Monthly Archives: giugno 2017
Oggi venerdì 23 giugno 2017
Cittadino/straniero, una distinzione ancora attuale?
23 Giugno 2017
Red su Democraziaoggi.
Una riflessione sul rapporto fra cittadini e stranieri in favore dello jus soli e in vista della conferenza InterAzioni per superare la Bossi-Fini “Ero Straniero” – Lunedì 26 giugno a Cagliari (ore 16.00 nella Fondazione di Sardegna, via San Salvatore da Horta n°2).
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———————————————IL DIBATTITO POLITICO————————————————————–
SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » SINISTRA
Il rischio di cui Pisapia non si accorge
di PIERO BEVILACQUA
«Sinistra. L’iniziativa al Brancaccio è stata un primo passo molto positivo. La sinistra deve unificarsi in un unico organismo. Non solo in Parlamento ma soprattutto nella società». il manifesto, 22 giugno 2017, ripreso da eddyburg (c.m.c.)
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A proposito dell’iniziativa di Anna e Tomaso
di EDOARDO SALZANO su eddyburg.
Testo della lettera inviata ad Anna Falcone e Tomaso Montanari a proposito della loro iniziativa politica: le ragioni del consenso e la perplessità.
—————————————-Vuoti in città e in testa (segue)—————————
Giornata mondiale del Rifugiato
Giornata mondiale del Rifugiato
SPRAR San Fulgenzio-Città di Quartu Sant’Elena
Venerdì 23 giugno 2017
Auditorium Parrocchia Sant’Elena
Venerdì 23 giugno 2017 alle ore 10.30 nell’Auditorium della parrocchia di Sant’Elena a Quartu Sant’Elena, si svolgerà la Giornata mondiale del rifugiato organizzata dallo SPRAR (Servizio richiedenti asilo e rifugiati) San Fulgenzio, dal Comune di Quartu Sant’Elena, ente attuatore dello SPRAR San Fulgenzio e dalla Caritas San Saturnino Fondazione onlus, ente gestore dello stesso SPRAR.
Dopo l’introduzione di don Marco Lai, presidente della Fondazione Caritas San Saturnino, che modererà i lavori, ci saranno i saluti dell’arcivescovo di Cagliari mons. Arrigo Miglio, del prefetto di Cagliari Tiziana Giovanna Costantino, del questore di Cagliari Pierluigi D’Angelo, dell’assessore alle politiche sociali del comune di Quartu Marina del Zompo.
Seguiranno gli interventi di Oliviero Forti, responsabile dell’Ufficio immigrazione di Caritas Italiana, che presenterà il Rapporto immigrazione 2016 Caritas-Migrantes “Nuove generazioni a confronto”, e di Stefania Russo, coordinatrice del progetto di accoglienza SPRAR San Fulgenzio che parlerà dell’esperienza dello SPRAR San Fulgenzio e presenterà la mostra fotografica “Un tempo che non va dimenticato”, con immagini dei beneficiari nelle situazioni di accoglienza e nei luoghi di tirocinio.
Seguirà la premiazione del torneo di calcio svoltosi nei giorni precedenti, con la partecipazione dei giovani ospiti dello SPRAR e dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) gestiti dalla Caritas diocesana di Cagliari. Chiuderà i lavori il sindaco di Quartu Stefano Delunas.
(COMUNICATO STAMPA)
Quale lavoro?
Il 5 e 6 ottobre si terrà a Cagliari un Convegno dal titolo “Lavorare meno, Lavorare meglio, Lavorare tutti: il Lavoro fondamento della nostra democrazia”, promosso dal Comitato d’Iniziativa Sociale, Costituzionale e Statutaria. Aladinews in accordo con il Comitato è impegnato a sostenere l’organizzazione del Convegno, soprattutto attraverso la diffusione di materiali prodotti dagli stessi esponenti del Comitato o comunque da esperti o protagonisti delle iniziative di lavoro o, infine, ripreso con opportuna selezione dalla rete. Quello che segue è un articolo pertinente di Rosella De Leonibus, tratto dalla rivista Rocca della Pro Civitate Christiana di Assisi, che ringraziamo per la consueta disponibilità collaborativa.
Rosella De Leonibus, su Rocca.
Labor, in latino fatica, pena, sforzo, è la radice. Viene dal verbo labare, vacillare sotto un peso. Così dovevano apparire gli schiavi, schiacciati dai pesi che trasportavano, agli uomini liberi che intanto discettavano di politica e filosofia nel foro. Dal latino deriva direttamente, oltre che l’italiano «lavoro», anche l’inglese labour, mentre in Francia il lavoro si chiama travail e, così come in Spagna il trabajo, sembrerebbe connettersi ad una area di significato più creativa, attraverso il richiamo al travaglio di parto. Altre fonti invece collegano più crudamente il travail e il trabajo al tripalium, che invece era un antico strumento di tortura composto da tre pali. Travagghiari ancora oggi in Sicilia connota il lavoro faticoso e duro delle braccia e della schiena piegata. Quindi (F. Avallone, Psicologia del lavoro, Carocci, Roma 1998) il significato primitivo e arcaico del lavoro evidenzia fatica, sforzo, peso, fino al limite della costrizione (la corvée) e della tortura (i lavori forzati). Gli uomini «liberi» non lavoravano, era questione riservata a servi e schiavi, il lavoro.
Le altre, quelle che oggi chiamiamo professioni (libere), erano considerate appunto arti, liberali, contrapposte ai mestieri, più plebei.
da pena a diritto
Da allora, con l’avvento della società borghese e dell’industrializzazione, la pena del dover lavorare è diventata un diritto, e da elemento di disagio necessario per le classi subalterne il lavoro è diventato desiderio, investimento, creatività, fino all’affermazione di Sigmund Freud, che lega amore e lavoro nell’attribuire loro un ruolo centrale nella vita umana, e poi li utilizza come indicatori di benessere psichico e segnali di una avvenuta evoluzione verso l’adultità. Si arriva anche ad una idea di lavoro come nobilitante per l’umano, come attività capace di sacralizzare la vita, connessa all’idea di sacrificio e di slancio ideale, come dovere e come virtù, come contributo al progresso della nazione o al benessere delle generazioni future.
