo i profitti delle aziende e la creazione di posti di lavoro. Dimentica però il contributo allo sviluppo della ricchezza del paese a lungo termine e non considera i costi non contabilizzati: di bilancio, sociali e ambientali.

Perché la madre dell’aumento della ricchezza è la produttività del lavoro.

Tra il 2000 e il 2014 la produttività spagnola non è cresciuta e oggi aumenta quasi dell’un per cento all’anno, molto meno rispetto ai paesi vicini. Questa situazione è direttamente legata al predominio di settori a bassa produttività, come il turismo e l’edilizia. La bassa produttività non dipende solo dal tipo di attività (negli Stati Uniti e in Francia, il turismo è più produttivo della media), ma anche dall’abbondanza di lavoratori scarsamente qualificati.

Nei pochi mesi in cui lavorano nel settore turistico, le persone non hanno il tempo di diventare più qualificate e gli imprenditori non hanno interesse a investire nella formazione.

Come denunciano i sindacati, spesso le condizioni di lavoro sono difficili (sovraffollamento, alti ritmi di lavoro, precarietà). I salari sono i peggiori sul mercato del lavoro, mille euro o meno in media. Questa situazione ha conseguenze importanti sul welfare, perché gli stipendi bassi finanziano a malapena la previdenza sociale, mentre i servizi di sanità, istruzione e pensione devono comunque essere garantiti a questi lavoratori e alle loro famiglie.

Più lavoro precario si crea nel settore turistico, più si aggrava la crisi del welfare e meno si contribuisce al miglioramento dell’economia, che è legato alla capacità di consumo della popolazione. Le Baleari, che erano la regione spagnola più ricca, stanno perdendo terreno proprio per questo motivo. Al buon andamento del settore si accompagnano la precarietà e i bassi salari, oltre all’impatto negativo sull’ambiente e sulla qualità della vita dei residenti. Un turismo con più regole, come propone il governo delle Baleari, sarebbe una benedizione per il nostro paese. Quello attuale non è sostenibile e fa danni sia dal punto di vista sociale sia da quello economico.

eddyburgpostilla. La critica al “turismo di massa” o al “turismo a buon mercato” come lo chiama Castells può essere un punto di partenza per comprendere gli effetti collaterali di un’economia basata sul turismo. Ma focalizzando la critica a questo tipo di turismo e mettendone in evidenza gli svantaggi economici, il rischio è quello che la regolamentazione si traduca nella scelta di un “turismo di élite”. Quest’ultimo certamente ha dei vantaggi apparenti e immediati, come la riduzione del numero dei turisti, la crescita della loro spesa giornaliera, la specializzazione dei lavoratori del settore, ma non quello di contenere i prezzi e di evitare la gentrificazione delle aree più appetibili e l’alienazione dei beni più belli a consumo turistico. Esemplare è il caso di Venezia.La logica capitalistica impedisce di concepire e pensare a un turismo di massa, quindi destinato a tutti e non solo ai pochi che se lo possono permettere, che consenta alle città e ai suoi abitanti di convivere con il turismo senza farsene schiacciare. Nel capitalismo c’è solo una logica: lo sfruttamento. (ib)
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lampadadialadmicromicro1Turismo su Aladinews

Oggi domenica 20 agosto 2017

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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eddyburgOPINIONI » OPINIONISTI » SCANDURRA
La mutazione genetica dell’urbanistica
di ENZO SCANDURRA su eddyburg.
Leggo su il manifesto dell’11 agosto 2017, a firma Costantino Cossu, un’intervista a Edoardo Salzano in merito al tentativo in corso di stravolgere il piano paesaggistico regionale… (segue). Su eddyburg.
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democraziaoggi loghettoWelfare e crescita economica
20 Agosto 2017
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Roberto Ciccone, docente di Economia politica, in “Il welfare promuove la crescita economica” (MicroMega, n. 4/2017) mette in evidenza gli effetti positivi, per il sistema economico, di alcune “componenti fondamentali dell’organizzazione moderna del welfare State”, per contrastare la tesi di chi sostiene la necessità di riformare in “senso riduttivo” lo Stato sociale […]
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costat-logo-stef-p-c_2-2Revisione art. 81: regressione costituzionale
20 Agosto 2017
Gianni Ferrara, ripreso da Democraziaoggi.
Un commento a caldo, ma sempre attuale, sulla costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, ad opera di uno dei più autorevoli costituzionalisti italiani, maestro di diritto e di democrazia.
Con l’approvazione del Senato in seconda deliberazione si è concluso ieri il procedimento di revisione dell’art. 81 della Costituzione. Male. Un giudizio non tanto distante da […]
—————————————–-Punta de billete-—————————————-
lamasMATERIALI PER UN’URBANISTICA SOSTENIBILE
locandina-grande_pattada_28-9-2017-2SEMINARIO DI STUDI IN PREPARAZIONE DEL CONVEGNO “SOSTENIBILITÀ COME OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO DELLA SARDEGNA”

