Monthly Archives: luglio 2017
Appello di padre Alex Zanotelli ai giornalisti: «Rompiamo il silenzio sull’Africa»
Rilanciamo anche noi di Aladinews l’appello che il missionario Comboniano, direttore della rivista Mosaico di Pace, rivolge alla stampa italiana. «Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli stanno vivendo», scrive.
Padre Alex Zanotelli (Foto: centrobanchi.it)
di Alex Zanotelli*
Scusatemi se mi rivolgo a voi in questa torrida estate, ma è la crescente sofferenza dei più poveri ed emarginati che mi spinge a farlo. Per questo come missionario uso la penna (anch’io appartengo alla vostra categoria) per far sentire il loro grido, un grido che trova sempre meno spazio nei mass-media italiani.
Trovo infatti la maggior parte dei nostri media, sia cartacei che televisivi, così provinciali, così superficiali, così ben integrati nel mercato globale. So che i mass-media , purtroppo, sono nelle mani dei potenti gruppi economico-finanziari, per cui ognuno di voi ha ben poche possibilità di scrivere quello che vorrebbe. Non vi chiedo atti eroici, ma solo di tentare di far passare ogni giorno qualche notizia per aiutare il popolo italiano a capire i drammi che tanti popoli stanno vivendo.
Mi appello a voi giornalisti/e perché abbiate il coraggio di rompere l’omertà del silenzio mediatico che grava soprattutto sull’Africa. (Sono poche purtroppo le eccezioni in questo campo!)
È inaccettabile per me il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga.
È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.
È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.
È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga verso l’Europa.
È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.
È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti potrebbero costituirsi in un nuovo Califfato dell’Africa nera.
È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.
È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa , soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.
È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia , Sud Sudan, nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’ONU.
È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.
È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi. (Lo scorso anno l’Italia ha esportato armi per un valore di 14 miliardi di euro!).
Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi.
Questo crea la paranoia dell’“invasione”, furbescamente alimentata anche da partiti xenofobi.
Questo forza i governi europei a tentare di bloccare i migranti provenienti dal continente nero con l’Africa Compact , contratti fatti con i governi africani per bloccare i migranti.
Ma i disperati della storia nessuno li fermerà.
Questa non è una questione emergenziale, ma strutturale al sistema economico-finanziario. L’ONU si aspetta già entro il 2050 circa cinquanta milioni di profughi climatici solo dall’Africa. Ed ora i nostri politici gridano: «Aiutiamoli a casa loro», dopo che per secoli li abbiamo saccheggiati e continuiamo a farlo con una politica economica che va a beneficio delle nostre banche e delle nostre imprese, dall’ENI a Finmeccanica.
E così ci troviamo con un Mare Nostrum che è diventato Cimiterium Nostrum dove sono naufragati decine di migliaia di profughi e con loro sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Davanti a tutto questo non possiamo rimane in silenzio. (I nostri nipoti non diranno forse quello che noi oggi diciamo dei nazisti?).
Per questo vi prego di rompere questo silenzio-stampa sull’Africa, forzando i vostri media a parlarne. Per realizzare questo, non sarebbe possibile una lettera firmata da migliaia di voi da inviare alla Commissione di Sorveglianza della RAI e alla grandi testate nazionali? E se fosse proprio la Federazione Nazionale Stampa Italiana (FNSI) a fare questo gesto? Non potrebbe essere questo un’Africa Compact giornalistico, molto più utile al Continente che non i vari Trattati firmati dai governi per bloccare i migranti? Non possiamo rimanere in silenzio davanti a un’altra Shoah che si sta svolgendo sotto i nostri occhi. Diamoci tutti/e da fare perché si rompa questo maledetto silenzio sull’Africa.
*Alex Zanotelli è missionario italiano della comunità dei Comboniani, profondo conoscitore dell’Africa e direttore della rivista Mosaico di Pace.
oggi martedì 18 luglio 2017
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Gli Editoriali di Aladinews. L’EREDITÀ SPIRITUALE DI GIOVANNI FRANZONI. All’incrocio tra società e Chiesa ha legittimato la libertà cristiana di scegliere di Raniero La Valle
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Sinistra che fare? Il leader Maximo detta la linea
18 Luglio 2017
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Massimo D’Alema ha rilasciato al Fatto quotidiano un’intervista in cui delinea i compiti delle diverse sigle della sinistra in vista dlle prossime scadenze elettorali. Si tratta di un testo molto interessante, che mostra la lucidità dell’autore e contiene indicazioni di buon senso per la sinistra italiana. Insomma, ahinoi!, comprova che un leader criticato del […]
Oggi martedì 18 luglio 2017
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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » DE HOMINE
Neppure un grido si leva?
di MARCO REVELLI
Nel mare delle notizie che, nel loro complesso. spingono al pessimismo, abbiamo scelto due scritti, di diversa natura e radice, di Corrado Lorefice e di Marco Revelli, entrambi ripresi dal manifesto (16 luglio 2016), e da eddyburg. Sollecitano entrambi verso la stessa domanda.