Oppure come merce, forza-lavoro generica e astratta da offrire sul mercato, in cambio di un salario. Tuttora, in molte parti del pianeta, è anche alienazione, pratica deumanizzante, riedizione in forma nascosta di antiche schiavitù. Essenza fondamentale dell’essere umano, il lavoro è anche, in senso ampio, l’attività attraverso la quale si diventa coscienti di sé e della propria intenzionalità, capace di creare il mondo e soddisfare anche bisogni di ordine superiore. È campo di esercizio dei diritti e del riconoscimento della soggettività civile. Qualcuno ne ha decretato l’imminente fine, e preconizza l’indebolimento dell’ideologia del lavoro come valore in sé. Altri, come il sociologo Domenico De Masi, ipotizzano una rivoluzione silenziosa dove il lavoro sia sganciato dal salario e venga offerto gratuitamente, al massimo in cambio di altri servizi o beni, con l’ipotesi di scalzare alla radice quell’economia mercantile che ha mercificato il lavoro e con esso gli umani che lo svolgono.
Oggi è l’aspirazione di tanti, più o meno raggiungile, è il sogno di una autonomia a lungo rinviata, la promessa di una soggettività piena, il completamento di una identità sociale che potrà finalmente non essere più monca e svolgersi finalmente anche sotto il profilo dell’integrazione sociale. È una sintesi dinamica, il significato connesso al lavoro, e lascia vedere in filigrana i modelli culturali, i valori, le norme sociali del contesto in cui si colloca. Perché condensa dentro il suo campo semantico sia le determinanti storiche e culturali che quelle bio-psico-sociali. Si definisce in rapporto alla natura, che ne viene trasformata (dall’homo sapiens che scheggia la prima pietra per farne un utensile, all’homo faber che determina il proprio destino), e agisce come struttura portante delle relazioni sociali.
Nello stesso tempo il lavoro è una attivazione, un movimento che ha un esito nella produzione di un bene o di un servizio, ed è un modo per esprimere le risorse personali di chi lo svolge, sia sul piano concreto del corpo che su quello immateriale dell’intelletto e delle emozioni. Attiva cambiamento, nell’ambiente e nella materia che dal lavoro viene trasformata, ma anche nella persona di chi lo compie, che affina le sue capacità, ed infine è un campo specifico di esperienza relazionale e sociale, caratterizzato da dinamiche tipiche. Si svolge con gli altri e per gli altri, entra nel quadro degli scopi collettivi e ne riceve l’impronta organizzativa. Luogo di conflitti e di alleanze, di confronti e tensioni, diventa esperienza quotidiana di mediazione tra aspirazioni personali e realtà esterna, tra progetto e realizzazione, banco di prova della capacità di risolvere problemi, superare ostacoli, prendere decisioni, cooperare.
teatro di vita
Nel teatro del lavoro, si incrociano sulla scena la persona, con il suo mondo psichico e valoriale; gli altri, con le emozioni, le motivazioni, i ruoli e le dinamiche che si attivano; la realtà esterna, fatta di contesti, organizzazioni, strutture sociali ed economiche.
Campo di esperienza del limite e delle possibilità, la pratica quotidiana di una attività lavorativa allena la responsabilità e la capacità di perseguire obiettivi e tollerare frustrazioni, riparare ad errori, ritentare dopo gli insuccessi. Sviluppa il sentimento di autoefficacia e la competenza a gestire una specifica gamma di relazioni non fondate su una base affettiva. Permette di imparare ad adattarsi ad un ordine dato, ma crea di tanto in tanto anche l’occasione per allenare la capacità di mettere in discussione questo ordine.
Nei contesti di lavoro si genera uno spazio privilegiato per costruire la propria identità, attraverso il movimento parallelo dei processi di identificazione e di individuazione. Chi sono io come persona specifica? Come posso essere riconosciuta/o e valorizzata/o per il mio apporto specifico al progetto comune? In quali azioni, persone, gruppi, contesti, mi posso identificare? Cosa posso investire di me stessa/o in questo spazio sociale creato dal lavoro? Come partecipo allo scambio sociale, al ciclo del dare e del ricevere?
In che modo posso rapportarmi alle rappresentazioni comuni della realtà con le quali mi trovo ad interagire? Sono parte di un gruppo? Mi posso identificare col mio gruppo di appartenenza lavorativa? Come mi riconosce il contesto sociale in quanto persona che svolge questo specifico lavoro? Quanto e come sento di appartenere ad una comunità sociale? In che modo sono capace di entrare in sintonia e in sinergia con gli altri per un fare coordinato comune?
Gratificazione narcisistica e nello stesso tempo limitazione del narcisismo, lavorare vuol dire sentirsi efficaci e presenti al mondo, ma anche separarsi da se stessi, dalle preoccupazioni personali, per impegnarsi in una storia più grande, diversa dalla propria (J. Barus-Michel, E. Enriquez, A. Levy (a cura di), Dizionario di Psicosociologia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2003).
Se la flessibilità diventa un imperativo esasperato, e da stimolo al cambiamento e al reinventarsi degenera in una corsa cieca sull’otto volante dell’incertezza e in uno scivolo infinito verso la palude dello sfruttamento.
Se il frammentarsi delle esperienze professionali in micro eventi estemporanei polverizza e decostruisce le competenze di chi lavora.
Se, a fronte di questa progressiva dequalificazione e svalutazione di fatto delle abilità e delle capacità di svolgere certi compiti, si gioca a carte truccate sul culto dell’eccellenza, si alimentano i desideri narcisistici e le illusioni delle persone, e nello stesso tempo si esaspera la competitività interna, trasformando in un inferno le relazioni nel gruppo di lavoro.
Se tutto ciò avviene in un contesto sociale che ha già allentato da un pezzo i propri legami, ha smarrito le proprie costruzioni simboliche, e si è già spinto molto avanti nel nascondere e travisare la realtà.
Se il confine di spazi e di tempi tra lavoro e vita privata sfuma sempre di più.
