Monthly Archives: maggio 2017

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Oggi&Domani

13-14-mag2017

Partecipazione

logo CQLa benedetta partecipazione
di Enzo Scandurra, da “eddyburg”, 26 marzo 2017
(già pubblicato da Aladinews il 26 marzo 2017)
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- Libertà è Partecipazione
- La Libertà (Giorgio Gaber)
[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Vorrei essere libero come un uomo.
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Come un uomo appena nato
Che ha di fronte solamente la natura
E cammina dentro un bosco
Con la gioia di inseguire un’avventura.
Sempre libero e vitale
Fa l’amore come fosse un animale
Incosciente come un uomo
Compiaciuto della propria libertà.

La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione.

[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come un uomo che ha bisogno
Di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia.
Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà.

La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche avere un’opinione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione.

La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione.

[parlato]: Vorrei essere libero, libero come un uomo.
Come l’uomo più evoluto
Che si innalza con la propria intelligenza
E che sfida la natura
Con la forza incontrastata della scienza
Con addosso l’entusiasmo
Di spaziare senza limiti nel cosmo
E convinto che la forza del pensiero
Sia la sola libertà.

La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche un gesto o un’invenzione
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione.

La libertà non è star sopra un albero
Non è neanche il volo di un moscone
La libertà non è uno spazio libero
Libertà è partecipazione.

Oggi sabato 13 maggio 2017

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sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghdemocraziaoggiGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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- Scatti di Renato d’Ascanio Ticca, sulla sua pagina fb.
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giapponei-13-5-17peace-boatA Cagliari oggi sabato 13 maggio la nave della paceLa pagina fb dell’evento.
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Da oggi monumenti aperti
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loghetto-studiumimmagine-centrale-studium-cantocimStudium Canticum: Concerto Aleatorio e Snake Voices per Cagliari Monumenti Apert. Programma concerti Studium Canticum 13-14 maggio 2017, ingresso libero.

Negli ultimi trent’anni l’economico ha coperto tutti gli spazi della vita e ha finito per svuotare di senso del lavoro, della solidarietà, del vivere insieme. La crisi economica che ha segnato l’ultimo decennio, ci obbliga a porci degli interrogativi sul modello di sviluppo segnato dalla globalizzazione e fondato sull’ideologia neo-liberista che ha caratterizzato l’Occidente ha generato una visione economicistica della vita e delle relazioni interpersonali e la convinzione che il progresso o meglio il futuro sarebbe stato segnato da una crescita illimitata generata dall’auto capacità regolativa dei mercati e dalla immissione nei sistemi di produzione di sempre nuove e pervasive innovazioni tecnologiche. (…) Poiché la maggioranza dei problemi sono stati generati dall’uomo e che se non si agisce in tempo c’è la possibilità di arrivare a un punto di non ritorno, occorre avere la forza e il coraggio di ripensare il nostro modo di vivere, di produrre e di consumare.

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di Savino Pezzotta

ECONOMIA, LAVORO E SVILUPPO UMANO
12 maggio, 2017 di Savino Pezzotta, sul suo blog
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Sabato scorso ho partecipato a un interessante convegno della Caritas di Cagliari. Un incontro molto interessante che ha visto la partecipazione di molti ragazzi delle scuole, oltre ai miei amici della Cisl. Non essendo per ragioni di tempo riuscito a sviluppare il mio intervento, lo pongo qui anche per dare agli amici della Caritas di Cagliarli di conoscere integralmente quanto avrei voluti dire. Un grazie vero e di cuore per l’accoglienza ricevuta.

Appunti per Intervento

Per poter parlare con attenzione e sensibilità sociale di sviluppo umano non possiamo non fare alcune annotazioni sull’economia e il suo rapporto con la dimensione etica.

Negli ultimi trent’anni l’economico ha coperto tutti gli spazi della vita e ha finito per svuotare di senso del lavoro, della solidarietà, del vivere insieme.

La crisi economica che ha segnato l’ultimo decennio, ci obbliga a porci degli interrogativi sul modello di sviluppo segnato dalla globalizzazione e fondato sull’ideologia neo-liberista che ha caratterizzato l’Occidente ha generato una visione economicistica della vita e delle relazioni interpersonali e la convinzione che il progresso o meglio il futuro sarebbe stato segnato da una crescita illimitata generata dall’auto capacità regolativa dei mercati e dalla immissione nei sistemi di produzione di sempre nuove e pervasive innovazioni tecnologiche.

Non sono contro la scienza e la tecnologia, né mi colloco sul versante neo-luddista, anzi continuo ad emozionarmi e compiacermi dinnanzi alle scoperte scientifiche e alla loro declinazione tecnologica, ma rifiuto di affidare loro un compito prometeico e non condivido che possano sostituirsi al potere dell’uomo. Gli strumenti che possono aiutare l’uomo nello sviluppo della personalità soggettiva, nel lavoro e nella cura, come nella produzione di beni, di scambi e di relazioni deve essere governato dall’umano e pertanto sempre riferito a criteri etici e sociali e non solo a quelli puramente economici.

Avendo da sempre rifiutato l’idea che il denaro fosse “lo sterco del demonio”, preferendo la quanto scritto da Leon Bloy che diceva che il danaro era “il sangue del povero” e per questo deve essere rispettato e usato come strumento di solidarietà, di aiuto, di carità e per consentire una vita dignitosa. Per la sua natura intrinsecamente sociale e relazionale, il denaro non può diventare un idolo e forma di potere, di un accumulo che sottrare risorse ai più deboli, che tenda moltiplicarsi tramite sé stesso.

La finanziarizzazione dell’economia ha prodotto tanti guai al mondo e ha contribuito fortemente a estendere le disuguaglianze, a mortificare il lavoro e a introdurre nelle democrazie elementi negativi, dico questo non perché sono contro la finanza che continuo ritenere strumento utile e necessario per il buon funzionamento delle nostre società, ed è proprio che per questo che deve essere sempre uno strumento trasparente affidato, alla politica e alla dimensione sociale.

In questi ultimi anni, innanzi al crescere della disoccupazione, al peggioramento degli stili di vita dei ceti medi e popolari, al crescere delle disuguaglianze e delle povertà, ce la siamo presa con l’austerità, la flessibilità e, in definitiva, con l’Europa. Quando invece si sarebbe dovuta sviluppare con rigore una riflessione sul modello liberista e sui danni che esso ha provocato e come attraverso l’indebolimento dell’economia sociale di mercato, messa in atto anche in Europa, si è finito per restringere il benessere delle nostre società.

Andava aperta una linea di credito verso la sobrietà, poiché a parer mio oggi la crescita economica, su cui si spendono attualmente -a proposito e sproposito- molte parole, deve essere piegata su una logica di sviluppo umano. Mi rendo conto che questo esige un ordine politico stabile e fortemente integrato a livello europeo. Un ordine che sia in grado di esercitare la responsabilità di fissare priorità comuni, criteri di redistribuzione delle risorse, regole di ingaggio e investimento sul futuro e di negoziare il proprio rapporto con il mondo e, soprattutto, nei confronti della politica del nuovo presidente americano.

C’è un bisogno reale di più Europa e non di meno e l’obiettivo che si intende perseguire è quello dello sviluppo umano e non semplicemente della crescita economica. I singoli paesi europei non saranno e non sono in grado di affrontare singolarmente la questione del lavoro e, in particolare, il problema dell’arrivo di richiedenti asilo e di migranti in cerca di una vita decente.

Siamo entrati in un momento in cui bisogna iniziare ad impadronirsi del futuro. Abbiamo il dovere di far proiettare l’ombra del futuro sul nostro presente se vogliamo costruire percorsi di sviluppo integrale. Bisogna prendere atto delle problematiche che condizioneranno le forme del nostro vivere per andare oltre il mantra liberista, l’ortodossia ordoliberista e il populismo emergente.