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CITTÀ E TERRITORIO » SOS » SARDEGNA
Così il Pd dà il via libera a ecomostri e cemento in Sardegna
di PAOLO BIONDIANIL
Giove rende dementi coloro che vuol perdere. Il guaio è, che se i dementi sono un pugno di politicanti, a perdere sono tutti i sardi, gli altri italiani, tutti i viventi nonché i posteri. L’Espresso, ripreso da eddyburg, 18 luglio 2017
DIBATTITO: SardegnaCheFare?
La tessitura del nuovo
di STEFANO PUDDU CRESPELLANI
La difficoltà non consiste nel trovare idee nuove,
ma nel liberarsi dalle vecchie.
Albert Einstein
Il test elettorale delle comunali sarde lascia aperte quasi tutte le incognite sullo scenario politico futuro. I dati di tendenza sono da leggere con molta cautela. L’unico vincitore chiaro è l’astensione, che supera di media il 40%. Per il resto, nessuno convince. Nemmeno le proposte fuori dai poli. Ci sono, certo, alcune lodevoli eccezioni. Dove si è lavorato bene, l’astensione scende. L’elettore, come testimonia l’esempio di Bauladu, dà volentieri il voto a chi ha saputo meritarsi la sua fiducia con i fatti. Ma il resto non esprime tanto consenso quanto stanchezza e assuefazione.
Le forze bipolari, che si contendono il centro politico, a questo turno sono riuscite a “reggere”, come potrebbe farlo una pianta sull’orlo di un precipizio. Malgrado l’erosione implacabile del suolo, un esteso intrico di radici permette loro di tenersi ancora in piedi. In fondo è proprio a livello locale dove la trama delle conoscenze e dei favori funziona al meglio. Per riuscire a scalzare questo groviglio ci vuole tempo e molto lavoro serio.
Le forze “alternative”, sia le liste a 5stelle, sia soprattutto quelle sarde, più o meno indipendentiste, hanno intercettato solo debolmente il desiderio di cambiamento. La logica di andare da soli non ha dato frutto.
La classe politica sarda ha mostrato, finora, poca pratica di tessitura e di cucito. Sarà perché spesso si è rimasti a uno stadio precedente, legato alla preponderanza del maschio e ai suoi metodi di negoziazione “virili” (che sono più che altro metodi di negazione). Per fortuna il mondo cambia, e il beneficio di un approccio diverso alla diversità e ai conflitti sta arrivando anche da noi.
In ogni caso, il lavoro per una alternativa è ancora lì che attende. Per impegnarsi seriamente bisogna essere disposti a ragionare sul medio termine. Ci vorrà continuità e costanza, più di quanta non ce ne sia stata finora. Il che non significa rinunciare a un approccio intelligente e pratico alla sfida elettorale che si avvicina. Ci vuole un ordito di pazienza e di lavoro a medio termine, su cui però tessere una trama, cioè un disegno, colorato e ambizioso, a breve. Questo disegno non è altro che una proposta di governo alternativo, in stile sardo. Abbiamo pressoché la garanzia di non poter fare peggio di quel che è stato fatto nelle due ultime legislature, in cui le due forze principali hanno fatto a gara per stabilire record di inefficienza e asservimento alle logiche italiane. Tuttavia, bisogna prepararsi al compito con metodo, serietà e pazienza. E bisogna costruire il telaio, con perizia. Precisamente, questo è il punto in cui ci troviamo.
L’intelligenza politica oggi ci dice che nessuno, da solo, ce la può fare a spostare gli equilibri, forse neanche a entrare in forze nel Parlamento sardo (come sarebbe giusto chiamarlo). Nessuno, inoltre, a questo giro può fare da contenitore degli altri. Non abbiamo, insomma, una forza egemone. Questo può essere un inconveniente, o un vantaggio. In generale, dovrebbe ispirare a tutti una posizione di ascolto e di dialogo.
Un elemento a favore è che la legge elettorale mette ciascuna delle forze politiche davanti al rischio dell’irrilevanza, per non dire della figuraccia. Piuttosto che sparire, o ottenere risultati risibili, meglio trovare degli accordi sensati.