Se le comunicazioni nei contesti di lavoro diventano sempre più manipolative e sbandierano il mito di una unione fraterna e di una coesione familiare che servono solo a far ingoiare meglio realtà inaccettabili come il rinvio sine die del pagamento dello stipendio o la progressiva erosione di diritti tuttora formalmente garantiti dalla legge.
Se il ricatto, aperto o sottile, sostituisce la chiarezza, se una profonda competenza e una salda motivazione non sono più garanzia di nulla, non certo di sicurezza del posto di lavoro, ma neppure di una valorizzazione morale.
Se le formule con cui vengono definiti i compensi sono stabilite su base personale e lo stesso vale per i passaggi di mansioni e di carriera, e si cancella la dimensione collettiva e organizzativa dell’esperienza professionale.
senza più mediatori
Se la relazione tra persona che lavora e organizzazione non è più mediata da sog- getti collettivi o istituzionali «terzi», ma è diretta e totalmente asimmetrica, e so vrasta chi lavora già, o vorrebbe farlo, con il peso schiacciante dell’insignificanza del singolo, quando quest’ultimo è privo di mediatori sociali (la legge, le associazioni di categoria, le istituzioni pubbliche).
Se tutto questo assomiglia al quadro attuale, come farà Anna, che ha appena avuto un bambino, a reinserirsi nel lavoro, visto che il suo precariato è ormai cronico?
Se tutto questo è verosimile, a cosa si appellerà Giovanni che ha avuto la diagnosi di un tumore e dovrà assentarsi per mesi dal suo contratto a termine?
Che spazio troverà Luana, qualificatissima, che cerca una occupazione a quarantacinque anni, dopo quindici anni di lavoro autonomo che lei stessa ha creato e gestito, ma che negli ultimi tempi le ha mangiato tutti i risparmi?
Cosa troverà sul suo cammino Franco, che ha un problema psichiatrico ben compensato, e da due anni è alla ricerca di una borsa di lavoro che darebbe senso e valore alle sue giornate e alla sua vita?
Come si potrà difendere Valerio che, a più di cinquant’anni, verrà messo in cassa integrazione come anticamera del licenziamento per fare spazio agli apprendisti?
E Francesca, che ha studiato ed era motivatissima, che si sta spegnendo a forza di inviare curricula senza risposte e a forza di richieste vane di appuntamenti per colloqui, dove vorrebbe solo presentarsi per cinque minuti? Ora sta creando un piccolo video di autopresentazione con una animazione iniziale per essere vista e notata tra migliaia di altri. Ha imparato da sola a farlo, ed è venuto molto bene. Ma lei si sta avvilendo, non è nessuno senza un lavoro, e ogni altra scelta per la sua vita è in stand by.
Gianluca invece ha fatto la valigia. Lavora in Svezia, in una azienda d’avanguardia che produce protesi dentarie. Vive là da due anni, ha avuto un buon riscontro professionale, non mollerà, anche se è ancora molto solo.
Rosella De Leonibus
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Rocca è online

Basta fabbriche della morte. Domusnovas: puntare tutto sulla riconversione della fabbrica a produzioni di uso civile
La CSS per la riconversione della fabbrica di bombe di Domusnovas
di Giacomo Meloni.
Dal 26 marzo del 2015 – data di inizio dei bombardamenti sullo Yemen da parte dell’Arabia Saudita – la Confederazione Sindacale Sarda – CSS insieme ai Movimenti pacifisti e non violenti cristiani e non, impegnati nella società civile della Sardegna, manifesta davanti ai cancelli della Fabbrica RWM e organizza cortei nelle stesse strade principali del paese di Domusnovas; ma la popolazione non reagisce e mostra completa indifferenza mentre le RSU ed i lavoratori della fabbrica si mostrano indignati perché queste nostre azioni, dicono, mettono in pericolo i loro posti di lavoro.
I rapporti con i 76 lavoratori – tante sono le attuali buste emesse dalla Fabbrica RWM di Domusnovas – sono divenuti sempre più difficili e la mediazione con la Segreteria territoriale della FIOM non ha portato alcun risultato utile perché, nelle attuali condizioni di grave mancanza di prospettive di lavoro, prevale la paura di perdere il poco lavoro che c’è in un territorio destinato al non sviluppo. Ecco perché si è reso necessario puntare tutto sulla riconversione della fabbrica a produzioni di uso civile.
In questa direzione si è sviluppato l’impegno del Comitato sardo, al cui interno opera la CSS, unico sindacato a schierarsi convintamente a difesa del lavoro dignitoso che rispetti nello stesso tempo i diritti dei lavoratori e quelli sacrosanti della vita e della pace. Da soli però è impossibile vincere questa sfida che esige coerenti scelte politiche a livello regionale, nazionale ed internazionale.
Ecco perché siamo stati presenti alla conferenza tenutasi ieri a Roma (presso la Camera dei deputati) come CSS ed Assotzius Consumatoris de Sardigna, rappresentati da Angelo Cremone, componente del Comitato Sardo per la riconversione della fabbrica di Domusnovas. Comitato che, insieme al Movimento dei Focolari in Italia e ad altre numerose espressioni della società civile italiana ed a un gruppo di parlamentari formulerà la proposta di una mozione intesa a fermare la produzione di bombe e l’invio di armi destinate ad alimentare la guerra in corso nello Yemen
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Ulteriori notizie su CittàNuova.
– Anche su Democraziaoggi.
Lavoro
Attenzione: Il Comitato d’Iniziativa Sociale, Costituzionale e Statutaria, comunica che il Convegno sul lavoro “Lavorare meno, Lavorare meglio, Lavorare tutti: il Lavoro fondamento della nostra democrazia” si terrà a Cagliari nei giorni di giovedì 5 (pomeriggio/sera) e venerdì 6 (mattina e pomeriggio/sera) ottobre 2017. Maggiori dettagli nei prossimi giorni, da parte di Aladinews e sulla pagina fb dedicata a cura del Gruppo di Lavoro per il Lavoro – Lavoro al quadrato: https://www.facebook.com/groups/802042543291511/permalink/833736096788822/
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Alla “follia del lavoro” occorre opporre la distribuzione della ricchezza
22 Giugno 2017
Gianfranco Sabattini scrive, Andrea Pubusa risponde. Su Democraziaoggi.