Non è facile avanzare una visione critica dell’economicismo attuale. In tal senso, prima ancora che una prospettiva economica, la “sobrietà” riguarda la sfera del pensare, i nostri stili di vita e di consumare, l’ambiente e il paesaggio del vivere comune.

Indubbiamente bisogna partire dai poveri, dai deprivati, da coloro che sono marginalizzati ed esclusi e farli divenire protagonisti del dibattito, del confronto e della decisione politica. In questa direzione va recuperato il concetto di emancipazione, perché lo sviluppo umano si determina quando ai deboli si restituisce la parola, li si libera dalla passività e dall’assistenzialismo e li si rende soggetti attivi, portatori di storie, risorse, desideri e sogni facendo combaciare l’impegno per sviluppo umano integrale con l’idea/desiderio di crescita/dignità della persona.

Nello stesso tempo avverto la necessità di immettere nel nostro cuore una riflessione ampia e approfondita che ci aiuti ad inquadrare lo sviluppo umano integrale ​nella “cura della casa comune” come indicato nell’enciclica di Papa Francesco “Laudato Si’”.

Papa Francesco invita ad assumere con urgenza il destino della “famiglia umana” e a custodire il “bene comune” del creato che attualmente passa nella lotta contro il cambiamento climatico, nell’impegno più deciso per la pace, il governo della mobilità umana e la ridistribuzione globale della ricchezza prodotta anche attraverso l’uso delle nuove tecnologie. La rivoluzione digitale, l’industria 4.0 non può limitarsi a produrre un incremento della scala del valore solo a vantaggio di pochi.

Per agire su questo terreno non basta il pensiero economico è politico, ma dobbiamo senza pudori attingere laicamente alle risorse delle tradizioni religiose, spirituali e culturali dei popoli.

Dobbiamo maturare e far crescere nella società e nell’opinione pubblica la consapevolezza che l’insieme dei problemi che oggi angustiano il mondo e in particolare quelli che derivano dalla questione climatica, non possono essere affrontati solo ricorrendo a standard di tipo tecnico o ad azioni esclusivamente tecnologiche e finanziarie, ma si devono mettere in azione le risorse etiche e spirituali. La popolazione umana è numerosa e tenderà a cresce e avrà sempre più bisogno di cibo, di cure, di istruzione e di lavoro, ma tutti questi bisogni sono oggi confinati nell’incerto. L’acqua potabile diventa ogni giorno risorsa scarsa, l’atmosfera e i mari sempre più inquinati, il clima si sta modificando in modi che non sempre sono propizi alla vita. Poiché la maggioranza dei problemi sono stati generati dall’uomo e che se non si agisce in tempo c’è la possibilità di arrivare a un punto di non ritorno, occorre avere la forza e il coraggio di ripensare il nostro modo di vivere, di produrre e di consumare.

C’è bisogno di una mappa per orientarci per non cadere in visioni apocalittica per questo ci serve un pensiero aperto che sia, come scrive il Papa, nell’esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, poliedrico e non circolare.

235. Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma. Dunque, non si dev’essere troppo ossessionati da questioni limitate e particolari. Bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi. Però occorre farlo senza evadere, senza sradicamenti. È necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio. Si lavora nel piccolo, con ciò che è vicino, però con una prospettiva più ampia. Allo stesso modo, una persona che conserva la sua personale peculiarità e non nasconde la sua identità, quando si integra cordialmente in una comunità, non si annulla ma riceve sempre nuovi stimoli per il proprio sviluppo. Non è né la sfera globale che annulla, né la parzialità isolata che rende sterili.

236 Il modello non è la sfera, che non è superiore alle parti, dove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze tra un punto e l’altro. Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità. Sia l’azione pastorale sia l’azione politica cercano di raccogliere in tale poliedro il meglio di ciascuno. Lì sono inseriti i poveri, con la loro cultura, i loro progetti e le loro proprie potenzialità. Persino le persone che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve andare perduto. È l’unione dei popoli, che, nell’ordine universale, conservano la loro peculiarità; è la totalità delle persone in una società che cerca un bene comune che veramente incorpora tutti.
Quindi, al di là delle considerazioni di ordine globale, dobbiamo cercare di vedere la società come formata da una serie di diversità e specialmente guardarla dal punto di vista dei poveri, in modo che possiamo riflettere su come trasformare il nostro stile di vita.

Nell’enciclica “Laudato Si’” sulla salvaguardia del creato, Papa Francesco invita a assumere una visione di ecologia integrale capace di valutare tutte le componenti ambientali, economiche, culturali per costruire una ecologia della vita quotidiana che ponga al suo centro la dignità inalienabile della persona umana.

L’enciclica “Laudato Si’“ ci invita a riflettere su una serie di aspetti: coscienza e responsabilità, discernimento o scelta critica, creatività, capacità e limiti.

COSCIENZA E RESPONSABILITA’

203. Accade ciò che già segnalava Romano Guardini: l’essere umano «accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e giusto”. Tale paradigma fa credere a tutti che sono liberi finché conservano una pretesa libertà di consumare, quando in realtà coloro che possiedono la libertà sono quelli che fanno parte della minoranza che detiene il potere economico e finanziario. In questa confusione, l’umanità postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di sé stessa che possa orientarla, e questa mancanza di identità si vive con angoscia. Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini.

In questo paragrafo viene sottolineato che oggi abbiamo più risorse del necessario e che ci concentriamo troppo sui mezzi e non riflettiamo abbastanza sugli obiettivi e sui fini che vogliamo perseguire o raggiungere, e che più che tendere alla “vita buona” ci accontentiamo di ricercare la “bella vita”. Già Romano Guardini cinquant’anni fa aveva sottolineato come i progressi tecnologici non siano stati accompagnati dallo sviluppo della responsabilità umana, dai valori e dalla consapevolezza. Mentre l’essere umano anela a una sempre maggiore autonomia, le innovazioni tecnologiche non sempre rendono le persone più libere e indipendenti.

Quello che dobbiamo fare non è demonizzare la tecnica, agire con attenzione sulla sua usabilità, mettendo in atto un discernimento collettivo sugli obiettivi che si vogliono raggiungere con l’innovazione tecnologica e sul come impiegare la stessa su obbiettivi collettivi: la cura delle persone, l’accompagnamento della crescita dei bambini, l’assistenza degli anziani, il riscatto dalle povertà, per la sanità, l’istruzione, i trasporti e la produzione sostenibile di energia.

A volte siamo costretti a renderci conto che strumenti che potrebbero produrre progetti e percorsi di liberazione e di emancipazione individuale e sociale, vengono impiegati solo per il profitto privato. Prendiamo per esempio quello che si sta verificando sul terreno del lavoro, l’automazione dei processi produttivi, l’impiego di robot in molteplici attività dalla produzione alla medicina, le nanotecnologie, le biotecnologie potrebbero liberare le persone dalla fatica, dalla routine, dalla alienazione, mentre dobbiamo costare che esse vengono orientate al profitto privato e al potere di pochi con costi sociali (disoccupazione) molto alti che rendono i poveri e gli esclusi maggiormente vulnerabili.

Inoltre molte volte avanza un certo cinismo, soprattutto quando si esalta l’innovazione tecnologica perché dovrebbe consentire di non avere i problemi che normalmente nascono dagli esseri umani (nessuna rivendicazione, scioperi, sindacato).

Camminare su questi sentieri pone la questione di una certa visione del vivere insieme e del come organizzare la vita sociale.