Il momento è propizio, perché l’insoddisfazione e il disagio della cittadinanza sarda non erano mai stati così acuti. I poli tradizionali reggono soltanto in virtù delle loro trame assistenziali, costruite in decenni di gestione del potere. Ma non convincono più, da tempo, non suscitano nessuna fiducia nell’elettore. Non regge più nemmeno il discorso del male minore. Sono troppo simili tra loro, cioè sono lo stesso male, due specchi che si fronteggiano e che moltiplicano all’infinito l’immagine di un unico modello di dipendenza distruttivo per la Sardegna. La loro egemonia è in disfacimento. Sono giunti al culmine di un processo di desertificazione accelerata. Hanno perso rappresentatività in ogni settore; perfino le clientele sono ormai senza fiducia. E tuttavia reggono, perché l’alternativa non c’è ancora.
È quindi tempo di prendere ago e filo, telaio e spola, e lavorarci. Cucire posizioni, anzitutto: per non andare alle elezioni in ordine sparso e sbrindellati.
Una proposta alternativa ha soprattutto un obbligo: quella di essere diversa. E di riuscire a comunicarlo. Diversa nelle proposte, nel linguaggio utilizzato, nei metodi, nei gesti.
Per sovvertire la situazione elettorale, l’unico fattore di variazione significativo sta in quel 40% di persone che scelgono di astenersi, perché del voto futile non ne vogliono più sapere. Nello spazio d’ombra dell’astensione ci sono molte elettrici e elettori orfani di una proposta credibile, che stanno aspettando appunto questo: una proposta credibile. Qualcosa che non assomigli a ciò che già esiste. Che non funzioni secondo le stesse logiche puerili. Una proposta che pensi più ai bisogni degli elettori che ai bisogni di chi si candida.
Per arrivare agli astensionisti non serve tirarsi i piatti in testa. Funzionano molto meglio le strategie di accordo. Soprattutto se si basano su militanze che conducono insieme lotte comuni, più che su segreterie che firmano patti. L’alternativa si tesse sul serio quando reti diverse si rendono reciprocamente compatibili. La chiave sta nel mettere in comune gli esperti di ogni gruppo, per sviluppare insieme proposte. Ciascuno continua a lavorare alla propria rete, com’è giusto fare; cambia solo un piccolo dettaglio: che si impara a interagire con reti diverse dalla propria. Ci si stimola, si scambiano le idee, si avanza nella stessa direzione. Il cambiamento dev’essere questo.
Negli anni ’80, di questo fenomeno se ne diceva “contaminazione”. È stata senza dubbio una stagione fertile. Tutto il contrario dell’idea sterile di coltivare solo il proprio orticello. Molte delle lezioni di quegli anni sono state dimenticate, ma restano vive come ipotesi latenti. Questo è il momento di recuperarle, se si vuole cambiare discorso, e governo.
L’alternativa ai conglomerati di potere gestiti da poche mani passa per le reti, cioè per includere le persone escluse dal potere, che sono oggi la grande maggioranza, e dare valore alle loro relazioni. L’obiettivo delle reti è quello di attivarsi. Il compito di chi vuole costruire una alternativa è quello di riuscire a stimolarle e integrarle. Renderle comunicanti, insomma.
C’è, qui, un gran lavoro da fare in termini di intelligenza e generosità. A ciascuno è richiesto il coraggio di mettere da parte l’abitudine alla diffidenza, e affinare invece le proprie capacità di costruire la fiducia. C’è da dire che è l’unica strada percorribile, oltre al fatto che è di gran lunga la più interessante.
Abbiamo il compito di costruire un polo alternativo, con programmi che propongano soluzioni fattibili, elaborati e sostenuti da gruppi di lavoro misti, ben organizzati, capaci di esprimere persone preparate, che godano della fiducia di tutte le parti. Può sembrare un percorso più lungo. In realtà, si procede con meno intoppi.
Il fatto che da molte parti si stiano attivando processi di aggregazione va visto come positivo. Avvicinamenti nell’area indipendentista; accostamenti tra settori sovranisti e indipendentisti; dialoghi con quelle forze che ancora meritano di essere chiamate di sinistra; aperture a chi, finora, ha manifestato il proprio bisogno di alternativa in area cinquestelle. Senza dimenticare, come si diceva prima, il mondo astensionista, che è sempre la cartina di tornasole di una proposta alternativa. Se questa non riesce a intercettare minimamente la zona d’ombra del non voto, vuol dire che di alternativo ha ben poco. È soltanto un terzo contendente a dare le stesse gomitate per spartirsi lo stesso piatto.