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COMMENTO IMPERTINENTE MA NON TROPPO
La cantava mia mamma (fm)
Quando sarà abolito il capitale
Canto anarchico di fine 800 - SEGUE -
Oggi giovedì 22 giugno 2017
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Gli Editoriali di Aladinews: La meglio gioventù.
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Cattiva politica in Sardegna
22 giugno 2017
Massimo Dadea su il manifesto sardo
In Sardegna, il sistema politico è malato. Non potrebbe essere altrimenti visto che il Consiglio regionale, la giunta regionale e il suo Presidente sono il prodotto illegittimo di una legge elettorale incostituzionale; che una parte importante del ceto politico è interessata da una questione morale che spesso sconfina in una vera e propria questione “giudiziaria”.
- segue -
Sardegna a sovranità limitata… perfino nella toponomastica! Ma la storia è cambiata (anche c’è chi non se ne avvede)!
Il prefetto di Nuoro abroga la sovranità popolare
di Francesco Casula.
Il Prefetto è la figura più odiosa e insieme l’espressione esemplare e paradigmatica dello stato ottocentesco e napoleonico: centralista, accentrato e burocratico. Di nomina governativa – e dunque calato dall’alto – nasce, nelle singole provincie dello stato unitario italiano, come strumento di controllo e di repressione delle popolazioni. E deve rispondere solo al Governo centrale, direttamente.
Godranno di particolare prestigio durante il ventennio fascista ma sopraviveranno anche nell’era repubblicana e “democratica”. Durante la Resistenza, con i CLN regionali, verranno sostituiti con Prefetti politici. Ma con il processo di Restaurazione moderata che si attuerà con l’avallo, per non dire con la complicità e la diretta iniziativa della Sinistra, si ritornerà ai vecchi Prefetti, emanazione diretta dello Stato centrale. E ciò avverra con un Ministro degli Interni socialista!
Emilio Lussu fin dal 1933, in un saggio sul Federalismo ne sosteneva e ne auspicava l’eliminazione, insieme alle Province, “equivoche strutture politiche, fatte per mascherare una armatura governativa e poliziesca che non dava alla rappresentanza popolare locale altro diritto che quello di occuparsi dei manicomi e di strade di secondo ordine”. Ciò proprio in virtù della presenza e il ruolo del Prefetto.
E’ successo che le Province sono state di fatto abolite, almeno come Enti locali intermedi ed elettive, ma è rimasto, vivo e vegeto come non mai, il Prefetto come espressione del potere centrale. Così abbiamo buttato via il bambino e ci siamo tenuti solamente l’acqua sporca: il prefetto appunto, strumento di conservazione, di controllo poliziesco e di repressione. Che entra direttamente in collisione non solo con la democrazia ma con la stessa sovranità popolare. E’ successo proprio nei giorni scorsi. Ecco il fatto.
L’Amministrazione comunale di Lanusei, con la sua Giunta, con la delibera n.81 del 19-9-2016, decide di sostituire l’intitolazione di strade e piazze dedicate ai savoia, a generali felloni e ai cosiddetti eroi del Risorgimento, con illustri cittadini di Lanusei.
In tal modo, i tiranni Vittorio Emanuele II e Umberto I, come l’imbelle Raffaele Cadorna, Cavour e Mazzini, liberano strade e piazze che hanno abusivamente e indegnamente occupato e vengono sostituiti da omines de gabale ogliastrini.
Interviene il Prefetto di Nuoro con la persona del vice prefetto vicario, certo D’Angelo, che dà parere negativo alla intitolazione delle vie e delle piazze di Lanusei, così come previsto dalla delibera della Giunta. Al fine di giustificare e rafforzare il diniego riporta il parere negativo di tal Deputazione di storia patria della Sardegna, secondo la quale l’attuazione della delibera comunale “cancellerebbe parte rilevante della memoria del Risorgimento italiano, consacrata dai precedenti abitanti di quel comune… La storia in qualunque modo la considerino i posteri, rimane ciò che è stata”. Ritenendo che la storia sia fatta solo dai tiranni sabaudi e dai loro sostenitori e non dai valenti uomini sardi! - segue -
Promozione delle start up sociali
Istituito un Premio speciale dal Rotary club Cagliari nell’ambito della StarCupSardegna2017
- Il Rotary Club Cagliari nell’ambito della sua azione per i giovani intende promuovere e valorizzare le eccellenze regionali nel campo delle start up sociali che affrontano il tema della dispersione scolastica anche con il recupero del patrimonio immobiliare urbano.
Oggi mercoledì 21 giugno 2017
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SOCIETÀ E POLITICA »TEMI E PRINCIPI» SINISTRA
La prima di “Giustizia e Uguaglianza”
di TOMASO MONTANARI, su libertaegiustizia.it e su eddyburg.
Una breve cronaca dell’evento e l’intervento di Tomaso Montanari. libertaegiustizia.it, 19 giugno 2017 (p.d.)
FALCONE E MONTANARI,
PER LA SINISTRA
UNA NUOVA SPERANZA
di Rossella Guadagnini
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Sul M5S niente pregiudizi, ma neanche sconti
21 Giugno 2017
Tonino Dessì su Democraziaoggi.
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Sì alle auto elettriche ma anche alle discariche tossiche: la deriva psichiatrica della giunta Pigliaru
Vito Biolchini sul blog vitobiolchini.it
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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » SINISTRA
Dal Brancaccio inizia un nuovo percorso, non ancora un partito
di LUCIANA CASTELLINA
«Sinistra. Mai col Pd? Su questo ho un dubbio, in quel corpo storico c’è una memoria che coinvolge ancora molti giovani, protagonisti anche all’assemblea della nuova Alleanza». il manifesto, 21 giugno 2017, ripreso da eddyburg (c.m.c.)
La sfida di don Milani. Annotazioni sul Convegno odierno.