Il Papa inoltre insiste molto sulle disuguaglianze che segnano le società attuali e che investono, anche se in modi diversi, le società ricche e quelle povere. Si pone il problema della ricchezza creata in tutta la catena del valore, dalle catene di produzione globale, dalla gestione dei rifiuti dei paesi ricchi che non possono per denaro essere scaricati sui paesi poveri. Tanto sono gli esempi di collocazione dei rifiuti tossici e dei problemi che stanno creando alle popolazioni e che molte volte incrementano modelli corruttivi e/o criminogeni (mafie). Va anche tenuto presente che la ricerca esclusiva del business ha portato anche a situazioni di pesante sfruttamento della manodopera compreso il lavoro minorile, in molte parti del mondo.

Andrebbe aperta una riflessione sulla cosiddetta catena del valore e valutarla anche in termini di compatibilità sociale e ambientale.

Nel complesso queste distonie vengono presentato all’interno di un processo di deindustrializzazione dei paesi occidentali, come una nuova modo di fare produzione che tiene conto della evoluzione tecnologica e delle condizioni della concorrenza internazionale. Non sempre si tiene conto delle persone e dell’ambiente. Oggi sempre più si avverte la necessità di una responsabilità d’impresa che non si limiti ai dipendenti diretti o all’ambiente della sua localizzazione, ma anche degli effetti che la sua attività produce nei luoghi e nei confronti delle persone ovunque essi siano.

CREATIVITA’

Nella Enciclica il Papa non si limita a denunciare con vigore le ricadute di ingiustizia che o nostri modelli finanziari che agisco sul breve termine provocano, ma propone un impegno creativo.

192. …un percorso di sviluppo produttivo più creativo e meglio orientato potrebbe correggere la disparità tra l’eccessivo investimento tecnologico per il consumo e quello scarso per risolvere i problemi urgenti dell’umanità; potrebbe generare forme intelligenti e redditizie di riutilizzo, di recupero funzionale e di riciclo; potrebbe migliorare l’efficienza energetica delle città; e così via. La diversificazione produttiva offre larghissime possibilità all’intelligenza umana per creare e innovare, mentre protegge l’ambiente e crea più opportunità di lavoro. Questa sarebbe una creatività capace di far fiorire nuovamente la nobiltà dell’essere umano, perché è più dignitoso usare l’intelligenza, con audacia e responsabilità, per trovare forme di sviluppo sostenibile ed equo, nel quadro di una concezione più ampia della qualità della vita. Viceversa, è meno dignitoso e creativo e più superficiale insistere nel creare forme di saccheggio della natura solo per offrire nuove possibilità di consumo e di rendita immediata.

Le innovazioni sono spesso fattori di espansione della società dei consumi, mentre sarebbe necessario orientarle verso forme di sobrietà, di cura, di condivisione e di incremento delle relazioni interpersonali e sociali.

Servono nuove forme di economia poiché non possiamo più attestarci sul mono-modello dell’economia capitalista e privatistica, penso alle forme di economia circolare o all’economia sociale che non sono solo teorie o utopie, ma applicazioni molto pratiche

Ponendosi come alternativa al classico modello lineare, l’economia circolare promuove una concezione diversa della produzione e del consumo di beni e servizi, che passa ad esempio per l’impiego di fonti energetiche rinnovabili, e mette al centro la diversità, in contrasto con l’omologazione e il consumismo cieco.

Ma anche a modelli e forme come il carpooling (uso dell’automobile tra più) il coworking (condivisione di un ambiente di lavoro, spesso un ufficio, mantenendo un’attività indipendente), il consumo collaborativo, la mutualità, la cooperazione e la sperimentazione di nuove forme di lavoro che privilegino la partecipazione e la responsabilità rispetto alla subordinazione.

Va ripensato il tema della proprietà e del suo valore individuale e sociale, come si rende necessario ridefinire i confini tra pubblico e privato.

Nei nostri ragionamenti va incluso il tema delle conoscenze e della sua ripartizione come quello dell’insieme dei beni comuni globali che vanno trasmessi alle generazioni future.

Bisogna prendere atto che i nostri attuali modelli di crescita non rappresentano la giusta soluzione dei problemi. La questione politica e culturale che sta davanti a noi ci obbliga a vedere il neoliberismo non come una semplice ideologia o un’idea di politica economica, ma considerarlo prima di tutto come una vera e propria proposta e forma di vita, che tende strutturare la totalità della soggettività di ognuno. Da questa pervasività ideologica ci si deve liberare se si vuole creare una dimensione sociale e condivisa del vivere insieme.

CAPACITA’

Per stimolare la creatività si ha bisogno di dati, di informazioni affidabili e di nuovi strumenti di misurazione, Serve un nuovo indice di sviluppo umano, che tenga conto del PIL pro-capite, ma anche della speranza di vita alla nascita, dell’accesso alla salute, all’istruzione e alla creazione di capacità che consentano all’essere umano di fare e di essere.

Vanno create le condizioni sociali, economiche e politiche basate sull’autonomia e la responsabilità delle singole persone, un’autonomia che non faccia precipitare nell’individualismo egoista, ma che favorisca il formarsi di sempre nuove interdipendenze tra le persone, indipendentemente dalla religione, dalla etnia, dalla cultura e dalle scelte politiche.

SCELTA CRITICA

123. La cultura del relativismo è la stessa patologia che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la logica interna di chi afferma: lasciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono danni inevitabili.

Nella stessa frase il Papa indica con chiarezza che è la stessa logica che agisce per i crimini privati (sfruttamento sessuale dei bambini e abbandono degli anziani), che sta alla base di ogni economia predatoria delle risorse naturali.

I modello economici che sono stati introdotti dalla rivoluzione industriale son stati costruiti sull’idea che ci sarà sempre abbastanza e di più. Solo che la crisi economica che abbiamo vissuto e che ancora stiamo vivendo si è incaricata di smentire questo ottimismo e ci pone problemi di equità e di distribuzione della ricchezza in direzione del lavoro e del mantenimento dei beni pubblici.

Abbiamo appreso dalla crisi che le risorse sono limitate e che non possiamo più ragionare come se ci fosse davanti a noi una torta collettiva illimitata e che la redistribuzione debba riguardare solo ciò che non abbiamo consumato.

Questa logica è mortale, è quella che fa costruire i muri, rimettere le frontiere, espellere e confinare, generare esclusioni. Di fronte ai gravi problemi che ci si pongono non possiamo rispondere solo valutando i costi, ma recuperando la domanda di senso e collegarla alla questione di nuovi stili di vita.

194. Affinché sorgano nuovi modelli di progresso abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale», [136] la qual cosa implica riflettere responsabilmente «sul senso dell’economia e sulla sua finalità, per correggere le sue disfunzioni e distorsioni». [137] Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la qualità reale della vita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassa qualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nel contesto di una crescita dell’economia. In questo quadro, il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine.

In molti ci hanno spiegato che lo sviluppo umano dipende in larga parte non solo e non tanto sul piano del supporto allo sviluppo, bensì in una logica win-win, cioè di vantaggi reciproci, di mutua crescita, di convergenza di interessi economici e culturali. Sono diverse le rilevazioni statistiche che ci hanno mostrato che così non è e non è stato, anzi la spinta verso il profitto individuale a scapito dei molti ha consentito l’ampliarsi delle disuguaglianze, dello sfruttamento e di forme di delocalizzazione che hanno impoverito le realtà di primo insediamento.

Osservando la situazione e l’andamento dell’economia globalizzata siamo portati a chiederci quale valore umano può avere la nozione di crescita che non tiene conto dello sviluppo umano e che si basa solo sul Pil pro capite che non può essere considerato l’unico indicatore di benessere, il suo tasso di variazione annua non può essere considerato una misura di sviluppo, nonostante questa sia la prassi dominante.