Oggi c’è bisogno di maggiore riconoscimento, maggiore comunicazione e maggiore generosità tra tutte le componenti che aspirano a proporre una alternativa ai sardi e alle sarde. L’invidia e il risentimento, sul piano politico, non pagano. Ci vuole semplicemente coraggio e senso pratico. Impariamo a parlare chiaramente tra noi dei problemi e delle proposte, senza offendersi. È anche vero che non andrebbe poi male lasciare la suscettibilità a casa. Ci sono cose più importanti dell’amor proprio su cui mettersi d’accordo.
In questo momento, l’invito da rivolgere a tutti è quello di cucire relazioni per il bene della Sardegna. Stimolare scambio e dibattito. Aprirsi all’idea del cambiamento. L’alternativa è possibile, ma solo se avremo il coraggio del nuovo. Gli equilibri della vecchia politica si possono superare, a patto di esplorare cammini diversi. L’oligarchia si può vincere solo con un coinvolgimento ampio, mettendo in campo la partecipazione. La pulsione di potere può essere superata solo dall’intelligenza delle reti. L’alternativa ai capibastone sta in quella dimensione comunitaria che vogliono a tutti i costi farci perdere. È proprio su questo che dobbiamo lavorare, insieme.
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STEFANO PUDDU CRESPELLANI·GIOVEDÌ 22 GIUGNO 2017
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L’illustrazione è (arbitrariamente) tratta da ComunicareUnica2017.
oggi lunedì 17 luglio 2017
SOCIETÀ E POLITICA » CAPITALISMO OGGI » PROPOSTA
Prendersi cura degli altri è la rivoluzione secondo Naomi Klein
di LAURIE PENNY
«Trump potrebbe essere l’onda d’urto che spingerà la sinistra globale a rimettersi in sesto». Internazionale online, ripreso da eddyburg, 16 luglio 2017 (c.m.c)
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La migliore politica sociale? Nuovi posti di lavoro
di Pietro Casula]
By sardegnasoprattutto/ 15 luglio 2017/ Economia & Lavoro/
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Piena occupazione? Questo è il problema
17 Luglio 2017
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Sergio Cesarotto, docente di Economia internazionale, in “L’imperativo della piena occupazione” (MicroMega, 4/2017) sostiene che l’Italia, nelle condizioni in cui attualmente si trova, non sia in grado di risolvere il problema della piena occupazione; ciò che sarebbe possibile se essa fosse integrata in un contesto internazione favorevole, quale potrebbe essere, ad esempio, quello Europeo […]
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Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi: (…) quel che più deve preoccupare, però, è che la sinistra riformista incominci a riflettere sul fatto che ormai sono maturi i tempi per prendere atto che con le modalità di funzionamento dei moderni sistemi economici divengono improponibili le politiche economiche finalizzate a rendere compatibile il pieno impiego con il miglioramento delle produttività dei fattori produttivi e il miglioramento della competitività; occorrono sforzi per andare oltre il pieno impiego e privilegiare, in sua vece, la riflessione sul come distribuire più convenientemente il prodotto sociale.
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Gli Editoriali di Aladinews. L’EREDITÀ SPIRITUALE DI GIOVANNI FRANZONI
All’incrocio tra società e Chiesa ha legittimato la libertà cristiana di scegliere
di Raniero La Valle
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E’ online il manifesto sardo duecentoquarantadue
Il numero 242
Il sommario
Rwm Domusnovas. Sul valore relativo dell’etica (Aldo Lotta), Rwm Domusnovas. Qualcosa si muove? (Red), A Calasetta si vuol anticipare la nuova legge regionale urbanistica? (Stefano Deliperi), Buone ragioni per fare una nuova legge elettorale statutaria (Lucia Chessa), Legge elettorale statutaria. Le proposte dei comitati sardi (Red), Ramadan e consumismo (Graziano Pintori), Responsabilità sociale dell’impresa e “Bilancio Sociale Allargato” (Gianfranco Sabattini), La nostra vergogna (Gianfranca Fois), C’è vita a sinistra del Pd? (Roberto Mirasola), Povertà. A che punto è la notte (Marco Revelli), Leo nei meandri della psicanalisi nell’era del web (Claudia Zuncheddu), L’omeopata. Un romanzo di storia e umanità (Ottavio Olita), Seui in musica (Red).
L’EREDITÀ SPIRITUALE DI GIOVANNI FRANZONI
All’incrocio tra società e Chiesa ha legittimato la libertà cristiana di scegliere.
di Raniero La Valle
La morte di Giovanni Franzoni è un lutto per la Chiesa italiana ed è – come del resto lo fu quella di don Milani, il cui valore di recente è stato riconosciuto dai capi della Chiesa cattolica – un lutto per la società italiana. Per la società e la Chiesa, perché all’incrocio (o sulla croce) di questi due modi di essere degli uomini insieme, si sono consumate le vite e le testimonianze di “dom” Franzoni come di don Milani.