Don Milani riempie le sale. Significa che il suo messaggio riesce a parlarci e a darci ancora indicazioni. Ne abbiamo bisogno.La sfida di don Milani. Stasera alla Facoltà teologica. I relatori, Bruno Terlizzo. e Felice Nuvoli, con il coordinatore Mario Girau. Conclusioni non di circostanza del Vescovo Arrigo Miglio. Della visita odierna di Papa Francesco ai luoghi delle missioni di Primo Mazzolari e Lorenzo Milani sottolinea il forte messaggio alla Chiesa italiana, che aveva tentato di emarginare i due grandi uomini e suoi sacerdoti.
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Che i cattolici rivendichino orgogliosamente l’appartenenza di don Primo Mazzolari, come di don Lorenzo Milani e di tanti altri “preti scomodi” alla Chiesa, che pur li aveva nel loro tempo decisamente contrastati, con atti precisi delle gerarchie ecclesiali, non può che fare piacere. Non può che fare piacere che questo riconoscimento sia corale (o almeno sufficientemente condiviso) da tutta la Chiesa cattolica italiana – spinta a tale comportamento dal magnifico gesto odierno di Papa Francesco – che così ricostruisce una comunione al suo interno, con i molti cattolici che si sono sempre ispirati ai due grandi pensatori, uomini e sacerdoti, che li hanno sempre amati e che hanno seguito, sebbene “profeti disarmati”, o proprio per tale qualità.
I cattolici tutti devono essere orgogliosi che questi personaggi siano stati e continuino ad essere riferimento per tanti cattolici e, a maggior ragione, per tanti non cattolici, credenti, non credenti, diversamente credenti. Parlando di don Milani, siamo in molti, tantissimi, ben contenti di averlo conosciuto, attraverso i suoi scritti, in modo particolare “Lettera a una professoressa”, che ha ispirato una giusta radicale critica alla “scuola borghese”, diventando un testo fondamentale per i movimenti studenteschi (anche operai, se solo pensiamo alle 150 ore) delle lotte degli anni 68, 69 e seguenti. Negli anni 70, a distanza di alcuni anni dalla morte di don Milani, fiorirono in tutta Italia le Scuola Popolari, per il diritto all’istruzione delle masse popolari, che riconoscevano nella Scuola di Barbiana un modello da ricalcare. Non importa (e non sarebbe neppure utile) misurare le differenze tra le nostre esperienze di scuola popolare (molte in Sardegna, ma per noi è facile citare, per esperienza vissuta, quella di Is Mirrionis). Ci basta riconoscere che per noi, per proporre e fare quelle esperienze ci è stato luce e guida don Lorenzo Milani, che noi abbiamo messo insieme ad altri grandi pensatori e non importa se Lorenzo Milani probabilmente non avrebbe gradito tutti o alcuni di tali accostamenti. Eravamo felicemente eclettici. Di questa benedetta ecletticità dà conto una “presentazione” dell’esperienza della Scuola Popolare, che riportiamo di seguito. Lo facciamo anche per unirci, a nostro modo, al ricordo fecondo che oggi ne ha fatto Papa Francesco nella visita alla tomba di don Lorenzo Milani e ai luoghi della sua missione a Barbiana.
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Cagliari, quartiere di Is Mirrionis: dal ricupero della memoria di una Scuola Popolare operante negli anni 70 e dell’edificio che la ospitò, una formidabile spinta per riattivare processi di partecipazione attiva dei cittadini alla vita sociale e alla gestione dei beni comuni.
di Franco Meloni
Dal 1971 per cinque anni operò nel quartiere più popoloso di Cagliari, Is Mirrionis, una vivace scuola popolare, organizzata da giovani volontari (studenti universitari e laureati), che anticipò le “150 ore” e l’intervento dello Stato per l’istruzione degli adulti, riuscendo a far conseguire le licenze elementare e (nella quasi totalità) media a oltre 300 discenti (adulti occupati e disoccupati).
I giovani docenti erano di diversa estrazione ideologica, in prevalenza cattolici e di varia collocazione politica del campo della sinistra. Divisi nelle scelte contingenti, ma tuttavia uniti nel perseguire l’obbiettivo della realizzazione del diritto allo studio per tutti, con specifico impegno per i ceti popolari. I loro fondamentali riferimenti ideali davano conto di una certa ecletticità: don Lorenzo Milani con la Scuola di Barbiana, Paulo Freire con la Pedagogia degli oppressi, Antonio Gramsci con la concezione del ruolo degli intellettuali, Emilio Lussu con l’impegno per il riscatto del popolo sardo… tanto per citare i più amati. L’esperienza, iscritta esplicitamente nel “grande movimento di liberazione delle masse popolari di tutto il pianeta” – come si sosteneva allora con convinzione – non perdeva di vista i vissuti umani e professionali di ciascuno (docente o discente) e l’interesse per le vicende del quartiere, inserite negli stessi programmi didattici.
L’ex centro sociale che ospitava la scuola popolare, concesso formalmente dopo un’occupazione tollerata da parte dell’Istituto Autonomo delle Case Popolari (IACP) che ne era proprietario, divenne un simbolo della “democrazia di base”, della “partecipazione dei cittadini”, principi ispiratori, a volte influenzati da ingenue teorie dei contropoteri, tanto da non rendere particolarmente facili, anzi spesso conflittuali, i rapporti con le Istituzioni – Chiesa e partiti compresi – dei quali si faceva tranquillamente a meno, sostenuti da un rigoroso autofinanziamento.