L’aumento del PIL pro capite riflette essenzialmente la crescita economica ed è un concetto puramente quantitativo, mentre il termine “sviluppo” indica un processo di trasformazione a vari livelli del sistema economico e della società, indirizzato a favorire l’aumento del benessere comune. Il persistere della prassi di misurare il benessere e lo sviluppo solo attraverso il PIL p.c. implica che lo scopo della politica, dalla massimizzazione del benessere collettivo, si riduca esclusivamente a favorire la crescita continua e indiscriminata dell’economia di mercato. A questo punto ci viene da domandarci a cosa serve aumentare la torta collettiva quando gli ingredienti necessari di questo aumento non rispettano criteri di giustizia, di equità e di sostenibilità? Non è vero che le maree alzando il vascello fanno il bene di tutti i naviganti. Dobbiamo imparare a guardare oltre la quantità per valutare meglio in termini di qualità il nostro modo di creare ricchezza.

Lo sviluppo della tecnologia digitale, la formazione di industria 4.0 può affascinare e personalmente ne sono ammaliato, anche perché può generare un nuovo modo di organizzare il lavoro intrecciando lavoro produttivo e lavoro di cura. Può contribuire a ridurre la fatica fisica, ma nonostante l’incantamento mi domando se essa può contribuire a rendere la vita e il lavoro umanamente dignitosi.

Se dalla rivoluzione digitale non scaturisce anche una ripartizione del tempo e della ricchezza che favorisca la possibilità per le persone di avere cura di se, della loro famiglia, della comunità e dell’ambiente in cui vivono e abitano, dei bambini e degli anziani e renda la parità uomo donna una dimensione concreta del nostro vivere, ma se si riduce solo alla dimensione tradizionale del fare profitto o del trarre solo ed esclusivamente vantaggi personali, allora la cosiddetta quarta rivoluzione diventa una dimensione che non risponde alle esigenze di sviluppo umano.

VINCOLI

Per essere all’altezza delle grandi trasformazioni che la dimensione tecnologica e scientifica sta producendo dobbiamo metterci nella condizione di poter trasformare complessivamente anche l’economia, e non solo limitarci a sperimentazioni virtuose.

Sono convinto che le forme dell’economia sociale che riusciamo a implementare siano molte utili per far passare nella nostra cultura nuovi paradigmi e aprire la strada a nuove possibilità.

Agire in una logica di sviluppo umano significa porci all’interno di una logica di ecologia umana.

L’immagine della casa che l’enciclica ha avanzato non si riferisce unicamente alla dimensione dello spazio fisico e naturale, ma richiama a una dimensione più generale capace di far interagire la salvaguardia del creato, con il rispetto dell’umano e della sua integrità e delle sue possibilità e alle interazioni tra gli esseri. Ci viene proposta l’urgenza di elaborare una percezione originale del mondo come realtà «in cui tutti possono trovare il proprio posto e sentirsi “a casa”, perché è “cosa buona”»

Si rimanda, pertanto, a una modalità di fare esperienza del reale che si radica su un fondo antropologico. E in virtù di questo radicamento non può far a meno di riferirsi all’identità del soggetto umano, nell’interazione complessa con tutto ciò che definisce (ambiente/relazioni/cura di sé e degli altri) il proprio vivere. Senza dimenticare che tale operazione inizia da uno sguardo attento che l’uomo è chiamato a rivolgere su di sé per definire la qualità delle proprie emozioni e dei pensieri che danno impulso alle azioni.

In un tempo in cui sembrano predominare le visioni apocalittiche, in un mondo in cui è tornato ad agitarsi la minaccia della bomba atomica e dove si è generata una confusione tra i disastri causati dalla natura, tra naturale e artificiale, di fronte al riscaldamento globale, al crescere dell’inquinamento, delle guerre, delle disuguaglianze, delle persone che si sono messe in cammino per sfuggire alla violenza della guerra, delle persecuzioni e dalle privazioni economiche e che fanno fatica a trovare una porta aperta, occorre che ognuno di noi faccia quanto è nelle sue possibilità e disponibilità perché un vero sviluppo umano si realizzi.
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Salviamo le coste della Sardegna

vaccarossaLe Associazioni LIPU, ITALIA NOSTRA, FAI e WWF della Sardegna hanno sottoscritto il presente appello in difesa delle coste sarde minacciate dalle nuove norme urbanistiche presentate dalla Giunta Regionale

APPELLO

Il Disegno di Legge sull’urbanistica (sarebbe più corretto definirlo “DDL edilizia”) della Giunta regionale della Sardegna presieduta da Francesco Pigliaru e presentato dall’assessore all’Urbanistica Cristiano Erriu prevede anche incrementi volumetrici del 25% nella fascia costiera e addirittura nei 300 metri dal mare in violazione delle norme di tutela in vigore.
Il DDL urbanistica del Presidente Francesco Pigliaru e dell’assessore all’Urbanistica Cristiano Erriu prevede incrementi volumetrici in deroga per strutture ricettive, e non esclude le residenze sul mare.
Il DDL urbanistica del Presidente Francesco Pigliaru e dell’assessore all’Urbanistica Cristiano Erriu consente incrementi volumetrici anche a struttura che ne hanno già usufruito in passato.
Il DDL urbanistica del Presidente Francesco Pigliaru e dell’assessore all’Urbanistica Cristiano Erriu prevede accordi in deroga con variante del Piano Paesaggistico Regionale.

NOI DICIAMO NO!
AL DISEGNO DI LEGGE URBANISTICA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PIGLIARU
E DELL’ASSESSORE ALL’URBANISTICA CRISTIANO ERRIU
NOI DICIAMO SI!
AL PIANO PAESAGGISTICO IN VIGORE CHE DEFINISCE LA FASCIA COSTIERA
“RISORSA STRATEGICA FONDAMENTALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
DEL TERRITORIO SARDO”

AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA FRANCESCO PIGLIARU, ALL’ASSESSORE ALL’URBANISTICA CRISTIANO ERRIU E AL CONSIGLIO REGIONALE DI ELIMINARE DAL TESTO DEL DDL TUTTI GLI INCENTIVI CHE DANNO CONTINUITA’ AL PIANO CASA, TUTTE LE NORME PALESEMENTE IN CONTRASTO

CON IL PPR E QUINDI LE DEROGHE CHE POTREBBERO RIVERSARE ULTERIORI VOLUMI EDILIZI SULLE COSTE, CHE NON ALLUNGHEREBBERO LA STAGIONE TURISTICA, MA CHE CONSUMEREBBERO LA PIÙ PREZIOSA RISORSA AMBIENTALE DELLA SARDEGNA PRECLUDENDOLA ALLE GENERAZIONI FUTURE.

Cagliari, 10 maggio 2017

Accogliamo i giapponesi

IMPORTANTE
causa indisponibilità dell’area portuale di Cagliari, la cerimonia di Accoglienza degli ospiti giapponesi della missione di pace internazionale si svolgerà all’aperto nel Piazzale antistante la Basilica di Bonaria alle ore 9.15 di domani sabato 13 maggio 2017.
Vi aspettiamo numerosi
peace-boat

Global Voyage for a Nuclear-Free World

nave-dei-reduci-di-hDal 2008 l’ONG internazionale con sede in Giappone “Peace Boat Hibakusha Project”, ogni anno organizza con i sopravvissuti alla bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki (gli “Hibakusha”), un viaggio globale per un mondo libero dal nucleare: il progetto “Global Voyage for a Nuclear-Free World”. Peace Boat è accreditata (Special Consultative Status) presso il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC), e partecipa attivamente ad attività educative e tematiche relative a Disarmo e Sviluppo Sostenibile, attraverso campagne internazionali di abolizione delle armi nucleari e prevenzione dei conflitti armati.
Fino all’agosto 2016, circa 160 Hibakusha hanno attraversato il mondo dando testimonianza sugli effetti della bomba atomica e richiedendo l’abolizione del nucleare.
Quest’anno il viaggio della Peace Boat ha, come unica tappa italiana, Cagliari sabato 13 Maggio: la giornata prevede una manifestazione di accoglienza verso le 9.30, un incontro con gli studenti di una scuola nella seconda parte della mattinata, un incontro istituzionale (con rappresentanza di Comune di Cagliari, Consiglio e Giunta regionale e parlamentari sardi) e infine un convegno pubblico.
- La pagina fb dell’evento.