È un’interazione che di solito non viene evocata, quando si parla della morte di un uomo di Chiesa, così come si tace della Chiesa quando muore un uomo delle istituzioni, magari noto come “non credente”, come fu di recente nel caso di Stefano Rodotà. Tuttavia grande è l’influenza dell’uno e dell’altro, quando la personalità è forte e l’impegno pubblico è strenuo, su ambedue i mondi, religioso e civile.
Ciò vale soprattutto per la storia italiana dopo il Concilio Vaticano II. È stato poco studiato (e per nulla dalla cultura laica) l’impatto che il Concilio ha avuto sullo sviluppo della società, anche politica, italiana, sull’evoluzione del diritto, sulla storia delle istituzioni civili. Eppure è stato un impatto fortissimo, decisivo. Basti pensare alla revoca della legittimazione sacrale al partito cattolico (fu quella per l’Italia la vera fine della concezione carolingia o costantiniana del potere, della “cristianità”), basta pensare all’irrompere della secolarizzazione, veicolata dal Sessantotto, che la Chiesa aveva anticipato nel Concilio; basta pensare alla variabile introdotta nella politica italiana dall’incognita referendaria, inaugurata dal “NO” cattolico all’abrogazione della legge sul divorzio, e poi della 194 sull’aborto; basta pensare al rinnovamento del diritto di famiglia, con la sottrazione della donna al dominio maritale; basta pensare all’interdetto che prima del Concilio gravava perfino sul dialogo con i socialisti (i “punti fermi”!), e che diventa dopo il Concilio alleanza di governo con i comunisti, pagata col sangue di Moro e con la morte angosciata di Paolo VI. È chiaro che un così grande sommovimento storico ha portato con sé frutti e scorie, grano e zizzania, che non si possono separare ora, ci penserà la storia, o la coscienza profonda del popolo, a farne l’inventario.
Ora, in tutti i passaggi di questo incrocio di Chiesa e società, di fede e storia, dopo il Concilio, Giovanni Franzoni è stato al centro, è stato coinvolto, è stato protagonista: ha scelto e ha dato legittimità e forza alla libertà cristiana di scegliere.
Per questo la sua vita, dopo l’avvio fulgente come abate di San Paolo fuori le Mura fino al 1973, è stata vissuta nella solitudine istituzionale, attraverso i vari passaggi delle dimissioni da abate, della sospensione a divinis (1974) e della riduzione allo stato laicale (1976); solitudine istituzionale che lo ha visitato anche nella morte, avvenuta il 13 luglio mentre era solo nella sua casa di Canneto (Rieti), e che è stata lenita e compensata, fino alla fine della vita, dalla sequela e dall’affetto della comunità di base che egli aveva fondato nell’androne di via Ostiense al momento del suo esodo dalla basilica.
Quell’esodo aveva anticipato l’immagine della “Chiesa in uscita” che sarebbe stata resa canonica da papa Francesco; ed anche l’atto magisteriale che l’aveva preceduta, la lettera pastorale scritta come abate di San Paolo, “La terra è di Dio”, era stata la proposta di una uscita della Chiesa dall’involucro di una Chiesa temporalista; infatti prendendosi cura della terra anticipava la “Laudato sì” di papa Francesco, ma nello stesso tempo affermava che la cura della terra richiedeva anche un atteggiamento di povertà e di spossessamento, a cominciare dalle proprietà fondiarie che la Chiesa aveva a Roma e dalle speculazioni edilizie che vi prosperavano, contro cui doveva levare la sua voce perfino un’istanza istituzionale della Chiesa romana, nel famoso convegno del febbraio 1974 su “i mali di Roma”.
Ma se lì doveva cominciare la solitudine istituzionale di Giovanni Franzoni, non per questo veniva meno il rispetto e la stima – anche se anonima – di molti uomini di Chiesa; e fu una bella sorpresa quando due anni fa alla presentazione della sua autobiografia nella grande sala dei Musei capitolini, si presentò inaspettato il vescovo ausiliare di Roma, Matteo Zuppi, ora arcivescovo di Bologna. Era l’autobiografia di “un cattolico marginale”, e la presentammo al Campidoglio, di cui del resto Franzoni era stato per alcuni mesi al servizio, come consulente dell’Assessorato “Roma cambia millennio, progetti per una città aperta e solidale”, che avevamo messo su in vista del 2000 (ma poi rapidamente stroncato) all’ombra della giunta Rutelli.