Esaurita la fase della Scuola Popolare, l’attività proseguì con un Circolo culturale e con il Comitato di quartiere, fino al 2000, anche se dal 1979 in locali diversi dall’ex centro sociale, in quell’anno occupato da alcune famiglie di senza tetto, spinte a questa scelta dagli stessi ambienti dell’amministrazione comunale. A nulla valsero gli appelli del Circolo culturale e del Comitato di quartiere perché non si mettesse in contrapposizione il diritto alla casa con quello agli spazi della partecipazione popolare, rappresentati esemplarmente dall’ex centro sociale. Le istituzioni e tutti i partiti rimasero sordi. In fondo le iniziative che vi si svolgevano non erano esattamente controllabili e perfino “disturbavano” la politica del palazzo. Dopo alcuni anni le famiglie furono sistemate in alloggi adeguati e l’ex centro sociale fu murato e reso del tutto inagibile con la sfondatura del tetto. Così è rimasto da oltre trent’anni: uno squallido rudere, monumento all’inefficienza delle Amministrazioni interessate, a partire dall’azienda regionale Area (subentrata allo IACP), che ne è tuttora proprietaria.
Il rudere dell’ex centro sociale che ospitò negli anni 70 la Scuola Popolare di Is Mirrionis
Ma da quasi tre anni si combatte perché la musica cambi. Infatti l’associazione culturale Antonio Gramsci e altri organismi operanti in quartiere, unitamente a ex docenti ed ex alunni della Scuola Popolare, hanno promosso una serie di iniziative per recuperare la memoria della scuola e delle altre attività che si svolsero nell’ex centro sociale, rivendicando il ripristino dello stabile in favore della cittadinanza. Assemblee popolari e approfondimenti sulla storia del nucleo edilizio con al centro il nostro edificio, che fu progettato da Maurizio Sacripanti, illustre architetto della Scuola romana del Novecento, autorizzano ad essere ottimisti sull’esito positivo della vertenza. Intanto Area non ha dato corso a una sua deliberazione di abbattere l’ex centro sociale per realizzare al suo posto case di abitazione per portatori di handicap, peraltro non richieste dai potenziali destinatari.
L’esperienza della Scuola popolare è stata anche oggetto di un libro, presentato con successo in città e in regione. Questo fermento ha portato alla costituzione di una associazione di cittadini, denominata “Casa del quartiere di Is Mirrionis”, che intende lavorare a 360 gradi, promuovendo la partecipazione popolare e la gestione dei beni comuni urbani da parte dei cittadini. Ed è proprio l’iscrizione dell’edificio dell’ex centro sociale alla categoria dei “beni comuni” che costituisce un’ulteriore garanzia rispetto all’esito delle rivendicazioni in atto. Per conseguire tale finalità la nuova associazione ha anche aderito all’Osservatorio dei beni comuni della Sardegna, impegnato particolarmente a richiedere al Comune di Cagliari l’adozione del “regolamento sulla collaborazione dei cittadini per la gestione condivisa e la rigenerazione dei beni comuni urbani”
La meglio gioventù
di Fiorella Farinelli, su Rocca.
Per i ragazzi del servizio civile di oggi, c’è chi rispolvera il titolo del popolare film del 2003 dedicato alla generazione del Sessantotto. Troppe le differenze, in verità, per poter stabilire analogie attendibili, ma è vero che furono proprio i ventenni di quella generazione ad accorrere spontaneamente da tutta Italia per portare aiuto alla Firenze devastata dall’esondazione dell’Arno. Era il novembre del 1966 ma le immagini sono ancora vivide, quei ragazzi così seri impegnati per settimane a tirar fuori dal fango i preziosi volumi della Biblioteca nazionale o a svuotare dall’acqua seminterrati e botteghe. L’icona di un volontariato generoso e appassionato che per tanti si sarebbe trasformato di lì a poco in contestazione e lotta politica.
le norme attuali
Ma oggi? Oggi il servizio civile per i giovani dai 18 ai 28 anni, nato a seguito dell’abolizione della leva militare obbligatoria, è tutt’altra cosa. È regolamentato da norme (l’ultima, che fa parte della riforma del terzo settore, è un decreto del marzo scorso, è finanziato dallo Stato, prevede durate e orari specifici, dà luogo a un’apposita retribuzione (433,80 Euro mensili), a crediti formativi riconoscibili dai sistemi di istruzione, ad attestati finali. È uno degli strumenti di «Garanzia Giovani», il programma europeo per lo sviluppo dell’occupazione giovanile, e ha tante, forse troppo ambiziose, finalità. Tutte insieme. La «difesa non violenta della Patria», il supporto economico alla disoccupazione dei giovani, l’offerta di un’esperienza concreta per far maturare orientamenti e vocazioni professionali, e poi ovviamente anche la formazione civica delle nuove generazioni, l’adesione matura ai valori costituzionali, la solidarietà, il rispetto dei beni comuni. Un miracolo, se tutto ciò potesse davvero materializzarsi per tutti quelli che l’esperienza la fanno e la faranno.
cosa c’è di nuovo
Un nodo irrisolto, si sa, è quello dell’obbligatorietà o meno del servizio civile. Un altro è quello dell’equilibrio tra diritti e doveri (e dello spessore educativo dell’esperienza stessa, affidata agli Enti pubblici e del privato sociale che ne beneficiano). Ma è comunque un’opportunità concreta, nelle difficoltà di inserimento sociale e professionale dei giovani, e nel deserto di iniziative forti e diffuse di edu- cazione alla partecipazione civile.
Ma che cosa c’è di nuovo, rispetto alla legge istitutiva del 2001, nel decreto varato la scorsa primavera e diventato attuativo il 18 aprile? Il servizio civile nazionale, in- tanto, viene definito «universale», intendendo con ciò che l’obiettivo è di assicurarne l’accesso a tutti i giovani che ne facciano richiesta. In anni recenti, si sa, non è andata affatto così, solo poco più di un terzo delle domande è stata accolta causa finanziamenti insufficienti (nel 2015 ven- nero finanziati solo 35.247 posti). Ma an- che la nuova norma precisa che il nume- ro dei volontari così come l’entità dell’assegno mensile sarà deciso «in base alle risorse disponibili». La verità è che per coinvolgere ogni anno l’intera leva dei diciottenni ci vorrebbe ben più di 1 miliardo di euro, che nel 2017 sono stati stanziati 257 milioni (per il bando in scadenza il prossimo 26 giugno) per 47.529 posti, che per gli anni che verranno si vedrà. La domanda, intanto, si aggira attorno ai 100.000 l’anno ed è del tutto improbabile che una differenza così marcata possa essere colmata dalla possibilità, confermata dalla nuova norma, di bandi aggiuntivi emanati autonomamente da enti pubblici e del privato sociale, ma fuori dal finanziamento statale e con risorse proprie. Anche lì, nelle regioni e nei comuni, il piatto piange, o meglio le risorse – come del resto ha fatto lo Stato, col discutibile bonus cultura regalato ai 18enni – sono indirizzate preferibilmente altrove.