Sa die de Sa Sardigna 2017

fondazione sardinia logoSa die de sa Sardigna 2017: UNU DISCORSU A SA NATZIONE SARDA, de Federicu Francioni
francioni-cubedduSul sito della Fondazione Sardinia, ripreso anche da Aladinews Forma@Comunica.
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Venerdì 28 aprile 2017, il Comitadu ”Sa die”, composto da diverse associazioni, ha organizzato un evento nell’aula del Palazzo viceregio a Cagliari. Dopo il saluto del moderatore Salvatore Cubeddu, direttore della Fondazione Sardinia, hanno preso la parola il vicepresidente del Consiglio regionale on. Emanuele Lai, l’assessore regionale alla Cultura on. Giuseppe Dessena, Carmen Campus (che ha ricordato la personalità di Nereide Rudas, da poco scomparsa), Piero Marcialis (con una lettura del suo testo teatrale “Sa dì de s’acciappa”), Federico Francioni. Nel dibattito sono intervenuti i docenti Aldo Accardo e Luciano Carta, Giacomo Meloni (segretario della Confederazione sindacale sarda), l’ambientalista Angelo Cremone, Franco Boi e Nicola Cosseddu. Il “Cuncordu Launeddas” ha eseguito, tra l’altro, l’inno nazionale sardo di Francesco Ignazio Mannu, “Procurade de moderare barones sa tirannia” (con la voce di Antonello Giuntini). Successivamente è stata consegnata la bandiera dei quattro mori a otto bambini che hanno aperto un corteo che dal Palazzo viceregio si è diretto alla Cattedrale. Qui è stata celebrata la messa, officiata da mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, il quale nell’omelia si è soffermato sul concetto di popolo nella parola di Gesù. La Conferenza episcopale sarda, com’è noto, ha manifestato esplicitamente ampia disponibilità per intraprendere un percorso sperimentale onde introdurre ufficialmente la lingua sarda nella liturgia. La bandiera è stata consegnata anche a mons. Miglio che, commosso, l’ha baciata. Mons. Antioco Piseddu, già vescovo di Lanusei, ha pronunciato un intervento in sardo. Di seguito riportiamo il testo completo della relazione di Federico Francioni. [Foto Aladinews]
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Oggi venerdì 12 maggio 2017

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sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghdemocraziaoggiGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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lampada aladin micromicroGli editoriali di Aladinews. quarto_statoL’età dell’oro sta davanti a noi.
di Francesco Indovina, 24 febbraio 2017 su
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democraziaoggiDivorzio: una sentenza per milionari. E i poveracci?
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Si fa un gran can can sulla sentenza della Cassazione sull’assegno di divorzio . E’ giustamente. Fino a oggi, una giurisprudenza granitica collegava l’ammontare dell’assegno al «tenore di vita matrimoniale». Quindi assegni milionari alle ex mogli dei milionari. Oggi il nuovo verbo è il «parametro di spettanza». Si guarda all’indipendenza o dell’autosufficienza […]
———————DOMANI mattina, sabato 13 maggio 2017———–
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- Monumenti aperti 2017, tutte le informazioni.
- Unica per monumenti aperti Cagliari.
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Giovani e lavoro: il 63% ora chiede nuove modalità di rappresentanza collettiva
L’Italia resta ancora agli ultimi posti per assunzione di “nuove leve” nel mercato del lavoro, con un tasso di occupazione al 53,7%, staccato di quasi 20 punti dalla media Ue. Per questo motivo i giovani italiani ora chiedono una nuova rappresentanza collettiva che li aiuti a cambiare verso
di Francesca Matta su linkiesta logo

Serve un sistema di regole prioritariamente a tutela dei cittadini risparmiatori

COSTITUZIONE. Articolo 47
La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.
Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

odg-sardegnaBANCHE in CRISI: correre agli sportelli o dormirci sopra? TUTELA DEL CONSUMATORE, PAURA E CONOSCENZA
Su Unica.it
Oggi giovedì 11 maggio nell’Aula Arcari della Facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche, dell’Università di Cagliari si è tenuto il seminario organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Sardegna con il prof. Riccardo De Lisa, docente di Economia degli intermediari finanziari.
banche-11-5-17 lampadadialadmicromicroQuanto è complicata la finanza! Il prof. Riccardo De Lisa ha cercato di renderla accessibile si comuni mortali. Certo è che la difesa più efficace per i cittadini risparmiatori è disporre di un “sistema di regole” vincolante, almeno nell’ambito dell’Unione Europea (ma non solo), soprattutto per le Banche. È giusto che falliscano o passino in mano a Organizzazioni eticamente controllabili le Banche che non si attengono rigidamente alle regole, che ovviamente vanno ulteriormente modificate rispetto al sistema odierno per essere maggiormente centrate sugli interessi dei cittadini.

La «cultura del dialogo» come compito educativo

bauman-e-francescoSOCIETÀ E POLITICA »TEMI E PRINCIPI» DE HOMINE
Bauman. L’arte del dialogo è la nostra rivoluzione
di Zygmunt Bauman, su La Repubblica online, ripreso da
eddyburg
«L’esortazione del sociologo recentemente scomparso che fa proprio un appello di papa Francesco. Il testo di Bauman è tratto da La grande regressione». la Repubblica, 11 maggio 2017 (c.m.c)

Essere uno stato, piccolo o grande non importa, vuole sempre dire una cosa molto semplice: avere sovranità territoriale, ossia la capacità di agire all’interno dei propri confini in base alla volontà di chi abita nel proprio territorio, senza rispondere agli ordini di qualcun altro. Dopo un’epoca in cui i vicinati si sono fusi o sono stati percepiti come destinati a fondersi in unità più grandi chiamate stati-nazione (con in agguato la prospettiva di un’unificazione e di un’omogeneizzazione della cultura, della legge, della politica e della vita umane in un futuro che, se non era immediato, sarebbe senza dubbio giunto), dopo la lunga guerra dichiarata dai grandi ai piccoli, dallo stato al locale e al “parrocchiale”, entriamo ora nell’epoca della “sussidiarizzazione”, in cui gli stati non vedono l’ora di scaricare i propri doveri, le proprie responsabilità e – grazie alla globalizzazione
e alla nascente situazione cosmopolitica – il compito ingrato di riportare il caos all’ordine, mentre le vecchie località e i vecchi comuni serrano i ranghi per assumersi queste responsabilità e battersi per qualcosa in più.

L’indicatore più vistoso, carico di conflitto e potenzialmente esplosivo del momento presente e la volontà di rinunciare alla visione kantiana di una futura Bürgerliche Vereinigung der Menschheit, un’unificazione civile dell’umanità, che coincide con la realtà della globalizzazione avanzata e imperante della finanza, dell’industria, del commercio, dell’informazione e di ogni forma di violazione della legge.

A cio si associa il confronto di uno spirito e di un sentimento klein aber mein (“piccolo, ma mio”) con il dato di una condizione esistenziale sempre più cosmopolita. In seguito alla globalizzazione e alla divisione dei poteri politici che ne deriva, infatti, gli stati si stanno trasformando in vicinati piuttosto grandi, compressi all’interno di confini permeabili, tracciati in modo vago e difesi in modo inefficiente. Nel mentre, i vicinati di una volta – considerati sul punto di essere cestinati dalla storia, insieme a tutti gli altri pouvoirs intermediaires — lottano per assumere il ruolo di “piccoli stati”, sfruttando al meglio cio che rimane delle politiche quasi-locali e dell’inalienabile prerogativa monopolista, un tempo gelosamente custodita dallo stato, di dividere “noi” da “loro” (e viceversa). Il “progresso”, per questi piccoli stati, si riduce a un “ritorno alle tribù”.