Un altro ponte lanciato sulla sua solitudine fu l’intervento richiestogli per un convegno biblico, e l’anno scorso quando l’attuale abate di San Paolo e il cardinale Harvey, arciprete della basilica, fecero visita alla comunità di via Ostiense e insieme a lui hanno letto la pagina paolina sulla diversità dei doni in un unico Spirito.
Giovanni Franzoni continuerà a vivere in ciò che ha seminato, e anche nella lezione delle contraddizioni che ha attraversato. Non ha fondato un ordine, un’obbedienza, una chiesuola con pretese di durata, ma lascia un’eredità spirituale che sarà custodita da quanti lo hanno amato e poi ancora sarà riscoperta, come Dio vorrà.
Alla comunità di San Paolo e alla moglie Yukiko le condoglianze fraterne del sito Chiesa di tutti Chiesa dei poveri.
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E’ online Rocca n.15/2017
Oggi domenica 16 luglio 2017
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Scuola: uomini o caporali?
16 Luglio 2017
Lucio Garofalo su Democraziaoggi.
Nella mia lunga carriera professionale mi sono imbattuto in prevalenza in due diverse tipologie di dirigenti scolastici. La prima categoria, forse la più diffusa nel mondo della scuola, è quella del preside dispotico, che tratta l’istituzione in un modo autocratico e verticistico, scambiando l’autonomia scolastica per una tirannide di tipo individuale e stimando i […]
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SOCIETÀ E POLITICA » NOSTRO PIANETA » INVERTIRE LA ROTTA
La nostra economia dell’obsolescenza
di STEVEN GORELICK
L’inesorabile marcia dell’obsolescenza programmata, il potente strumento dell’ideologia e della prassi dello sviluppismo, la Peste dei nostri anni. comune-info.net, ripreso da eddyburg, 14 luglio 2017, con riferimenti (p.d.)
oggi sabato 15 luglio 2017
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Legge elettorale regionale e dinamiche politiche e di base
15 Luglio 2017
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
La spinta compulsiva verso la frammentazione è riuscita ad insinuarsi perfino nei comitati come quelli per il NO, che sono raggruppamenti informali di scopo, e dunque privi di gerarchie, di linee e di obbedienze. Si fa insieme solo ciò che si condivide. Questa filosofia ha consentito ai comitati per il NO, sorti spontaneamente, di […]
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Cemento mori
di PAOLO BIONDANI
«Assalto al litorale della Sardegna. Addio legge salvacoste. La giunta vara la controriforma dell’edilizia. Renato Soru insorge:” Il Pd ha tradito”». l’Espresso, ripreso da eddyburg, 15 luglio 2017 (c.m.c.)
Progetto FORIMM. Alpo consegna gli strumenti da lavoro alle allieve corsiste
A conclusione dell’iter previsto nel Progetto FORIMM Voce 2.1 codice spesa 8.6 al termine del corso formativo sartoriale,l’Associazione Alpo, oggi venerdì 14 Luglio 2017, alle ore 18,30 nella Sede di Via Principe Amedeo 22/a, provvederà a consegnare il corredo del materiale assegnato per la formazione ad ogni beneficiaria, comprensivo anche della macchina per cucire.
Siete invitati tutti a partecipare a questa felice cerimonia
IL Presidente Mauro la fauci
Meglio astenersi
Colpi di sole. Le alte temperature di queste giornate stanno riscaldando le menti degli uomini politici che si propongono, meglio si ripropongono, alla nostra attenzione in vista delle elezioni prossime venture. Giorno dopo giorno, se si ha la pazienza di leggerle, aumentano come in un crescendo rossiniano le promesse elettorali che nessuno manterrà mai. Dimenticate le dentiere nuove per tutti di berlusconiana memoria, si riparte con l’aumento delle pensioni, con la promessa di milioni di assunzioni, di abbassamento delle tasse, di risoluzione del problema dei migranti che starebbero invadendo il nostro paese ( i dati reali non lo confermano ma per Fantasyland va sempre bene). Intanto Renzi tira avanti di sconfitta in sconfitta, di promessa in promessa. Ora ha dichiarato “guerra” all’unione europea chiedendo denaro per aumentare gli investimenti. Detta cosi – come ha spiegato in tv il giornalista del Corriere Massimo Franco – sembrerebbe che a Bruxelles esista un forziere con del denaro che ci appartiene e che il giovane Don Chisciotte sta andando a prendere. In realtà ciò che Renzi sta chiedendo all’Unione è soltanto il permesso di superare ancora una volta il limite imposto per l’indebitamento dell’Italia, il permesso di incrementare il debito pubblico nazionale che andrà a pesare sulle tasche dei nostri figli. Ma va bene uguale, tanto in campagna elettorale si può dire di tutto. E visto che ci si trova il nostro ne spara anche un’altra. Porterà il PD al 40%, come Grillo che ha lo stesso identico obiettivo per il suo movimento, come Berlusconi che vuole fare altrettanto per lo schieramento di destra. Tutto va bene, tanto sotto gli ombrelloni non si presta molta attenzione alla discussione elettorale. C’è un dato del quale nessuno, proprio nessuno, parla. L’astensionismo. Cresce continuamente la tendenza degli italiani a non partecipare al voto. Lo hanno confermato le ultime consultazioni elettorali. Per le prossime elezioni regionali siciliane i sondaggi prevedono un astensionismo superiore al 55% e la tendenza è al rialzo. L’inconsistenza e la sostanziale poca credibilità delle proposte politiche in campo e dei “leader” che le supportano faranno il resto. All’elettore ormai non resta altra scelta che quella di riappropriarsi del diritto all’astensione dal voto come ultima forma di protesta contro un sistema politico che naviga verso l’iceberg. Non lo diranno nei dibattiti televisivi ma è un dato di fatto che il partito dell’astensione è attualmente e di gran lunga il maggiore partito italiano.