Un’altra novità del decreto, di valore politico più sostanziale, è che sono finalmente inclusi anche i giovani non cittadini italiani in possesso di regolare permesso di soggiorno. Un passaggio decisivo per facilitarne l’integrazione – il sentirsi parte accolta e attiva della comunità – su cui i Tribunali erano arrivati ben prima del Parlamento, e che è stato alla fine, e non senza acuti contrasti, accettato anche dalla politica. Sarà un indicatore interessante, fra l’altro, degli atteggiamenti verso l’integrazione da parte delle famiglie e delle comunità straniere residenti in Italia e, comunque, delle cosiddette «seconde generazioni».
e si guarda anche al dopo lavorativo
Novità ci sono però anche su altri versanti. Con un occhio rivolto a servizi che han- no un enorme bisogno di energie nuove e un altro allo sviluppo di nuove vocazioni/ opportunità professionali per i giovani, alcune riguardano l’ampliamento degli ambiti di utilizzo del servizio civile. Oltre a quelli tradizionali come assistenza, protezione civile, tutela di ambiente, patrimonio artistico e culturale ecc., ce ne sono di nuovi, come educazione e promozione culturale dello sport, agricoltura in zone di montagna, agricoltura sociale e biodiversità.
Altre novità riguardano invece la durata dell’esperienza, non solo i 12 mesi ma anche gli 8 (un periodo troppo breve, in verità, ha sempre ritenuto la Caritas, per una vera educazione alla responsabilità civile); e gli orari di impegno settimanale (30, ma anche 25 ore), per esperienze più compatibili con lo studio ed altri «lavoretti». Altre ancora sollecitano la domanda più curiosa e intraprendente, come la possi- bilità di servizio civile anche all’estero, in programmi di cooperazione dell’Unio- ne Europea. Poi ci sono le innovazioni organizzative, come la programmazione triennale e la valorizzazione delle «reti» non solo tra pubblico e privato sociale, ma anche tra questi e il privato delle imprese. E una più attenta regolamen- tazione dei crediti formativi, anche at- traverso convenzioni tra lo Stato, le Uni- versità, il mondo del lavoro. Si guarda al dopo, insomma, in primis al futuro lavorativo dei giovani. Non è infatti per niente tranquillizzante l’esito del servizio civile all’interno del programma Garanzia Giovani. Secondo un recente Rapporto, a 6 mesi dalla fine del servizio civile, risulta occupato solo 1 giovane su 3 (e si tratta non solo di giovanissimi visto che l’età massima è 28 anni), e di questi solo il 22,5% ha trovato lavoro presso gli Enti in cui ha svolto il servizio. Bilancio assai magro se il servizio civile dovesse essere interpretato solo come veicolo per l’occupabilità giovanile.
ma servizio civile è altro
Ma non è questo il punto. O quanto meno non dovrebbe essere questo il punto principale. Perché il servizio civile è o dovrebbe essere sopratutto altro. Dovrebbe essere la comunità, la Repubblica (come dicono i francesi) che – compiuti i 18 anni – chiama i più giovani ad imparare cos’è, cosa deve significare, essere cittadini di un paese con una Costituzione come la nostra. Dovrebbe chiamarli tutti, ragazze e ragazzi, figli di famiglie italiane da sempre e nuovi – italiani, chi farà l’università proprio come chi ha lasciato la scuola dopo la terza media. Per conoscerli e farsi conoscere e per farli misurare con i problemi più seri del Paese, e delle persone che lo compongono. Le povertà e le marginalità, l’ambiente consumato e minacciato, l’immigrazione e l’esclusione, i rischi in cui versa il patrimonio artistico e culturale, le criticità di beni comuni assediati da mille interessi privati. Un rapporto con la realtà per diventare più consapevoli del mondo in cui viviamo, e per provare per un certo periodo con atti concreti la solidarietà, la partecipazione civile, l’etica del «dono», la responsabilità. Il volontariato, sebbene retribuito, come tragitto per diventare più capaci di riconoscersi nella comunità di cui si fa parte. Ce n’è bisogno? Si direbbe di sì, a leggere dati come quelli circolati in questi giorni sulla riluttanza proprio dei più giovani a donare il sangue. Un segno piccolo ma inquietante di una generazione tenuta fuori troppo a lungo dalle responsabilità della cittadinanza. E di un paese che sembra poter fare a meno delle energie morali ed intellettuali dei più giovani.
non una nuova forma di lavoro precario e sottopagato
La scommessa è questa, e finora è stata giocata in modi e forme molto variabili. Molto meglio dove le organizzazioni del volontariato hanno curato con attenzione la formazione dei giovani volontari (50 ore, confermate anche nella nuova legge), affiancandoli con azioni di tutoraggio e coinvolgendoli progressivamente nei compiti di maggiore responsabilità, molto peggio dove il servizio civile diventa, intenzional- mente o meno, una delle tante forme di lavoro giovane precario e sottopagato. Non è un caso, del resto, che gran parte delle domande vengano dal Sud più affamato di lavoro. Sono tempi in cui anche 433 euro mensili possono essere molto ambiti. Ma un programma per la meglio gioventù richiede molto di più e molto altro. Ne saremo capaci?
Fiorella Farinelli
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Rocca è online
Oggi martedì 20 giugno 2017
- La pagina fb dell’evento.
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SOCIETÀ E POLITICA » PADRI E FRATELLI » ALTRI PADRI E FRATELLI
Cinque ragioni per tornare a don Milani
di FRANCO LORENZONI su Internazionale online, ripreso da eddyburg.
«Ho insegnato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica». Interazionale online, 19 giugno 2017 (c.m.c)
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La crisi della sinistra in Italia: come superarla?