In un territorio popolato da tribù, le parti in conflitto evitano e rinunciano senza esitazione a convincersi e a convertirsi a vicenda; l’inferiorità di un membro — di un membro qualsiasi — di una tribù straniera è e deve restare una debolezza predestinata, eterna e incurabile, o almeno deve essere vista e trattata come tale. L’inferiorità dell’altra tribù è la sua condizione permanente e irreparabile, il suo stigma indelebile destinato a vincere ogni tentativo di riabilitazione.

Una volta che la divisione tra “noi” e “loro” è stata istituita secondo queste regole, lo scopo di ogni incontro fra gli antagonisti non è più lo stemperamento, ma la ricerca o la creazione di ulteriori prove del fatto che qualsiasi stemperamento è irragionevole e fuori questione. Preoccupati di non svegliare il can che dorme e di evitare le sventure, i membri delle tribù bloccate nel circolo di superiorità/inferiorità non si parlano ma si ignorano. Per coloro che risiedono (o sono stati esiliati) nelle zone grigie di frontiera, la condizione di «essere sconosciuti e dunque minacciosi» e l’effetto della loro intrinseca o ipotetica resistenza o sottrazione alle categorie cognitive utilizzate come pilastri dell’“ordine” e della “stabilità”.

Il loro peccato capitale o il loro crimine imperdonabile consiste nell’essere la causa di una difficoltà mentale e pragmatica, derivata dalla confusione comportamentale che essi non possono non produrre (qui si può pensare a Ludwig Wittgenstein, che faceva consistere il comprendere nel sapere come andare avanti). Inoltre, questo peccato incontra ostacoli formidabili nella sua redenzione, per via del “nostro” testardo rifiuto di instaurare con “loro” un dialogo teso ad affrontare e a superare l’iniziale impossibilità della comprensione. L’assegnamento alle zone grigie è un processo autoalimentantesi messo in moto e intensificato dal venir meno o, meglio, dal rifiuto a priori della comunicazione.

Elevare la difficoltà della comprensione al rango di un’istanza o di un dovere morale imposto da Dio o dalla storia è, dopotutto, la prima causa e uno stimolo fondamentale alla definizione e al rafforzamento dei confini che “ci” separano da “loro”, anche se non su base esclusivamente etnica o religiosa, e della funzione fondamentale a cui devono assolvere. Come interfaccia tra i due contendenti, la zona grigia dell’ambiguità e dell’ambivalenza rappresenta inevitabilmente il territorio principale — e troppo spesso unico — su cui si proiettano le implacabili ostilità e si combattono le battaglie tra “noi” e “loro”.

Ritirando nel 2016 il premio Carlo Magno, papa Francesco — forse l’unica figura pubblica dotata di autorità planetaria ad aver avuto il coraggio e la determinazione di scavare le radici profonde del male, della confusione e dell’impotenza attuali e di metterle in mostra — ha dichiarato: «Se c’è una parola che dobbiamo ripetere fino a stancarci è questa: dialogo. Siamo invitati a promuovere una cultura del dialogo cercando con ogni mezzo di aprire istanze affinché questo sia possibile e ci permetta di ricostruire il tessuto sociale. La cultura del dialogo implica un autentico apprendistato, un’ascesi che ci aiuti a riconoscere l’altro come un interlocutore valido; che ci permetta di guardare lo straniero, il migrante, l’appartenente a un’altra cultura come un soggetto da ascoltare, considerato e apprezzato. È urgente per noi oggi coinvolgere tutti gli attori sociali nel promuovere “una cultura che privilegi il dialogo come forma di incontro”, portando avanti “la ricerca di consenso e di accordi, senza però separarla dalla preoccupazione per una società giusta, capace di memoria e senza esclusioni” ( Evangelii gaudium, 239). La pace sarà duratura nella misura in cui armiamo i nostri figli con le armi del dialogo, insegniamo loro la buona battaglia dell’incontro e della negoziazione. In tal modo potremo lasciare loro in eredità una cultura che sappia delineare strategie non di morte ma di vita, non di esclusione ma di integrazione».

Subito dopo, papa Francesco aggiunge una frase che contiene un altro messaggio strettamente connesso alla cultura del dialogo, come sua autentica conditio sine qua non: «Questa cultura del dialogo, che dovrebbe essere inserita in tutti i percorsi scolastici come asse trasversale delle discipline, aiuterà a inculcare nelle giovani generazioni un modo di risolvere i conflitti diverso da quello a cui le stiamo abituando». Ponendo una cultura del dialogo come compito educativo e chiamando noi al ruolo di insegnanti, egli afferma senza ambiguità che i problemi che oggi ci affliggono sono destinati a durare ancora a lungo — problemi che cerchiamo invano di risolvere nei modi a cui siamo abituati, ma per i quali la cultura del dialogo ha una chance di trovare soluzioni più umane (e, auspicabilmente, più efficaci).

Un vecchio proverbio cinese, ancora molto attuale, invita chi di noi è preoccupato per l’anno a venire a seminare grano e chi invece si preoccupa per i prossimi cento anni a educare le persone. I problemi che abbiamo di fronte non ammettono bacchette magiche e scorciatoie, ma richiedono niente meno che un’altra rivoluzione culturale. In tal senso, essi impongono una riflessione e una pianificazione sul lungo periodo, due arti purtroppo dimenticate e raramente messe in pratica in questi tempi affrettati vissuti sotto la tirannia del momento. Abbiamo bisogno di recuperare e di riapprendere queste arti. Per farlo, serviranno menti lucide, nervi d’acciaio e molto coraggio. Soprattutto, servirà un’autentica visione globale a lungo termine — e tanta pazienza.

Traduzione di Pietro Terzi
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quarto_stato
Lavoro e diseguaglianze
Diario n. 328
27 dicembre 2016
di Francesco Indovina

Non vi è dubbio che i problemi più gravi dell’attuale fase (non transitoria) siano il lavoro e le diseguaglianze nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Collegati a questi due, come in una catena, troviamo la crisi fiscale dello stato (a tutti i livelli), la riduzione dei servizi sociali, la mancanza di abitazioni a basso prezzo (a cui corrisponde una grande quantità di abitazioni vuote e di invenduto), la cattiva situazione delle infrastrutture, la mini criminalità (mentre gode ottima salute quella organizzata), la crisi del sistema sanitario, la sicurezza, ecc. Una catena che può essere allungata come si vuole ma che si sviluppa a partire da quei due anelli. Di questi due problemi un qualsiasi governo si dovrebbe occupare, ma ne prima né ora le questioni sono all’ordine del giorno con il dovuto impegno e con le necessarie nuove idee.

Lavoro
I provvedimenti già attivi non solo non sono stati risolutivi, ma hanno, in un certo senso aggravato la situazione. Gli strumenti attivati non hanno inciso significativamente sulla disoccupazione e hanno reso precario e vergognosamente super sfruttato chi il lavoro, anche se marginale, a tempo, incerto in qualche modo lo ha. I vaucher producono racconti agghiaccianti: 7,5 euro all’ora per qualsiasi tipo di lavoro (dal servizio di sicurezza, al servizio bar, passando per il call center , ecc., parcellizzato e spezzettato in modo tale che pochi riescono ad avere garanzia, sia fa per dire, di un reddito mensile. Non solo pagati con ritardo, ma spesso i voucher sono utilizzati come “tessera” per un lavoro nero più sfruttato, mentre l’ultima frontiera è quella della loro utilizzazione per pagare chi sostituisce (sic!) i lavoratori in sciopero.
La filosofia “meglio di niente” sta ancora di più imbarbarendo la nostra società e il mercato del lavoro: ogni dignità di se stessi sembra vanificata dalla ricerca di una elemosina-lavorativa.
La bellezza del paese, la sua cultura, la sua storia, che poi tradotto in soldoni significa turismo non solo sarebbe assurdo che portasse ad una società fatta di camerieri, guidi turistiche e commesse, ma neanche si costruisce con progetti adeguati, mentre quei specifici settori, insieme all’edilizia sono quelli del massimo sfruttamento e dell’uso (non chiamiamolo abuso) dei voucher.
Non c’è una soluzione facile, si tratta di modificare quanto, dove, come e quando ciascuno debba lavorare; come assicurare comunque un reddito ad ogni famiglia; come riconoscere differenze di ruoli e di remunerazione che non potranno che essere da limitate.
Non solo i camerieri, non solo le signorine gentili che assillano dai call center, non solo le rare, ovviamente, start up, ecc. si tratta di un progetto di società che rifiuta lo stato attuale e che prospetta una diversa organizzazione sociale fondata sulla dignità.