Riflessioni. La piazza che diventa location è morta
CITTÀ E TERRITORIO » TEMI E PROBLEMI » SPAZIO PUBBLICO
La piazza che diventa location è morta
di SALVATORE SETTIS
Esistono molte forme, storie, funzioni degli spazi pubblici, e in particolare di quelli che chiamiamo “piazze”,tutte mutevoli nello spazio e nel tempo. Che vuol dire combattere «l’etica della location»? Ragioniamo. il Fatto Quotidiano, 12 luglio 2017, ripreso da eddyburg, con postilla
Una nuova barbarie insidia le nostre città: l’etica della location. Imperversa dappertutto, ma colpisce al cuore specialmente la più originale creazione della città italiana, la piazza. Tanto originale, anzi, da avere un ruolo chiave nella ricerca, promossa dall’Istituto Max Planck per la Storia dell’arte e diretta da Alessandro Nova, sul rapporto tra forma della piazza e vita politica delle città. La piazza italiana è l’erede più nobile e più consapevole dell’agorà greca e del foro romano. È luogo di discussione e d’incontro, di commercio e di scontro politico, di festa e di lutto. Teatro di rituali collettivi (come il Palio di Siena), si presta alle manifestazioni civiche, accoglie cerimonie religiose, si trasforma talora in mercato, si circonda di caffé e altri luoghi di conversazione.
A questa densità di significati e di tradizioni pensavano certo i tanti pianificatori di città nuove (per esempio in Orange County, California) che usarono la parola italiana “piazza” per designare spazi pubblici destinati ad accogliere forme di vita civica. Esperimenti che di solito non hanno molto successo, perché replicare la piazza italiana fuori d’Italia è davvero difficile senza la trama urbana che la circonda, la stratificazione storica che l’accompagna, la memoria culturale dei cittadini che vi abitano.
Questa storia secolare vacilla ormai sull’orlo dell’abisso. Da Treviso a Todi, da Pisa a Palermo, da Cagliari a Lecce capita sempre più spesso di vedere meravigliose piazze storiche invase, anzi occultate, da palcoscenici, impalcature, riflettori, sedie per spettatori, barriere, attrezzature sportive, schiere di gabinetti mobili, contenitori di rifiuti, bottiglie rotte per terra e altri detriti. Il fenomeno è così esteso e frequente che è inutile stendere una lista nera, additare al ludibrio sindaci o soprintendenti o descrivere casi singoli. Chiuse al pubblico non pagante, deturpate da invadenti strutture “provvisorie”, che però durano settimane o mesi, le nostre piazze nascondono la loro bellezza e la loro diversità, diventano tutte uguali, accolgono gli stessi concerti dalle Alpi alla Sicilia, perdono forza e carattere, si svendono per trenta denari. Il principio che governa questo degrado, in una cacofonia di rumori che appesta quartieri interi, è l’etica della location. Ma una piazza storica che venga intesa solo come location è già morta. L’idea stessa di location implica che la piazza di per sé non è nulla, non ha una funzione sua propria, a meno che non la si riempia di qualcos’altro, non importa se tornei sportivi, concerti rock, dibattiti culturali o cantanti d’opera. A pagamento, spesso, così la piazza “rende”; mentre la piazza storica, i nostri antenati non l’avevano capito, era uno sbaglio, uno spazio vuoto che di per sé non rende nulla.