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S’ISCHOLA DE SU TRABAGLIU/ LA SCUOLA DEL LAVORO
28 AGOSTO 2017 PATTADA (SS) HOTEL LA PINETA
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Quali i contenuti e gli obiettivi di LAMAS e di S’ischola de su trabagliu per l’Edizione 2017? Produrre Materiali per un’urbanistica sostenibile in vista del Convegno Sostenibilità come opportunità di sviluppo della Sardegna che col supporto dell’associazione Paesaggio Gramsci si svolgerà ad ottobre. - segue -
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pietre-aladin
Papa Francesco, che “delusione”!
di Alberto Maggi

All’inizio era solo una discreta mormorazione, poi è diventata mugugno sempre più crescente, e ora, senza più remore, aperto dissenso nei confronti del Papa venuto dalla fine del mondo (e sono tanti che ce lo vorrebbero ricacciare). Papa Francesco in poco tempo è riuscito a deludere tutti. E la delusione si trasforma in un risentimento dapprima covato e ora platealmente manifesto.

- segue dalla fonte -

Pausa… ancora per poco

pausa
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…e non perdiamoci di vista!
Aservice Editore ***** Aladinpensiero News
——————Quasi chiuso per quasi ferie———————–
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Oggi sabato 19 agosto 2017

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aladinlampada-micro
. Avviso ai naviganti. Considerato il periodo estivo l’aggiornamento del sito potrebbe non essere regolare. Ma il sito non chiude per ferie. Buone vacanze a tutti!

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democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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Gramsci nelle pagine di Umberto Cardia e «l’autonomia democraziaoggiintegrale» della Sardegna
19 Agosto 2017
da Sardinews, dicembre 2010
di Gianni Fresu.
Su Democraziaoggi.
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sardegnasoprattutto-1Lo Spritz People e la biddizzazione di Cagliari [di Alessandro Mongili]
By sardegnasoprattutto/ 19 agosto 2017/ Città & Campagna
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lamasMATERIALI PER UN’URBANISTICA SOSTENIBILE
locandina-grande_pattada_28-9-2017-2SEMINARIO DI STUDI IN PREPARAZIONE DEL CONVEGNO “SOSTENIBILITÀ COME OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO DELLA SARDEGNA”

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S’ISCHOLA DE SU TRABAGLIU/ LA SCUOLA DEL LAVORO
28 AGOSTO 2017 PATTADA (SS) HOTEL LA PINETA
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Quali i contenuti e gli obiettivi di LAMAS e di S’ischola de su trabagliu per l’Edizione 2017? Produrre Materiali per un’urbanistica sostenibile in vista del Convegno Sostenibilità come opportunità di sviluppo della Sardegna che col supporto dell’associazione Paesaggio Gramsci si svolgerà ad ottobre. – segue –

Per Barcellona

barcelona
Il tweet di Ada Colau Sindaca di Barcellona:
colau-per-barcelona
—————–COMMENTI&RIFLESSIONI————-
linkiesta logo
Terrore sulla Rambla, ora la minaccia viene dal nord Africa (e il fronte si chiama Europa)
Il ritorno dei foreign fighters dalla Siria, il caos libico, e ora la nuova minaccia che arriva dal Sahel. E un unico obiettivo: seminare terrore nel ventre molle dell’Occidente

di Francesco Cancellato su Linkiesta.
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Manuel Torres: «Barcellona? Un attentato inevitabile»
Per il membro del think tank Gesi in una Spagna che ormai si riteneva al sicuro il radicalismo cresce ovunque. E nonostante il buon lavoro di intelligence, il fenomeno appare inarrestabile

di Silvia Ragusa su LinKiesta.
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Goya il-sonno-della-ragione 2Tonino Dessì su fb
[Non perdiamo l'uso della ragione]