Diseguaglianze
Le maglie della società, i suoi nodi e i suoi incroci sembravano offrire a ciascuno, secondo volontà e capacità, di trovare una propria collocazione che non fosse esclusivamente determinata dalla nascita. Si trattava di una mitologia, di una retorica, ma in parte costituiva anche una realtà, ma soprattutto imprimeva le stigmate della “capacità” (anche nel nostro paese dove vige e si fa sempre forte il familismo, la pratica della raccomandazione, ecc.). Una società felice, certo che no, una società segnata da differenze, ma anche da lotte per attenuarle. Nessuno si arrendeva, il vivere individuale era anche collettivo, l’ “insieme agli altri” era una filosofia di vita.
Ma oggi tutto sembra cambiato. L’individualismo estremo ha introdotto una nuova filosofia: da solo e per me stesso. Ma questa modalità di agire germina l’approfittatore. Non è il saper fare, non è l’essere parte di una massa in cammino, ma soltanto ed esclusivamente il saper sfruttare l’occasione. Questa è la matrice generativa della corruzione (insaziabile e diffusiva), dell’evasione, del piccolo trucco.
Questa situazione ha moltiplicato le diseguaglianze. Non si tratta di quella macroscopica tra l’1% e il 99% della popolazione), che sarebbero da colpire, ma si sono moltiplicate le diseguaglianze anche all’interno del 99%: corruzione, evasione, trucchi, ecc., tutti governati dal verbo approfittare, costituiscono il nuovo magma sociale. E che si tratti di un magma male odorante.
Facile accusarmi di fare di tutta un’erba un fascio, so che non tutti sono come descritti. Ma so di una società in sofferenza e malata dove il tono complessivo è dato dalla malattia, e chi non è partecipe di questo povero e indegno banchetto è come tramortito.

Politica
È chiaro che diseguaglianze e lavoro (sua mancanza, sua condizione, ecc.) si sostengono a vicenda: la società “civile” che ne emerge è malata, non si tratta di mele marcie, come spesso si sente dire, ma di una condizione generale. Spesso quella che ci appare non è più una società ma una massa di individui agglomerati, dove al massimo vige il piccolo clan.
Questi mi sembrerebbero gli argomenti della politica, non necessariamente in questa versione. Ma questo governo, approssimativo come il precedente, usa la lingua dell’ottimismo, o dice parole indecorose in bocca ad un ministro.

Lunga o breve che sia la sua vita, il futuro non promette bene. Anche se, e ripeto se, non sia impossibile che il popolo tramortito non si svegli, ma anche in questo caso, anzi soprattutto in questo caso, c’è necessità di politica, di una idea di futuro, si una idea di società

Oggi giovedì 11 maggio 2017

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odg-sardegnaBANCHE E TUTELA DEL CONSUMATORE, PAURA E CONOSCENZA
Sergio Nuvoli su Unica.it
Comincerà alle 14 e terminerà alle 17 di oggi giovedì 11 maggio nell’Aula Arcari della Facoltà di Scienze economiche, giuridiche e politiche, dell’Università di Cagliari il seminario organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Sardegna con il prof. Riccardo De Lisa, docente di Economia degli intermediari finanziari.
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Più tecnologia per le donne: ecco cosa serve per far cambiare passo all’Italia
L’Italia è fanalino di coda europeo per uso femminile delle tecnologie informatiche. Un gap enorme con Germania, Francia, Regno Unito, Spagna che forse spiega meglio di mille altre analisi perché la nostra economia è al palo e la disoccupazione non scende
linkiesta logodi Gianni Balduzzi su Linkiesta.
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La natura violata disvela beni comuni
Piero Bevilacqua (l’articolo è pubblicato su «Glocale. Rivista molisana di storia e studi sociali», gennaio 2015) e ripreso da Officina dei Saperi. logo-officinadeisaperi-def
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democraziaoggiLa legge elettorale sarda fra proporzionale e presidenziale
11 Maggio 2017
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
costat-logo-stef-p-c_2-2
Al Presidente del Consiglio Regionale della Sardegna
Ai Presidenti dei Gruppi consiliari

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fondazione sardinia logoSa die de sa Sardigna 2017: UNU DISCORSU A SA NATZIONE SARDA, de Federicu Francioni
Sul sito della Fondazione Sardinia.
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Savino Pezzotta: la crisi e l’isolamento si superano investendo in tecnologia
L’ex leader della Cisl, dall’annuale convegno Caritas, parla del futuro dell’Isola. Il digitale può essere il sistema attraverso il quale spezzare l’isolamento.
Su Il Portico.

LAVORO e NUOVE TECNOLOGIE. “I vecchi non possono che sperare che i giovani prendano in mano la trasformazione della società e portino verso l’età dell’oro, che continuerà ad essere una meta sempre da raggiungere”

quarto_statoL’età dell’oro sta davanti a noi.

di Francesco Indovina, 24 febbraio 2017 su
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Non sopporto, ma questo è il meno, e ritengo sbagliati (culturalmente e soprattutto politicamente) ogni atteggiamento contro il progresso. Rifugiarsi nella “bellezza” della piccola comunità, esaltare come elemento di progresso il ritorno all’artigiano, immaginare che l’identità di luogo possa risolversi in costruzione di società, ecc. è un’illusione. Fare gli scongiuri per ogni nuovo fattore di progresso cantando le lodi del bel tempo che fu, nel momento in cui gli avanzamenti della scienza e della tecnica ci promettono benessere, una vita più lunga e più sana, libertà dal lavoro più alienato, ecc. mi sembra di una miopia tragica.

Non sopporto, ma questo è il meno, e ritengo sbagliati (culturalmente e soprattutto politicamente) ogni atteggiamento che affida con ingenuità, spesso con furbizia, e quasi sempre con ignoranza, alle nuove tecnologie la soluzione di tutti i nostri problemi sociali.

Né il ritorno al passato, predicato ma mai realizzato, né l’attesa che la tecnologia ci porti in paradiso, ci faranno fare un passo avanti nella conquista generalizzata di un livello di vita dignitoso, libero, denso, per tutti (per l’intera umanità). La strada per raggiungere una possibile età dell’oro sarà faticosa, irta di pericoli, ma sicuramente porterà alla meta.

Questa strada presume che si accetti che la grande rivoluzione capitalista (“La borghesia ha avuto nella storia una parte sommamente rivoluzionaria” Marx e Engels) abbia perso la sua spinta propulsiva (usando le parole che Berlinguer ha adottato con riferimento al socialismo realizzato) e si assuma piena consapevolezza che lo sviluppo delle forze produttive è in contrasto e trova un ostacolo nei rapporti sociali di produzione. Sempre più emergono elementi e nessi che pongono, anche con una certa urgenza, la necessità di un cambiamento della struttura sociale capitalistica.

Il “capitalismo” non è più “rivoluzionario”, i suoi cambiamenti, la sua finanziarizzazione, la concentrazione della ricchezza l’hanno trasformato non più in un fattore (contradittorio) di progresso, ma piuttosto in un agente della discriminazione, della rottura di ogni vincolo sociale, della distruzione dello stesso territorio della specie.