20 Giugno 2017
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Proseguiamo il dibattito sulla crisi della sinistra in Italia con questo articolo di Gianfranco Sabattini.
Una sezione del n. 2/2017 di “Micromega” è dedicata al problema della crisi della sinistra in tutto l’Occidente; sulle cause e ipotesi per superarla si interroga la sezione, costituita da un testo di apertura del direttore Paolo Flores D’Arcais e […]
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I Comitati del NO non si trasformano in comitati elettorali
19 Giugno 2017
Amsicora su Democraziaggi
Ci risiamo domenica al Teatro Brancaccio di Roma si sono riuniti, aderendo all’appello lanciato da Anna Falcone e Tomaso Montanari , i “cittadini e cittadine da tutta Italia, rappresentanze della società civile, del mondo del lavoro e del mondo politico di sinistra per aprire uno spazio politico nuovo di confronto sin dal suo atto fondativo”. […]
Immigrazioni: i dati
Sbarchi e accoglienza: dati, normativa, prospettive
comunicato stampa di IDOS
Da ultimo è stata la sindaca di Roma, Virginia Raggi, a parlare di saturazione del suo Comune nell’accoglienza di stranieri per motivi umanitari. Nel Lazio le persone accolte all’inizio del 2017 sono 14.886, di cui 4.231 nei Centri Sprar, 9.824 nei Centri di Accoglienza Straordinaria e 831 nei Centri di Prima Accoglienza. Nella Città Metropolitana di Roma gli ultimi dati disponibili contano 2.769 posti disponibili nei Centri Sprar e 1.782 nei Centri di Accoglienza Straordinaria. Ad essi si aggiungono 4.000 o più persone (le stime sono variabili), per lo più interessate a trasferirsi in altri paesi europei, che vivono in strutture autogestite con il supporto del volontariato.
La questione continua a essere dibattuta e il Centro Studi e Ricerche Idos ritiene opportuno fornire un contributo presentando in maniera organica dati e considerazioni contenute nel Dossier Statistico Immigrazione e nell’Osservatorio Roomano sulle Migrazioni.
Rispetto a qualche anno addietro, in Italia i richiedenti asilo sono notevolmente aumentati: 63.000 nel 2011 (anno delle “Primavere arabe”), scesi momentaneamente a 43.000 nell’anno successivo e a 13.000 nel 2013, per poi passare a 170.000 nel 2014, 154.000 nel 2015, 181.000 nel 2016, mentre si stima possano essere 200.000 nel 2017.
L’emergenza, oltre che numerica, è anche di natura giuridica. Secondo il parere espresso in occasione di una causa ancora in corso dall’Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, di fronte ad arrivi così consistenti nel Mediterraneo, non è accettabile limitarsi all’applicazione della vigente normativa europea, addossando l’onere dell’accoglienza ai paesi di primo ingresso (Italia e Grecia in primis) senza pensare a una più equilibrata ripartizione. La Corte, se si pronuncerà in tal senso, anticiperà la modifica che il Parlamento Europeo sta per proporre al Consiglio, il vero scoglio sulla via della riforma del Regolamento Dublino III e dell’attuazione del principio di solidarietà previsto dal Trattato di Lisbona del 2007 sul funzionamento dell’Unione Europea.
Al momento, però, l’accoglienza così regolata è obbligatoria e non può essere disattesa. L’Italia, se non avesse istituito i cosiddetti hotspot o punti di crisi per la fotosegnalazione delle persone sbarcate e il loro inserimento nei centri di accoglienza, come disposto da una decisione del 2015 del Consiglio dell’UE, sarebbe stata passibile di un procedimento di infrazione, che invece ora pende sulla Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia, che non hanno ritenuto vincolanti le pur limitate ricollocazioni (170.000) dei nuovi arrivati per sgravare l’Italia e la Grecia.
Se la regolamentazione europea verrà modificata con un maggior coinvolgimento di tutti gli Stati Membri, potrà essere superata la psicosi dell’accoglienza, salvo restando l’impegno dell’UE di intervenire sulle cause dei flussi. Intanto, è opportuno riflettere sulla distribuzione dei richiedenti asilo tra le Regioni, utilizzando per un confronto omogeneo i dati relativi al 31 dicembre 2016 del Ministero dell’Interno.
A tale data sono stati 176.554 i richiedenti accolti: 137.218 nei Centri di Accoglienza Straordinaria (che fanno capo alle Prefetture), 820 negli hotspot, 14.694 presso i Centri di Prima Accoglienza e 23.822 nei Centri ordinari dello Sprar – Sistema per l’Accoglienza dei Richiedenti Asilo (che fa capo all’Anci su incarico del Ministero dell’Interno). L’incidenza dei Centri di accoglienza Straordinaria (oltre 3.000) è del 72% sull’insieme dei posti disponibili, con valori anche più elevati in alcune regioni.
In media, a tale data, è stata accolta per motivi umanitari una persona ogni 344 residenti A segnalarsi per una maggiore disponibilità è stato il piccolo Molise (1 immigrato accolto ogni 90 residenti) seguito, in maniera decrescente, da altre 6 Regioni di medio-piccola grandezza (Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Sardegna e Umbria). Caratterizzate da 1 richiedente asilo ogni 300 residenti sono l’Abruzzo, l’Emilia Romagna, il Lazio, le Marche, il Piemonte, la Puglia, la Sicilia, la Toscana, il Veneto e le Province Autonome di Bolzano e Trento. Invece, la Campania, la Lombardia e la Valle d’Aosta contano 1 persona accolta ogni 400 abitanti.
Il Ministero dell’Interno ha concordato con l’Anci che l’accoglienza nelle grandi città, incrementando i posti Sprar, sia basata sul criterio di 2,5 richiedenti accolti ogni 1.000 abitanti per cui a Roma, un comune con quasi 3 milioni di residenti, servirebbero altri 2.800 posti.
Si presentano così la situazione statistica e quella giuridica (con i relativi possibili sviluppi) ed è a questa cornice che è necessario fare riferimento.
– segue -