Il successo di queste iniziative, tanto più perverse quanto più a lungo durano, si misura sbigliettando, contando presenze e introiti. Nessuno fa i conti di quel che si perde: il turista che in quella piazza entra una volta sola nella vita, e avrebbe il diritto di vederla, ma ne è privato perché le architetture sono nascoste dall’attrezzeria dell’evento di turno; il degrado dell’immagine civica che ne consegue; il progressivo logoramento della stessa idea di città. La piazza fu infatti per secoli il supremo spazio sociale che crea e consolida l’identità civica e la memoria culturale, perché lo scambio di esperienze, di culture e di emozioni vi accade grazie al luogo e non grazie al prezzo. Sta ora diventando, al contrario, un non-luogo (una non-piazza), dove solo il prezzo conta, e la bellezza del luogo è solo uno specchietto per le allodole, si mostra e si nasconde. E questo mentre crescono intorno a noi, in un processo inarrestabile, i nuovi italiani che vengono da altre culture,e a cui dovremmo saper trasmettere valori e comportamenti senza i quali ogni discorso sulla tutela dei centri storici e dei paesaggi presto diventerà lettera morta.
Alla stessa logica, la piazza storica come un invaso vuoto da riempire e “modernizzare”, risponde anche l’incongruo aggeggio installato nel bel mezzo di piazza Sordello a Mantova con la scusa di proteggere resti archeologici. A profanare la celebre piazza, con prevedibile escalation, è stavolta un’architettura non effimera, ma ingombrante e pomposa. Perfino in una delle più preziose città d’Italia le “autorità preposte” hanno dunque perso il senso di che cosa una piazza sia? Ma i mantovani mostrano di capire, e si allunga ogni giorno la lista dei firmatari di una petizione per la pronta demolizione del goffo edificio. L’etica della location è più difficile da battere perché si nasconde dietro eventi effimeri, ma in molte città cresce la protesta e il fastidio. Riusciremo, noi italiani, a ricordarci che una piazza storica deve vivere, mostrare, difendere la propria dignità?
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postilla
Ciò che Settis definisce «una nuova barbarie che insidia le nostre città: l’etica della location» è certamente un danno grave, che colpisce tutti gli spazi pubblici belli o brutti, nobili od ordinari. Tutto ciò che era finalizzato o è finalizzabile alla fruizione da parte di tutti e può essere oggi“valorizzato”nell’interesse di pochi (o anche semplicemente all’incremento del PIL) viene stravolto a questo fine. Ed è evidente che quando questa barbarie colpisce luoghi più ricchi di bellezza, di storia, di memorie ancora vive, o di usanze (e utilizzazioni) ancora verdi o rinverdite la cosa turba di più.
Ma non vorremmo che la ricchezza delle funzioni, dei ruoli, delle utilizzazioni cui sono soggette le piazze, mutevoli nel tempo come è mutevole la storia delle città e delle società che le abitano, vengano appiattite sui loro aspetti estetici, sulle “pietre” che le costituiscono.
Quante nobili piazze disegnate ed usate per celebrare l’orgoglio dei tiranni vennero adoperate come “location”per la ribellione vittoriosa degli oppressi? e quanti giardini costruiti per le delizie dei cortigiano trasformati in parchi pubblici per gli abitanti dei quartieri popolari? Le trasformazioni del suolo devono essere sempre orientate al miglioramento delle sue connotazioni positive, quale che sia la storicità infusa in esse.
Come icona abbiamo scelto una immagine di Gianni Berengo Gardin, “Francofonte”
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CITTÀ E TERRITORIO » CITTÀ QUALE FUTURO » PER COMPRENDERE
Vittorio Gregotti “L’architettura non interessa più a nessuno”
di FRANCESCO ERBANI E VITTORIO GREGOTTI
«Il grande progettista si racconta alla vigilia dei novant’anni “Tutto è cambiato. Chiudo lo studio”». la Repubblica, ripreso da eddyburg, 12 luglio 2017 (c.m.c.)
OGGI venerdì 14 luglio 2017
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A Barcellona l’incontro sulle economie collaborative procomuns
Nora Inwinkl – 13 luglio 2017, su LabSus
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——————commenti——————
UIL: una storia di oggi e una di tanto tanto tempo fa…
14 Luglio 2017
Amsicora, su Democraziaoggi
Dovete ammettere che la posizione della segreteria della UIL sarda è scomoda e imbarazzante. Il Banco di Sardegna, “nel rispetto della vigente normativa antiriciclaggio“, ha proceduto a presentare un esposto alla Procura di Sassari con la descrizione circostanziata e documentata di quanto emerso dalle verifiche ispettive. Niente giudizi, valutazioni o accuse nei confronti di chicchessia, […]