All’interno della struttura sociale capitalistica lo sviluppo tecnologico non potrà che produrre disoccupazione, quindi miseria, e concentrazione della ricchezza. Sono ormai numerose le ricerche che indicano come l’avanzamento tecnologico, in tutti i settori compresi i servizi, e soprattutto lo sviluppo della robotica (per l’industria, i servizi e le famiglie) ridurrà drasticamente l’occupazione (negli Stati Uniti è stata calcolata una riduzione del 80% a fronte di un incremento derivato di solo il 5%). In sostanza l’ipotesi che lo sviluppo tecnologico tagliasse posti di lavoro da una parte ma ne creasse più numerosi da un’altra parte risulta non corrispondente al tipo di rivoluzione tecnologica in atto. Non si tratta di luddismo, ma piuttosto della presa d’atto che lo sviluppo tecnologico, dentro l’attuale regime sociale, non si combina con la crescita sociale (opera discriminazione, segmentazioni, divergenze, ecc.).

Il crescente sviluppo del settore di ricerca e della struttura economica/produttiva legata al genoma, costituisce, insieme alla robotica e alla rete, un settore trainante. Non si tratta solo di “soldi” (di molti soldi), ma di qualcosa che riguarda da una parte il diritto alle cure non legate alla propria condizione di reddito, e dall’altra a questioni etiche non marginali che hanno a che fare con la eredità della specie, con interventi su altre specie, ecc. Sviluppo tecnologico e “manipolazione” dei geni, aprono all’umanità prospettive di grandi miglioramenti, ma al contempo non bisogna chiudere gli occhi davanti ai possibili esiti negativi, drammatici e sconvolgenti che ne possono derivare se il potere di decidere la direzione di queste innovazioni e il loro scopo restano in mano a chi “razionalmente” vuole accumulare ricchezza.

Quello che deve spaventare non è l’innovazione, non è la tecnologia, non sono le ricerche più avanzate e ardite ma il loro uso, il fine che si vuole raggiungere ( i “soldi” non sono un buono scopo, accecano).

Dallo sviluppo delle nuove tecnologie ci si deve attendere grandi miglioramenti per la vita di tutti. Ma non c’è garanzia, anzi è possibile avvenga il contrario, è il vincolo del rapporto sociale capitalistico che è necessario rimuovere, in forme più riflessive di quanto si sia fatto nel passato.

Se si guardasse con attenzione all’oggi non si potrebbe non vedere la crescita delle diseguaglianze economico-sociale (sia interne che internazionali). Non è casuale che nella crisi che ha attanagliato l’economia mondiale negli ultimi 10 anni, ad una riduzione generalizzata delle condizioni di vita della gran parte della popolazione corrisponde una crescita della ricchezza di pochi. Questo, si osservi, vale per tutti i sistemi economici qualsiasi sia il regime politico di governo. Come è stato simbolicamente indicato si tratta dell’1% contro il 99% della popolazione, ma bisogna riflettere anche sul fatto che questa sperequazione non riguarda soltanto i “grandi finanzieri”, ma si riferisce anche ad una sorta di “mentalità” che tende a stravolgere la “concezione” del guadagno, i parametri con i quali misurarlo e i rapporti con gli altri (“approfittare” è il verbo più declinato dai singoli).

L’individualismo e l’egoismo (alimentato anche dal bisogno e dalla paura di perdere il poco che si ha) incide profondamente sulle relazioni sociali e tende a frantumare ogni relazione che non sia di mera convenienza, di difesa corporativa, o che non abbia a sua base una identità fasulla.

Ma come garantire che di tutto il progresso possibile possa godere l’umanità tutta e non solo una sua porzione (di ceti e popoli privilegiati)? Come garantire che tutto il progresso possibile sia portatore di libertà, di giustizia sociale, di eguaglianza per tutta l’umanità e non invece di discriminazioni, di diseguaglianze e di oppressione? Domande che interrogano la “politica”, la politica di sinistra, che ha bisogno di interrogarsi sia sui suoi fini che sui suoi mezzi.

La sinistra (quella che qui interessa) ha perso molto (tutto?) il suo potere di attrazione, la sua lingua non pare più adeguata, il disegno di società futura, quella di cui piacerebbe sentire parlare, non emerge e non attrae quel 99%. Eppure quello che avviene nel mondo, pur nella sua contraddittorietà, appare interessante. Si nota un riemergere di consapevolezza. Gruppi, movimenti, partiti di “sinistra” si fanno evidenti.

Quando questi assumeranno che va infranto il rapporto sociale di tipo capitalistico, che una forma nuova di società sarà possibile costruire (senza prescrizioni che non siano di uguaglianza e libertà), allora le questioni del lavoro, della dignità di vita, della disponibilità dei beni, dei vincoli all’accumulazione personale, della parità, dell’accesso al sapere e alla cultura, ecc. potranno essere risolte. Affrontare ciascuno di questi aspetti, e altri ancora, senza affrontarne la matrice rischia di dare l’impressione di una soluzione sul punto specifico, che non solo risulterà temporanea e non risolutiva, ma la “soluzione” si scaricherà su altri aspetti.

Il rapporto capitalistico che nella cultura dei nostri giorni viene considerato un “rapporto tecnico”, per sua natura originaria si costituisce come “rapporto sociale”. Pensare che qualche “regola” può aiutare il “rapporto tecnico” ad essere di vantaggio a tutti è una illusione; il “rapporto sociale” ha bisogno di una trasformazione (sociale), di una “rivoluzione” creatrice di nuova ricchezza, di nuova socialità, di uguaglianza, libertà e democrazia.

I vecchi non possono che sperare che i giovani, la massa di quel 99%, prendano in mano la trasformazione della società e portino verso l’età dell’oro, che continuerà ad essere una meta sempre da raggiungere.

Solo per sorridere, a fine giornata

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Selezione di annunzi trovati nelle bacheche delle parrocchie. Solo per sorridere

1. Per tutti quanti voi hanno figli e non lo sanno, abbiamo un’area attrezzata per i Bambini.

2. Giovedì alle 5 del pomeriggio ci sarà un raduno del Gruppo Mamme. Tutte coloro che vogliono far parte delle Mamme sono pregate di rivolgersi al parroco nel suo ufficio.

3. Il gruppo di recupero della fiducia in se stessi si riunisce giovedì sera alle 7. Per cortesia usate la porta sul retro.

4. Venerdì sera alle 7 i bambini dell’oratorio presenteranno l’Amleto di Shakespeare nel salone della chiesa. La comunità è invitata a prendere parte a questa tragedia.

5. Care signore, non dimenticate la vendita di beneficenza! È una buon modo per liberarvi di quelle cose inutili che vi ingombrano la casa. Portate i vostri mariti.

6. Tema della catechesi di oggi “Gesù cammina sulle acque”. Catechesi di domani “in cerca di Gesù”.

7. Il coro degli ultrasessantenni, verà sciolto per tutta l’estate, con i ringraziamenti di tutta la parrocchia.

8. Ricordate nelle preghiere tutti quanti sono stanchi e sfiduciati della nostra parrocchia.

9. Il torneo di basket delle parrocchie prosegue con la partita di mercoledì sera, venite a fare tifo per noi mentre cercheremo di sconfiggere il Cristo Re.

10. Il costo della partecipazione al convegno su “preghiera e digiuno” e comprensivo dei pasti.

11. Per favore mettete le vostre offerta nella busta, assieme al defunto che volete far ricordare.

12. Il parroco accenderà la sua candela da quella dell’altare. Il diacono accenderà la sua candela da quella del parroco e voltandosi accenderà uno ad uno tutti i fedeli in prima fila.

13. Martedì sera, cena a base di fagioli nel salone parrocchiale. Seguirà concerto.
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