Mi sto davvero girando le palle.
Tra i blog de Il Fatto (figuriamoci se poteva mancare Fusaro, ma anche un tal Ferrara [su Il Fatto] te lo raccomando), i profili FB complottisti (oh, della Catalogna sappiamo, ma in Finlandia referendum per l’indipendenza non ne hanno indetto, cerchiamo di stare con i piedi per terra) e insomma anche tutti noi, stiamo per diventare un coro di pomposi esticazzi.
L’ISIS non -ricordiamocelo: NON- rappresenta nè l’Islam come universo mondiale, nè gli islamici che vivono da tempo da noi (i giovani e meno giovani senegalesi che incontriamo da anni tutti i giorni, tanto per capire, sono musulmani praticantissimi), nè i diseredati africani che arrivano da Niger, Nigeria, Mali, etc., etc. (affogati e scampati sono neri: saranno di varie etnie, Paesi, religioni, condizioni sociali, ma sono subsahariani color ebano, cava gli occhi a un cieco).
Nè può presentarsi, l’ISIS, neppure nei territori da dove faticosamente li si sta cacciando, liberando popolazioni curde, yazere, cristiane, musulmane sunnite e scite, come campione della vendetta anticoloniale.
Noi non possiamo cadere nella loro trappola, che è persino banale, nella sua sanguinaria rozzezza.
Pensano di innescare una guerra interna alle società occidentali, scatenando contrapposte spirali di odio, anzitutto xenofobo.
Ricordiamoci che si tratta di un’organizzazione politico-militare che ricorre al terrore e al terrorismo. Un’organizzazione pericolosissima, anche ora che militarmente, nella guerra convenzionale, è in rotta, ma che non per questo ha rinunciato alla propria determinazione.
Certo, come è accaduto per altre organizzazioni terroristiche, ha anche aree di reclutamento sociale da noi, o meglio, nei Paesi dove seconde e terze generazioni di origine immigrata sono condizionate da forme specifiche di alienazione, analoghe a quelle dove, per esempio, tra gli autoctoni europei, reclutano le organizzazioni neofasciste e neonaziste, ma diverse, perchè diverse sono le rispettive appartenenze e le origini culturali ed etniche.
Tuttavia resta ancora un’organizzazione senza egemonia e senza influenza diffusa.
Spagna, Regno Unito e Italia hanno conosciuto esperienze lunghe e cruente di terrorismo interno. Ma adeguando reazioni e strumenti se n’è venuti a capo. Perfino il terrorismo di una grande organizzazione criminale internazionale tutt’altro che sconfitta, come la mafia, è stato bloccato.
Se ne può venir fuori: i mezzi strettamente tecnici, di intelligence, di prevenzione, di controllo dei luoghi a rischio e del territorio in generale, di intervento delle forze di polizia ordinarie e di quelle specializzate, esistono.
La condizione generale (uno direbbe: strategica) è che sia il terrorismo sia la reazione antiterroristica non provochino quel clima di reciproco odio che sta quotidianamente rischiando di avvelenare la nostra vita relazionale quotidiana.
A quel punto, chiunque ci avesse voluto precipitare nella guerra interna avrebbe già vinto, con la complicità consapevole o inconsapevole di molti di noi.
Cerchiamo, almeno, di non offrire questa complicità.

Per Barcellona

colau-per-barcelona

Oggi venerdì 18 agosto 2017

barcelona
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Attentato Barcellona, “no tinc por”: il grido in catalano “riconquista” le Ramblas. Abitanti in corteo con Re e turisti (da Il fatto quotidiano).
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democraziaoggiGianni Fresu, La prima bardana – Modernizzazione e conflitto nella Sardegna dell’ottocento
18 Agosto 2017
Su Democraziaoggi.
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eddyburgCITTÀ E TERRITORIO » SOS » SARDEGNA
L’uomo del Qatar sta con Pigliaru: via il vincolo dei 300 metri dal mare
di COSTANTINO COSSU
«L’amministratore delegato della Smeralda Holding approva la legge urbanistica regionale, e se resta l’articolo 43 “ne approfittiamo”». il manifesto 18 agosto 2017, ripreso da eddyburg, con riferimenti (c.m.c.).
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legambiente-calegambiente
il CIRCOLO DI CAGLIARI appoggia l’esperimento di Via Roma pedonale.
Segue il Comunicato Stampa

VIA ROMA PEDONALE
UN ESPERIMENTO CORAGGIOSO
EVOCATIVO DI UN FUTURO SOSTENIBILE

- segue –

Con Barcellona

nastro lutto Vicinanza e solidarietà con le famiglie delle vittime. Con Barcellona

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Su Il fatto quotidiano.
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Oggi giovedì 17 agosto 2017

democraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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democraziaoggiNell’analisi di Gramsci la rivoluzione passiva di Benito Mussolini
17 Agosto 2017

G. Fresu, Nell’analisi di Gramsci la rivoluzione passiva di Benito Mussolini. 25 ottobre 2011, la Nuova Sardegna.
di Gianni Fresu.
Su Democraziaoggi.
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